Simone Picchianti

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Il lanciaio fiorentino nel Rinascimento e il cambiamento semantico della professione in Età Moderna

DOI: 10.7431/RIV17032018

La professione artigianale del lanciaio può essere facilmente associata alla produzione di lance o, più genericamente, di armi in asta ma tale deduzione potrebbe rivelarsi approssimativa, se non del tutto errata, per quanto riguarda la terminologia utilizzata nelle epoche passate, soprattutto per quanto concerne il caso fiorentino. Tale vocabolo infatti, come avremo modo di valutare mediante casi esemplificativi contenuti in fonti documentarie dal Quattrocento al Settecento, nel corso dei secoli ha assunto un significato diverso, o almeno in parte, da quello originario. Questo saggio cercherà di dimostrare come solo uno studio attento della terminologia specifica utilizzata nel passato, possa aiutare lo storico e lo storico dell’arte nelle ricerche non solo riguardanti le professioni artigianali ma anche le arti in genere.

Rinascimento: Piero d’Antonio di Naldo, lanciaio e scodellaio.

Al fine di delineare quale fosse l’attività svolta da un lanciaio nel Rinascimento, verrà analizzato l’inventario di bottega di Piero d’Antonio di Naldo, un facoltoso cittadino fiorentino «el quale morì a di 18 di settembre 1430 alla chui anima Idio facia veracie perdono»1. Alla sua morte egli lascia cinque figli minorenni, Giovanna, Antonio, Caterina, Ludovico e Domenico dei quali, gli ultimi due, moriranno a poche settimane di distanza dal padre. Per via della presenza di questi orfani, intervengono gli ufficiali dei pupilli, rappresentanti della magistratura fiorentina appositamente creata per salvaguardare gli interessi dei minorenni, i quali procedono con il censimento e la stima di tutti i beni in possesso del padre al momento della morte2. Dalla sua Portata al Catasto del 1427, ovvero dalla sua dichiarazione fatta per il pagamento di questa specifica tassazione della Repubblica fiorentina, apprendiamo che viveva nel quartiere di San Giovanni, sotto il gonfalone Vaio e la sua abitazione era situata nel popolo di San Simone, mentre invece per quanto riguarda il luogo di lavoro, asserisce di avere una «bottegha di schodellaio e lance alla piazza de Signori»3. Da questa sua affermazione apprendiamo dunque che la sua attività lavorativa di produzione e commercio, si divideva tra armi in asta e contenitori in legno per la cucina. Questa informazione a prima vista può apparire alquanto bizzarra ma trova una parziale spiegazione all’interno degli statuti dell’Arte dei Legnaioli, corporazione sotto la quale si riunivano la maggior parte dei produttori di manufatti lignei4. È infatti da sottolineare che a questa altezza cronologica la professione del lanciaio, perlomeno per quanto riguarda il caso fiorentino, si limitava alla fabbricazione dei soli elementi lignei che componevano le armi in asta, mentre i “ferri” erano prodotti da una diversa manodopera specializzata, sottoposta all’Arte dei Chiavaioli, Ferraioli e Calderai, come asserito nel loro statuto del XV secolo (Fig. 1)5. Il lanciaio però non trovava posto nell’Arte dei Legnaioli, visto che da una specifica rubrica all’interno del loro statuto apprendiamo che «Nel 1384 per li ufficiali approvatori delli statuti di tutte l’arte di Firenze, messer Luigi Guicciardini e altri suoi collegi a di 29 dicembre, fu casso e rivocato (revocato) ogni e qualunque statuto e ordine di detta arte de legnaioli che obbligasse a dare a detta arte, balestra o palvese e qualunque altra generatione d’arme per qualunque cagione o pretesto si (ci) sia»6. Il perché di questa ritrosia da parte di tale corporazione nell’accettazione di produttori di armamenti tra i propri iscritti, non è meglio chiarita ma sappiamo che almeno per quanto riguarda i balestrieri, tale inaccessibilità veniva meno già nel 1416, quando troviamo addirittura tra i consoli un balestriere7. All’interno del libro dell’Arte dedicato ai debitori e creditori dell’anno 1422, si ha conferma del rientro nella corporazione dei balestrieri; tra le professioni citate troviamo infatti: legnaiolo, cassettaio, scodellaio, tornitore, balestriere, sellaio, forzerinaio, cerchiaio, cofanaio, filatoiaio, tavoliere, produttore di tegole, bastiere, bottaio, cestaio8. Come si è potuto constatare i lanciai non vengono mai citati e lo stesso Piero d’Antonio di Naldo che troviamo tra i debitori dell’Arte, era infatti iscritto come scodellaio9. È inoltre da sottolineare che tra le portate al Catasto del 1427, non vi è nessuno che dichiari di svolgere tale attività commerciale10.

La mancata presenza di tali professionisti all’interno delle Arti fiorentine risulta essere particolarmente insolita, visto che queste tipologie di armamenti erano tra quelle principalmente utilizzate non solo dalla milizia cittadina ma anche dalle compagnie mercenarie del periodo (Fig. 2). Tale armamento era infatti utilizzato non solo dalla cavalleria ma soprattutto dalle fanterie, le quali ne necessitavano conseguentemente di un numero molto elevato: a titolo esemplificativo dell’ingente quantitativo di armi di cui poteva necessitare un esercito, ricordiamo che nello stesso anno in cui moriva Piero d’Antonio di Naldo, Venezia schierava contro Milano oltre a 12.000 cavalieri e 8.000 fanti non professionisti del proprio contado, richiedenti perciò oltre 20.000 armi in asta, per un solo schieramento11. Queste armi potevano essere di varie tipologie, soprattutto per le fanterie, le quali erano divise tra pesante e leggera, in funzione appunto del loro armamento. La fanteria pesante era caratterizzata da un’uniformità di elementi difensivi ed offensivi, oltre ad una preparazione professionale per la guerra, cosa che gli permetteva di combattere in formazione ed essere in grado di contrastare gli assalti della cavalleria. La fanteria leggera invece combatteva in ordine sparso, con un armamento vario e senza una preparazione specifica, eccezione fatta per i tiratori, solitamente mercenari12. La fanteria pesante utilizzava principalmente un’arma di notevoli dimensioni per quanto riguarda la lunghezza, proprio per essere maggiormente offensiva contro le cariche di cavalleria: ciò era possibile grazie a un’organizzazione della formazione stretta e chiusa13. Va infine ricordato che come tipologie di armi, quelle in asta sono state maggiormente utilizzate nei campi di battaglia nel corso del tempo, partendo da epoche remote sino al pieno XVII secolo, per poi declinare sotto la manifesta preponderanza delle armi da fuoco.

Ritornando all’analisi dell’inventario di bottega, fatto dagli ufficiali dei pupilli per Piero d’Antonio, apprendiamo come i suoi commerci fossero molto diversificati: spaziavano infatti da tutta una serie di utensili per la cucina, in legno e in metallo, alla produzione di manici per molti strumenti e aste per armi, oltre che alla vendita di armi complete, cosa che non ci sorprende essendosi dichiarato sia come scodellaio che come lanciaio.

Utensili in legno14: «XXI mestole di legnio forata e non forata, I saccho di cucchiai; XV pale nuove da forno; XLIIII pestelli grandi et piccoli nuovi; XX bigoncie di legnio usate15, L zane vecchie triste16, XL zane nuove, LXXIIII catini di legnio nuovi, LXI catini di legnio, LXXXXVII catini da gelatina tra grandi et piccholi; XVIII taglieri da migliacci nuovi, 240 taglieri da rizzare d’acero, 1072 taglieri d’acero usati, 2902 taglieri nuovi d’acero, 4440 taglieri di faggio nuovi, 240 taglieri da rizzare d’acero, 1072 taglieri d’acero usati; 10 scodelle d’acero da danari, 78 scodellini, 10 scodelle d’acero , 78 scodellini, 1158 scodelle d’acero nuove, 440 scodelle, 440 scodelle vecchie, 900 scodelle nuove, 420 scodelle nuove, 480 scodelle nuove, 84 scodelle mezane; XXXVIII schedoni di legnio usati17; 5 manichi nuovi da spiedi da porci begli, 6 manichi da spiedi salvatichi; 26 manichi da vangha, 4 mazzi d’asti da torchio; 5 carucholine di legnio; 18 bordoni, 30 pali da bordone; 4 candelieri di legnio, 2 fastella d’asticciuole da candele».

Da questa prima parte dell’elenco dei beni presenti nei depositi della bottega, relativa agli utensili lignei, si viene a sapere che l’attività non si limitava alle sole scodelle ma era specifica di tutta la tipologia merceologica attinente non solo alla cucina ma anche ad altri lavori o attività, vista la presenza di manici di vanghe, bordoni ed altri oggetti utili per la fabbricazione di candele. L’altro dato straordinario è la quantità di oggetti presenti: 302 recipienti di grandi dimensioni, 4098 varietà di scodelle e l’incredibile numero di 9984 taglieri.

Utensili in metallo18: «XVI calderotti di rame usati saldi di libbre 129, III calderotti nuovi di libbre 45, X caldaie tese di rame di libbre 324, VII caldaie grandi di rame di libbre 602 usate; XVI tegnie di rame da torte di libbre 165, II tegnie; III padelle di ferro di libbre 42, VIIII padelle di ferro co manichi; XX pezzi d’alari di ferro d’arrosti di libbre 264 usati; VII treppiè di ferro di libbre 104, VIII treppiè grandi cupi di ferro di libbre 174; IIII graticole; XIII schedoni di ferro tra grandi e piccoli di libbre 142; VII graffi di ferro co manichi da cavare la carne19; I vagliuccio, VIII stacci, I staccio vecchio20; X tegnami da lamprede; VII grattugie grandi; II ferri di spiedi nuovi di ferro begli; I catino di rame cum cenere; 8 coltellacci, I coltellino da battere lardo; 2 spiedi co ferri l’uno salvaticho l’altro lavorato; I bacino da danari di bronzo».

Anche da questo elenco di prodotti possiamo constatare che vi era una grande quantità di strumenti per la cucina (Fig. 3). Un dato interessante che si può ricavare da alcuni di questi oggetti, sono i loro usi specifici per la preparazione di alimenti che oltre a riconsegnarci informazioni importanti riguardante la storia sociale, ci indicano anche a quale clientela erano rivolti questi beni. I «teghami da lamprede», ad esempio, erano specifici contenitori per la cottura della Lampetra fluviatilis una specie di pesce oggi in via d’estinzione ma già nel Quattrocento, tali pesci erano molto rari e costosi, come asserito dall’erudito senese Ugo Benzi (1376-1439)21. Tale animale assomiglia ad un’anguilla e necessitava di particolari accorgimenti per la sua preparazione alla cottura: l’Anonimo Napoletano (Ms. Bühler 19, Pierpont Morgan Library, New York, fine del XV secolo) asseriva che occorreva annegare l’animale nel vino bianco, al fine di facilitare l’eliminazione della pelle; una volta eviscerato occorreva dissanguarlo per poi utilizzare successivamente il sangue per la preparazione di salse; infine veniva cotto con noci moscate intere, succo d’arancia e menta22. Invece i «taglieri da migliacci» erano appositi utensili utilizzati per la presentazione di un dolce dal nome, appunto, di migliaccio. Secondo il manoscritto Urbinate Latino 1203 (Biblioteca Apostolica Vaticana, Roma), scritto in Toscana tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, si tratterebbe di una torta a base di formaggio fresco, farina, albumi d’uova e zucchero, cotta in padella da entrambi i lati e poi servita (sullo specifico tagliere citato) cosparso di zucchero e acqua di rosa23. Infine i «chatini da gelatina» erano contenitori peculiari per queste preparazioni. Dal ricettario dell’Anonimo Fiorentino (Ms.1071, Biblioteca Riccardiana, Firenze, 1338-1339) apprendiamo che per la gelatina di pesce si procedeva lessando tre grossi pesci in una parte d’aceto e sei parti d’acqua, a questi si aggiungevano molte spezie e la cottura avveniva molto lentamente. Al termine della cottura, i pesci e le spezie venivano colati e posti in uno specifico recipiente (il catino citato), aggiungendo foglie d’alloro sminuzzate; infine si faceva ritirare il brodo rimanente,  e lo si colorava con zafferano per poi ricoprire i pesci24. Un simile procedimento lo propone anche l’Anonimo Meridionale (Ms.1339, Fondation Bibliothèque International de Gastronimie, Lugano, fine XIV-inizio XV secolo) per la versione con carne. Questa era fatta lessare, dopodiché si aggiungeva altra acqua e aceto e si ricuoceva il tutto fino a ridurre il volume della carne ad un terzo; infine, carne e brodo venivano riposti in un recipiente con le medesime spezie utilizzate per il pesce25. Questi tre utensili, oltre ad averci permesso di risalire a ricette specifiche di questo periodo in uso a Firenze, ci indicano chiaramente che tali preparazioni erano per cucine non certamente umili ma bensì per raffinate mense. Così possiamo giustificare la presenza, all’interno del registro riguardante le entrate ed uscite del nostro lanciaio, di molti nomi illustri di cittadini fiorentini come gli Strozzi, i Peruzzi, i Bardi, i Rucellai ed altri ancora26. La grandissima quantità di utensili poteva invece fare fronte alle ingenti richieste dei numerosissimi monasteri, conventi, badie di tutto il contado fiorentino che vengono citate nel documento27 o ancora agli specifici acquisti compiuti da molti cuochi professionisti per le loro attività28.

Veniamo ora alla trattazione dell’attività specifica del lanciaio, ovvero la produzione e la vendita di armi in asta. Come abbiamo avuto già modo di asserire, l’attività produttiva del lanciaio riguardava la fabbricazione dell’elemento ligneo dell’arma. Ciò non sminuisce per nulla il suo ruolo nella produzione dell’arma: l’asta infatti doveva essere creata secondo specifiche caratteristiche, iniziando dalla selezione del legname, fino ad una sua specifica stagionatura in base a cosa si volesse fabbricare; potevano infatti servire aste resistenti per la guerra, o aste che facilmente potevano rompersi adatte per i tornei e inoltre non va sottovalutata la funzione offensiva a cui l’asta poteva essere chiamata  in determinati casi (Fig. 4).

Nella bottega troviamo infatti, oltre ad armi complete, anche le sole aste o alcuni elementi metallici, pronti per essere inastati. Armi complete29: «8 lancie da cavallo vote30, 3 lancie da cavallo fornite di ferro et resta, 158 lancie da cavallo quali col ferro, 54 lancie da giostra concie et ad tarsie31; 4 lancie da punta32, 10 lancie da punta da stendardi; 2 lancie da rettori dipinte; VIII chiaverine con ferri nuovi33; I lancia lungha da piè34; 78 lancie da fantapiè da posta; 48 lanciotti dipinti da rettore; 40 lancie da penone; 2 fastella di lancie da rompere per armeggiare35; 8 mannaie dipinte da rettore,  I manaia a II mani fornita»36. Aste di armi37: «72 aste d’armeggiare; 100 aste da chiaverina co lanci lunghe da fanti appiè; 3 fastella d’aste da cortina braccia 6 l’una d.20 per fastello38, I fastello di dette aste; 23 fastella d’aste da chiaverine di braccia 4 in 539, 124 aste da chiaverina, 20 manichi da manaia». Ferri liberi40: «23 ferri da lancia nuovi, I ferro da chiaverina grande, 6 ferri da chiaverina».

Possiamo notare subito, anche in questo caso, il grandissimo numero di pezzi presenti in bottega: 462 armi complete e 856 aste. Pure da questo punto di vista Piero d’Antonio di Naldo risulta essere un venditore all’ingrosso in questa categoria merceologica. Come possiamo constatare dal registro dei suoi debitori, non sorprende quindi trovare citati tre volte i Dieci di Balìa, la magistratura fiorentina preposta alle operazioni militari, o la Camera dell’Arme, luogo adibito allo stoccaggio degli armamenti per la milizia cittadina, oltre ai Capitani di Parte Guelfa ed allo stesso Podestà della città41. Gli acquisti non erano però limitati alle grosse commesse ma anche a quelli di minore entità compiuti da soldati o cavalieri sia del comune che mercenari42. Le armi in asta, come testimoniato dalla varietà tipologica presente, potevano assolvere a una moltitudine di compiti specifici, non solo semplicisticamente “per cavalieri” o “per soldati” (Fig. 5). A livello di utilizzo, tali armi possono infatti compiere due tipologie di azioni principali: quella di stocco, ovvero di punta e quella di fendente, quindi di taglio. Alla prima afferivano come effetti quelli perforanti (punta), aggancianti (mediante un eventuale gancio non tagliente parallelo al ferro e in direzione della punta), taglienti (fili convergenti dell’arma); al secondo quelli fratturanti (dente dorsale, o becco di falco affilati), taglienti (filo dell’arma) e strappante (ali affilate, rivolte verso l’utilizzatore)43. La quasi totalità delle armi presenti nel deposito sono da riferirsi alla prima tipologia, ad eccezione delle mannaie o scure d’armi. La terminologia approssimativa utilizzata dall’ufficiale dei pupilli, con tutta probabilità non esperto di armamenti, sfortunatamente non ci permette di apprezzare appieno la grande varietà tipologica presente nella bottega che lui indica, nella maggior parte dei casi, con il termine lancia ma che già all’epoca avevano una nomenclatura chiara e codificata, come si è infatti cercato di chiarire in nota. Molto interessante è però l’indicazione in alcuni casi delle lunghezze di tali oggetti. Oggi infatti determinare i pesi e le dimensioni delle armi in asta presenti nelle raccolte museali, risulta essere particolarmente difficoltoso. In genere infatti è molto raro trovare armi aventi le aste originali e, anche in questo caso, il trascorrere del tempo ha portato alla disidratazione del legno, riducendone il peso effettivo (Fig. 6). Oltre a ciò, anche nel caso in cui l’oggetto sia originale, occorrerebbe valutare se questo non abbia subito una riduzione della lunghezza per via di una modifica in periodo d’uso, o se la parte terminante l’estremità inferiore, il calzuolo, è ancora presente o meno44. Le informazioni contenute nel testo inerenti le lunghezze sono quindi preziose per lo studio di tale tipologia di armamento, il quale, a fronte della grande importanza che ha ricoperto sui campi di battaglia, ha avuto scarso successo per quanto riguarda gli studi specifici45. Per concludere la parte di inventario inerente gli armamenti, troviamo ancora «150 mazze da villano»46, arma da botta non meglio specificata.

Un ultimo aspetto su cui possiamo soffermarci è relativo al reperimento degli elementi atti all’offesa che costituiscono armi in asta. Tra le poche indicazioni ricavabili, analizzando i debitori citati da Piero d’Antonio, apprendiamo dei suoi traffici con l’area di Pistoia, non solo con la città ma anche con  il contado, in special modo nella zona montana47. Tale dato non coglie di sorpresa: è infatti risaputo come la montagna pistoiese, oltre ad essere luogo di produzione di acciaio era in questo periodo il fulcro di un florido commercio di semilavorati metallici. Dall’importante studio di Herlihy sulle industrie artigiane presenti a Pistoia nel 1427, risulta infatti che tra le attività economiche più redditizie della città spiccavano proprio queste. In tale studio viene citato, a titolo esemplificativo, il caso di Batista di Marco, uno dei più facoltosi mercanti locali, che passa dalla sua attività di commercio di tessuti del 1415 a quello di panni lana e ferro48. Herlihy identifica poi 51 tra fabbri, coltellai, pentolai, ramai, ferrivecchi ed armaioli, ai quali apparteneva anche il mercante Iacopo di Ciata da Lizzano, uno degli uomini più ricchi della Montagna pistoiese. Il mercato su cui operavano entrambe queste figure di spicco era quello fiorentino, come testimonia Batista di Marco nella sua portata al Catasto in cui dichiara di dover ricevere una certa quantità di denaro per la vendita di 2.000 lance da cavallo a Piero di Cintonio e ai suoi compagni lanciai49. Le informazioni forniteci da Piero d’Antonio ci confermano quindi nuovamente come la realtà pistoiese, per quanto concerne il commercio di armamenti semi lavorati con la città di Firenze, in questo periodo doveva essere florido.

Per concludere l’analisi sulla bottega del lanciaio Quattrocentesco, passiamo ora agli strumenti di lavoro50: «XXII barletti di legnio51; L segha a due mani, I segha da mano; 100 ghorbie di ferro52; 18 pialle et pialluccie; 2 ferri da sottigliare lancie; I schuffina53; I paio di tenaglie; I ancudine piccola di ferro; II succhielli, I succhielli54; II trespoli per ricciare lancie; I ascia di ferro».

Tali attrezzi non sorprendono molto essendo specifici per la fabbricazione di utensili lignei. Particolarmente interessante risultano essere le 100 sgorbie che con tutta probabilità, avevano forme differenti proprio per essere adatte a lavorazioni peculiari, come ad esempio le tarsie sulle lance da cavaliere sopra citate.

Dall’analisi di questo documento abbiamo quindi potuto comprendere come la professione di lanciaio nel Quattrocento indicava a Firenze un produttore e commerciante di armi in asta. La doppia attività di Piero d’Antonio però risulterà particolarmente utile per comprendere seppur parzialmente i cambiamenti semantici di tale professione nei periodi successivi, cosa che altrimenti sarebbe risultata difficoltosa.

L’Età Moderna: il cambiamento semantico della professione.

Per quanto riguarda il Cinquecento sfortunatamente non si è individuato un inventario di bottega o almeno i traffici completi di un lanciaio del periodo. È stato di conseguenza necessario rintracciare delle informazioni, seppur parziali, in altre tipologie di fonti, le quali potranno in una certa misura definire l’attività svolta da tale professionista in questo secolo.

Il primo documento individuato è una lettera scritta nel 1504 da parte del Capitano Antonio di Giacomino alla Signoria di Firenze «sull’impresa di Pisa». La città infatti dal 1503 stava ottenendo aiuti da parte del papa Alessandro VI Borgia al fine di rendersi autonoma nei confronti di Firenze. Le mire papali sui territori fiorentini si erano già manifestate due anni prima con la conquista del promontorio di Piombino e dell’Isola d’Elba. Nel 1504 a causa della morte del pontefice e delle avverse condizioni di salute del figlio, Cesare Borgia, Firenze organizzava un grande esercito con lo scopo di riprendersi definitivamente la città, evento che si potè realizzare solo nel 1509. In tale lettera il capitano Antonio Giacomino parla quindi delle spese per il reperimento di armamenti e, tra i vari produttori di armamenti citati, troviamo Bernardo lanciaio, confermandoci quindi come alla professione di lanciaio corrispondesse ancora la produzione di armi in asta (Fig. 7)55.

Nella seconda metà del secolo le cose sembrerebbero però mutate. Per la costruzione della fontana progettata dal Gianbologna che sarebbe stata posta nell’anfiteatro alle spalle di Palazzo Pitti, avveniva che nella primavera del 1576, «da un lanciaio al ponte vecchio venivano acquistate sedici stuoie, usate per turare le fiure della fontana che s’avevono a ritoccare in opera sul prato de’ Pitti»56. Tale informazione ci indica come venisse chiaramente identificato il lanciaio come colui che poteva vendere questo genere di articoli, ma sfortunatamente non ci chiarisce se vendesse anche armi in asta, svolgendo una doppia attività come Piero d’Antonio nel secolo precedente.

Un mutamento nelle categorie merceologiche vendute da questi professionisti sembrerebbe però ormai in atto, come ci viene confermato in un documento datato dicembre 1597, contenuto nel libro di entrate e uscite dell’Abate Alessandro Pucci, inerente la costruzione di un altare presso l’oratorio Pucci. Tra le varie spese troviamo citate «lire 11.7.8 al lanciaio del vescovado per 40 embrici, 4 gronde, 60 tevolini et 28 mezzane campigiane per chiesa nella cappella»57. Questa informazione incrementa ulteriormente i beni che potevano essere commercializzati sotto il nome di lanciaio, lasciandoci però sempre nell’incertezza che questi potesse svolgere più attività.

Per quanto concerne il Seicento è stato possibile individuare un piccolo libro di conti, custodito presso l’Archivio di Stato di Firenze, dal quale possiamo ricavare quali fossero i beni commercializzati da un lanciaio del periodo. Il documento riguardante le vendite fatte tra il 20 agosto 1635 e l’11 di marzo 1635 (anno fiorentino) di un commerciante con bottega a Leccio nel contado fiorentino, di nome Giovan Maria di Taddeo Ciosi58. Cosa particolare che apprendiamo dal testo è che il proprietario era iscritto nell’Arte dei Medici e Speziali di Firenze59. Scorrendo poi le pagine del volume possiamo constatare che le categorie merceologiche da lei vendute potevano suddividersi tra: vino60, alimenti vari61, legumi e farine62, olio63, tessuti64 ed utensili vari65. Questo prezioso documento ci indica conseguentemente che a questa altezza cronologica con il termine lanciaio poteva indicarsi un venditore che non necessariamente dovesse produrre armi in asta e che anzi in primo luogo si occupava di alimenti, utensili e tessuti.

Tale professione però, almeno per il momento, aveva ancora una doppia connotazione. Da uno studio della metà del XVII secolo ad opera dell’accademico della Crusca Candido, ovvero Leopoldo de’ Medici, troviamo citato un documento nel quale un artigiano dichiara: «Io maestro Piero di Michele Berti Lanciaio della Cavallerizza di Sua Altezza Serenissima Servitore Attuario scrivo il modo di tener Bottegha per far lancie e manipolazioni di altre cose per far feste»66. Tale documento ci indica con chiarezza che ancora in questo periodo la professione del lanciaio poteva ancora indicare un produttore di armi in asta, essendo queste ancora in uso non solo in guerra. La cavallerizza era infatti un luogo di notevole estensione, dove venivano svolte varie esercitazioni equestri e dimostrazioni di abilità nell’equitazione e nell’uso della lancia da parte dei cavalieri. Essa era collocata dal 1528-1530 per volontà di Lorenzo de Medici, futuro duca d’Urbino, all’interno delle mura cittadine nei pressi del complesso di San Marco assieme alle Stalle medicee67. Gli edifici e la cavallerizza continuano ad essere utilizzati ed ampliati anche sotto il granducato lorenese, mantenendo la loro importanza capitale per l’addestramento del cavaliere68. Tale struttura oggi non è più visibile a causa della sua distruzione nel 1913, per lasciare il posto ad alcuni edifici dell’Università di Firenze69. È infine da sottolineare che nel documento il lanciaio asserisce di far cose per le «feste» indicando un’attività equestre che poteva riferirsi ad una giostra o una caccia o altre dimostrazioni pubbliche di abilità con il cavallo70.

Da queste due importanti testimonianze abbiamo quindi potuto constatare come nel Seicento si sia verificata una netta scissione di significato della stessa parola per indicare attività lavorative totalmente differenti. Il lanciaio continua quindi ad essere il produttore e venditore di armi ma dall’altro lato poteva essere un mercante iscritto all’Arte dei Medici e Spaziali che si occupa di alimenti ed altri articoli vari.

Per quanto riguarda il Settecento fortunatamente abbiamo a disposizione due inventari di bottega che ben ci delineano quale dovesse essere l’attività svolta dal lanciaio fiorentino. Il primo è quello di Lorenzo di Domenico Castelli, il quale fa scrivere il proprio testamento nel 1704, dato che come ci riferisce il notaio preposto alla scrittura di questo atto, «che li nostri giorni sono brevissimi, e passano come l’ombra, e bene spesso la veemenza dell’infermità corporale cui volge la mente dal sentiero della ragione di maniera che qualche volta l’uomo non può dispore, ò  provedere non solo delle cose temporali, ma ne anche a se steso, e all’anima sua; Onde conviene a d’ogni uomo star vigilante, a fine che quando venga il giorno, e l’ora della morte la quale noi non possiamo sapere lo trovi d’aver proveduto alla salute dell’anima e la disposizione de beni temporali»71. Lorenzo di Domenico era proprietario di tre botteghe a Firenze: da fornaio, da bicchieraio e stovigliaio e da lanciaio. La prima attività si trovava nella Piazza del Grano ed era stata data in gestione a terzi72. Stessa cosa vale per la gestione e la collocazione della seconda bottega, entro la quale venivano venduti prodotti di vario genere e qualità73: maioliche e ceramiche da Savona, Montelupo e Pontormo, o tegami senesi74; tutta una serie di prodotti vitrei come caraffe, tazze da conserva, campane, boccette, candelieri da feste, calamai o «bicchieri di mezzo cristallo»75; o ancora una serie di recipienti per gli usi più disparati come «vasi da mostra da speziali», «padelle da ammalati», bacili da barba, sputacchiere di Siena76. La bottega di lanciaio si collocava invece sotto la volta dell’Arcivescovado e come possiamo chiaramente verificare mediante l’inventario dei suoi beni, tale mestiere si identificava con vendita di prodotti afferenti al settore dei filati77. Cosi troviamo: fustagni colorati, canovacci colorati, stoppe di filaticci e accia colorati, tela turchina, rigatini di lino78; fiammati di bambagia ripieni di canapa, nastri di filaticcio di più colori, nastri di seta da drappi di più colori, dammasco rosso cremisi da carrozza79; indiano di Persia, tela sangalla stampata, panno di canapa, panno lino di Prato80; accia di stoppa di canapa da bisaccie, spago da lettere81; una veste da camera d’indiana di Persia grande da uomo, passamani vellutati rossi cremisi82.

La seconda bottega riguarda un «Inventario e stima fatta di tutte le mercanzie e masserizie trovate nel negozio di lanciaio e merciaio posto in Calimara (Calimala) Amministrato dal signor Benedetto Paoletti per interesse delle signore Teresa e Lucrezia Dei, come erede del signor Cosimo Dei lor padre; fatto da me Gaetano Conti infrascritto, in ordine al decreto del Magistrato dell’Arte de Linaioli. 22 di marzo 1747»83. Tale incipit ci rende quindi consapevoli che il mestiere di lanciaio a questa altezza cronologica, era “migrato” sotto l’Arte dei Linaioli, confermandoci come a tale professione afferissero in special modo i venditori di tessuti. Il volume che raccoglie le mercanzie di Cosimo Dei è suddiviso per lettere e ci elenca una grande quantità di oggetti molto vari. Troviamo ovviamente molti tessuti anche di grande pregio, i cosiddetti «indiani» ma anche passamanerie, calze, bottoni, e tutto ciò che occorreva per confezionare vesti, corpetti («osso di balena») e cappelli. Vi sono poi utensili da cucina come padelle, forchettoni e mestoli, o altri per usi i più disparati come luminelle, lime, trincetti, spazzolini, pennelli da imbianchino, fino ad arrivare alle corde per una cetra e ad una «tromba d’ottone da guerra»84.

Questi due preziosi documenti ci permettono quindi di affermare, con una discreta certezza, che nel Settecento alla professione di lanciaio era associato il significato di venditore di tessuti, benché ancora i prodotti da loro commercializzati rimanessero molto vari.

A conclusione di questa analisi inerente la professione del lanciaio nel Rinascimento e del suo cambiamento semantico nel corso dei secoli, possiamo ancora valutare cosa alcuni vocabolari della metà del XIX secolo intendessero con tale termine. Così secondo il Prontuario di vocaboli attenenti a parecchie arti, ad alcuni mestieri, a cose domestiche, e altre di uso comune, stampato a Napoli, troviamo: «Lanciaio o ferravecchi, cioè venditor di sferre»85, dove con il termine «sferre» ci si riferisce ad un ferro rotto o vecchio86. A Firenze, invece per il Vocabolario italiano della lingua parlata compilata: «Dicesi di Colui che vende istrumenti propri di certi mestieri, come lesine, trincetti, lime, ed anche coltelli, forchette ecc», e sul finire della descrizione asserisce che «è voce che tende a uscir dell’uso»87. Infine il Vocabolario degli Accademici della Crusca, per la prima volta nella sua V edizione inseriva il termine lanciaio, indicandone come significato: “Fabbricante o venditore di lance”, inoltre «È anche nome a colui che si diede in Firenze a Chi vendeva ogni sorta di ferramenti e ottomani, ed altresì certi oggetti che servono ai tappezzieri ed ai paratori»88. Come possiamo constatare il mestiere del lanciaio non riusciva ancora a definire una specifica professione, vista la varietà merceologica che lo caratterizza dal Quattrocento all’Ottocento.

Questa analisi ha quindi mostrato come con il termine lanciaio, nel corso dei secoli, si potessero intendere professioni assolutamente differenti, sicuramente per quanto riguarda il caso Fiorentino ed altresì afferenti ad associazioni di mestieri totalmente diverse: dai Legnaioli, ai Medici e Speziali fino ad arrivare ai Linaioli. Gli inventari di bottega, oltre a confermarsi come utili mezzi tramite i quali ricavare preziose informazioni riguardanti oggetti afferenti alle arti applicate, risultano essere fonti essenziali per lo studio sia della terminologia in uso in un determinato periodo storico, sia per comprendere concretamente in cosa consistesse una determinata attività lavorativa e come si sia modificata nel trascorrere dei secoli.

  1. Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166, c.4r. []
  2. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166, cc.4r-4v. []
  3. ASFi, Campioni delle portate al Catasto, 81, cc.356v-357r. []
  4. ASFi, Arte dei Legnaiuoli, 4, c.6r. «Questi sono li Statuti dell’Arte e università de legnaioli grossi, Cassettai, Chofanai, Bottai e barlettai della città e distretto di Firenze e di qualunque altro s’aspettasse e partenesse a detta arte, overo per vighore delli infrascritti statuti o d’alchuno di quelli sotto detta arte e suoi consoli tenuti di giurare e di promettere, cioè venditori di legname e acconciatori di legname con ferro e venditori di lastre e facitori o venditori di chofani, forzieri, forzerini, casse, scrigni, lettiere, tavole, deschi, banche, arche, madie, selle da bestie, pale di legno, rastrelli da mondar grano, archi da battere, telai, gramole, asserelli, vanghini, botte, tini, bighonce, barili, cerchi, pavere e simile chose d’alchuna di dette cose e chi segha detti legnami chon seghe grosse a telaio e chi tira detti legnami chon buoi e chi di dette chose o d’alchuna di quelle facesse compra o vendita acconcime o facitura havendo e tenendo bottegha o luogho in città borgi (borghi) o sottoborghi o contado di Firenze». []
  5. Nel Capitolo 91, intitolato «Delle cose che possono tenere et fare quegli di questa arte», troviamo tra i vari manufatti: «lance, spiedi, mannaie ronconi vecchi, ferri di lance». ASFi, Arte dei Chiavaiuoli, Ferraioli e Calderai, 2, c.26r. []
  6. ASFi, Arte dei Legnaioli, 4, c.21v. []
  7. ASFi, Arte dei Legnaioli, 4, c.6r, Taccio di Giovanni balestriere. []
  8. ASFi, Arte dei Legnaioli, 6. []
  9. ASFi, Arte dei Legnaioli, 6, c.253v. []
  10. Dallo spoglio completo di tutte le portate al Catasto non è stata individuata alcuna persona che dichiarasse di svolgere tale attività. []
  11. L. Osio, Documenti diplomatici tratti dagli archivi milanesi, Milano 1872, doc. CCCXXXV, II/464. []
  12. M. Troso, Le armi in asta delle fanterie europee (1000-1500), Novara 1988, pp. 65-66. Per maggiori informazioni in merito all’organizzazione dell’esercito del periodo si rimanda M. E. Mallett – W. Caferro, Mercenaries and their Masters: Warfare in Renaissance Italy, Londra 1974; M. E. Mallett, Preparation for war in Florence and Venice in late fifteenth century: Comparison and Relations, Firenze 1979. []
  13. M. Troso, Le armi in asta…, 1988, p.67. []
  14. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 49, cc.250r-251r. []
  15. Recipiente utilizzato principalmente in viticoltura. []
  16. Tipologia di catino. []
  17. Detto anche stidione o schidione, era un lungo spiedo nel quale venivano infilate le carni da arrostire. []
  18. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 49, cc.250r-251r. []
  19. Uncini specifici per assolvere ad una determinata operazione. []
  20. Setacci di varie dimensioni. []
  21. U. Benzi, Tractato utilissimo circa la conservatione de la sanitade composto per il clarissimo et excellentissimo philosofo e doctore di medcina Messer Ugo Benzo di Siena, Milano 1481, p. 35. []
  22. E. Carnevale Schianca, La cucina medievale. Lessico, storia, preparazione, Firenze 2011, pp. 330-332. []
  23. E. Carnevale Schianca, La cucina medievale…, 2011, p. 402. []
  24. E. Carnevale Schianca, La cucina medievale…, 2011, p.273. []
  25. E. Carnevale Schianca, La cucina medievale…, 2011, p.271. []
  26. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166: Agniolo di messer Palla degli Strozzi, Lorenzo messer Palla degli Strozzi, c.11r; Berto di Bonifazio Peruzi, c.13r; Bernardo di Tommaso di Soldo degli Strozzi, 14v; Girolamo di Bernardo de Bardi, c.15r; Rinieri di Nicholo Peruzi, Lionardo di Bartolomeo de Bardi, c.15v; Pagholo Rucellai, Francescho Rucellai, c.17r; Agniolo Fratello di Ripriano Spinelli, Giusefo di Mariano degl’Obizi, Bonachorso Pitti, Dardano di Michele Aciaiuoli, c.14v. []
  27. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166: Massere Giovanni abate della badia di Ripoli, Messere Iachopo di Chele piovano di Chiareto, Chonvento delle monache di Montergli fuor della porta di San Piero Lotolini, c.10r; Le monache del monastero di san Donato in Polveno, Frate Alissandro di Nicholo churatore del chonvento, Messere Rinaldo abate, Messere Zanobi abate di Monte Picholai, Frate Antonio di Giovanni, L’Opera di Santo Giovanni Batista, c.10v; Messere Antonio piovano della pieve dell’Antella, c.11r; Messer Nicholo Gianfigliazi abate della badia di Perignano, Frate Bartolomeo di Lionardo churatore de frati di santa Maria Novella, c.11v; Frate Giovanni Cristofani abate della badia a Buonsollezo, Le dame del munestero fuori della porta a Banfiano, c.12r; Messer Benizo Federichi veschovo di Fiesole, Messere Giovanni piovano della pieve a Remole, c.12v; Prete Tomaso di Bertellescho rettore di Santo Stefano, c.13r; Ser Giovanni prete della chiesa di san Piero Ghattolini, c.13v; Monastero di Santa Felicita, c.14v; Chosimo di Marino prete, c.15r; Monache del Monastero di Sanpiero, Messer Bernardo chanonacho a Santa Riparata, 16r; Ser Pagholo priete a San Piero Ghettolini, Ser Bernardo cappellano delle monache di Santa Maria, c.16v; Bonardo d’Antonio Monacho, c.17r. []
  28. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166,: Iachopo di Giovanni chuocho di nostri Signori, Lucha di Iachopo fornaciaio di santa Maria in pianeta, c.11r; Rosa chuocha, c.12r; Neri di Giovanni chuocho, Antonio Nicholaio chuocho, c.13v; Mariano chuocho sta a Panicho, c.14r; Minuto di Christofano chuocho, c.14v; Nanni di Barnaba chuochi, Spinello chuocho, Papi chuocho, c.15r; Antonio di Nicholo chuocho, c.15v; Lapo di Giovanni chuocho, Amato di Stinchele chuocho, Bartolomeo di Giovanni chuocho, Giovanni di Piero chuocho a Panicho, c.16v. []
  29. ASFi, Magistrato dei Pupilli avanti il Principato, 49, cc.250r-251r. []
  30. Tipologia di lancia specifica per l’uso a cavallo, probabilmente con una cuspide corta, molto acuminata e a forma di foglia con una costolonatura nella parte mediana. Per questa tipologia di lancia da guerra era preferibile un’asta robusta ad esempio in frassino. C. De Vita, Armi bianche dal Medioevo all’Età Moderna, Firenze 1983, p. 28. []
  31. Si riferisce alla lancia cortese, l’arma in asta utilizzata nel gioco guerresco a cavallo, caratterizzata da una lunghezza di oltre 4,00 metri ed il corpo centrale cavo, al fine di alleggerirla e renderla maggiormente fragile; nella parte terminale era montato un rocchio in metallo. Ibidem. []
  32. Questa tipologia potrebbe riferirsi al cosiddetto spiedo da guerra, un’arma caratterizzata da un ferro a quadrello molto acuminato, in uso almeno fino al Cinquecento. C. De Vita, Armi bianche…, 1983, p. 30. []
  33. Tipologia di spiedo con una lama lunga e larga, avente due arresti all’altezza della gorbia (punto in cui l’elemento metallico viene inastato a quello ligneo), in uso fino alla metà del Quattrocento. Ibidem. []
  34. In questo caso potrebbe riferirsi alla lanzalonga, una lancia di lunghezza variabile tra i 4 ed i 7 metri, utilizzata nel XV secolo come arma per cavalieri appiedati in combattimenti in campo chiuso o alla barriera. C. De Vita, Armi bianche…, 1983, p. 28. []
  35. L’unica fastella citata nel testo indicante una quantità è composta da 20 elementi; possiamo ipotizzare quindi che in questo caso siano dunque 40 lance. []
  36. Potrebbe riferirsi alla cosidetta scure d’arme, caratterizzata da un brocco, ovvero una punta acuminata, nella parte superiore e montata su di un corto manico. Solitamente veniva appesa alla sella del cavallo. C. De Vita, Armi bianche…, 1983, p. 26. []
  37. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 49, cc.250r-251r. []
  38. Il braccio era all’incirca di 60 cm, per cui la lunghezza totale doveva essere di 3,60 metri. []
  39. Approssimativamente tra i 2,40-3,00 metri. []
  40. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 49, cc.250r-251r. []
  41. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166: La Chamera dell’Arme del Chomune di Firenze, c.10v, Antonio d’Asti alla Chamera dell’Arme, c.16v; E deci della Balia del Chomune di Firenze, c.11v; E dieci di Balia del Chomune di Firenze, c.12r, E dieci di Balia del Chomune di Firenze, Agnolo di Bartolo sta cho dieci di Balia, c.14r; Chapitani della parte guelfa, c.15r; Messer lo Podesta di Firenze, c.15v. []
  42. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166: Ridolfo degli Oddi da Perugia soldato, Fornarino di Difo da Bibiena soldato a chavallo, Antonio di Naldino da Sinalungha soldato, Nanni d’Andrea da Chesano soldato del chomune, c.11v; Bartolomeo del Ghualdo soldato a chavallo, c.12r; Cristofano di Dellanello soldato, Taliano soldato a chavallo, c.12v; Giovanni Bindi soldato a chavallo, c.13v; Antonio Divennerdi soldato, Naldo del Pennacchio soldato, 16r. []
  43. M. Troso, Le armi in asta…, 1988, pp. 21-23. []
  44. M. Troso, Le armi in asta…, 1988, p. 74. []
  45. Lo studio delle armi in asta, come detto, non ha mai riscontrato un grande successo tra gli studiosi di armi bianche. Tra le opere che maggiormente hanno contribuito allo sviluppo delle nostre conoscenze in merito, oltre ai cataloghi delle armerie dei musei, citiamo: J. Hewitt, Ancient Armour and Weapons, Oxford-Londra 1860; A. Demmin, An illustrated History of Arms and Armour from the earliest period to the present time, Londra 1877; C. H. Ashdown, British and Continental Arms and Armour, Londra 1909; D. Bashford, On American Polearms, Especially Those in the Metropolitan Museum of Art, Metropolitan Museum Studies, New York 1928, pp.32-48; L.G. Boccia, L’armamento quattrocentesco nell’iconografia toscana, in Civiltà delle Arti Minori in Toscana, atti del convegno di Arezzo 1971, Firenze 1973. Tra i pochi contributi specifici sull’argomento: L. G. Boccia, Nove secoli d’armi da caccia, Firenze 1967; C. P. Enlart, Les Armes d’hast de l’homme à pied, in «Gazette des Armes», 4, (1976), pp.31-41; N. Monelli, Roncole e Pennati, Firenze 1977; senza dimenticare ovviamente i preziosi contributi dello studioso che possiamo ritenere il massimo esperto sull’argomento, ovvero Mario Troso, autore oltre a Le armi in asta delle fanterie europee (1000-1500), anche dell’incredibile studio Alla ricerca del dardo, mistero e fascino di una antica arma da lancio, Mariano del Friuli 2014, inerente una particolare tipologia di arma in asta presente sui campi di battaglia dall’antichità sino alla prima età moderna, della quale era però andata perduta quasi totalmente la conoscenza, se non fosse stato per le innumerevoli rappresentazioni raccolte ed analizzate nel volume. []
  46. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 49, c.251r, Potrebbe riferirsi alla mazza ferrata, un’arma avente un corpo in legno e la parte superiore appesantita e rinforzata in metallo con vari spuntoni. C. De Vita, Armi bianche…, 1983, p. 25. []
  47. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 166, Iachopo di Rato d’Allenzano della Montagna di Pistoia, c.10r; Nicholaio del maestro Piero delle montagne di Pistoia, c.11r; Bicho de Toni lanciaio da Chutigliano (contado di Pistoia) c.11v; Maso di Maffeo fabbro di Pistoia, c. 17v. []
  48. D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo e nel Rinascimento, 1200-1430, Firenze 1972, p. 199. []
  49. D. Herlihy, Pistoia nel Medioevo…, 1972, p. 200. []
  50. ASFi, Magistrato dei pupilli avanti il Principato, 49, cc.250r-251r. []
  51. Tipologie di morse. []
  52. Scalpello con lama metallica sagomata in diverse fogge, per specifici compiti. []
  53. Lima piatta. []
  54. Strumento atto alla perforazione. []
  55. Archivio storico italiano, Nuova serie, vol. XV, Firenze 1851, p. 285. []
  56. G. Capecchi – M. G. Marzi – V. Saladino, I granduchi di Toscana e l’antico, acquisti restauri, allestimenti, Firenze 2008, pp. 66-67. []
  57. M. C. Fabbri, La sistemazione seicentesca dell’oratorio di San Sebastiano, in «Rivista d’Arte», XXXXIV, (1992), p.121. []
  58. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475, c.16r. []
  59. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475, c.5v. «A di 13 dicembre 1635 – Noi Arte de Medici e Speziali della città di Firenze haviamo ricevuto da Gio Maria di Taddei Ciosi soldi sei di acconto di sua matricola». []
  60. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475: Vino biancho, vino pavese, vino di valle, c.1r; vino di montagna, c.22r; vino di Firenze, c.39v. []
  61. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475: Cacio, pane, salsicciotti, c.1r; sale, caviale e acciughe, c.11r; capponi, 40v. []
  62. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475: Vecciato, grano, fagioli, cicerchie, fave, c.5r; segale, c.14v; miglio, c.37r; farina, c.27v; grano, c.39r. []
  63. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475, c.15v. []
  64. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475: Accia e lana avuta dalla fiera dell’Inpruneta a lire quattro la canna, c.18r; braccia sette di panno linio, c.35r; braccia sette di acciai lana, c.35v. []
  65. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1475: chiodi, pale, corbelli (recipiente), c.11v. Baletta di penne, cinque a balla, c.36v. []
  66. A. Ventigenovi, Il monottongamento di uo a Firenze, in «Studi Linguistici italiani», XIX, (1993), 2, pp. 194-196. []
  67. E. Ferretti, La Sapienza di Niccolò da Uzzano e le stalle di Lorenzo de Medici, in La Sapienza a Firenze. L’università e l’Istituto Geografico Militare a San Marco, A Belluzzi – E. Ferretti (a. c. di), Firenze 2009, p. 31. []
  68. D. Turrini, Le imperiali Scuderie di San Marco. Il quadrilatero e gli interventi lorenesi tardo settecenteschi, in La Sapienza a Firenze. L’università e l’Istituto Geografico Militare a San Marco, A Belluzzi – E. Ferretti (a. c. di), Firenze 2009, p. 149. []
  69. E. Ferretti, La Sapienza di Niccolò da Uzzano: l’istituzione e le sue tracce architettoniche nella Firenze Rinascimentale, in «Annali di Storia di Firenze, IV (2009), p. 116. []
  70. «Propriamente giuoco, o festa, rappresentata pubblicamente, come giostre, cacce, e simili». Vocabolario degli accademici della Crusca, I edizione, Firenze 1612, p. 832. []
  71. ASFi, Libri di Commercio e di famiglia, 1256, p.2. (Vengono indicate le pagine e non le carte essendo numerato come libro). []
  72. ASFi, Libri di Commercio e di famiglia, 1256, p.15. []
  73. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, p.32. []
  74. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, pp.32-33. []
  75. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, pp.34-35. []
  76. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, pp.33, 36. []
  77. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, p.97. []
  78. Ibidem. []
  79. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, p.98. []
  80. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, p.99. []
  81. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, p.100. []
  82. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1256, p.101. []
  83. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1692, I pagina. Il volume non ha numerazione delle pagine, segue l’ordine indicato dalle lettere a cui corrispondono le iniziali dei beni elencati. []
  84. ASFi, Libri di Commercio e di Famiglia, 1692. A: accia di lino, arpioncini ed anellini, aghi quadrelli, anchudine e martellino da punta; B: bottoni, bullette, banbagia, bande stagnate; C: calze da vino di panno lino, calze di bambagia, cordoncini di seta, corde da citara d’ottone (cetra), cera gialla, colla gialla; D: drappo colorato, dobletto in scampoli; F: fustagni, federe, frange di bambagia, forbice, forbicine, forchettone d’ottone da Milano; G: gangheri e gangherelle di ferro; I: indiane colorate; L: luminelli d’ottone, lime, lino filato, lana cipriota; M: mestole; N: nastri a bastoncini, d’accia colorata di Francia; O: oncini di ferro da conficcare, osso di balena di rifiuto, ottone in banda e in rottami; P: panni, passamano di seta, piombo, padelle nere, pennelli da imbianchino, palloncini di resina; S: saia all’inglese, spazzole da panni, stagno in verghe, spago, solette d’accia, seta da cucire di più colori, spazzolini di canna; T: tele aquilone colorate, trincetti, tondi di tela da cappelli, tromba d’ottone da guerra. []
  85. Prontuario di vocaboli attenenti a parecchie arti, ad alcuni mestieri, a cose domestiche, e altre di uso comune, Napoli 1854, p.8. []
  86. Vocabolario degli accademici della Crusca, I edizione, Firenze, 1612, p.793. []
  87. Appendice al vocabolario italiano della lingua parlata compilata per Giuseppe Riguttini, Firenze 1876. p.86. []
  88. Vocabolario degli accademici della Crusca, V edizione, vol. 9, Firenze 1863, p.60. []