Benedetta Montevecchi

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Nota su un inedito reliquiario di Visso*

DOI: 10.7431/RIV18022018

Visso, in provincia di Macerata, è una delle cittadine dell’Appennino umbro-marchigiano gravemente colpite dal sisma del 2016. Tra gli edifici danneggiati, vi sono la magnifica collegiata trecentesca di Santa Maria e la vicina ex-chiesa di Sant’Agostino che accoglie il Museo Civico e il Museo Diocesano (Fig. 1), quest’ultimo allestito per custodire le numerosissime e importanti testimonianze provenienti dai molti edifici sacri disseminati nel ricco territorio circostante, cuore del Parco Nazionale dei monti Sibillini. Già prima dell’allestimento museale, nei depositi della chiesa collegiata erano stati raccolti molti materiali, spesso di notevole rilevanza artistica e, tra questi, una bella testa reliquiario di santo monaco rinvenuta dall’allora funzionaria di zona della Soprintendenza di Urbino, Maria Giannatiempo. Il raro e inedito manufatto non era in condizioni conservative ottimali: quindi non è stato possibile inserirlo nel volume allora in corso di realizzazione sull’oreficeria del Maceratese1. Il restauro, eseguito nel corso del 20052, ha restituito all’opera piena leggibilità consentendo anche il recupero della luminosa doratura della lamina di rame, sbalzata e cesellata.

La scultura, a tutto tondo, presenta il capo tonsurato di un monaco il cui abito, tagliato all’altezza delle spalle, determina il piano d’appoggio, in origine forse dotato di una base (Fig. 2). Come spesso, in questo tipo di reliquiari, la parte posteriore della testa è completamente rimovibile, mediante due cerniere fermate da piccoli perni, per potere introdurre ed esporre la reliquia, evidentemente il cranio del personaggio venerato (Fig. 3). Si tratta infatti di una testa-reliquiario, o meglio di un ‘Schulterbuste‘ (cioè un busto tagliato all’altezza delle spalle): la sua naturalistica morfologia ne giustifica l’appartenenza alla categoria dei cosiddetti ‘reliquiari parlanti’, la cui forma denuncia immediatamente la tipologia del cimelio contenuto. Nessun elemento simbolico o agiografico suggerisce però l’identità del personaggio, verosimilmente legato alla devozione locale. Notevole è, per contro, la forte e inconsueta caratterizzazione della fisionomia, quasi un ritratto di straordinaria forza espressiva, nonostante la sommarietà della tecnica esecutiva. La testa è realizzata a sbalzo, con grandi occhi aperti, il naso dritto e leggermente aquilino, le guance scavate e segnate da rughe profonde, mentre rughe più lievi segnano la fronte, appena aggrottata, e le tempie, con incisioni disposte a ventaglio. La sommarietà dello sbalzo si accentua nella resa delle orecchie, risolte con una serie di nervature rilevate e concentriche, e nella regolarissima e arcaizzante fascia di capelli disposti intorno al capo3, appena rigonfi sulla nuca per suggerire il volume della capigliatura. Con la stessa semplificazione esecutiva è reso l’abito, lavorato a parte e poi saldato alla base del collo, come si nota da alcune mancanze sulla parte anteriore della scultura. La stilizzazione del modellato, tuttavia, nulla toglie alla potenza espressiva di quest’opera che giustifica appieno la considerazione di come i reliquiari antropomorfi abbiano contribuito alla rinascita quattrocentesca del ritratto scultoreo4.

Mancano finora notizie documentarie sulla provenienza e sulla committenza della scultura, e mancano anche elementi di raffronto poiché nelle Marche questo antico tipo di reliquiario, consistente nel solo mezzobusto, cioè testa e spalle, è assai raro. Tra le opere finora note, credo si possa citare il solo reliquiario del capo di san Secondo della Chiesa concattedrale di Pergola (PU). Si tratta di una giovanile testa ricciuta dai tratti ben caratterizzati e dai grandi occhi spalancati, databile ai primissimi anni del Quattrocento, forse di fattura norditaliana, inserita in un più tardo tabernacolo accostabile all’arte orafa delle Marche centro-meridionali5 (Fig. 4). Ma la testa di Visso non sembra apparentarsi agli stilemi del reliquiario pergolese il quale, nonostante una particolare ricercatezza decorativa di gusto pienamente gotico, si caratterizza per una decisa frontalità e una vaga astrazione fisionomica. Il reliquiario in esame, invece, presenta una postura meno rigida, mentre l’accentuata caratterizzazione del volto e la gravità dello sguardo conferiscono alla figura una forza singolare, giustificando la straordinaria suggestione che tali simulacri dovevano anticamente produrre sui fedeli. L’intensità di questa immagine sembra piuttosto accostabile al forte espressionismo di un noto reliquiario abruzzese, il semibusto di sant’Amico della parrocchiale di San Pietro Avellana (IS) (Fig. 5) che reca il bollo di Sulmona in uso dalla metà del Trecento fino al 14066. Molto più che non in un altro reliquiario dello stesso ambito, la francesizzante testa di san Nicandro in argento con smalti, firmata nel 1340 dal maestro sulmonese Barbato (già a Venafro)7, nell’espressiva testa argentea di sant’Amico, benché giudicata “piuttosto rozza” da Luisa Mortari8 e ritenuta da Ezio Mattiocco9 fredda, povera di contenuto e tecnicamente approssimativa, si coglie l’intensa severità richiesta dalla religiosità tardomedievale, dove il preziosismo aulico e astratto di molte immagini orafe del tempo viene qui sostituito dalla realistica testa del frate coperta dal suo cappuccio. Anche la scultura marchigiana partecipa di questo intenso naturalismo, accentuato, se possibile, dalla mancanza, o perdita, di eventuali accessori decorativi, quali un’aureola, un copricapo o una base.

La probabile origine sulmonese di quest’opera costituisce un’ulteriore conferma della penetrazione dell’oreficeria abruzzese nelle Marche centromeridionali10, attestata, nella stessa cittadina, dalla grandiosa croce detta ‘di San Marco’ (Fig. 6) che, secondo la tradizione, sarebbe stata donata alla chiesa collegiata di Visso da papa Gergorio XII11, ovvero il cardinale Angelo Correr, nel 1405 legato pontificio nella Marca. Solo in via del tutto ipotetica, si può supporre che anche la bella testa dell’ignoto santo monaco si possa  annoverare tra le preziose donazioni dell’importante prelato durante il suo soggiorno marchigiano12.

*Ringraziamenti: Marisa Baldelli, Maria Giannatiempo, Guido Ugolini

  1. Ori e argenti. Capolavori di oreficeria sacra nella provincia di Macerata, a cura di M. Giannatiempo Lopez, Milano 2001. []
  2. Il restauro è stato eseguito dalla ditta ‘Bartoli. Restauro e ricerca s.r.l.’, Roma. []
  3. Una identica soluzione per la fascia dei capelli si riscontra nel busto reliquiario di san Folco, opera di bottega orafa meridionale di fine ‘200, della chiesa parrocchiale di Santopadre (FR); cfr. fig. 7, p. 74, in Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo, a cura di B. Montevecchi, Roma 2015. []
  4. F. Souchal, Les bustes reliquaires et la sculpture, in “Gazette des beaux-arts”, 6, 67,1966, pp. 205-216; I. Lavin, On the sources and meaning of the Renaissance portrait bust, in “The art quarterly”, 33,1970, pp. 207-226. []
  5. Cfr. B. Montevecchi, Il reliquiario del capo di San Secondo, in Tardogotico e Rinascimento a Pergola, catalogo della mostra, a cura di M. Baldelli, Pergola 2004, pp.109-115. []
  6. E. Mattiocco, Orafi e argentieri d’Abruzzo, Lanciano 2004, p. 247. []
  7. La testa è stata rubata alla fine degli anni ’90; sull’opera, cfr. E. Mattiocco, Orafi e argentieri…, 2004, pp. 58-60, fig. 25. []
  8. L. Mortari, Molise. Appunti per una storia dell’arte, Roma 1984, pp. 151-155. []
  9. E. Mattiocco, L’oreficeria medievale abruzzese: la scuola di Sulmona, in Abruzzo, Chieti 1968, pp. 361-403. []
  10. B. Montevecchi, L’oreficeria sulmonese e l’influsso abruzzese, in G. Barucca, B. Montevecchi, Atlante dei beni culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo. Beni artistici. Oreficeria, Milano 2006, pp. 55-73. []
  11. B. Montevecchi, Oreficeria sacra a Roma al tempo del Grande Scisma, Atti del convegno (Roma, 2018), a cura di S. Romano, W. Angelelli, in corso di stampa. []
  12. Dopo avere abdicato, nel 1415, il cardinale Correr tornò nelle Marche rimanendovi fino alla morte avvenuta nel 1417 a Recanati, dove è sepolto. []