Daniela Brignone

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La premiata ditta Sardella di Acireale. Prima fabbrica in Italia di mobili e sedie in legno curvato

DOI: 10.7431/RIV17152018

Testimonianze sulla Sicilia della seconda metà dell’Ottocento narrano di un territorio fiorente, produttivo, in grado di competere con gli esempi di eccellenza internazionale. Dagli archivi e dai giornali dell’epoca si ricostruisce l’epopea di grandi famiglie di imprenditori o di singoli artefici che riescono ad affermarsi e a portare una ventata di novità con l’esclusività e la modernità dei prodotti. Malgrado le cronache raccontino di un‘epoca dilaniata da conflitti sociali e crisi economiche (bancarie e agricole), si evince per altri versi un nuovo assetto generato da grandi investimenti nel comparto industriale, dall’introduzione di professionalità competenti nelle tecnologie più innovative e da importanti raggiungimenti scientifici. L’aristocrazia dominante cedette parte del potere all’alta borghesia con la quale si alleò creando sodalizi matrimoniali e imprenditoriali.

La produzione di mobili era tra le più fiorenti nell’isola e annoverava, tra i tanti, i noti esempi della Golia & C. a Palermo, succursale della Solei Hebert di Torino, poi Ducrot, presso la quale lavoravano i più grandi artisti all’epoca attivi in Sicilia (Ernesto Basile, Salvatore Gregorietti, Antonio Ugo, Ettore De Maria Bergler, tra gli altri), i Mucoli, i Cavallaro, produttori di letti in metallo, esportati anche all’estero, Nicolò Dagnino con la fabbrica di mobili e tappezzerie,  e gli Ahrens con l’opificio nel quartiere San Lorenzo, premiati con medaglie d’oro a Palermo (1902) e Catania (1907), il cui stile semplice faceva uso di legni chiari e linee squadrate1.

Poco indagata è la produzione della Sicilia orientale. In quell’area, tra le attività imprenditoriali più rinomate vi era quella della ditta Celano, specializzata nella produzione di sedie ad imitazione delle chiavarine, prodotte a Chiavari nella provincia di Genova da Giuseppe Gaetano Descalzi. Era molto attiva anche la ditta Wackerlin di Catania, nota per gli arredi realizzati in legno curvato i cui modelli erano presi in prestito dalla ditta che Michael Thonet aveva fondato a Vienna nel 1841, pioniera nella ricerca e nella sperimentazione della curvatura del legno per la realizzazione di arredi.

Una moda, quella del legno curvato, che aveva invaso l’Europa e che annoverava decine di fabbriche specializzate che per alcuni dettagli o perfezionamenti dei procedimenti si discostavano dalla produzione della ditta austriaca e, in molti casi, ne emulavano integralmente i procedimenti e lo stile.

Un importante contributo alla produzione industriale in Italia fu apportato da Pietro e Luigi Sardella di Acireale che, in un clima di grande fermento e di progresso, come si registrava all’epoca, crearono una delle fabbriche più moderne e all’avanguardia nel settore dell’arredamento, in continua sperimentazione di modelli e procedimenti, attenta alle esigenze della committenza per la quale adeguavano elementi stilistici e tecnici2.

L’innovazione della fabbrica, produttrice di arredi e, in particolare, di sedie in legno curvato a vapore, si manifestava anche nella gestione dell’attività suddivisa in settori in cui ogni lavorante era specializzato. Così «Senza essere guidati da sedicenti economisti o da pettoruti faccendieri, <i Sardella> osservarono grandemente il principio economico sulla divisione del lavoro, dividendo gli operai in classi ed a ciascuna classe assegnarono un dato lavoro. Così il legname entra grezzo nell’officina dei segatori, di là in quella degli incurvatori, in quella dei tornieri, degli armatori, dei tintori, degli inverniciatori, delle tessitrici dei fondi e delle spalliere e per ultimo passando di nuovo agli inverniciatori la sedia è bella e finita ed è pronta al commercio»3.

La storia della ditta Sardella ebbe inizio nel 1878 ad Acireale. Due anni prima, Pietro, uno dei fratelli, aveva intrapreso gli esperimenti per la curvatura del legno per cui era divenuta celebre la fabbrica Thonet la quale, attraverso procedimenti chimici e meccanici, riusciva a plasmare il legno per la realizzazione delle famose sedie costituendo il primo esempio di alto livello di produzione in serie. Fu proprio presso la ditta austriaca che Pietro venne inviato allo scopo di imparare le tecniche e i segreti di produzione. Rientrato in Sicilia fondò la fabbrica insieme al fratello Luigi presso la casa Schiaccianoce in Corso Vittorio Emanuele all’interno della quale mise a punto un macchinario innovativo per la produzione di sedie in legno curvato. Il procedimento traeva spunto da quello austriaco, ma era del tutto nuovo in quanto a materiale e tecniche. La lavorazione inizialmente impiegava il legno di gelso ma, successivamente, incluse anche altre tipologie di legni, quali il faggio ed il castagno, che potevano consentire la flessibilità alla temperatura di 1004. Di lì a poco la produzione dei Sardella otteneva il primo riconoscimento, la medaglia d’argento alla Mostra di Siracusa (1880).

Nel 1881 la ditta ampliò la produzione. Avendo necessità di una sede più grande si trasferì nell’ex convento dei Cappuccini, i cui locali vennero messi a disposizione gratuitamente dal Municipio di Acireale. Con la moltiplicazione degli ordini la dotazione del personale aumentò arrivando a contare 75 unità, divise tra lavoranti all’interno e all’esterno dello stabilimento. Aumentarono anche le commesse provenienti da varie parti d’Italia.

Nella fabbrica (Figg. 12), divenuta motivo di orgoglio per il territorio, le macchine a vapore e la sega circolare erano in incessante attività5. La clientela in costante aumento decretò il successo degli arredi che ben presto si imposero come l’ultimo grido della moda. I frequenti articoli di apprezzamento, pubblicati su giornali e riviste, ne confermano la tendenza. Il giornalista Antonio Frigieri della “Gazzetta di Acireale”, invitato a visitare lo stabilimento, dopo averne valutato l’impatto sociale ed economico e seguito con grande attenzione il procedimento per la produzione degli arredi, ne riportò con entusiasmo tutti i dettagli, elogiando l’intelligenza, la delicatezza e il fine gusto per l’arte dei fratelli Sardella i quali «sebbene soli, sforniti di mezzi, privi affatto d’ogni conoscenza di meccanica e di chimica, pure provando e riprovando, tentando la materia in ogni guisa e durando nei loro esperimenti con quella tenacità di proposito che è la base fondamentale di ogni felice risultato, finalmente sono giunti a strappare alla natura il gran segreto. Ed il segreto sta nell’invenzione di una macchina, mediante la quale grossi bastoni di faggio, di gelso, di betula (albanello) ed eziandio di castagno acquistano la duttilità temporanea di molle cera; tanto che possono essere piegati in tutti i sensi, assumere tutte le forme più bizzarre, non esclusa quella del serpentino, senza risentirne danno, senza frattura di sorta; e poscia riacquistare tutta la durezza, o tenacità che loro è propria. Così i Sardella nell’umile cerchia dell’arte loro risolvettero il gran problema industriale dei giorni nostri, costruire cioè il mobile più complicato, col minor numero possibile di parti; affine di imitare, quanto più si può, la natura, che ci dà prodotti, nei quali ciò che è più mirabile è l’unità. Basti dire che le seggiole dei Sardella sono composte di quattro o cinque pezzi solamente; che quei pezzi sembrano fusi, anziché tirati a mano; che, senza essere tagliati o ripartiti, quei pezzi prendono le più svariate direzioni, che anche sciolti, o separati, quei pezzi continuano a mantenere la forma, non di rado capricciosa, data loro dall’artefice, come se l’avessero seco tratta dalla natura.» Passava poi a enfatizzare nello stesso articolo, altresì, il ruolo della macchina inventata da Pietro Sardella che consentiva di realizzare qualunque modello6.

Il riferimento all’imitazione della natura non è casuale. La produzione, infatti, si inseriva nel solco della sperimentazione eclettica che in quegli anni iniziava a diffondersi in tutto il mondo, anticipando i motivi che da lì a poco avrebbero dato vita alla rivoluzione estetica affermata dal movimento Liberty per contrastare il gusto classico dominante. La linea ondeggiante dei vari modelli suggeriva un forte dinamismo, racchiudendosi in volute che delineavano forme astratte e richiamavano elementi presi in prestito dalla natura. Motivi che avrebbero rappresentato aspetti distintivi del Liberty, simbolo di libertà e di vigore di nuove idee che si andavano affermando nel volgere del secolo. Per effetto dell’immersione nel vapore, il legno assumeva una parvenza di leggerezza, quasi eterea e, grazie all’elasticità ottenuta, era possibile spingere la curvatura per dare vita a virtuosismi estetici quali, ad esempio, la forma della spirale che diventerà uno dei temi più popolari del Liberty.

Il procedimento per la modellatura del legno passava per l’inumidimento dello stesso, seguito dall’immersione nel bagno di vapore per consentire l’ammorbidimento e dal successivo modellamento in uno stampo per fissarne la forma. L’impiego del perno in ferro, inoltre, per assicurare la spalliera alla seduta conferiva maggiore solidità al manufatto ma suscitava perplessità e alimentava aspre critiche (Fig. 3). In quel periodo, infatti, iniziavano ad intravedersi in tutto il mondo le prime applicazioni del ferro nelle architetture e negli arredi come elemento strutturale e decorativo che trovava spazio in sperimentazioni audaci non da tutti apprezzate7.

I fratelli Sardella risposero alle polemiche precisando che «il fermaglio che tiene insieme le nostre sedie, non è altro che il bullone o perno che stringe e mantiene il sedile con la spalliera. Ciò abbiamo appreso dalle sedie di Thonet, benché egli usi pure una piccola vite alla parte interna del sedile. La nostra modifica è dunque utile poiché non soltanto imitiamo le sedie del Thonet, ma le perfezioniamo ancora»8.

Per definire, infine, le sedute veniva utilizzata la canna d’india ridotta in fili o il legno compensato verniciato in unica tinta o inciso con disegni a rilievo.

Grazie al generoso contributo economico del barone Agostino Pennisi, nel 1882 la ditta ampliò la produzione che comprendeva ora, oltre alle sedie, anche poltrone, dondoli, tavolini e sedie uso Chiavari commercializzati nelle città di Catania, Palermo e Roma presso le quali aveva aperto depositi di grandi dimensioni. «Pennisi profuse le somme necessarie per la compra delle macchine, oltre alla spesa di 25,000 lire circa per acquisto dei legnami, delle vernici e di tutto quanto abbisognava per la sistemazione definitiva della fabbrica»9. A Palermo gli arredi Sardella erano venduti presso il negozio di Andrea Mucoli e figlio. Tra i pezzi più insoliti vi erano tre modelli di cessi inodori in legno trasportabili, con quattro piedini e copertura in tela americana con vaso smaltato e chiusura ermetica. Alcuni arredi erano progettati per essere smontati per consentirne agevolmente il trasporto. Nonostante la ditta utilizzasse materiali e procedimenti di alta qualità i costi erano accessibili al fine di contrastare la concorrenza.

Per far fronte alle innumerevoli richieste, la fabbrica dovette assumere nuovo personale che arrivò a contare 250 unità. Per i lavoranti era d’obbligo l’assoluta discrezione per evitare che venisse diffuso il segreto dei metodi di lavorazione. Scrive, infatti, il “Corriere di Catania” che «Il segreto dell’industria sta nel piegare il legno come se fosse un pezzo di gomma o di gutta-perka: e di tale segreto sono così gelosi da non permettere che occhio mortale entri là dove sta chiusa la macchina; o ne veda il processo»10.

Alla Mostra interprovinciale di Messina, tenutasi nello stesso anno, con l’esposizione di 36 sedie e tavolini in legno piegato, poltrone a dondolo, piccoli canapè, scanni per pianoforte, la Sardella si aggiudicò la Medaglia d’oro insieme ad un premio di mille lire.

La ditta riuscì a pubblicizzare la propria attività grazie all’inserimento della produzione nel grande circuito delle esposizioni regionali (Siracusa, Messina, Catania, Marsala), nazionali (Torino, Palermo, Napoli, Roma, Perugia) ed internazionali (Parigi, Nizza) che le conferirono grande notorietà e importanti riconoscimenti.

Tali occasioni costituivano un importante veicolo per l’aggiornamento sulle nuove tecnologie, sui nuovi processi e sulle tendenze in voga, oltre che un’opportunità di scambio e di presentazione delle capacità produttive delle aziende.

Il 1884 fu l’anno dell’Esposizione Generale di Torino alla quale la ditta partecipò inviando sedie, una poltrona dondolante, un canapè, un tavolo, una culla. Lì ottenne successo immediato presso il pubblico, grazie ai prezzi inferiori a quelli dei prodotti Thonet. La giuria apprezzò i prodotti dei Sardella e per tale motivo propose l’attribuzione di una menzione che questi però rifiutarono perché la ritennero poco onorevole. Venne invece conferita la medaglia d’oro alla ditta G. Canepa e C. di Milano che si definiva erroneamente Prima fabbrica Sociale Italiana per la fabbricazione di mobili curvati a vapore. Come riportava il catalogo della mostra «I prodotti di tale Ditta nulla lasciano a desiderare per l’accurata esecuzione del lavoro, per l’eleganza della forma congiunte ad un prezzo veramente modesto. L’industria dei mobili in legno curvato a vapore fu fin quasi ai nostri giorni privilegio dell’Austria, ma ora per mezzo della nominata Società è diventata italiana e prende continuamente un maggiore sviluppo»11. Nello stesso volume, il nome della ditta siciliana fu trascritto come Sardello Fratelli, Acireale, inserita nella categoria Industrie degli utensili e dei mobili in legno.

Il rifiuto della menzione da parte della ditta siciliana si ipotizza dovuta all’erronea valutazione da parte della giuria sulla data di inizio attività dello stabilimento acese rispetto alla Canepa che invece fu fondata tre anni più tardi (1881). All’epoca si contavano molte fabbriche che lavoravano il legno curvato in tutta Europa. In Italia le più note erano la Canepa, la Sardella e la Società Antonio Volpe di Udine.

Con decreto del 23 maggio 1883 la Fratelli Sardella ottenne il brevetto di privativa reale per tutto il regno per la fabbricazione delle sedie uso Vienna. Tra i clienti di rilievo si annoveravano i reali arsenali delle Ferrovie dello Stato e le pubbliche amministrazioni, nonché la Real Casa Savoia.

Nel 1885 il barone Pennisi si ritirò dalla ditta: «Egli affrontò le ingenti spese di impianto e in varie volte profuse la somma di £ 62.808,36. In seguito concedeva un terreno presso la stazione ferroviaria, dove ora sorge il grandioso fabbricato di sedie e mobili uso Vienna e per il quale erogava la cifra di £ 43.000»12.

L’attività si incrementò considerevolmente in breve tempo. L’attenzione dei giornali era costantemente puntata sulla fabbrica della quale «basta osservare la modicità dei prezzi, in confronto con gli incassi fatti nel breve giro di pochi anni, e gli importanti depositi tenuti nelle principali città del regno»13 per farsi un’idea della grandiosità e dell’eccellenza della produzione e dell’ingente smercio dei mobili.

Il catalogo si arricchì di nuovi prodotti nel 1890. Nello stesso anno la ditta espose alla Mostra del lavoro a Napoli un vasto campionario di mobili. Il successo fu tale che decisero di aprire un altro stabilimento che, oltre alla consueta produzione, inserì in catalogo nuovi progetti di sedie da salotto e poltrone da ammalato e da parrucchiere. Grazie alla grande notorietà raggiunta anche da questa sede fu aperto un nuovo stabilimento a Casoria in società con altri industriali riuniti sotto la denominazione La Cleopatra.

Quando a Palermo fu organizzata la IV Esposizione nazionale nel 1891, nella sezione dedicata ai mobili usuali, mobili di lusso e mobili artistici, esposero 117 ditte italiane e tra queste 42 erano siciliane. I Sardella riuscirono a malapena a partecipare: a causa di un incendio sviluppatosi nello stabilimento e al crollo del tetto una gran quantità di manufatti e materie prime subì danni. Tra questa anche la produzione destinata all’esposizione palermitana.

La maggior parte dei mobili presenti in mostra erano una riproduzione di stili del passato. Esponeva, tra gli altri, la ditta Golia Carlo con un arredamento completo in stile Luigi XV in noce e oro, arricchito da tappezzerie Gobelins e stoffe fabbricate dalla Solei Hebert a Torino. Una produzione classica ancora lontana dallo stile eclettico che la fece conoscere nel mondo.

Al contrario, la produzione Sardella, segnalata come sedie e mobili di lusso uso Vienna, spiccava per le caratteristiche innovative del prodotto. La Commissione decretò, pertanto, l’assegnazione del Diploma d’onore, la più ambita onorificenza all’interno della manifestazione, alla ditta siciliana insieme a quella del cav. Andrea Onufrio di Palermo.

L’industria dei mobili era in grande risveglio in Sicilia e le aziende locali competevano con quelle note nazionali. Nel 1895 la ditta siciliana subì una trasformazione in Società Anonima Sardella di Acireale la cui produzione crebbe a circa 26.000 pezzi l’anno14.

L’ennesima occasione per la presentazione dei prodotti Sardella (Figg. 45678910) fu offerta dalla Mostra delle Arti manifatturiere, delle Industrie e dei Commerci della Provincia di Catania organizzata nell’ambito della II Esposizione agricola siciliana tenutasi a Catania nel 1907, promossa dal Comizio Agrario della città etnea. Erano presenti trecento espositori. Scrive il “Mondo moderno” di Roma il 5 aprile 1907 che l’Esposizione di Catania contribuisce a «mostrare le nuove, moltiplicate forze delle città dell’isola, le nuove fortune sorte per tenacia di voleri, […] col più bell’esempio di sforzo sopra se stessi»15.

Pietro Sardella morì il 7 aprile 1905. Lo stabilimento di Acireale sopravvisse fino al 1938, venendosi ad esaurire la moda delle sedie in legno curvato.

  1. Cfr. Arti Decorative in Sicilia – Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2014, ad voces. []
  2. O. Cancila, Storia dell’industria in Sicilia, Bari 1995, p. 199. Descrivendo l’industria dei mobili in Sicilia nella seconda metà dell’Ottocento, lo storico accenna all’esistenza di una produzione più scadente nell’area orientale dell’isola rispetto a quella di Palermo. Cita, però, «particolari settori come quello delle sedie in legno curvato all’uso di Vienna ad Acireale (Fratelli Sardella)». []
  3. “Diogene”, anno XXV, numero 9, Palermo 7 giugno 1882. []
  4. S. Trovato, Acireale, via Paolo Vasta e dintorni, pp. 189-197. []
  5. Nella Relazione economica, statistica della Provincia di Catania, pubblicata dalla Camera di Commercio per l’anno 1881, p. 18, è citata l’attività dei Sardella «i quali hanno saputo arricchire la provincia di un ramo d’industria sconosciuto finora in Italia, mediante il quale oggi non abbiamo più bisogno in fatto di tali sedie della capitale dell’Austria». []
  6. “La Gazzetta di Acireale”, anno III, numero 27, Acireale 11 luglio 1881. []
  7. D. Brignone, Liberty e Giapponismo. Arte a Palermo tra Ottocento e Novecento, Milano 2017, p. 28. []
  8. Alla data del 4 maggio 1884 “il Giornale di Sicilia” pubblicò un articolo sull’utilizzo del perno in metallo da parte dei Sardella affermando che questi «hanno esposto seggiole di varie foggie, la poltrona dondolante, un canapè, un tavolo, una culla. I prezzi sono notevolmente inferiori di quelli di Vienna. La sedia che i fratelli Thonet fanno pagare 10 franchi, questi di Acireale la mettono 6 lire, o 7, se la spalliera è più complicata; la dondolante 35 lire invece di 50. Qualcuno ha voluto dirmi ieri sera che questi mobili di Acireale, non reggono al confronto di quelli dei fratelli Thonet, giacchè sono tenuti insieme da un fermaglio di ferro che i Thonet non adoperano. Non so se il fatto sia vero; ma spero che i giurati si occuperanno con diligenza di verificarlo. Importa moltissimo di sapere se un’industria del tutto nuova entra onorevolmente sul mercato italiano, e prende il posto occupato da un prodotto estero. […] Se si potesse quindi innanzi dire e adoperare le “sedie di Acireale” sarebbe davvero un bel progresso e venuto giù dalla Sicilia, ancora così poco innanzi in fatto l’industria, avrebbe doppio pregio». Pochi giorni dopo, il 10 maggio 1884, la stessa testata giornalistica pubblica un’intervista rilasciata ai Sardella in cui si precisa che «Il fermaglio che tiene insieme le nostre sedie, non è altro che il bollone o perno che stringe e mantiene il sedile con la spalliera. Ciò abbiamo appreso dalle sedie medesime che allo stesso modo fabrica il Thonet, benchè egli usi pure una piccola vite alla parte interna del sedile. […] Questo metodo riesce debole appunto perché non ha solido sostegno nella parte interna della spalliera. Invece, a questa vite debole si è da noi sostituito il perno, rafforzato all’esterno onde ottenere, come si ottiene infatti, la massima solidità. La nostra modifica è dunque utile – e poi noi – non soltanto imitiamo le sedie del Thonet ma le perfezioniamo ancora». []
  9. “Diogene”, anno XXV, numero 9, Palermo 7 giugno 1882. []
  10. Anno IV, numero 109, Catania 8 maggio 1882. []
  11. Esposizione Generale italiana in Torino, 1884. Premi conferiti agli espositori secondo le deliberazioni della giuria, Torino 1884, p. 355. []
  12. “La Patria”, Firenze, 5 settembre 1885. []
  13. “La Patria”, Firenze, 27 febbraio 1886. []
  14. Autorizzata dal Tribunale Civile di Catania con deliberazione 27 aprile 1895. Capitale sociale illimitato Sottoscritto e versato £ 28.000. Valore di ogni azione £ 100. []
  15. Sulla storia e l’attività della ditta acese cfr. anche G. Brex, Sardella, ad vocem, in Arti Decorative in Sicilia…, II, 2014, p. 533. []