Elvira D’Amico

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Considerazioni su alcuni paliotti tardo barocchi siciliani in cannette di vetro veneziano

DOI: 10.7431/RIV18062018

Non comune è in Sicilia l’uso di materiali vitrei per campire le superfici di paliotti e parati sacri, solitamente ricamati in filati d’oro, argento e seta, con l’ausilio in alcuni casi di perle, coralli e pietre preziose. L’utilizzo di perline e cannette di vetro veneziano – non di Murano poiché tale produzione era espressamente riservata alle fabbriche della terraferma – è conseguente alla necessità di risparmio e parsimonia dettata dalle leggi suntuarie sin dal secolo XVI, che pure nell’Isola vietavano l’impiego di materiali pregiati1. Tale tipologia artigianale si ritrova sino al secolo XIX ed agli inizi del XX, riservata a suppellettili sacre per lo più di piccole dimensioni, ricamate nei monasteri e nei collegi di Palermo e Monreale2. Rari sono i parati e gli arredi sacri del periodo barocco e rococò pervenuti fino a noi che si avvalgono di questa tecnica, adoperata talora anche per il reintegro di manufatti più antichi3, che rende le superfici particolarmente lucide e smaltate,  accendendole a seconda dell’incidenza della luce.

Un originale esempio di essa è da considerarsi l’inedito paliotto detto di S. Antonio (Fig. 1), custodito nel Museo di arte sacra di Misterbianco, sito nella cripta della Chiesa Madre e gestito dalla Fondazione Monasterium album4. Esso fu commissionato nel 1750 in occasione della proclamazione di S. Antonio Abate a patrono della cittadina etnea – il 12 dicembre di quell’anno – dalla municipalità cittadina, il cui stemma raffigurante l’aquila con scudo in petto, si trova sotto il medaglione principale contenente la figura del  santo (Fig. 2). Scoperto una ventina d’anni fa in un sottotetto della Chiesa Madre, in cattive condizioni conservative, il manufatto fu sottoposto a restauro conservativo e quindi collocato nel Museo annesso, da cui ogni tre anni esce in occasione della festa del santo per essere ricondotto nella chiesa. Riportato su supporto di stoffa e rimontato su un pannello ligneo protetto da una teca di vetro, esso è tornato oggi ad essere leggibile. Il cartone di stile tardo barocco, costituito da due cespi fioriti simmetrici, che affiancano la ‘festina’ del santo protettore, è abbastanza comune pure nel messinese, cosa che non escluderebbe una sua esecuzione nella città peloritana. L’apposizione di cannette vitree nei toni prevalenti del verde-blu, argento ed oro su fondo di seta avorio, campisce l’aggraziato disegno tracciato in grafite – come si nota dalle zone scoperte del ricamo – coi papaveri nascenti da un’infiorescenza, dalle corolle bianche e oro e gli stami picchettati di finti granatini, alternati ai tulipani, discendenti dall’alto e risalenti dal basso a lambire il medaglione centrale, mentre più schematici appaiono i cespi laterali con nappine sottostanti che, al pari del baldacchino centrale, sembrano indicare ampi interventi di reintegrazione. Di nuovo di gusto barocchetto sono le volute fogliacee con violette e fiorellini di campo posti nella parte inferiore del paliotto, nonché la cornice crestata dello stemma cittadino e quella ovale riservata al santo, mentre i due composè di tralci allungati, nella parte superiore, sono frutto ancora di parziali rifacimenti. Particolarmente raffinata è poi la raffigurazione di S. Antonio, in abiti abbaziali resi da un ricamo in cannule di colore blu argento e oro, che si ripetono sull’aureola, sulla mitria e sul bordo del grande libro delle Sacre Scritture che ha aperto davanti; mentre il viso, le mani e le gambe del santo sono in seta delicatamente dipinta, come il paesaggio boschivo sul fondo e i due angeli che reggono gli attributi della mitria e del pastorale.

Pure nel capoluogo siciliano il ricamo con elementi vitrei dovette essere praticato fin dal secolo XVII, persino presso il ricco ordine gesuitico, come testimonia il paliotto della Chiesa di Casa Professa dei Gesuiti, reso noto alcuni anni or sono (Fig. 3)5. Da un ingrandimento del modulo decorativo (Fig. 4) si evince la tecnica di esecuzione del manufatto, che si avvale esclusivamente di cannule di vetro bianco di varie dimensioni e poste in svariate direzioni, atte a meglio assecondare il disegno, profilato da un ricamo in filo di seta bianca che simula un tessuto seicentesco a composizioni vegetali stilizzate disposte a scacchiera. Il risultato è quello di un’opera irreale tutta giocata sul contrasto tra il candore improbabile dei motivi fitomorfi ed il rosso scuro della seta di fondo. L’utilizzo di decorazioni in materiali alternativi si registra pure in ambito cappuccino, ove uno scenografico paliotto settecentesco in tessuto rosso e stemma francescano centrale (Fig. 5), di recente reso noto nell’ambito dei ricami in fili di paglia6, è campito per la maggior parte da cannule di vetro bianco incollate, che suggellano la scelta di materiali poveri da parte del più ‘povero’ degli ordini monastici del capoluogo siciliano. L’elegante disegno di stile rocaille, descrivente una consolle su cui si posano uccellini e si inerpicano ramages con fiori dalle corolle rovesciate come mosse dal vento, si ritrova con varianti su paramenti siciliani, dalla prima metà del Settecento fino all’Ottocento inoltrato7,  e sembra ascrivibile ad uno degli artisti o architetti palermitani che intervenivano come designers nell’ambito delle arti decorative e in particolare nel settore dei paliotti8. Anche in questo caso stupiscono gli inediti accostamenti cromatici e il senso di fantasiosa irrealtà che da essi scaturisce, opposta al naturalismo imperante nei manufatti tradizionali di questo periodo. Interessante sarebbe appurare la genesi manifatturiera dell’opera, forse di ambito conventuale come quella dei ricami in paglia (?) o più plausibilmente assegnabile ad uno dei laboratori monacali, forse uno dei Collegi di Maria che dalla seconda metà del secolo XVIII rifornivano di paramenti sacri le principali chiese di Palermo9.

  1. R. Civiletto, Il prezioso corpus di paliotti ricamati nella chiesa del Gesù di Casa Professa a Palermo, in Magnificencia i extravagancia europea en l’art textil a Sicilia, a cura di G. Cantelli, S. Rizzo, Palermo 2003, pp. 449-459, 452, fig. 3. []
  2. E. D’Amico, Il ricamo in perline veneziane a Palermo in alcuni inediti del secolo XIX e degli inizi del XX, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, n. 16, dicembre 2017, consultabile online www.unipa.it/oadi/rivista. []
  3. R. Civiletto, Sconosciuti e poco noti ricami in corallo nella Sicilia del XVII e XVIII secolo, in Magnificencia…, 2003, pp. 441-448, p. 446, figg. 13-14. []
  4. Ringrazio per le notizie gentilmente fornitemi sul paliotto e per l’autorizzazione alla sua pubblicazione, il presidente di tale associazione, dott. Carmelo Santonocito. []
  5. R. Civiletto, Il prezioso corpus…, in Magnificencia…, 2003, p. 452. []
  6. R.F. Margiotta, Paliotti d’altare in fili di paglia delle chiese cappuccine della Sicilia Occidentale, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, n. 17, giugno 2018, fig. 12, consultabile online www.unipa.it/oadi/rivista. []
  7. Cfr. M.R. Mancino, scheda n. 155, in Magnificenza nell’arte tessile della Sicilia centro-meridionale. Ricami, sete e broccati delle Diocesi di Caltanissetta e Piazza Armerina, a cura di G. Cantelli, con la collaborazione E. D’Amico e  S. Rizzo ,vol II, Catania 2000; E. D’Amico, scheda n. 33, in Santi medici e taumaturghi.Testimonianze di arte e di devozione in Sicilia, a cura di G. Chillè, S. Lanuzza, G. Musolino, Marina di Patti 2011. []
  8. Cfr. Il teatro e l’altare. Paliotti d’architettura, a cura di M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1992, passim. []
  9. Cfr. E. D’Amico, I paramenti sacri, Collana ‘Palazzo Abatellis. Collezioni’, a cura di V. Abbate, Palermo, 1997, p. 36. []