Francina Chiara

francina.chiara@gmail.com

Una aumônière della Cattedrale di Como*

DOI: 10.7431/RIV17022018

Introduzione

Il tesoro della Cattedrale di Como conserva un oggetto d’importanza particolare per la storia dell’arte orafa rinascimentale e del culto locale: si tratta di un’urna in argento sbalzato, eseguita da Gasparo Molo da Breglia nel 15861, commissionata dal vescovo Giovan Antonio Volpi per raccogliere le reliquie del tempio cittadino,

Nel 2009 la cassa è stata aperta ed ispezionata, rivelando al suo interno, tra altri reperti,  una borsa (Fig. 1) confezionata con stoffe di natura differente; la parte anteriore (Fig. 2) è un tessuto a fine arazzo caratterizzato da scene del mondo cortese e realizzato con filati a più colori compreso oro e argento, mentre il retro del manufatto (Fig. 3) esibisce un taffetas unito rosaceo sotto cui s’intravede una fodera di tela grossolana nocciola. Il reperto, preservatosi in buone condizioni nell’ambiente protetto dell’urna, ha forma trapezoidale con bordo superiore arrotondato e misura all’incirca cm. 35 di base per un’altezza  massima di 32,5. È dotato di una pattella  che nasconde l’accesso circolare, a sua volta rinforzato da un anello rigido e contrassegnato da un lembo di stoffa di sicurezza che si chiude grazie a stringhe munite di bottoni.  Sollevando la pattella si accede a una serie di stemmi, a sinistra e a destra dell’invito. (Fig. 4)

Lungo il perimetro della parte inferiore della borsa e della pattella sono cucite delle nappe a pon-pon, mentre un gancio smaltato è posizionato al centro dell’arco descritto dalla  sommità dell’oggetto. La sua fattura è ulteriormente impreziosita dalla ribattuta in filato metallico che corre lungo il bordo; insieme all’impiego di fili sottili, che hanno conservato colore e lucentezza, questi dettagli costruttivi concorrono a definire l’alta qualità del manufatto. Le analisi condotte dalla Stazione Sperimentale per la Seta di Milano hanno confermato che l’intreccio ad arazzo del manufatto è allestito con lino per l’ordito, seta e  metallo filato membranaceo – con avvolgimento della lamella su anima di lino – per la trama2. Le riduzioni al centimetro dell’ordito e della trama dell’arazzo sono rispettivamente di 15/16 fili e 76/84 trame.

L’uso delle aumônières

Il manufatto rinvenuto nell’urna Volpi si può definire un’aumôniere, denominazione tratta da fonti medievali cui la critica ha proposto di associare in generale una sacca riccamente decorata di stoffa o di pelle, usata in ambito aristocratico da entrambi i sessi a partire dal XII secolo3. (Fig. 5) Nel Medioevo la pratica dello scambio di doni nuziali tra la coppia riguardava anche le borse4 e tale costume giustifica la loro ricorrente iconografia tratta dagli intrecci amorosi della letteratura cortese. Esse venivano indossate alla cintura, ai lati o al centro della vita, per mezzo di cordoni o ganci metallici, come testimoniano numerose referenze visive ed accade nel reperto comasco ornato da un raffinato fermaglio. (Fig. 6)

Il termine aumônière rimanda alla originaria funzione di portamonete per l’elemosina, ma il contenuto delle borse poteva ampliarsi ad effetti personali di piccole dimensioni quali chiavi, spille, lavagnette da scrittura o medicinali. Nella letteratura medievale comica e triviale compare anche bourse che, secondo Jane Burns, potrebbe designare un portamonete di fattura più semplice destinato a contadini, mercanti e persone implicate nel commercio5.

Fare chiarezza sul lessico non è tuttavia facile: nelle fonti, siano esse giuridiche o letterarie, accanto all’uso di aumônière e bourse, si trovano infatti anche aloière, bouges, bougettes, tassette o tasse, gibecière o escarcelle. Tale raffinata distinzione si può rinvenire in un testo di Charles de Linas del 18626; dieci anni dopo Léon de Laborde cercava di sintetizzare la tassonomia, proponendo una divisione in due categorie: il portamonete (aumosnière/escharcelle, con la sottile differenza tra il gesto del dare associato alla prima e quello del conservare connesso alla seconda), e il contenitore di effetti personali (l’allouyère/bourse/gibecière)7. Nel 1887 Forestié liquiderà la questione, sostenendo che nella lingua medievale bourse aumônière e escarcelle sarebbero stati sinonimi per indicare una sorta di moda universale riguardante «toutes les conditions, les hommes et les femmes, les veillards comme les enfants, les clercs comme les laics»8.

Tra la letteratura medievale, ricca di citazioni di difficile interpretazione e la copiosa storiografia contemporanea, sovente ripetitiva nei contenuti peraltro piuttosto generici, la temperie culturale ottocentesca di riscoperta del Medioevo e di applicazione del metodo archeologico alla storia ha regalato, oltre ai testi già citati, alcuni preziosi dizionari che hanno avuto il pregio di analizzare reperti sopravvissuti. Particolarmente significativo per lo studio della borsa comasca è il glossario di Viollet-le-Duc, che correda la voce aumônière di illustrazioni sull’uso, sulla fattura e descrive tre item del tesoro della cattedrale di Troyes9.

Le affinità tra gli oggetti di Troyes, appartenuti ai conti di Champagne, e quello lariano sono parecchie;  l’aumônière detta «di Henry le Libéral»10 (Fig. 7) presenta una confezione analoga per dimensioni, formato trapeizodale  e finiture di ghiande di passamaneria e bottoni. Secondo il pensiero di Viollet-le-Duc la forma e la fermatura sono criteri di attribuzione cronologica: la silhouette a trapezio e l’assenza di chiusure metalliche, qualità  riscontrabili nell’item comasco, si situerebbero tra la fine del  XII e il XIV secolo11.

Tra i temi del dibattito sulle borse medievali, accanto a quello appena esplorato della diversità tipologiche, riveste una particolare rilevanza la questione dell’uso in riferimento alle crociate e, più in generale, al fenomeno dei pellegrinaggi. Già puntualizzato da de Laborde, che aveva collegato la nascita della corporazione parigina dei «Faiseuses d’aumônières sarrasinoises» sul finire del Duecento alla domanda di sacche da parte dei  crociati12, la letteratura ottocentesca e la successiva hanno ripreso l’argomento, ponendo l’accento sul fascino esercitato dal costume mediorientale nell’equipaggiamento dei crociati e sul ruolo da loro svolto nella diffusione delle borse in altri contesti sociali13.  O ancora, a rinsaldare il binomio borsa pellegrinaggio, colpisce la similitudine, pur nella differenza di dimensioni e materiali,  tra aumônières e souvenirs  metallici porta-reliquie, probabilmente gettati da viandanti riconoscenti per il ritorno dal viaggio insidioso in Terra Santa e rinvenuti in scavi presso il Tamigi14.

La consuetudine di allocare le reliquie in borse sia di metallo che di tessuto, di cui parla il canonico Reusans nella seconda metà dell’Ottocento15, era in ogni caso più antica, come dimostrano alcune opere di oreficeria in collezioni museali16; il perpetuarsi di questo costume è testimoniato poi dall’abbondante corpus di sacchetti in tessuto disperso tra chiese e conventi europei17.  È importante sottolineare la relazione tra borse e reliquie perché essa spiega la ragione del ritrovamento dell’aumônière comasca all’interno di uno scrigno reliquiario, nonché il suo stesso utilizzo per accogliere sacri resti, come si desume da un documento del 1586 negli archivi della Diocesi lariana. Si tratta dell’inventario delle reliquie redatto in occasione della loro  raccolta nell’urna d’argento cui si è accennato in avvio di saggio; l’elenco registra « […] reliquie undecimi mille virginum, et sancti Fran.ci cum sacculo ubi sunt varie reliquie sine inscriptione […] »18. La natura profana e il tema amoroso del programma iconografico dell’aumônière comasca inducono però a pensare che, in origine,  essa dovette essere concepita come omaggio sponsale,  trasformandosi soltanto successivamente in involto, secondo una “rifunzionalizzazione”  perfettamente riconducibile, a più livelli, alla mentalità medievale.

Tornando al’atto notarile del 1586,  l’associazione  tra il «sacculo»  e  le reliquie delle undicimila vergini19 costituisce un primo indizio per un’ambientazione fiamminga della fattura della borsa, supportata dalla scoperta di una stringente analogia tra il reperto lariano e un sacchetto di reliquie, di cui si discuterà a breve, conservato a Saint Trond presso il Provinciaal Museum20.

Nel panorama delle aumônières conosciute l’oggetto lariano è un unicum, sommando  integrità, tessitura ad arazzo (Fig. 8) e decoro figurato; quelle note di Xanten, Cluny, Troyes, Tongres, pur caratterizzate da  rappresentazioni attinte dallo stesso mondo cavalleresco della borsa di Como, sono ricamate o in tessuto operato21; alcuni frammenti di un’aumônière in arazzo si trovano dispersi tra le collezioni del Schnϋtgenmuseums  di Cologna e il Cleveland Museum of Art22, mostrando tuttavia un ‘iconografia a stemmi che, insieme alla geometria, era piuttosto frequente nelle borse in generale. L’eccezionalità del manufatto lariano attiene inoltre anche alla storia della tessitura ad arazzo, che è stata monopolizzata dai grandi pezzi istoriati per arredamento sacro e profano,  penalizzando invece gli studi diacronici su questa peculiare tecnica, con l’eccezione dei tessuti copti ampiamente diffusi in collezioni private e pubbliche.

Come si vedrà nel prossimo paragrafo, l’esistenza del reperto comasco rimette dunque in moto la discussione relativa alla tipologia, la circolazione e la trasformazione della tessitura ad arazzo in Europa.

Per una attribuzione del luogo di produzione del manufatto comasco: tecniche e materiali

Assegnare un luogo di produzione alle aumônières è un nodo critico complesso: il Livre des Métiers d’Etienne Boileau, scritto nella seconda metà del XIII secolo, ci rende edotti dell’esistenza a Parigi di una corporazione di «Faiseuses d’aumônières sarrasinoises»23  e rappresenta il fondamento delle ricorrenti attribuzioni di borse a manifattura parigina.  Tuttavia sulla questione gravano ancora molti dubbi, che nascono dalla difficoltà di collegare il linguaggio delle fonti alla realtà storica; la lettura dei regolamenti non consente infatti un’ interpretazione univoca rispetto a materiali e forma. Basti pensare che nell’edizione ottocentesca curata da Depping, ad esempio, i commenti critici parlano di tecnica del ricamo, liquidando l’aggettivo «sarrasinoises» nella generica derivazione delle borse europee da quelle medio-orientali, direttamente conosciute attraverso le crociate24.

Benché numerosi studiosi successivi al Depping abbiano indugiato sul significato di «sarrasinoises» – che ricorre in taluni documenti anche accanto ai termini «tapis» e «tapissiers» – su questo versante si è lontani da un’opinione condivisa. Ad oggi il dibattito è tutt’altro che concluso25: spigolando tra le differenti voci si trova chi afferma che si tratterebbe di una peculiare tipologia d’arazzo caratterizzata dall’impiego di filati di seta e di metallo – come accade nell’oggetto comasco – importata in Europa da tessitori arabi e diffusa da costoro nel Nord Europa.  A riprova di questo assunto vengono citati documenti finanziari e inventariali che registrano la presenza di tessitori saraceni a Parigi e nei suoi dintorni, così come nelle Fiandre26. La partenza in questa area dell’arazzo sarebbe stata concomitante con la crisi della draperie maturata agli inizi del XIV secolo e, secondo la letteratura più influente – alla ricerca delle origini dei grandi pezzi d’arredamento – spetterebbero ad Arras sia l’avvio della produzione, affermatasi in seguito anche a Douai, Tournai, Lille, Bruges, Bruxelles, che il vanto di una specializzazione legata ai fili metallici27. È però da sottolineare come il discorso dell’anticipo di uno o dell’altro centro sia di scarsa rilevanza, poiché le affermazioni a favore di Arras si basano sulla cronologia delle uniche fonti documentali sopravvissute che parlano di questa tecnica in un contesto di difficile interpretazione28. L’esistenza di tessuti ad arazzo di piccole dimensioni che si sono preservati supporta poi ragionevolmente la considerazione che il circuito produttivo potesse includere altri attori, quali ad esempio i monasteri29. O ancora è stato giustamente rilevato come il pregiudizio nazionalistico/municipalistico alla base degli studi sull’arazzo, inteso quale manufatto di grandi dimensioni realizzato da artigiani specializzati, abbia impedito di prendere in considerazione l’ipotesi verosimile di una produzione articolata dispersa sul territorio30.

Si è accennato poc’anzi come il lavoro di ricerca sui pezzi confrontabili con il manufatto lariano abbia portato alla scoperta di una piccola borsa reliquiaria che si avvicina molto alla borsa lariana, nonostante il diverso formato e la confezione semplificata (un rettangolo di cm. 10 di base X 13,5 di altezza). Le similitudini tra i due oggetti sono serrate per quanto riguarda l’intreccio tessile e lo stile della figurazione : la stoffa della borsa limburghese è stata realizzata con uguale tecnica ad arazzo31; i materiali usati nei due reperti sono pressoché identici nella natura, nonché simili nella morfologia: entrambi hanno ordito di lino, seta e metallo filato (lamina apposta su budella animale, accia di lino) in  trama, la differenza consiste nella maggiore ricchezza nella borsa italiana, dove si riscontra il filo metallico nella duplice versione oro e argento32.

Il reperto limburghese esibisce su entrambe le facce una sola scena, che illustra il dono d’un oggetto circolare, forse un anello, tra due personaggi coronati : un uomo abbigliato da menestrello, una donna che veste un abito dalle strette maniche e una sopravveste. Lo stile delle figure  è riconducibile al reperto di Como e vi è un’ulteriore prossimità rappresentata dal fondo del tessuto, disseminato in entrambi di casi di rosette33. Il manufatto belga, restaurato e schedato dall’Institut royale du Patrimoine artistique di Bruxelles (IRPA) è stato genericamente attribuito all’Europa occidentale dei secoli XIII-XIV, mentre per i personaggi illustrati si è avanzata l’ipotesi dei protagonisti del romanzo cortese Iwein et Laudine, sulla base del paragone con gli arazzi di Malterer34.

Una ulteriore connessione tra i due manufatti riguarda la vicenda delle reliquie delle undicimila vergini; la borsa limburghese proviene infatti da uno scrigno,  rinvenuto nel 1986 nella soffitta del presbiterio della chiesa abbaziale di Saint Trond, contenente ossa e crani – avvolti e contenuti in stoffe di diverse provenienza –  che la tradizione vuole siano resti delle undicimila vergini,  arrivati tra il 1270 e il 1272 da Colonia nella cittadina belga su richiesta dell’abate Guillaume de Rijckel35.

Dalla comparazione tra l’aumônière comasca e il sacchetto di Saint Trond emerge dunque una relazione su più livelli; se la prudenza invita alla cautela nell’affermare la realizzazione in uno stesso atelier, l’evidente somiglianza induce tuttavia a pensare che entrambi siano stati concepiti nella medesima area, dove era possibile approvvigionarsi degli stessi materiali e vi erano artefici competenti nella struttura tessile ad arazzo. La geografia di manifattura a cui si pensa, con riferimento ai risultati delle indagini sui filati metallici36 del manufatto lariano e all’impiego della tecnica dell’arazzo, comprende le Fiandre e/o la regione  mosano-renana.  Avvalendosi delle tavole comparative realizzate da Márta Járó di filati metallici campionati da reperti medioevali di origine nota, la tipologia della lamina d’oro e d’argento dell’aumônière di Como coincide con quella riscontrata in reperti lucchesi o tedeschi, prodotta partendo da budella animale37. La larghezza della lamina sembrerebbe tuttavia spostare l’ago della bilancia verso la città toscana38, aprendo un interrogativo sulle attività commerciali dei mercanti di Lucca che, come è noto, durante il Medioevo circolavano e risiedevano nelle Fiandre39. I loro traffici con il Nord-Europa riguardavano solo i tessuti auro-serici40, per i quali erano noti,  o anche i filati metallici che caratterizzavano una tessitura locale di eccellenza? Un singolo oggetto, come la borsa comasca, può riaprire il dibattito nell’ambito della storia economica e del tessuto in riferimento alla tipologia delle merci scambiate.

Per una attribuzione del luogo di produzione e di datazione del manufatto comasco: iconografia, stile, storia

Diversamente dal’esemplare di Saint Trond, che reca una sola scena agita da due personaggi, l’aumônière lariana dispiega una narrazione cortese costituita da una serie di episodi ricorsivi in una composizione a bande orizzontali sovrapposte, separate da ranghi di teste. L’impiego della tecnica ad arazzo ha permesso all’artefice di sottrarsi alla regola del pattern – che, con differente tessitura, avrebbe obbligato alla ripetizione degli stessi motivi decorativi in una sequenza fissata –  e di comporre le tre scene in maggiore libertà assecondando la forma finale del manufatto. Gli episodi che si susseguono nell’impaginato sono tre, cui va aggiunta una quarta scena presente una sola volta.

La raffigurazione del reperto lariano è correlata alla cultura cortese e vede impegnati due personaggi, l’uno maschile l’altro femminile. La loro identificazione non è stata facile, poiché le fisionomie e la descrizione dell’abbigliamento risentono d’una semplificazione formale quasi naïve,  riconducibile  a ragioni tecniche e forse alle convenzioni espressive in rapporto al tema narrativo.

La donna è sempre coronata ma diversamente vestita a seconda degli episodi: porta talvolta solo una lunga tunica dalle strette maniche, talaltra indossa veste e sopravveste. Due volte ricorre la scena della dama coronata in tenuta regale, che comprende il manto foderato di vaio, nell’atto di rimettere un elmo con cimiero all’uomo in abbigliamento da torneo. La donna è coinvolta poi in due altre azioni: gioca a scacchi con il personaggio maschile, che le passa una coppa, e in un’altra,  solitaria “vignetta”, dona un oggetto circolare con la base ispessita a un menestrello dall’inequivocabili veste bipartita e cappello a orecchie. La scena maggiormente ripetuta nella decorazione concerne la figura maschile, con un uccello sul polso, che cavalca un cavallo pomellato sul quale è accucciato un cane.

Per quanto la tecnica di realizzazione costituisca un limite alla libera espressione del gusto, la preferenza artistica che l’aumônière manifesta è ancora romanica, dimostrata dal  trattamento complessivo dell’illustrazione, che manca di profondità e punta su figure e oggetti in piena frontalità realizzati a colori piatti, ad eccezione della scacchiera in cui si accenna la prospettiva e del piumaggio a colori variegati dell’uccello. Anche Il dettaglio dei pomelli rossi dei visi s’iscrive nella temperie artistica romanica che ebbe una lunga vitalità dal XI al XII secolo, prolungando la sua influenza nel XIII secolo in talune aree geografiche come la Francia nord-orientale e l’area mosana. Tenendo conto del gioco delle interdipendenze tra le arti nel Medioevo e dell’importanza delle miniature come repertorio d’immagini cui ispirarsi, si è così proceduto alla ricerca di documenti da comparare con il reperto della Cattedrale di Como, per sostenere le attribuzioni rispetto a luogo di manifattura, datazione e committenza.

Lo stile complessivo ha affinità con la produzione artistica  del terzo quarto del XIII secolo, un’ipotesi cronologica che trova conferma anche nell’analisi dell’abbigliamento dei personaggi. Certi dettagli quali l’abbigliamento militare del cavaliere inginocchiato – caratterizzato da cotta di maglia coperta da armatura con  blasoni, guanti, calzari e  camaglio – l’aderenza delle maniche delle tuniche e la fodera di vaio delle cappe, depongono ulteriormente a favore di questa range cronologico41.

Se si passano poi in rassegna le singole scene è possibile ravvisare alcuni paralleli con la cultura figurativa legata a Federico II, ben diffusa oltre i confini del regno meridionale d’Italia. Si prenda, ad esempio, la scena apicale della pattella della borsa –  che si ripete all’estremità sinistra dell’oggetto – in cui la figura della dama coronata sta rimettendo le armi a un cavaliere. Sebbene nel periodo il soggetto della Maestà in trono si esprima con una certa convenzionalità, il pensiero corre alle miniature di uguale tema del primo foglio del manoscritto vaticano del De arte venandi cum avibus, datato 126042. In termini di esegesi dell’immagine, non può sfuggire il valore politico di un richiamo a raffigurazioni dell’autorità imperiale, segno rivelatore di una committenza prestigiosa già dichiarata dalla qualità di tessitura e fattura dell’aumônière.

Un secondo “fotogramma” della borsa esplora il tema cortese della caccia43, (Fig. 9) dichiarato dall’evidenza di un uomo con gli animali ausiliari tipici dell’attività venatoria: cavallo (pomellato, la stessa tipologia dei cavalli del codice federiciano), sparviero e bracco, qui descritto nella peculiare posizione accucciata sul cavallo. Penetrata in Occidente verso il VI secolo dopo Cristo, l’arte della caccia e i relativi modelli iconografici sviluppatisi su premesse orientali, ebbero una circolazione europea grazie anche alla mediazione siciliana; le rappresentazioni venatorie medievali sono attestate da numerosi e diversificati esempi che riguardano le arti applicate nel loro complesso, tessuti compresi44. Sul piano stilistico, l’impianto e le singole figure sono coerenti con analoghe scene di cavalieri in codici miniati databili al terzo quarto del XIII secolo45.

Giocare a scacchi, alla stregua di cavalcare e cacciare, era un altro intrattenimento della vita cortese: ai nobili, e specialmente ai membri di una casata reale, era richiesta tale abilità, che faceva parte delle capacità da acquisire con l’educazione46. Nell’arte medievale sono numerosi i documenti figurativi relativi al gioco degli scacchi; tra i riferimenti illustri bisogna considerare la decorazione del soffitto della Cappella Palatina di Palermo (1143 circa), piuttosto che il manoscritto monacense dei Carmina Burana datato al 123047, il cui foglio 92 recto reca una miniatura con due giocatori di scacchi, l’uno nell’atto di muovere un pezzo, l’altro di scongiurare l’influsso del maligno mentre un servitore a lato sta portando una coppa48. Un oggetto simile è invece il fulcro dell’azione dei giocatori di sesso opposto della borsa lariana, (Fig. 10)  indirizzando la lettura dell’immagine verso un topos del romanzo di Tristano e Isotta  e più in generale verso il tema della schermaglia amorosa, secondo il significato emblematico degli scacchi nella cultura medievale49.

Questa considerazione iconologica è di particolare interesse per la comprensione della genesi della borsa lariana, probabilmente realizzata come dono sponsale; sorge così la curiosità su chi abbia commissionato l’aumônière, scegliendo d’identificarsi in una delle più famose coppie di amanti del Medioevo.

Il manufatto è in palese rapporto con la raffinata cultura cortese, non solo con il repertorio di abitudini in cui si essa si manifesta, ma anche con la sua produzione letteraria. È un dato che non stupisce, poiché è risaputo che la prolifica letteratura cortese ha informato di sé i differenti materiali – la carta e la pergamena, l’avorio, il legno, la ceramica, la pietra, il cuoio e il tessuto – usati nelle arti applicate in auge nel Medioevo. Soffitti, codici, specchi, placchette, cofanetti, decorazioni pavimentali, mensole, accessori tessili d’uso domestico e d’abbigliamento hanno accolto e tradotto in immagini i protagonisti e le vicende delle numerose storie circolanti, veicolandole in contesti sia profani che clericali50.

Le scene illustrate sulla borsa lariana non sembrano tuttavia essere focus isolati su  personaggi e situazioni tratte da differenti opere letterarie, come sovente accade in altri doni d’amore51, ma piuttosto una sequenza d’immagini che restituiscono un racconto unitario, coerente con alcuni motivi ricorsivi dell’intreccio tristaniano. Sono presenti infatti il rituale della rimessa dell’armatura nel torneo, la caccia con lo sparviero e il bracco, la partita a scacchi e il filtro d’amore, il travestimento di Tristano come menestrello. L’interpretazione di questo episodio in particolare  –  che si trova una sola volta nell’impaginato della borsa – si è rivelata di cruciale importanza nella proposta di una associazione letteraria puntuale, pur difficile e comunque dubitativa poiché la leggenda di Tristano e Isotta è materia che é stata rimaneggiata da più autori nel corso di un ampio arco temporale52. Maria Luisa Meneghetti ha così suggerito di riconoscere nell’oggetto in mano alla donna un fermaglio semilunare (Fig. 11) che si collegherebbe alla continuazione del Perceval  di Gerbert de Montreuil, dove Tristano appare alla corte di re Artù53.

Alla luce di motivazioni desunte dalla fattura, dai materiali, dalla tessitura, da riflessioni stilistiche e iconografiche acquisisce scorrevolezza logica una committenza maturata alla fine del terzo quarto del XIII secolo nell’ambito della corte di Fiandra dei Dampierre. Prima famiglia di Francia ai tempi di San Luigi dopo la casata reale e i duchi di Borgogna, essi erano originari della Champagne e divennero conti di Fiandra dal 125154. La loro corte si caratterizzava per una raffinata cultura letteraria, nutrita da una considerevole biblioteca55. Peraltro, pur nella consapevolezza che il leone rampante sia figura araldica diffusa, lo stemma del gancio smaltato della borsa è compatibile con il riferimento fiammingo mentre, per contro, gli stemmi sottostanti alla pattella sarebbero collegati con l’araldica immaginaria oggetto degli studi di Pastoureau e della sua scuola56.

È difficile sottrarsi a una suggestione, che chi scrive sta ancora esplorando, riferita alla coppia Yolande de Bourgogne (1248-1280, figlia di Eudes de Bourgogne conte di Nevers, Auxerre e Tonnerre e di Mahaut de Bourbon-Dampierre) Robert de Béthune, della dinastia dei Dampierre (1249-1322, figlio di Gui, primo conte di Fiandra e di Matilde de Béthune) che contrassero matrimonio nel 1272, dopo che Yolande era rimasta vedova di Jean Tristan (figlio del re di Francia Luigi IX)57, così soprannominato per via delle difficili circostanze della sua nascita (Damietta, 1250 – Tunisi 1270).  Le vicende biografiche e il contesto che riguardano la coppia sono contrassegnate da singolari connessioni con l’aumônière tra le quali, solo per citarne alcune, la genealogia radicata in Champagne, il transito del celeberrimo codice di Federico II sull’arte venatoria nelle Fiandre attraverso Robert de Béthune58, l’appellativo del primo marito di Jolanda e la ipotetica quanto convincente  ‘”incarnazione” del secondo nel Tristano nuovamente incontrato e riconosciuto, secondo l’episodio del fermaglio della vulgata di Gerbert de Montreuil. Accanto alle Fiandre la borsa lariana, per mezzo del sacchetto di reliquie di Saint Trond più volte menzionato, si relaziona con il principato vescovile di Liegi, dove si consuma qualche secolo più tardi parte della biografia del vescovo di Como Branda Castiglioni (Milano 1415- Roma 1487), canonico della cattedrale della cittadina belga in avvio di carriera ecclesiastica59.  Incarichi diplomatici per conto del Duca di Milano porteranno costui a interagire anche con i duchi di Borgogna, alla cui dinastia appartiene Jolanda di Nevers. Si carica così di significato il ragionamento che l’arrivo della aumônière nella Cattedrale di Como avvenga per il tramite di Branda Castiglioni; ad oggi non è stato rinvenuta alcuna prova documentale, se non la mancata menzione della borsa con le reliquie delle undicimila vergini in un inventario del tempio lariano del 143560.

L’augurio è che la prosecuzione dell’indagine, ancora in corso da parte di chi scrive, possa regalare ulteriori pezze d’appoggio per confermare la suggestione verosimile appena illustrata.

* Il contributo rielabora la relazione di chi scrive al congresso CIETA 2009 (C. Francina, Une aumônière inédite de la Cathédrale de Côme, 23ème Assemblée Générale du Centre International d’Etude des Textiles Anciens, Bruxelles 2009, 28 septembre – 1 octobre 2009).

  1. S. Monti, Storia ed Arte nella Provincia ed antica Diocesi di Como, Como 1902, pp. 65-67; O. Zastrow, Capolavori di oreficeria sacra nel Comasco, Como 1984, pp. 119-121. []
  2. Si coglie l’occasione per ringraziare Daniele Pescarmona, allora funzionario della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Milano che acconsentì nel 2011 al prelievo di micro campionature di materiale, Piera Antonelli che curò il medesimo, Tullia Maifreni e Maria Romano e della Stazione sperimentale per la Seta di Milano che eseguirono le indagini merceologiche avvalendosi di: esame allo Stereomicroscopio, al Microscopio Ottico, al Microscopio Elettronico a Scansione e Microanalisi E.D.X. []
  3. E. Rathbone Goddard, Women’s costume in french texts of the eleventh and twelfth centuries, Paris 1927, pp. 35-36, H. Wentzel, Almosentasche in Reallexikon zur deutschen Kunstgeschichte, v. I A-Baubetrieb, Stuttgart, 1937, p. 394 e sgg.; Eva Lundquist, La mode et son vocabulaire, Goteborg 1950, pp. 74-75; Claire Wilcox, Bags, Londra 1999, p. 13; Dress Accessories 1150-1450, edited by Geof Egan-Frances Pritchard, London 2002, pp. 342-343, 348-350. Per citazioni di borse negli inventari, nei libri dei conti e nelle fonti letterarie, cfr. E. Lundquist, La mode, 1950, pp. 75-77; R. Levy Pisetzky, Storia del costume in Italia,vol. II, Milano 1964, pp. 78-79; S. Farmer, Biffes, Tiretaines, and Aumonières: The Role of Paris in the International Textile Markets of the Thirteenth and Fourteenth Centuries, in Medieval Clothing and Textiles, edited by R. Netherton, G. R. Owen-Crocker, Woodbridge 2006, pp. 87-89. []
  4. C. Wilcox, Bags, 1999, p. 13; M. Camille, The Medieval Art of Love. Objects and Subjects of Desire, London 1998, pp. 63-65; C. Giorgetti, Un Sacco di Borse: come nasce una collezione, in Misteriosi scrigni. Borse della collezione Cristina Giorgetti dal XVII al XX secolo, a cura di C. Giorgetti, Prato 2001, p. 25. []
  5. E. J.Burs, A Cultural Performance in Silk. SebelinnÈs aumosnière in the Dit de l’Empereur Constant, in Cultural performances in medieval France. Essays in honor of Nancy Freeman, edited by E.Dossy-Quinby, R. L. Krueger e E. J. Burns, Woodbridge-New York 2007, p. 75. []
  6. C. de Linas, Anciens vêtements sacerdotaux et anciens tissus conservés en France. Deuxième série, Paris 1862, pp. 25-41. []
  7. L. de Laborde, Glossaire francais du Moyen Ȃge, Paris 1872, p. 127, 144, 266. []
  8. E. Forestié, Le vêtement civil et écclesiastique dans le sud-ouest de la France, Extrait du Bulletin de la Société Archéologique de Tar-et-Garonne, Montauban 1887, p. 121-122; lo stesso ripete V. Gay, Glossaire archéologique du Moyen Age et de la Renaissance, Tome Premier A-GUY, Paris 1887, pp. 84-85 e, nella letteratura più recente, M. Blanc, Le sac du prestige au Moyen Ȃge, in Le cas du sac, Histoire d’une utopie portative, catalogo della mostra sous la direction de F. Chenoune, Paris 2004, p. 206. []
  9. M. Viollet-le-Duc, Dictionnaire raisonné du mobilier français de l’époque carlovingienne à la Renaissance,Tome Troisième, Paris 1874, pp. 26-31. []
  10. Pubblicata in bianco e nero in M. Carlano, Embroidery, in  French Textiles from the Middle Age through the Second Empire, edited by M. Carlano and L. Salmon, Hartford 1985, p. 79. Si ringrazia Christine Descatoire, conservatrice en chef incaricata delle collezioni di oreficeria e tessili occidentali del Musée de Cluny-Musée national du Moyen Ȃge, che mi ha inviato per ragioni di studio immagini a colori della aumônière di Troyes e mi ha supportato durante la lunga ricerca. []
  11. Idem/Eadem, pp. 26-28. []
  12. L. de Laborde, Glossaire…, 1872, voce aumosnière, p. 144. []
  13. A. F. Arnaud, Voyage archéologique et pittoresque dans le départément de l’Aube et dans l’ancien Diocèse de Troyes, Troyes 1837, che riporta un aneddoto riguardante Philippe-Auguste « ˂il˃ fit fabriquer des bourses pour le voyage de Palestine, afin d’y renfermer les reliques qu’il espérait y recueillir. Il se soumit lui-même à cette règle et reçut, de mains de Hagues, abbé de Saint-Denis, avec l’oriflamme, la sporta, sac du voyage […] A son imitation les princes et le chevaliers qui se croisèrent, se firent fabriquer pour eux, qu’ils enrichirent de leurs armes.», p. 35, nota 1;  V. Gay, Glossaire…, 1887, p. 85; M. Carlano, Embroidery…, 1985, p. 77;  R. Levy Pisetzsky, Storia del costume…, 1964, riporta abbreviata la citazione di un cronista contemporaneo di Cola di Rienzo: «scarzelle a muodo […] di pellegrino»,  p. 78; S Farmer, Biffes…, p. 87, nota 92; P. Goretti, Pellegrini, gentiluomini, mercanti: le origini della borsa, in, Dalla testa ai piedi. Costume e moda in età gotica, atti di convegno a cura di L. Dal Prà, P. Peri, Trento 2006, pp. 582-591. []
  14. H. L. Kessler, Camminare sui passi di Cristo, in Il medioevo in viaggio, catalogo di mostra a cura di B.Chiesi, I. Ciseri, B. Paolozzi Strozzi, Firenze 2015, p. 69;  B. Spencer, Pilgrim Souvenirs and Secular Badges, London 1998, p. 315. È da tali manufatti che si originano plausibilmente i cosiddetti «brevi» o «brievi»: «piccolo involto entrovi reliquie, o orazioni, e portati al collo per divozione”», Vocabolario degli Accademici della Crusca. Edizione seconda veneta accresciuta di molte voci raccolte dagli Autori approvati dalla stessa Accademia, vol. I, Venezia 1763, p. 343. []
  15. Chanoine Reusans, Eléments d’Archéologie chrétienne, tome deuxième, Paris 1890, pp. 392-394. []
  16. B. Montevecchi, S. Vasco Rocca, Suppellettile ecclesiastica, Firenze 1988, p. 157, con illustrazioni di borse medievali. Un esempio di borsa per reliquie in metallo, databile all’VIII secolo e proveniente dalla Chiesa di san Dionigi di Enger,  si trova al Kunstgewerbemuseum am Tiertgarten di Berlino (Inv. Nr. 1888,632). []
  17. In un panorama ampio di testi su patrimoni ecclesiastici con citazione di borse di reliquie, rimane particolarmente significativo, per ricchezza di materiale e autorevolezza di schedatura, il lavoro sulle chiese e i conventi svizzeri di: B. Schmedding, Mittelalterliche Textilien in Kirchen und Klostern der Schweiz, Riggisberg 1978, catalogo nn. 11, 14, 91-92, 257-258, 264-265, 268-272. []
  18. Archivio storico diocesano di Como, Curia Diocesana, Visita del Vescovo, cart. 4, fasc. 2, atto del 18 agosto 1586. []
  19. P.George, Un import-export de reliques des onze mille vierges au XIII siècle, in “Bulletin de la Société Royale le Vieux-Liège”, Tome XII, n. 252-253, Avril-Juin 1991, pp. 209-228. []
  20. Citata in C. Wilcox, Bag…, 1999, p. 13. L’oggetto era stato analizzato in occasione di una mostra dedicata al ritrovamento nel solaio dell’abbazia di Saint Trond di una cassetta reliquiaria contenente dei crani e delle ossa. L’apertura della cassetta aveva rivelato la presenza di lembi di stoffe, di cuffie, di borse utilizzati per avvolgere e ricoverare le reliquie, secondo una consuetudine che risale all’alto Medioevo. Cfr. Stof Uit de Kist. De middeleeuwse textielschat uit de abdij van Sin Truiden, catalogo di mostra, Leuven 1991, pp. 292-295. Dei rapporti tra la borsa comasca e il “breve” limburghese si discuterà in seguito. []
  21. Per Xanten e Cluny cfr. M. Schuette, S. Müller-Christensen, Il ricamo nella storia e nell’arte, Roma 1963, schede nn. 221-222, pp. 138-139 e il sito www.culture.fr.; per gli item di Tongres si rimanda al catalogo digitale BALaT (Belgian Art LInk and Tools) dell’Institut Royal du Patrimoine artistique (IRPA). []
  22. F. Witte, Die Liturgischen Gewänder und Kirchlichen Stickereien des Schnϋtgenmuseums Köln, Berlino, 1926, p. 17, Tafel 45/5;  2000 Years of Tapestry Weaving. A Loan Exhibition, catalogo di mostra, Hartford [1952], p. 33, scheda n. 67 e R. Martin, Textiles in Daily Life in the Middle Ages, The Cleveland Museum of Art 1985, p. 27. Il numero d’inventario del museo americano é:1939.37. []
  23. Réglements sur les arts et métiers de Paris redigés au XIII siècle et connus sous le nom du livre des métiers d’Etienne Boileau, a cura di G. B. Depping, Paris 1837, p. 382-386. []
  24. Idem/Eadem, pp. 382-383; anche de Laborde  (Glossaire…, 1872, p. 144) ripete che la specializzazione parigina consisteva nella pratica dell’ l’arte del ricamo in seta o in filo d’oro. Giorgetti conferma l’ambiguità della situazione parlando di «iterazione di tipologie mediorientali già riprodotte da lavoratrici locali e tipizzate evidentemente attraverso una specifica caratteristica o merceologica o modellistica», cfr. C. Giorgetti, in Misteriosi scrigni…, 2001, p. 28. []
  25. Per le diverse posizioni del dibattito in un approccio critico si rimanda a S. Cavallo, History of Tapestry Weaving in Europe during the Late Middle Ages, in S. Cavallo, Medieval Tapestries in the Metropolitan  Museum of Art, New York 1993, pp. 57-81. []
  26. Cit. in R. Martin, Textiles in Daily Life…, pag. 27.  Un accenno ai «tapissiers sarrasinoises» presenti a Bruges già agli inizi del Trecento si trova in Bruges et la tapisserie, a cura di G. Delmarcel, E. Duverger, Bruges-Mouscron 1987, p. 20. []
  27. J. Lestocquoy, Deux siècles de l’histoire de la tapisserie (1300-1500). Paris, Arras, Lille, Tournai, Bruxelles, Mémoires de la Commision Départementale des Monuments Historiques du Pas-de Calais, tome XIX, Arras 1978; S. Cavallo, History of Tapestry…, 1993, p. 64 per i filati metallici di Arras. []
  28. S. Cavallo, History of Tapestry…, 1993, p. 59 e sgg. []
  29. Cavallo supporta tale considerazione riportando l’evidenza di un frammento ad arazzo della cattedrale di Bamberga che illustra due monache al lavoro davanti ad un telaio verticale, Idem/Eadem, p. 75, p. 77 Fig. 85. L’affermazione era già stata fatta da Jubinal alla metà dell’Ottocento, che aveva esposto casi di monasteri come l’Abbeye de Saint Florent de Saumur, cfr. A. Jubinal, Recherches sur l’usage et l’origine des tapisseries à personnages dites historiées, depuis l’antiquité jusq’au 16. siècle inclusivement, Paris 1840, p. 139. []
  30. Chefs-d’oeuvre de la tapisserie du XIVe au XVIe siècle, catalogo di mostra, Paris 1973, pp. 12-13. []
  31. Stof uit de kist…, 1991, pp. 292-295, 389. Il mio ringraziamento va a Betty Simon del Provinciaal Centrum voor Cultureel Erfgoed di Hasselt, che nel 2009 mi fornì utili informazioni bibliografiche ed agevolò la consultazione diretta dell’oggetto a Saint Trond. []
  32. Risale al 2011 la corrispondenza con Fanny Van Cleven, allora chef del laboratorio di restauro tessile dell’ stemmi Institut royal du Patrimoine artistique di Bruxelles (IRPA) per acquisire informazioni aggiuntive sulla borsa di Saint Trond. Si coglie qui l’occasione per ringraziarla della disponibilità. []
  33. Il Museo di Piconrue a Bastogne conserva una borsa reliquiaria realizzata con un tessuto ad arazzo. La superficie è ornata di scudi araldici e negli interstizi della decorazione vi sono analoghe rosette.  Cit. in M. Fernández Álvarez, Reliquary bags, purses and pouches, in “Datatèxtil”, n. 30, 2014, p. 26, con l’attribuzione a Colonia nel XIII secolo. []
  34. Stof Uit de Kist…, 1991, p. 294; per l’arazzo di Malterer di Fribourg à Breisgau, datato 1310-1320 cfr. M. Schuette, S. Müller-Christensen, Il ricamo…, 1963, p. 37 e relativa tavola. []
  35. P. George, Un import-export de relique…, 1991, pp. 209-228. []
  36. La storiografia sull’arte tessile contiene informazioni erratiche e peraltro ripetitive sui metalli filati, mentre scarseggiano i testi monografici a tema e sono per lo più basati su fonti inventariali e letterarie. Tra i contributi si segnalano F. Michel, Recherches sur le commerce, la fabrication et l’usage des étoffes de soie, d’or et d’argent, et autres tissues précieux en Occident, principalement en France, pendant le moyen âge, vol. 1, Paris 1852, ris.an, 2011; e a questa situazione si aggiunge la difficoltà di reperire ulteriori informazioni che sono purtroppo erratiche L. Brenni, L’arte del battiloro ed i filati d’oro e d’argento, Milano 1930,  pp. 65-66; A.Coulin Weibel, Two Thousands Years of Textiles, New York 1952, p. 7 e sgg.; F.Lewis May, Silk Textiles of Spain, New York, 1957, p. 7; M. Braun-Ronsdorf, Les tissus d’or et d’argent du moyen âge à l’époque moderne, in “Cahier CIBA”, Tissus lamé, 1961/3, pp. 2-10. Dalla fine degli anni Ottanta del Novecento la scarsa storiografia monografica sui filati metallici si è arricchita di una letteratura scientifica che parte da indagini di laboratorio: A questo proposito risultano di grande interesse M. Járó, Gold Embroidery and Fabrics in Europe: XI –XIV Centuries, in “Gold Bulletin”, I. 2, Vol. 23(2), 1990, pp. 40-57. []
  37. Járó constata come gli atelier italiani e tedeschi, a differenza di quelli orientali, siano accomunati dalla manifattura di metallo membranaceo da budella animale piuttosto che da cuoio, dalla pratica di simulazione dell’oro attraverso la doratura della lamina d’argento,  dall’avvolgimento della lamina striscia così ottenuta su un’anima di lino per ottenere il metallo filato.  I fili provenienti da stoffe attribuite a Lucca si differenziano dagli assaggi dei reperti tedeschi per una maggiore altezza della membrana di budello animale di partenza. Cfr.  M. Járó, Idem/Eadem, table 3, pp. 52-55. []
  38. Sulla produzione di filati metallici a Lucca cfr. T. Bini, I lucchesi a Venezia. Alcuni studi sopra i secoli XIII e XIV, Lucca 1855, pp. 70-78, che riporta numerosi documenti attestanti che dimostrano il pieno svolgimento di questa particolare produzione nel secolo XIII, mentre la formalizzazione dello statuto corporativo dei battiloro risale al 1279. Peraltro già un codice miscellaneo datato fine ottavo-inizio nono secolo e conservato presso la Biblioteca Capitolare di Lucca raccoglie ricette per ricavare l’oro filato, cit. in P. Mainoni, La seta in Italia tra XII e XIII secolo: migrazioni artigiane e tipologie seriche, in La seta in Italia dal Medioevo al Seicento. Dal baco al drappo, atti di convegno a cura di L. Molà, R. C. Mueller, C. Zanier, Venezia 2000, p. 373. []