Anita Paolicchi

Preziose dediche. Arte cerimoniale ebraica a Livorno

a cura di Dora Liscia Bemporad, Comunità Ebraica di Livorno, Media Print, Livorno 2018

Nell’ambito degli eventi organizzati a Livorno per l’edizione 2018/5779 della Giornata Europea della Cultura Ebraica, il 14 ottobre, è stato presentato il volume Preziose dediche. Arte cerimoniale ebraica a Livorno curato da Dora Liscia Bemporad e pubblicato per i tipi Media Print dalla Comunità Ebraica Livornese, del cui patrimonio storico-artistico gli oggetti catalogati in questo volume costituiscono una selezione.

Il testo si apre con un ricco contributo di Dora Liscia Bemporad intitolato “Il Tempio di Livorno e i suoi arredi cerimoniali. L’eredità di un grande passato”, nel quale viene ricapitolata la storia della comunità ebraica livornese, al fine di contestualizzare l’origine del patrimonio – estremamente eterogeneo – presentato nelle pagine successive. Il catalogo che costituisce la parte centrale del volume, con voci curate dalla stessa Dora Liscia Bemporad assieme a Elisa Andreiani, Laura Ciampini e Daniela Degl’Innocenti, è articolato in tre sezioni.

Nella prima, Sefer Torà. Ornamenti, sono presentati tutti gli elementi destinati a ornare il Rotolo della Legge una volta chiuso e rivestito con i paramenti tessili (meìl): dodici coppie di ez haìm (bastoni attorno a cui si avvolge il rotolo), venti atarà (corone che si pongono sulla sommità del rotolo chiuso e vestito), diciassette coppie di rimonìm (pinnacoli ornamentali da inserire nei puntali degli ez haìm) di varie forme e molteplici provenienze (molti da centri orafi della penisola italiana, ma anche olandesi e nord-africani), e infine un cospicuo numero di tassim (medaglioni da porre sopra al meìl). A questi arredi destinati ad ornare il rotolo chiuso e vestito si accompagnano alcune yad (piccola asta usata per agevolare la lettura della Torà senza che venga toccata con le mani, in segno di rispetto) in argento, avorio, un materiale importato dalla Tunisia dagli ebrei livornesi e commerciato in tutta Europa, e corallo, la cui lavorazione era un’attività di cui alcune famiglie di ebrei livornesi nel XVII secolo detenevano il monopolio, come illustrato nel saggio introduttivo al volume (sp. pp. 21-22).

Nella seconda, Oggetti di uso non cerimoniale, sono schedati calici, candelieri, chiavi e lampade. Questi oggetti si distinguono da quelli presentati nella parte precedente in quanto non legati al rito sinagogale, tanto più che alcuni di essi facevano parte del patrimonio di argenti posseduto dalle famiglie livornesi e non hanno quindi alcuna caratteristica ebraica se non talvolta le scritte dedicatorie. Si tratta prevalentemente di argenterie ottocentesche di produzione locale, tra le quali una channukkià (lampada a nove lumi accesa per gli otto giorni in cui si svolge l’omonima festa) si distingue sia per la realizzazione in ottone sia per la datazione all’inizio del Settecento. Della fine dello stesso secolo è invece un calice in argento, dorato all’interno, probabilmente riadattato a uso sinagogale da un’originale destinazione ecclesiastica.

Nella terza, Doni, appaiono alcune tipologie di oggetti già incontrati nelle sezioni precedenti, ma anche alcuni oggetti legati alla quotidianità delle famiglie ebree, come portafortuna da appendere al collo o sulle culle dei bambini (shaddai) o una mezuzà, un astuccio contenente una piccola pergamena con passi biblici affisso sugli stipiti delle porte di ogni casa e luogo ebraico per indicare la protezione del Signore su coloro che vi dimorano. Questo oggetto, pur non avendo un particolare valore artistico, è interessante per la scritta “Made in Palestine-Jerusalem” che ne dichiara una realizzazione anteriore alla proclamazione dello Stato di Israele nel 1948.

La trascrizione e la traduzione delle iscrizioni che accompagnano questi oggetti, accompagnate dalla lettura attenta di alcuni marchi di orafi presenti su alcuni di essi, rivelano un universo di micro-storie individuali che, a seguito di un’accurata ricerca d’archivio, permettono di cogliere uno spaccato della quotidianità della realtà ebraica livornese. Così, a fianco di personalità di spicco della Comunità, ricordate per i loro ricchi doni, acquista la propria dignità storica anche la memoria “del vecchio Aaron Coen Salomon”, negoziante algerino che, alla metà dell’Ottocento, abitava al secondo piano di una casa in piazza Leopolda con la moglie e i due figli, i quali donarono alla sinagoga una corona in sua memoria.

Su questa base anche l’analisi stilistica rivela la propria utilità, permettendo di indagare a fondo quali fossero i modelli di riferimento per gli orafi locali e quale il gusto dei committenti, al contempo consentendo di constatare quanto disparate potessero essere le provenienze degli oggetti arrivati a Livorno tramite commerci o al seguito del trasferimento di famiglie ebree. Di particolare importanza e di estrema rarità sono alcuni oggetti di provenienza nordafricana, poiché, come osservato da Dora Liscia Bemporad, in Tunisia era uso fondere gli arredi vecchi per sostituirli con altri nuovi e quindi questi sono testimonianza di eccezionale antichità. Il carattere moresco della struttura e dello stile di questi arredi, distintivo degli arredi livornesi, si estese fino ad essere considerato un elemento proprio del popolo ebraico e fu presto adottato anche da alcuni argentieri toscani di particolare importanza, che li riproposero anche in alcune argenterie destinate a fondazioni cattoliche1. La comunità livornese era infatti la più numerosa e influente in Italia: Roma era oppressa dal governo papalino, mentre Venezia aveva ormai perso la sua egemonia, essendo «incapace di proporre soluzioni che fossero alla pari con la tradizione che nei secoli precedenti le aveva consentito di diffondere in tutta Italia gli arredi eseguiti nelle sue botteghe». In questo contesto, «Livorno si affermò con uno stile che da un lato era orientato verso la tradizione locale, dall’altra verso il mondo mediterraneo» (pp. 20-21).

Come ben spiegato nel già citato saggio di Dora Liscia Bemporad, le condizioni che determinarono la fioritura della Comunità livornese, una delle più importanti del Mediterraneo, vanno cercate a partire dalla cosiddetta “Costituzione Livornina” voluta dal granduca Ferdinando I, i cui decreti fecero della città un luogo di rifugio privilegiato per gli ebrei in fuga dalle persecuzioni in atto nelle rispettive patrie. Questo episodio ebbe ricadute consistenti non solo sul tessuto sociale livornese, ma anche sul suo panorama economico, portando a un periodo di grande crescita grazie ai traffici mercantili con innumerevoli centri europei. Ad esempio, particolarmente stretti erano i legami fra gli ebrei e l’Impero Ottomano, dai cui porti giungevano non solo materie prime, come la soda per fabbricare i vetri, e le spezie, ma anche seta, tappeti e altri manufatti, che influenzavano a loro volta la produzione locale, incidendo positivamente sull’evoluzione della produzione artigianale locale.

Questi cambiamenti sono chiaramente riflessi nella varietà dei patrimoni delle varie comunità religiose cittadine: chi voleva offrire doni al luogo di culto – chiese e monasteri, ma anche, nel caso di nostro interesse, sinagoghe, sia a Livorno che nelle altre città toscane – ebbe, dalla fine del Cinquecento, un’ampia scelta di merci a cui attingere.

Una grande quantità degli oggetti preziosi presenti a Livorno andò tuttavia distrutta o dispersa durante le requisizioni napoleoniche, nel 1796. Un ulteriore danno al patrimonio liturgico della Comunità Ebraica fu inferto dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale, e dai successivi saccheggi avvenuti nella Sinagoga sventrata. Se ciò che resta è solo una piccola parte dell’originale patrimonio sinagogale, le attestazioni documentarie e le fotografie storiche suggeriscono comunque che questo fosse estremamente sontuoso, congruente quindi con l’importanza e la bellezza della Sinagoga seicentesca, una delle più note in Europa.

L’oggetto più antico oggi conservato presso il Museo Ebraico di Livorno è una corona datata 1661-1662, dei cui donatori – Avraham Da Costa e Avraham Franco – è tramandato il nome da un’iscrizione. Il nome di Yacov Vega Alvares, uno dei trenta governanti aggiunti al governo della Comunità nel 1693, si lega invece a una coppia di ez haìm (bastoni attorno a cui si avvolge il rotolo pergamenaceo del Sefer Torà) donati dalla sua vedova in memoria del suocero, un marrano portoghese giunto a Livorno attraverso Amsterdam, da dove aveva presumibilmente portato il rotolo a cui la nuora fece aggiungere le impugnature e i puntali d’argento. “Preziose dediche”, appunto, che permettono di ricostruire la caleidoscopica varietà di storie e identità che trovarono in Livorno un comune porto sicuro.

Concludono il volume una bibliografia essenziale curata da Duccio Filippi, composta da poco meno di cento titoli utili a contestualizzare e approfondire alcuni aspetti legati alla storia della Comunità Ebraica di Livorno e sui beni culturali ebraici livornesi, e un glossario.

È opportuno sottolineare che la pubblicazione di questo volume non rappresenta un episodio isolato, ma deve anzi essere inteso come una tappa importante di un lungo e articolato percorso mirato al censimento e alla valorizzazione del patrimonio artistico della Comunità Ebraica di Livorno. Un primo episodio di questo percorso si può riconoscere nel progetto “Arte e cultura ebraica in Toscana” (1991-1997): negli anni successivi le schede allora realizzate e raccolte dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno sono state riviste, aggiornate e integrate grazie a campagne fotografiche e di studio. Parallelamente, sono stati valorizzati anche il patrimonio librario della Comunità, l’Archivio Storico e il Cimitero Monumentale2. L’insieme di queste attività di censimento e di studio ha prodotto negli anni mostre documentarie di grande interesse, fra le quasi si ricorda “Fili di storia. Il patrimonio tessile della Nazione Ebrea di Livorno” (2006), del cui catalogo riccamente illustrato (Sillabe, Livorno 2006) il presente volume si pone come ideale complemento.

  1. Ad esempio in alcune carteglorie eseguite per la Cattedrale di Livorno dalla bottega di Roberto Onorato Pini si ritrova un tema floreale (rose, in particolare) tipico degli arredi tunisini (p. 20). []
  2. I risultati di queste campagne di catalogazione sono liberamente accessibili sul sito del Sistema Documentario Territoriale di Livorno https://opacsol.comune.livorno.it/SebinaOpac/Opac. Ai manoscritti ebraici antichi e alle cinquecentine della Biblioteca del Talmud Torà sono stati dedicati due volumi pubblicati nella collana “Quaderni della Labronica”, curati rispettivamente da Mauro Perani (I manoscritti della biblioteca del Talmud Torah di Livorno, 1997) e da Angelo Piattelli (Edizioni ebraiche del XVI secolo nella Biblioteca del Talmud Torà di Livorno, 1992). []