Paola Venturelli

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Leonardo da Vinci tra mappamondi, pietre dure e cristalli milanesi (e Caradosso)

DOI: 10.7431/RIV18032018

Su un foglio databile al secondo periodo fiorentino, verso il 1504-1505 (CA, f. 331, ex 120 r-d), Leonardo ci lascia un promemoria in cui menziona un «mapamondo» di sua proprietà – un globo terrestre o forse una rappresentazione bidimensionale della terra –1, lasciato nelle mani di Giovanni Benci («El mio mappamondo che ha Giovanni Benci»). Il manoscritto si lega a un altro analogo memorandum (Ar, ff. 190v- 191r), forse posteriore di qualche mese, in cui troviamo ripetuta l’annotazione («Mapamondo de’ Benci») e, in un altro punto, citato nuovamente l’amico, questa volta collegato a un «libro» sulle pietre dure, anch’esso posseduto dal Vinci («Giovanni Benci, el libro mio de’ diaspri»)2.

La produzione cartografica e la rappresentazione della sfera costituiscono come è noto due degli argomenti ai quali Leonardo dedicò parte delle sue prodigiose energie intellettuali, tornati recentemente alla ribalta grazie alla scoperta del globo formato dall’unione di due metà di uova di struzzo (dal diametro di circa 11 cm), che si vorrebbe eseguito dal Vinci intorno al 1504, con miniaturizzata la carta geografica terreste e nomi moderni delle aree raffigurate, preziosa testimonianza dell’esistenza dell’America del Sud3 (Fig. 1)  Oltre a conoscere bene la Cosmografia di Tolomeo, di cui aveva una copia a stampa che potrebbe essere quella edita a Vicenza nel 1475, o quella bolognese del 1477 (corredata dalle mappe incise di Taddeo Crivelli) se non quella pubblicata a Ulm nel 1482 da Lienhart Holl, stampata su carta procurata a Milano da Ambrogio Caimi, Leonardo tra gli ultimi disegni portati ad Amboise conservava il famoso schema di un mappamondo (W, ff. 01393, 01393 bis), cui lavora probabilmente mentre è a Roma (circa 1515), che fa parte dei suoi studi sullo sviluppo in piano della sfera in settori triangolari a lati curvi4. Nel foglio di Windsor egli presenta gli emisferi suddivisi in quattro spicchi, con nomi dei luoghi scritti forse dall’allievo Francesco Melzi, in cui risulta il termine «America», attribuito dal geografo tedesco Martin Waldseemüller dopo la diffusione delle lettere di Amerigo Vespucci5, una sorta di doppio quadrifoglio, da ritagliare e incollare su un globo di supporto, ma anche, credo, da usarsi come una specie di ‘cartone’, per delineare rappresentazioni geografiche su mappamondi, magari in cristallo di rocca (Fig. 2).

Dall’appunto nel Codice Ar. veniamo, infatti, a conoscenza di un altro tema che attrasse l’attenzione di Leonardo: quello delle pietre dure, materiali citati frequentemente dal maestro nei suoi scritti6. Per esempio, nella minuta di lettera del CA, f. 938v (circa 1508), non di mano del Vinci, ma presumibilmente di Francesco Melzi, inviata a un misterioso destinatario («Vostra Eccellentia»), forse Charles d’Amboise (1473-1511), governatore del ducato di Milano e suo protettore, in cui si accenna a una «soma» di «cristallo cum poche altre pietre, come tre da fare camorini e simili altre pietre da intaiare», inviate a Firenze insieme a un grande «pezzo de berillo» e «altri pezi» non meglio precisati; di essi fornisce anche un giudizio valutativo («bellissimi»)7, come del resto aveva fatto nel 1502 rispondendo da Firenze a Isabella d’Este che gli aveva chiesto un parere su alcuni vasi in pietra dura del tesoro di Lorenzo de Medici, ottenendo risposte molto dettagliate8. É il frutto di un’approfondita conoscenza della realtà mineralogica la raffigurazione del globo in cristallo di rocca – non il tradizionale globo di solito rappresentato in questa iconografia – tenuto in mano dal Salvator Mundi del piccolo dipinto in tempi recenti attribuito a Leonardo, battuto all’asta da Christie’s il 15 novembre 2017 per il prezzo record di 450 milioni di dollari, su cui si continua a discutere9 (Fig. 3).

Di cristalli e gemme si tratta nei lapidari, repertori scritti che illustrano le ‘virtù’ (o «potenze spirituali») dei minerali. Un «lapidario» è presente anche nella biblioteca di Leonardo sin dall’elenco di cinque libri contenuto nel Tr (f. 3)10, uno dei primi quaderni milanesi, compilato tra il 1488 e il 149011. A queste fonti forse Leonardo attinge per formulare il rebus proposto nel f. 98v del manoscritto H, accompagnando alla figura di una gemma («diamante») il pensiero: «Ogni cosa val/ Per distirpare il tristo», recuperando, a mio avviso, idee presenti nel De Lapidibus di Marbodo di Rennes (1035-1123) – il ‘lapidario’ per eccellenza – e nei suoi numerosi volgarizzamenti. In queste fonti si afferma, infatti, che una delle proprietà del diamante sia quella di attrarre il ferro, similmente al magnete, ritenuto più forte della preziosa gemma, ma del tutto inefficace se questa gli viene posta accanto, poiché il diamante (gemma, ‘fortissima’ e in grado di rendere invincibile chi lo porta) ruberebbe forza al magnete, un concetto recuperato peraltro da Plinio (Nat. Hist., XXXVII, 15, 61), altro autore nella biblioteca di Leonardo12.

Anche sul fronte dei macchinari egli ci lascia idee e progetti di grande interesse, sicuramente sollecitati dalla realtà artigiana di Milano, città dove vivrà a lungo, giungendovi presumibilmente nel 1482, che giusto in quegli anni inizia quel percorso che la porterà a detenere nel secolo seguente il primato assoluto per la produzione di manufatti in pietre dure13. Delinea mulinelli per lavorare le gemme (CA, 103v), pensando a macchine munite di ruote dentate e rocchetti, illustra un dispositivo che egli dice adoperato da «quelli che lavorano camuini» (Ma I, f. 66v), elaborando anche studi per una macchina adatta a «forare cristalli» (I, f. 23v; circa 1495-‘98), in quest’ultimo caso fissandoli non a caso in un codice le cui pagine recano testi sull’acqua, essendo infatti il cristallo ritenuto neve ghiacciata, sulla scorta di Plinio (Nat. Hist., XXXVII, 23). In altri fogli fornisce invece «ricette» per produrre il diaspro, il calcedonio e l’agata, inventando misture personalissime14.

Leonardo condivise la curiosità verso i materiali litoidei con altri personaggi. Come il «Pagol da Tavecchia» citato «per vedere le macchie delle pietre tedesche» in un appunto (Londra, British Museum, 1875-6-12-17) riferito al primo soggiorno milanese (circa 1498-‘99)15, forse da identificare in Paolo Taegio, il nobile milanese, letterato e  giureconsulto16, dedicatario di uno dei sonetti dell’architetto urbinate Donato Bramante (circa 1444- 1514)17. Bramante in questo sonetto menziona anche Domenico della Bella detto il Macaneo (1466-1530), erudito della corte sforzesca che fu precettore del figlio del poeta Gasparo Visconti (1461-1499), il consigliere ducale genero di Cicco Simonetta, in quanto marito di Cecilia dal 1478, al quale Macaneo dedica la Chorographia Verbani Laci (Milano, Ulrico Scinzenzeler 1490)18, e manda un epigramma accluso all’edizione dei Rithmi, il canzoniere composto dal Visconti (con il sonetto XXXVII destinato a Bramante), posseduto anche dal Vinci, che di Macaneo ha le Regulae in forma di manoscritto (Ma II, ff. 2v-3r); il canzoniere viene stampato a Milano nel 1493 sotto la cura del prete Francesco Tanzi, che il 31 gennaio 1496 interpreterà la parte di Giove nella Danae del poeta Baldassarre Taccone, rappresentata a casa del Conte di Caiazzo su regia di Leonardo19.

Nella sua descrizione del Lago Maggiore, Macaneo mostra di conoscere le pietre della Lombardia settentrionale, inclusi i rubini detti di Rocca Nuova  («Rochae Novae appellant»), reperibili presso Bellinzona, zona dove si recuperava il cristallo di rocca, menzionando per la visita alle cave del territorio verbanese Bramante, ricordato quale esperto di rocce, pietre e gemme, facendo supporre che fosse stato con lui in quei luoghi, o da lui avesse avuto le informazioni20. Le stesse informazioni del resto l’architetto avrebbe potuto trasmetterle all’amico Leonardo, che visitò in parte i medesimi luoghi21; un’ulteriore traccia della loro frequentazione, finora non evidenziata, potrebbe essere la ricetta scritta nel f. 40v del codice Tr. (circa 1487-‘90), in cui il Vinci per «fare rosso in vetro per incarnazione» suggerisce di prendere i «rubini di rocca nova o granati» e mescolarli con il «lattimo», o eventualmente «il bolo armeno»22.

Menzionato come cosmografo nei Ricordi di Sabba da Castiglione (1480-1554), editi a Venezia nel 1549) – che a sua volta conosce Leonardo quando dipingeva il Cenacolo in Santa Maria delle Grazie e fu presente alla distruzione del cavallo di creta del Vinci (nel settembre del 1499) all’ingresso in città dei «balestrieri guasconi» al seguito di Luigi XII –23, Bramante ebbe come mecenate Gasparo Visconti, che lo cita nel poema Di Pauolo e Daria amanti, messo a stampa nel 1495 a Milano, e lo ospita nella sua casa dal 1487 al 149224. Per la dimora del poeta Bramante dipinge (1486-1487) Eraclito e Democrito25, l’uno piangente l’altro ridente, (Fig. 4) soggetto ampiamente diffuso nell’antichità classica e riproposto nel XV secolo, che vive nel più ampio tema della concordia/ discors, declinabile anche nel contrasto riso/pianto, argomento caro al Vinci. Nell’ affresco, ora alla Pinacoteca milanese di Brera, tra i due filosofi viene raffigurato un globo terracqueo che è la riproduzione del Tolomeo con le tavole pubblicato a Ulm nel 1482, forse una citazione del «mappamondo incolato di stampa» che era sistemato sopra un «bancho» nello «studieto accanto ala camera dil magnifico Gasparo», nella biblioteca del quale esisteva un «Ptolomeo con le tavole»26. Tra 1495 e 1497 Leonardo schizza (Ar, f. 236v) una rappresentazione schematica del globo terreste, abbozzando zonature irregolari per indicare mari e terre, con l’acqua che zampilla dai monti e un mappamondo tra due filosofi, chiaramente ispirato al dipinto bramantesco, torna nell’incisione inserita all’inizio dell’edizione milanese (1505) del poemetto intitolato Riso di Democrito (recante in prefazione degli epigrammi di Francesco Tanzi), scritto dal poeta Antonietto Campofregoso, detto «Fileremo», allevato nella casa di Cicco Simonetta e in ottimi rapporti con l’architetto urbinate e il Visconti, con i quali frequenta la dimora milanese di Enrico Boscano, autore dell’Isola Beata (1513), insieme a Leonardo27 (Fig. 5).

Il dipinto di Bramante viene ricordato nel Trattato dell’arte della pittura, scoltura et architettura (1584) di Giovan Paolo Lomazzo (1538-1582)28, il critico d’arte e pittore che ha un ruolo chiave nella ricezione dell’eredità leonardesca grazie alla diretta conoscenza che egli ebbe dei manoscritti e disegni vinciani ancora in mano a Francesco Melzi prima che ne iniziasse la dispersione. A suo agio in quella particolare congiuntura che si verifica durante il secondo Cinquecento a Milano -principale centro di conservazione e diffusione delle idee e degli scritti di Leonardo –29, nell’agosto del 1568 Giovan Paolo Lomazzo viene nominato presidente a vita dell’Accademia della «Vall de Bregn» (cioè ‘di Blenio’), una valle dell’alta Lombardia (oggi Canton Ticino) che a nord-est di Bellinzona sale al passo del Lucomagno. Radunatisi ufficialmente intorno al 1560, i membri di questo eccentrico circolo fanno dell’esaltazione del primitivo, dell’istinto, dell’anomalia e dell’irregolarità formale la loro bandiera, appropriandosi delle istanze leonardesche. Ne fecero parte letterati, pittori, scultori, ricamatori, musicisti e intagliatori di materiali lapidei, compresi Aurelio Luini che ha un intero taccuino di teste grottesche del Vinci, come ricorda lo stesso Lomazzo30, e Annibale Fontana (1540-1587), celeberrimo intagliatore di pietre dure, scultore, orafo e medaglista, la cui figura costituisce uno snodo importante per la trasmissione delle invenzioni leonardesche, come ho già avuto modo di rilevare31.

È del resto Giovanni Ambrogio Mazenta (1565-1635) a fornire nelle Memorie de’ fatti di Leonardo da Vinci a Milano (circa 1635) indicazioni precise in tal senso. Egli afferma, infatti, che durante il suo prolungato soggiorno lombardo il Vinci, oltre a essere stato ideatore di «molte machine» in uso «nelle botteghe dell’arte» per «tagliar, lustrar cristalli» e «pietre», nella sua «accademia» aveva fatto «fecondo seminario di perfettissimi artefici nella pittura, nella scultura, architettura, nell’intagliar cristalli, gioie, avori, ferro, e nell’arti fusorie d’oro, argenti, bronzo», scrivendo inoltre che Annibale Fontana, «scultore di camei, christalli, gioie, marmi», sosteneva «d’aver da le cose di Leonardo appreso quanto sapeva»32. Per quanto riguarda la lavorazione dell’avorio e dell’ebano toccherà a Giovanni Ambrogio Maggiore, insuperabile nel «tornire gli Ebani, e gli Avori in vari e diverse forme d’ovati», come afferma Giovan Paolo Lomazzo, trasmettere l’arte d’«intornir gli ovati» (messa per scritto da Leonardo), avendola appresa dal fratello Dionigi, al quale era stata insegnata da un discepolo di Francesco Melzi33. Anche Jacopo da Trezzo (Gian Giacomo Nizzola da Trezzo, 1515/ ‘19-1589), credo possa forse rientrare in questo panorama. Ideò infatti per Filippo II di Spagna un «molino col qual si son segati tutti gli iaspidi, et tutte le altre piastre di mischio finissimi, e li Cristalli di rocca, et altri marmi fini, con l’artificio dell’inventione dell’acqua; e di più a colpi d’acqua faceva lavorare tutto il ferro a maglio di quattro grossissimi martelli», un macchinario che sembra adombrare le invenzioni leonardesche circa le macchine da lavoro34.

Tra gli affiliati dell’Accademia della «Vall de Bregn» ci fu anche Francesco Tortorino (ca. 1512-1572)35, il «Milanese, intagliator ne’camei, et nel cristallo» citato da Lomazzo nel Trattato36, autore tra 1554 e1565 di uno «specchio di cristallo di rocca lavorato ad intaglio di cavo» con «l’historia toccante il re di Spagna», a «guisa di una delle colonne di Roma in forma di trionfo», con sulla base la raffigurazione del tempietto di San Pietro in Montorio di Bramante. Attestata dal 1704 nelle collezioni medicee, l’opera presenta un complesso programma iconografico che allude alla vita del committente, Carlo Visconti (1523-1565), personaggio di spicco nella Milano spagnola, dal 1545 membro del Collegio dei Giureconsulti, incaricato di importanti missioni diplomatiche presso Filippo II, nonché membro dell’Accademia letteraria dei Trasformati, progettista di mascherate e tornei, vescovo di Ventimiglia eletto cardinale da Pio IV il 2 marzo 1565 e morto a Roma il 13 novembre del medesimo anno. L’ elaborata composizione si completa con l’eccezionale dettaglio di una «palla solida di cristallo posta sopra», minuziosamente intagliata con raffigurazioni geografiche, prive di qualsiasi accenno al continente australe, ma la conoscenza delle coste dell’America meridionale e centrale e di parte di quella settentrionale, per la cui esecuzione Tortorino si sarebbe potuto benissimo servire di modelli grafici come quelli delineati da Leonardo nel ricordato disegno di Windsor37 (Fig. 6).

Carlo Visconti fece parte dell’entourage di Ferrante Gonzaga (1507-1557) – terzogenito maschio di Isabella d’Este e Federico II Gonzaga –  marito di Isabella di Capua, Principessa di Mofetta (1510-1559), collezionista di raffinati oggetti in cristallo di rocca. Governatore del capoluogo lombardo dal 1546 al 1554, Ferrante è al centro di una vera a propria corte38. Nell’autunno del 1549 ospita lo storico comasco Paolo Giovio (1483-1552), tra i primi a raccogliere notizie su Leonardo, incontrato probabilmente quando frequentava l’università di Pavia con Marcantonio della Torre (1481-1511), alle cui dissezioni anatomiche partecipò con ogni probabilità il Vinci stesso nel 1507, secondo il noto racconto del Vasari. Leonardo aveva infatti in mente di dar vita a un trattato di anatomia che descrivesse – per la prima volta – il corpo umano anche visivamente mediante tavole illustrate, analoghe a quelle nei manoscritti e nei primi incunaboli di Tolomeo, per le quali sarebbe stato necessario l’uso della tecnica dell’acquaforte39.

Giunge a questo punto nella nostra storia Pompeo Leoni (1531-1608), lo scultore, orafo e forse cristallaio, figlio del famoso Leone (1509-1590)40.

Come attesta ancora Giovanni Ambrogio Mazenta, quando si diffonde la facilità con cui gli eredi di Francesco Melzi regalano i manoscritti di Leonardo, è Pompeo a farne la maggiore incetta. Egli scompone, ricompone, slega e sparpaglia i fascicoli originari, trasferendo da un foglio all’altro i frammenti tolti, spostando ripetutamente il tutto dall’Italia alla Spagna e finendo per lasciare in terra iberica un numero notevole di manoscritti. Non è improponibile ipotizzare, come ho già avuto modo di scrivere, che Pompeo Leoni potesse aver selezionato e accorpato anche disegni destinati all’arte degli intagli, pensando di radunarli in un codice, disegni oggi perduti, ma noti nel capoluogo lombardo, data la sintonia a mio avviso esistente tra la produzione glittica milanese e le idee vinciane. Le creature mostruose che costituiscono il tema dominante dei vasi in pietra dura milanesi, in modo particolare di quelli ad opera dai Saracchi – cognati di Annibale Fontana,  da 1575 ca. marito di Ippolita, figlia di Giovanni Ambrogio Saracchi -, dalle forme bizzarre nate per associazione di elementi estrapolati dal mondo naturale, sembrano realizzati quasi seguendo alla lettera le indicazioni fornite da Leonardo nel Libro di pittura per «far parere naturale un animale finto». Dialogando sulla forma da conferire al «serpente» egli consiglia di usare «per la testa» quella di un «mastino o bracco», per gli occhi quelli di «gatta, e per le orecchie d’istrice, e per lo naso di veltro, e ciglia di lione, e tempie di gallo vecchio, e ‘l collo di testudine d’acqua». Un metodo visualizzato dai disegni radunabili intorno al foglio di W, n. 12370r, con un dragone alato dal lungo collo serpentinato, artigli e coda leonini, antenato di quelli in pietra dura e forse ispiratore del drago metallico, datato 1582, eseguito da Annibale Fontana (già Londra, Sotheby’s)41.

Giusto nelle mani di Pompeo Leoni arriverà il grande mappamondo in cristallo di rocca composto da «diversi pezzi […] ligato in oro», di un braccio (ca. 59 cm) di diametro, sulla cui superficie era «sculpito sive ameniato la Spagna», realizzato da Michele Scala (1538-1598), membro di una dinastia di intagliatori attiva a Milano, impegnata per una clientela altolocata42. Il 15 giugno 1581 era stato proposto per 1200 scudi al duca Guglielmo di Baviera, «di novo», da Prospero Visconti (1543-1592), discendente diretto di Gaspare Visconti, in contatto con Lomazzo e con i Mazenta, nonché protettore dell’eversiva brigata della Val di Blenio e colto mediatore tra le botteghe suntuarie del capoluogo lombardo e la corte di Monaco, facendo sapere che Michele Scala avrebbe potuto eventualmente approntare anche un esemplare con la raffigurazione del «paese di Baviera». Il «mapamondo di Spagna di crestallo in diversi pezzi tondo ligato in oro» non dovette però trovare smercio, rimanendo nelle mani di Michele. Nell’agosto 1589 verrà affidato con altri oggetti a Pompeo Leoni, perché venisse portato in terra iberica e venduto a «sua Regia Maestà o vero ad altri che lo vorano comprare», per non meno di mille scudi. Nessun sembra tuttavia essersi fatto avanti. Nell’ aprile 1600, morto Michele, gli eredi sollecitarono, infatti, Pompeo Leoni circa la restituzione del mappamondo, ma invano. Il globo figurerà nel testamento dell’8 ottobre 1608 di Pompeo, con l’indicazione che venisse portata nella chiesa madrilena di Nostra Signora de Atocha, luogo dove venne effettivamente collocato, scomparendo in seguito43.

Mi pare importante soffermarsi sulla non irrilevante dimensione dell’opera di Michele Scala, ben diversa da quella del globo (circa 1600), di cm. 5.4 di diametro, ricavato da un blocco di quarzo (Parigi, Galleria Kugel) (Fig. 7), con incise le costellazioni, che si è collegato alla produzione di Ottavio Miseroni (circa 1564/’69- 1624), nipote di Gerolamo (circa 1521/1526- 1600), l’intagliatore che sarebbe stato allievo con il fratello Gaspare (1518/’19-1573) di Jacopo da Trezzo e di un certo «Benedetto Poligino», quest’ultimo ricordato da Paolo Morigia come «il primo che in Milano lavorasse vasi di cristallo»44.

La mole del globo eseguito da Michele era raggiunta grazie all’unione di più pezzi di cristallo, lavorati separatamente e poi connessi tramite preziose legature, sulla base di modalità tipicamente milanesi, come informa nell’Istoria delle pietre (circa 1597) il monaco Agostino del Riccio (1551-1598), testimone oculare dell’attività dei Caroni e Gaffuri, chiamati dal capoluogo lombardo a Firenze tra il 1572 e il 1575 da Francesco I de Medici con stipendi favolosi per introdurre la lavorazione delle pietre dure45.

Una prassi lavorativa a mio avviso non di recente invenzione, ma da riportare alla fine del XV secolo46. Così mi pare evidenzi il «vaso di grande e bella forma», formato da quarantanove pezzi di cristallo imbrigliati in una montatura d’argento smaltato, mostrato dal famoso orafo Cristoforo Foppa, detto il Caradosso (1452 circa-1526/27) allo scultore Gian Cristoforo Romano (circa1460-1512)  – che nella Danae rappresentata il 31 gennaio 1496 interpretava Acrisio – che ne parla in una lettera del 4 luglio 1505 ad Isabella d’Este, affezionata cliente del Caradosso per legature di gioielli, non venendo però acquistato da Isabella perché ritenuto «troppo grande» per poterlo esporre nel suo studio47. Lo stesso Gian Cristoforo forse praticò l’arte degli intagli, come sembrerebbe indicare Marcantonio Michiel quando dice di avere visto a Venezia nel 1512, in casa di Francesco Zio, una «tazza de cristallo de 5 pezzi legati a uno cun regule d’argento dorato, tutta intagliata cun istorie del Testamento vechio», «de man de Cristophoro Romano»48. Quanto a Caradosso, in contatto con Lenardo e al quale si deve una delle medaglie di fondazione per la posa della prima pietra della basilica di san Pietro a Roma (1506), elogiata da Giorgio Vasari nelle Vite, con al recto il busto di Bramante e al verso la personificazione dell’Architettura,  non sono fino ad ora emerse altre notizie che lo connettano a opere in pietre dure (Fig. 8). Data la sua nota capacità nello smaltare, potrebbe però essersi limitato all’esecuzione delle montature, completando il lavoro di un intagliatore49.

In quegli anni doveva essere già attivo «Benedetto Romano che lavora cristalli» (presumibilmente Benedetto Tomei «dictus Romano»), avendo nel 1549 «pasato li 60 anni». Il 14 novembre del 1538 Bernardino Moresini e il socio Francesco della Scala (con tutta probabilità il padre di Michele) lo avevano interpellato per «farre praticha de cristalli», contattandolo con «altri» non dichiarati maestri anche per un consulto circa alcuni blocchi di materiale acquistati in Svizzera. E se ci sono buone probabilità che questo intagliatore sia il «Benedetto Poligino» menzionato da Paolo Morigia, rimane solo un’ipotesi da verificare attraverso l’auspicabile reperimento di documenti quella che avevo proposto in altra sede, che cioè «Benedetto Romano» possa essere il «maestro Benedetto scultore» citato in un appunto di Leonardo del 5 gennaio 1511 (G, f.1v), dagli studiosi generalmente ritenuto essere lo scultore Benedetto Briosco. Da lui il Vinci aspettava di ricevere una «tavoletta per li colori» della «pietra faldata […] bianca come il marmo di Carrara, sanza macule, che è della durezza del porfido o più», reperibibile a Mombracco «sopra Saluzzo sopra la Certosa», a «un miglio» ai piedi del Monviso; Leonardo precisava anche che «Perrotino da Turino n’ha alcune d’esse berettine, forte dure», cioè  -come indicava Carlo Pedretti – durissime50.

In attesa di identificare il misterioso Benedetto ricordato da Leonardo e di scoprire di che tipo fossero e a cosa servissero le pietre citate dal maestro, può forse essere utile ricordare qui la «pietra stravagante» usata dal duca Vincenzo I Gonzaga per far realizzare alcuni vasi della sua collezione, di cui si parla in una missiva del 17 febbraio 1603, «ritrovata in una montagna del Monferrato», un’ area appartenente ai domini Gonzaga, dove si reperiva anche la rara corniola bianca, con cui lo stesso Vincenzo I faceva eseguire costoso vasellame. Nelle miniere di Ponzone, nell’alto Monferrato, Gabriele Bertazzolo (1570-1626), architetto e ingegnere attivo per i Gonzaga, alla ricerca di pietre dure per il duca, si recò alla fine del 1610 per vedere quelle «stravaganze […] da intendenti giudicate bellissime et le mostre delli colori per dipingere», con rinvio in quest’ultimo caso forse a supporti lapidei usati non come tavolozze (l’ipotesi espressa dagli studiosi in relazione all’appunto vinciano), ma per dipingervi raffigurazioni51, secondo una tecnica già sperimentata in antico, riproposta su ampia scala durante il XVI secolo52.

Legenda:

Ar= London, British Library, Codice Arundel 263

CA =Codice Atlantico, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Codice Atlantico

Ha =Seattle, Collezione Bill Gates (già Los Angeles, The Hammer Museum of Art, ex Leicester 699)

G= Paris, Institut de France, Codice H (2178)

H= Paris, Institut de France, Codice H (2179

I= Paris, Institut de France, Codice I (2180),

Ma I = Madrid, Biblioteca Nacional 8937

Ma II= Madrid, Biblioteca Nacional 8936

Tr=  Milano, Biblioteca Trivulziana, N 2162

W= Windsor, Royal Library

  1. Per l’evoluzione semantica del vocabolo mappamondo, cfr. M. Kupfer, The Lost Wheel Map of Ambrogio Lorenzetti, in “Art Bulletin”, 78, 1996, pp. 286-310 (a pp. 291-300). Sui codici di Leonardo, cfr. C. Vecce, “Scritti” di Leonardo da Vinci, in Letteratura Italiana Einaudi. Le Opere, vol. I, a cura di A. Asor Rosa, Torino 1992, pp. 4-35. []
  2. Cfr. E. Villata, Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, Milano 1999, n. 214, p. 181; n. 215, p. 183 (con bibliografia precedente); C. Vecce, La biblioteca perduta. I libri di Leonardo, Roma 2017, pp. 49, 72-73. Giovanni Benci (fratello di Ginevra, ritratta da Leonardo) gli tiene in custodia anche il dipinto incompiuto con l’Adorazione de Magi (Firenze, Galleria degli Uffizi), commissionatagli dai monaci di San Donato a Scopeto (C. Vecce, Leonardo, Roma 1998, pp. 51, 216-217, 221-222); vedi anche Y. Rebouard- E. Ragni, Benci, Amerigo, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 8, Roma 1966, consultato on line. []
  3. S. Misinne, The da Vinci Globe, Cambridge Scholars Publishing 2018 (con bibliografia). Cfr. almeno: M. Fiorini, Il mappamondo di Leonardo da Vinci ed altre consimili mappe, Roma 1894; M. Baratta, Leonardo da Vinci e la cartografia, Voghera 1912; Leonardo artista delle macchine e cartografo, a cura di R. Campioni, presentazione di C. Pedretti, Firenze 1994; C. Pedretti, Leonardo & io, Milano 2008, pp. 278-279, 516-517, 586-587. []
  4. Leonardo da Vinci. Scritti letterari, a cura di A. Marinoni, Milano 1991, p. 248; D. Kiang, The «Mappamondo» in Bramante’s Heraclitus and Democritus, in “Achademia Leonardi Vinci”, V, 1992, pp. 128-135 (a pp. 133-134); Leonardo da Vinci, Scritti, a cura di C. Vecce, Milano 1992, n. 88, p. 260; C. Pyle, Philosophy and Culture: The two philosophers and related Themes in Milano and Europe around 1500, in Eadem, Milan and Lombardy in the Renaissance: Essays in cultural History, Roma 1997, pp. 203-222; F. Frosini, in La mente di Leonardo. Nel laboratorio del genio universale, a cura di P. Galluzzi, catalogo della mostra (Firenze 2006-2007), Firenze 2006, scheda n. III.1C.b, p. 141; F. Barbieri, in “La Bibliofilia”, vol. 81, n. 3, 1979, pp. 293-295 (a pp. 294-295). []
  5. Leonardo è coetaneo di Amerigo Vespucci, le cui relazioni dei viaggi (inviate al gonfaloniere Pier Soderini dal 1500 al 1504) sono subito pubblicate a Firenze a altrove; nel codice Ar, f. 132v (1504-1505 circa) il Vinci rinvia a Giorgio Antonio Vespucci, zio di Amerigo, cfr. C. Pedretti, Leonardo…, 2008, pp. 588-589; C. Vecce, “Pianta d’Ellefante d’India”: L’“Angelo incarnato” come Shiva- Dioniso, in Leonardo da Vinci. L’angelo incarnato” & Salai. The «angel in flesh» and Salai, a cura di C. Pedretti, Poggio a Caiano 2009, pp. 355-368; T. Lester, La mappa perduta. Storia della carta che cambiò i confini del mondo, Milano 2010 (la mappa di Waldseemüller, stampata nel 1507, è la prima testimonianza a noi nota della parola «America»); C. Vecce, In margine alla prima lettera di Andrea Corsali (Leonardo in India), in Ai confini della letteratura. Atti della giornata in onore di Mario Pozzi (Morgex, 4 maggio 2012), a cura di J.L. Fournel, R. Gorris Camos, E. Mattioda, Torino 2015, pp. 69-83. []
  6. Questo tema ha però attratto poco gli studiosi che hanno preferito concentrarsi su altri aspetti dell’opera vinciana, cfr. H. Ost, Leonardo Studien, Berlin – New York 1975 (il Leonardo «mediolanensis», incisore di pietre dure citato dal pesarese Camillo Lunardi nello Speculum Lapidum, edito a Venezia nel 1502 non è però Leonardo da Vinci; come ho avuto modo di rilevare, si tratta invece con tutta probabilità del milanese Leonardo Rho, «fabrum» e intagliatore di pietre dure, attestato tra 1494 e 1513, cfr. P. Venturelli, Leonardo da Vinci e le arti preziose. Milano tra XV e XVI secolo, con Presentazione di C. Pedretti, Venezia 2002, pp. 15, 63-69 e note 15-17; Eadem, Splendidissime Gioie. Cammei e cristalli milanesi per le corti d’Europa XV- XVII secc., Firenze 2013, sub indice; Eadem, Camillo Leonardi, Speculum Lapidum Clarissimi artium et medicinae doctoris Camilli Leonardi Pisaurensis, in La biblioteca di Leonardo, a cura di C. Vecce, in corso di pubblicazione; Eadem,  Arte orafa milanese. Maestri, botteghe, tecniche e prodotti tra XIV e XVI secolo, in corso di pubblicazione). Per Leonardo da Vinci e le pietre dure non posso che rimandare a: P. Venturelli, Percorso iconologico nell’oreficeria vinciana, in “Achademia Leonardi Vinci”, VII, 1994, pp. 113-123; Eadem, «Diaspise, christallo et amitista». Pietre dure e vetri di Leonardo, in «Tutte le opere non son per istancarmi». Raccolta di scritti per i settant’anni di Carlo Pedretti, a cura di F. Frosini, Roma 1998, pp. 449-469; Eadem, «E per tal variar natura è bella». Arti decorative a Milano tra Leonardo e Lomazzo, in Rabisch. Il grottesco nell’arte del Cinquecento. L’Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese, a cura di M. Khan- Rossi, F. Porzio, catalogo della mostra (Lugano 1998), Milano 1998, pp. 77-88; Eadem, Il “Piatto dei Dodici Cesari”. I Saracchi e Annibale Fontana, in “Artes”, 6, 1998, pp. 59-69; Eadem, Splendidissime…, 2013, sub indice. []
  7. G. Calvi- A Marinoni, I manoscritti di Leonardo da Vinci da un punto di visita cronologico storico e biografico, Busto Arsizio 1982, pp. 171, 173; E. Villata, Leonardo da Vinci…, 1999, n. 253, p. 220 (con precedente bibliografia). []
  8. C.M. Brown, Little Known and Unpublished Documents concerning Andrea Mantegna, Bernardino Parentino, Pietro Lombardo, Leonardo da Vinci and Filippo Benintendi, in “L’Arte”, VII-VIII, 1969, p. 199, doc. 4; P. Venturelli, Diaspise…, in «Tutte le opere…, 1998. []
  9. Cfr. L. Syson, in Leonardo da Vinci. Painter at the Court of Milan, ed. by L. Syson with L. Keith et all., catalogo della mostra (London 2011-2012), London 2011, n. 91, pp. 300-303; Leonardo: Due Salvator Mundi per Napoli, a cura di N. Barbatelli, M. Melani, catalogo della mostra (Napoli 2015), Poggio a Caiano 2015; cfr. P. Panza, L’ultimo Leonardo, Torino 2018. La presenza di un globo in questo materiale, credo possa essere motivata dal fatto che le gocce di cristallo erano ritenute simbolo trinitario, poiché quando una parte era in luce le altre risultavano in ombra, come ricorda Gregorio di Tours nel De gloria beatorum martyrum (cfr. P. Castelli, La mantica e i cristalli, in Cristalli e gemme. Realtà fisica e Immaginario Simbologia Tecniche e Arte, a cura di B. Zanettin, Venezia 2003, pp. 547-598, a pp. 552-553). []
  10. Per il «lapidario» nella biblioteca di Leonardo, cfr. P. Venturelli, Schede per lapidari, in La biblioteca di Leonardo, in corso di pubblicazione. []
  11. Sul codice Trivulziano, acquistato da Pompo Leoni dalla famiglia Melzi, cfr. C. Vecce, Leonardo filologo? In margine al Codice Trivulziano, in La filologia in Italia nel Rinascimento, a cura di C. Caruso, E. Russo, Roma 2018, pp. 1-17. []
  12. Come ipotizzo in P. Venturelli, Marbodo di Rennes, De Lapidibus (manoscritto e volgarizzamenti), in La biblioteca di Leonardo in corso di pubblicazione; per il rebus in questione: E. Solmi, La politica di Lodovico il Moro nei simboli di Leonardo da Vinci (1489-1499), in Scritti vari di erudizione e di critica in onore di Rodolfo Renier, Torino 1912, pp. 491-509 (a p. 500, nota 1; vedi anche C. Vecce  Leonardo da Vinci. Scritti, 1992, p. 95). []
  13. P. Venturelli, Lavorazione di pietre dure e Cristalli, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, III vol. L’Italia e l’economia europea. 1. Produzioni e tecniche, a cura di P. Braunstein, L. Molà, Treviso 2007, pp. 261-282; Eadem, Splendidissime…, 2013. []
  14. Rimando a P. Venturelli, Percorso iconologico…, 1994; Eadem, «Diaspise, christallo 1998; Eadem, Leonardo da Vinci e le arti preziose…, 2002. []
  15. Cfr. E. Villata, Leonardo da Vinci…, 1999, n. 133, p. 121 (con bibliografia precedente). []
  16. Come suggerito da Andrea Canova a Giovanni Agosti, cfr. G. Agosti, Scrittori che parlano di artisti, tra Quattro e Cinquecento in Lombardia, in B. Agosti, G. Agosti, C. B. Strehlke, M. Tanzi, Quattro pezzi lombardi (per Maria Teresa Binaghi), Brescia 1998, pp. 39-93 (a p. 67 e nota 82); cfr. A Canova, Paolo Taegio da poeta a “dottor di leggi” e altri personaggi bandelliniani, in “Italia Medievale e Umanistica”, XXVII, 1994, pp. 93-135. []
  17. Donato Bramante. Sonetti e altri scritti, a cura di C. Vecce, Roma 1995 (sonetto XXIII, pp. 55, 95-97); D. Isella, I sonetti delle calze di Donato Bramante, in Idem, Lombardia stravagante. Testi e studi dal Quattrocento al Seicento tra lettere e arti, Torino 2005, pp. 29-37. []
  18. Cfr. R.V. Schofield, Gasparo Visconti mecenate di Bramante, in Arte, committenza ed economia a Roma e nelle corti del Rinascimento (1420-1530), Atti del convegno (Roma 1990), a cura di A. Esch, C. L. Frommel, Torino 1995, pp. 297-330; su Bramante e Gasparo Visconti, cfr. anche E. Rossetti, Sotto il segno della vipera, Milano 2013, pp. 39-49. []
  19. L. Reti, The Library of Leonardo da Vinci, Los Angeles 1972, nn. 73 (“sonetti di meser Guasparri Visconti”), 83 (“2 regole di Domenico Machaneo”), pp. 21-22. Per i Rithmi, cfr. P. Bongrani- L. Giachino, Gasparo Visconti. Rithmi, in Atlante dei canzonieri in volgare nel Quattrocento, Firenze 2017, pp. 600-606; per la Danae, cfr. C. Vecce, Leonardo…, 1998, pp. 159-161. []
  20. Cfr. Chorographia Verbani laci, Milano, Ulrico Scinzenzeler 1490 (P. Frigerio- S. Mazza- P. Pisoni, Verbani lacus/ Il lago Verbano, Verbania- Intra 1975, p. 72); cfr. R. Schofield, Gasparo Visconti…, 1995, p. 307; P. Venturelli , Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte, moda (1450-1630), Cinisello Balsamo 1996, pp. 52, 64-65 (note 51-52); G. Agosti, Scrittori…, in B. Agosti, G. Agosti, C. B. Strehlke, M. Tanzi, Quattro pezzi…, 1998, p. 75. []
  21. Cfr. C. Vecce, Leonardo e le sue montagne, in Les montagnes de l’esprit: imaginaire et histoire de la montagne à la Renaissance, Atti de convegno (Saint- Vincent 2002), a cura di R. Gorris Camos, Aosta 2005, pp. 89-105. []
  22. J. P. Richter, The literary Works of Leonardo da Vinci Compiled and edited from the original Manuscripts, London 1970 (I° ed. London 1883), I vol., n. 622; C. Pedretti, J. P. Richter, The literary Works of Leonardo da Vinci. Commentary, Oxford 1977, p. 365: rimando ad altra sede la discussione di questa ricetta. Per Leonardo e Bramante, cfr. C. Pedretti, New Discovered Evidence of Leonardo’s Associations with Bramante, in “Journal of the Society of Architectural Historians”, III, 1976, pp. 223-227. []
  23. Cfr. Sabba da Castiglione, Ricordi ovvero ammaestramenti, a cura di S. Cortesi, Faenza 1999, p. 191; C. Pedretti, Leonardo…, 2008, p. 276. []
  24. Per questo poema, dedicato a Ludovico il Moro, cfr. B. Maltempi, Il De Paulo e Daria amanti di Gasparo Visconti: introduzione, edizione e commento, Tesi di dottorato in Italianistica, Tutor G. Arbizzoni, Università degli Studi di Urbino, Facoltà di Lettere e Filosofia, 14. Ciclo, a.a. 2000-2001. []
  25. D. Kiang, The «Mappamondo»…, in “Achademia…”, V, 1992; F. Paliaga, Riflessioni a margine su Eraclito e Democrito di Bramante e l’influenza di Leonardo, in “Tutte le opere non son per stancarmi”. Raccolta di scritti per i settant’anni di Carlo Pedretti, a cura F. Frosini, Roma 1998, pp. 323-336. Rimane ancora importate: G. Ferri Piccaluga, Gli affreschi di casa Panigarola e la cultura milanese tra Quattro e Cinquecento, in “Arte Lombarda”, LXXXVI- LXXXVII, 1988, pp. 14-25; per l’affresco, cfr. da ultimo la scheda di M. Ceriana- E. Rossetti, in Bramante a Milano. Le arti in Lombardia 1477-1499, a cura di M. Ceriana et all., catalogo della mostra (Milano 2014-2015), Milano 2014, n. III.9, p. 195 (con bibliografia precedente). []
  26. Come risulta dall’inventario dell’ abitazione dello stesso Visconti, cfr. G. Sironi, Gli affreschi di Donato Bramante alla Pinacoteca di Brera di Milano: chi ne fu il committente?, in “Archivio Storico Lombardo”, CIV, 1978, pp. 199-207 (p. 205, doc. 5); B. Martinelli, La biblioteca (e i beni) di un petrarchista: Gasparo Visconti, in Veronica Gambara e la poesia del suo tempo nell’Italia settentrionale, Atti del convegno (Brescia- Correggio 1985), Firenze 1989, pp. 213-61. []
  27. Il Codice Arundel 263 della British Library, a cura di C. Pedretti, trascrizione e note critiche di C. Vecce, Firenze 1998, I vol., p. 134. J. Pederson, Henrico Boscano’s  Isola Beata: New Evidence for the Achademia Leonardi Vinci, in “Renaissance Studies”, XXII, 2008, pp. 450-475. []
  28. G. P. Lomazzo, Trattato dell’arte e della pittura, scultura et architettura (Milano 1584), in G.P. Lomazzo, Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, II vol., Firenze 1973-1974, p. 335; vedi R. Ciardi, Lomazzo, Giovanni Paolo, in Dizionario Biografico…, vol. 65, 2005, consultato online. []
  29. Cfr. almeno, E. Solmi, Ricordi della vita e delle opere di Leonardo da Vinci raccolti dagli scritti di Gio Paolo Lomazzo, in “Archivio Storico Lombardo”, XXXIV, 1907, pp. 290- 331; C. Pedretti, Ricordi di Gio Paolo Lomazzo, in Idem, Studi vinciani, Genève 1957, pp. 54-76; Idem, A Sonnet by Giovan Paolo Lomazzo on the ‘Leda’ of Leonardo, in “Raccolta Vinciana”, XX, 1964, pp. 374-378; Idem, Introduzione, in Libro di pittura. Codice Urbinate Lat. 1270 nella Biblioteca Apostolica Vaticana, a cura di C. Pedretti, trascrizione critica di C. Vecce, Firenze 1995, pp. 49-55; Rabisch. Il grottesco nell’arte del Cinquecento. L’Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese, catalogo della mostra (Lugano 1998), a cura di M. Khan Rossi- F. Porzio, Milano 1998; da ultimo: C. Vecce, La vita di Leonardo da Vasari a Lomazzo, in La rèception des Vite de Giorgio vasari dans l’Europe des XVIe- XVIIIe siècle, a cura di C. Lucas- Fiorato, P. Dubus, Genève 2017, pp.113-128. []
  30. G. P. Lomazzo, Rabisch, a cura di D. Isella, Torino 1993 (per Luini, cfr. nota 8, pp. XIII-XIV). []
  31. Per Annibale Fontana e il nodo Fontana / Leonardo / intagli e arti decorative milanesi, vedi: P. Venturelli, Leonardo da Vinci e la circolazione di iconografie leonardesche, in Eadem, Gioielli e gioiellieri milanesi…, 1996, pp. 104-125 (cfr. anche pp. 54-56); Venturelli, E per tal variar 1998, pp. 77-88, pp. 339-340 (e schede nn. 64-65, pp. 269-270); Eadem, A proposito di un recente articolo sugli ‘Scala e altri cristallai milanesi’. Con notizie circa un’opera di Annibale Fontana, in “Nuova Rivista Storica”, LXXXV, fasc. I, 2001, pp. 135-144; Eadem, “Havendo hanimo a tutti li christalli, e altri vasi, cameo grande et altri camei”. Oggetti preziosi della collezione Gonzaga (dal duca Guglielmo al 1631), in Gonzaga. La Celeste Galeria. Le raccolte, catalogo della mostra (Mantova 2002), a cura di R. Morselli, Milano 2002, pp. 233-252, e schede nn. 81-82, pp. 290-291; Eadem, Leonardo da Vinci…, 2002, pp. 14-15; Eadem, “Raro e Divino”. Annibale Fontana (1540-1587), intagliatore e scultore milanese. Fonti e documenti (con l’inventario del suoi beni), in “Nuova Rivista Storica”, 89, 2005, I fasc., pp. 205-225; Eadem, Annibale Fontana e la Madonna dei miracoli di san Celso. Tra Carlo e Federico Borromeo, in Carlo e Federico. La luce dei Borromeo nella Milano spagnola, a cura di P. Biscottini, catalogo della mostra (Milano 2005-2006), Milano 2005, pp. 151-157; Eadem, Splendidissime…, 2013, pp. 39-49, 188-198; Eadem, Un cammeo di Annibale Fontana e un altro con Ludovico il Moro, in “OADI. Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia”, 2013, consultabile online www.unipa.it/oadi/rivista; cfr. anche B. Agosti, Draghi nella Milano di san Carlo, in “Prospettiva”, 113-114, 2004, pp. 162-166. []
  32. Citazione da G.A. Mazenta, Alcune memorie dei fatti di Leonardo da Vinci a Milano e dei suoi libri. Ripubblicate e illustrate da D. Luigi Gramatica […], Milano 1991, pp. 30-31, 40 e nota 9 a p. 48 (in questa edizione il termine «avori» sostituisce «marmi»; invece appare in Le memorie di Leonardo da Vinci di don Ambrogio Mazenta, Milano 1919, senza num. pp.); per questo brano, Leonardo da Vinci, Annibale Fontana e i Mazenta (Giovanni Ambrogio, Guido, Alessandro), riamando a P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri…, 1996, pp. 52-54, pp. 104-125; Eadem, Oggetti preziosi a Milano e in Lombardia tra Seicento e Settecento, in Lombardia barocca e tardo barocca. Arte e architettura, a cura di V. Terraroli, Milano 2004, pp. 205-229 (a pp. 213-214); Eadem, Aggiunte e puntualizzazioni per Giovanni Battista Crespi detto il Cerano a Milano: disegno e arti della modellazione. Tra il Duomo, Santa Maria presso san Celso e Annibale Fontana, in “Arte Cristiana”, 826, 2005, pp. 57-67. Per Ambrogio Mazenta, cfr. V. Milano, Mazenta, Giovanni Ambrogio, in Dizionario Biografico…, vol. 72, 2008, consultato online; Giovanni Ambrogio ebbe un ruolo importante nella conservazione dei manoscritti di Leonardo, cfr. C. Pedretti, Leonardo da Vinci on Painting. A Lost Book (Libro A), Reassembled from the Codex Vaticanus 1270 and from the Codex Leicester, Berkley- Los Angeles 1964. Per Leonardo da Vinci, i suoi allievi milanesi e le arti preziose, cfr. Venturelli, Leonardo da Vinci…, 2002, pp. 13- 62; Eadem, Arte orafa milanese, in corso di pubblicazione; in generale sull’Accademia vinciana, cfr. C. Pedretti, in Leonardo da Vinci. Libro di pittura…,1995, pp. 31-32; Idem, Leonardo e la sua “Achademia”, in L’Angelo/ San Giovanni di Leonardo da Vinci. Un dipinto senza committente. Le trasformazioni del patrono di Firenze fra Roma, Milano e Amboise, Poggio a Caiano 2016, pp. 6-9. []
  33. G. P. Lomazzo, Idea del tempio della pittura (in G. P. Lomazzo, Scritti…, 1973-1973, I, p. 259); cfr. L. Beltrami, Documenti e memorie riguardanti la vita e le opere di Leonardo da Vinci in ordine cronologico, Milano 1919, p. 206; per Giovanni Ambrogio Maggiore, cfr. C. Pedretti, A sonnet by Giovan Paolo Lomazzo on the “Leda”of Leonardo, in “Raccolta vinciana”, vol. XX,  1964, p. 375 nota 4; D. Diemer, Giovanni Ambrogio Maggiore und die Anfänge der Kunstdrechselei um 1570, in “Jaharbuch der Zentralinstituts für Kunstgeschichte”, 1, 1985, p. 295-342; P. Venturelli, Splendidissime…, 2013, pp. 118-119, e nota 19 a p. 125. []
  34. P. Morigia, Historia dell’antichità di Milano, divisa in quattro libri […], Venezia, Appresso i Guerra, 1592, p. 291; P. Morigia- G. Borsieri, La nobiltà di Milano […], Milano, Gio Battista Bidelli 1619, pp. 481-482. Ipotizzo questa congiuntura in P. Venturelli, «E per tal variar…, 1998, p. 80; Eadem, Lavorazione di pietre dure e Cristalli, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, III vol. L’Italia e l’economia europea. 1. Produzioni e tecniche, a cura di P. Braunstein. L. Molà, Treviso 2007, pp. 261-282; per Jacopo da Trezzo, cfr. P. Venturelli, Splendidissime…, 2013, sub indice. Per le macchine di Leonardo da Vinci, cfr. Leonardo da Vinci. La collezione di modelli del Museo, a cura di C. Giorgione, Milano 2009, pp. 178 e sgg. []
  35. Per Francesco Tortorino, cfr. P. Venturelli, in Rabisch…, 1998, p. 341; Eadem, Splendidissime…, 2013, pp. 33-38; 183-187; Eadem, Tortorino, Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, in corso di pubblicazione. []
  36. G. P. Lomazzo, Trattato dell’arte e della pittura, scultura et architettura (in G. P. Lomazzo, Scritti…, 1973-1974, I, p. 300). []
  37. P. Venturelli, Uno «specchio in cristallo di rocca intagliato da messer Francesco Tortorino» (1554-1565), in “Artes”, 5, 1997, pp. 138-150 (citazioni a p. 150); Eadem, Il Tesoro dei Medici al Museo degli Argenti. Oggetti preziosi in cristallo e pietre dure nelle collezioni di Palazzo Pitti, Firenze 2009, n. 142, pp. 258-259. Il globo di cristallo allude anche a Carlo V (appassionato collezionista di globi, vivamente interessato ai soggetti geografici) legandosi al mito di Ercole, quindi rimandando all’impresa del sovrano spagnolo caratterizzata dalle colonne d’Ercole e il motto PLUS ULTRA; ma rinvia anche al figlio di Carlo V, Filippo II: nella medaglia a lui dedicata, realizzata per celebrare l’abdicazione paterna nel 1556 a suo favore, al tergo figura Atlante che regge il mondo. []
  38. Nel suo testamento del 6 dicembre 1559, Isabella di Capua lascia la sua collezione di cristallo ai figli: a Cesare un «vaso […] per tenere acqua», a Francesco un «bicchiere […] guarnito d’oro» e una «croce», alla «dilettissima» Ippolita «tutti i cristalli» (C. de Gioia Gadaleta, Isabella de Capua. Principessa di Moletta consorte di Ferrante Gonzaga, Molfetta 2005, doc 33, pp. 223, 225), cfr. P. Venturelli, L’immagine di Ippolita Gonzaga (1535-1564). Tra ritratti, medaglie e parole, in Donne Gonzaga a Corte. Reti istituzionali, pratiche culturali e affari di governo, a cura di C. Continisio, R. Tamalio, atti del Convegno (Mantova 2016), Roma 2018, pp. 485- 502. Vedi anche P. Venturelli, Il Libro del Sarto y la Milán espaňola, in El ‘Libro del Sarto’, a cura di R. Tébar Pérez, Valencia 2003, pp. 57-67; Eadem, Gioielli e abiti di Isabella di Capua, Principessa di Molfetta, moglie di Ferrante Gonzaga. Milano 1548, in “Nuova Rivista Storica”, XCII, 2008, p. 795-812; Eadem, La credenza di Ferrante. Tra Isabella di Capua, Giulio Romano e Cesare Gonzaga, in Ferrante Gonzaga, il Mediterraneo e l’Impero (1507-1577), a cura di G. Signorotto, Atti del Convegno  (Guastalla 2007), Roma 2009, pp. 405-428. []
  39. Per Ferrante e Paolo Giovio, cfr. N. Soldini, Nec Spe Nec Metu. La Gonzaga: architettura e corte nella Milano di Carlo V, Firenze 2007, pp. 179-200; per Leonardo e Giovio, cfr. C. Vecce, Leonardo…, 1998, pp. 296-298; C. Pedretti, Leonardo…, 2008, pp. 474-475; T.C. Price Zimmermannn, Paolo Giovio. Uno storico e la crisi italiana del XVI secolo (Princeton 1995), trad. it Cologno Monzese-Lecco 2012, p. 32; cfr. anche: Leonardo e l’incisione. Stampe derivate da Leonardo e Bramante dal XV al XIX secolo, a cura di C. Alberici, catalogo della mostra (Milano 1984), Milano 1984. []
  40. Per i due Leoni, in generale, cfr. almeno, Los Leoni (1509-1608). Escultores del Rinascimiento italiano al servicio de la corte de Espaňa, catalogo della mostra (Madrid 1994), a cura di J. Urrea, Madrid 1994; K. Helmstutler Di Dio, The chief and perhaps only antiquarian in Spain: Pompeo Leoni and his collection in Madrid, in “Journal of the History of Collection”, 18, 2006, pp. 137-156; Leone & Pompeo Leoni, Actas del congreso internacional (Madrid 2011), Madrid 2012. Per Pompeo Leoni orafo, rimando a P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri…, 1996, sub indice; vedi anche Eadem, Due pendenti in oro e pietre dure con Carlo V attribuiti allo scultore Leone Leoni, in Gioielli in Italia. Tradizione e novità del gioiello italiano dal XVI al XX secolo, a cura di L. Lenti- D. Liscia Bemporad, Atti del Convegno (Valenza 1998), Venezia 1999, pp. 61-72; i fratelli Giovanni Andrea e Giovanni Battista Rimoldi nel 1582 vengono mandati ad istruirsi presso Gerolamo Suardi (figlio di Domenico), attivo nella bottega / casa milanese di Pompeo Leoni, per «imparar lavorar christalo ciove di pietre di molo d’ogni sorte» (P. Venturelli, A proposito di un recente articolo…, 2001); non sappiamo se Gerolamo Suardi sia imparentato con Giovanni Battista Suardi, scultore e medaglista, intagliatore di coni presso la zecca di Milano, genero di Leone Leoni per averne sposato la figlia Cinzia, citato da Giovan Paolo Lomazzo (Le memorie di Leonardo da Vinci…, 1919, nota al doc. 2, senza indicaz. p.; B. Agosti – G. Agosti, Le tavole del Lomazzo (per i 70 anni di Paola Barocchi), Brescia 1997, pp. 57, 70, e nota 341 n. 341). []
  41. Come ipotizzo in P. Venturelli, Diaspise…, 1998; Eadem, «E per tal variar…, 1998; p. 110-111; per la citazione, cfr. Libro di pittura. Codice Urbinate Lat. 1270 1995, II, p. 306 Per il drago di Annibale Fontana B. Agosti, Draghi nella Milano di san Carlo, in “Prospettiva”, 113/114, 2004. []
  42. Per gli Scala, rimando a P. Venturelli, Una preziosa cassetta in ebano, avorio e gioie. Milano 1584, in Contributi per la storia della gioielleria, oreficeria, argenteria, a cura di P. Pazzi, Venezia 1997, pp. 272-275; P. Venturelli, A proposito…, 2001; Eadem, Havendo hanimo, 2002; Eadem, Le collezioni Gonzaga. Cammei, cristalli, pietre dure, oreficerie […].Intorno all’elenco dei beni del 1626-1627 (da Guglielmo a Vincenzo Gonzaga), Mantova-Cinisello Balsamo 2005, pp. 161-163; Eadem, Splendidissime…, 2013, pp. 28-32, 178-182. []
  43. Per le vicende del globo, cfr. P. Venturelli, Un documento inedito per un’opera in cristallo: Pompeo Leoni e Michele Scala, in “Arte Lombarda”, 124, 1998, pp. 65-67; vedi anche Eadem, A proposito…, 2001. Per Prospero Visconti, cfr. M. Pavesi, Un gentiluomo fra le carte dell’Ambrosiana: Prospero Visconti, in Tra i fondi dell’Ambrosiana. Manoscritti italiani antichi e moderni, a cura di M. Ballarini, et all., II vol., Milano 2010, pp. 797-820. []
  44. A. Klugel, Spheres. The art of the Celestial Mechanic, Paris 2002, scheda C5, pp. 36-39. Per i Miseroni, cfr. P. Venturelli, Le collezioni Gonzaga…, 2005, pp. 159-161; Eadem, Il Tesoro…, 2009, pp. 50-52; Eadem, Splendidissime…, 2013, pp. 21-27, 167-177.  Per Poligino, cfr. P. Morigia, Historia dell’antichità…, 1592, p. 291; P. Venturelli, La lavorazione…, 2007; Eadem, Splendidissime…, 2013, p. 16. []
  45. A. Del Riccio , Istoria delle pietre (1597), a cura di R. Gnoli- A. Sironi, Torino 1996, p. 159. []
  46. Come ipotizzo in P. Venturelli, La lavorazione…, 2007; Eadem, Il Tesoro…, 2009, pp. 173-191; Eadem, Splendidissime…, 2013, pp. 101-110. []
  47. A. Bertolotti, Artisti in relazione coi Gonzaga signori di Mantova, Modena 1885, p. 88; A. Venturi, Gian Cristoforo Romano, in “Archivio Storico dell’arte”, 1, 1888, pp. 107-118 (a pp. 112, 117); P. Venturelli, Splendidissime…, 2013, pp. 12-12 e note 12-15, pp. 17-18; per Caradosso e Isabella, cfr. P. Venturelli,  Gioielli e oggetti preziosi nell’inventario Stivini, in “Quaderni di Palazzo Te”, 6, 1999, pp. 75-80. Per Gian Cristoforo Romano e Leonardo, cfr. C. Vecce, “The Sculptor Says”. Leonardo and Gian Cristoforo Romano, in Illuminating Leonardo. A festschrift for Carlo Pedretti Celebrating his 70 Years of Scholarship, (1944-2014), ed. by C. Moffat- S. Taglialagamba, Leiden 2016, pp. 223-238. []
  48. Citazione in M. A. Michiel, Notizia d’opere del disegno, a cura di C. De Benedictis, Firenze 2000, p. 56. Su Gian Cristoforo Romano (de Ganti), a Milano tra 1491-1498 e di nuovo nel 1505, cfr. da ultimo, M. Ceriana, Gian Cristoforo de Ganti, in Dizionario Biografico…, vol. 52, 1999 consultato online (da integrare con G. Agosti, Scrittori…, 2005, pp. 476-477, nota 48). []
  49. Per la medaglia, cfr. G. Vasari, Le Vite… (1568), a cura di G. Milanesi, III, Firenze 1878, p. 535, IV, Firenze 1879, p. 161. Per Caradosso, Leonardo e gli smalti, cfr. P. Venturelli, Leonardo da Vinci…, 2002, pp. 145-157; Eadem, Esmaillée à la façon de Milan. Smalti nel Ducato di Milano da Bernabò Visconti a Ludovico il Moro, Venezia 2008, pp. 90-107; Eadem, Arte orafa, in corso di pubblicazione. []
  50. Ho reperito i documenti su Benedetto Romano e avanzato l’ipotesi in direzione vinciana, in P. Venturelli, La lavorazione…, 2007, p. 266; Eadem, Splendidissime…, 2013, pp. 15-16; cfr. inoltre: Archivio di Stato di Milano, Notarile, cart. 8403 (1541, 2 marzo). Per l’appunto di Leonardo, cfr. E. Villata, Leonardo da Vinci…, 1999, n. 282, pp. 242-243 (con bibliografia), da integrare e correggere con quanto scrive Carlo Pedretti, in Idem, Disegni di Leonardo da Vinci e della sua cerchia nella Biblioteca Reale di Torino, Firenze 1975, nota 8, p. XII («Perotìn» in Piemonte è diminutivo per Pietro, Piero). []
  51. Sulle pietre dure del Monferrato in relazione ai Gonzaga, cfr. P. Venturelli, Materiali e oggetti preziosi tra i Gonzaga e Mantova. Aggiunte e rettifiche, in Giornata di studi in onore di Cesare Mozzarelli, Cesare Mozzarelli storico e organizzatore di cultura (Mantova 2005), numero speciale di “Bollettino Storico Mantovano”, n. s., 5, 2006, pp. 111-124. Tra le varietà più importanti di quarzo microcristallino (durezza 7, scala di Mohs), per lo più fibrose, è il calcedonio, vocabolo con cui si indica generalmente la varietà la cui cromia va dal bianco al giallastro, fino all’azzurro violaceo; per la presenza di ossido di ferro in forma di ematite può presentarsi anche una colorazione da rosso arancio a bruna (in tal caso detta corniola), ma può avere anche una colorazione rosso-bruna più scura se è presente l’ossido di ferro in forma di goethite; le tinture  sono molto usate sui quarzi microcristallini anche per imitare materiali come il lapislazzuli e la giada. []
  52. Rimando a M. Casaburo, Pittura su pietra. Diffusione, studio dei materiali, tecniche artistiche, Rende (Cs) 2017. []