Antonella Capitanio

Tessuti medievali: un libro, una mostra, un metodo

“Lucca si fa adornare di care stoffe”: è così che nel 1928 Fanny Podreider – allieva dello storico dell’arte Paolo d’Ancona e soprattutto figlia di Rosa Genoni, la grande stilista italiana che conquistò Parigi e che per la sua attività, anche didattica, aveva messo insieme una collezione di tessili antichi – traduce nella sua Storia dei tessuti d’arte in Italia il francese “Illuques se fait atorner de chier reube”, brano tratto dal poema duecentesco di Renault de Beauju Bel Inconnu, ovvero Il bel cavaliere sconosciuto. E due anni dopo l’erudito lucchese Eugenio Lazzareschi, direttore del locale Archivio di Stato, come curatore della mostra L’arte della seta a Lucca ovviamente la segue in questa traduzione: nel recente volume Lucca una città di seta (Fig. 1) – lavoro a quattro mani di una storica del tessuto, Maria Ludovica Rosati, e di uno storico medievista, Ignazio Del Punta, pubblicato nel corso del 2017 da Maria Pacini Fazzi Editore – Ludovica Rosati risale alla fonte di tale estrapolata citazione e chiarisce che Illuques non è una francesizzazione del nome della città toscana, bensì un pronome personale, relativo a una regina di cui si parla nella frase precedente, ma sensatamente definisce quel perpetuato fraintendimento “un errore giustificato”. Verosimile era infatti pensare ad un immaginario medievale di una Lucca drappeggiata di costosi tessuti, visto che all’epoca le sete lucchesi erano una preziosa raffinatezza ricercata dai potenti di tutta Europa, con conseguente ricchezza e crescita sociale per chi le produceva, tanto che  tessitori lucchesi furono alla base anche dello sviluppo della stessa manifattura a Firenze, come ben sottolinea la mostra appena inaugurata alla Galleria dell’Accademia Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento (Firenze, 5 dicembre 2017 – 18 marzo 2018), a cura di Cecilie Hollberg, direttrice del museo fiorentino (Fig. 2).

Se il sottotitolo del volume dedicato a Lucca è Produzione, commercio e diffusione dei tessuti lucchesi nel tardo Medioevo, quello della mostra fiorentina è Lana, seta, pittura: in entrambi i casi è dunque evidenziato come la realtà di questi antichi beni di lusso non è comprensibile se non incrociando dati tecnici, economici e sociali oltreché storico-artistici. Così anche il catalogo della mostra di Firenze comprende saggi di storici dell’arte tessile – ancora Maria Ludovica Rosati, Juliane von Fircks e Roberta Orsi Landini, qui impegnata sul versante della moda e delle leggi suntuarie – insieme a quelli degli storici David Jacoby, Sergio Tognetti e Franco Franceschi.

Entrando nelle sale della Galleria dell’Accademia questi incroci sono visualizzati nello stesso allestimento, che accoglie il visitatore facendolo camminare su un pavimento in cui è replicato il disegno di quello della chiesa di San Miniato al Monte – una tarsia marmorea di primo Duecento, chiaramente esemplata sui coevi tessuti con animali affrontati entro orbicoli – mentre nelle vetrine documenti d’archivio si alternano a manufatti tessili e a dipinti dove quei tessuti sono letteralmente ritratti o persino esaltati in uno stratificarsi di invenzioni. I dipinti appartengono in maggior parte allo stesso museo – come di norma nelle iniziative espositive di questa istituzione – anche se non mancano prestiti notevoli da altre collezioni, come il Battesimo di Cristo di Giovanni Baronzio della National Gallery di Washington; la selezione dei tessuti riunisce invece eccezionalmente a Firenze – accanto a quelli del Museo Nazionale del Bargello e del Museo del Tessuto di Prato – esemplari da tutte  le più importanti raccolte del mondo: dal Musée des Tissus di Lione al Musée Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles, dal Museo del Castello di Praga al Deutsches Textilmuseum di Krefeld  o al Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo. Scelti in base alle analogie con quelli raffigurati nei dipinti – le cui schede in catalogo si devono a Angelo Tartuferi – questi tessuti furono realizzati non solo a Lucca o a Firenze, ma prima di tutto in Cina, in Persia e nel Levante islamico, e testimoniano perciò tanto le linee degli scambi mercantili, quanto quelle della tramitazione dei saperi tecnici e delle invenzioni formali: tessuti che mantengono una sontuosa  fisicità materiale persino oggi che sono ormai spesso ridotti in frammenti, dando così la misura del loro fasto originario, non a caso oggetto all’epoca di limitazioni da parte della legislazione suntuaria, vivacemente presentata in mostra con l’installazione multimediale “Vesti proibite”.  Grazie a questo serrato dialogo visivo tra documentazioni di vario tipo, l’esposizione riesce a far parlare dunque i manufatti tessili non solo della loro specifica identità, ma della loro più ampia realtà storica. Lo stesso dialogo si articola tra i saggi del volume monografico sulla produzione serica lucchese, passando dal “Frammento al contesto”, come esplicita il primo paragrafo del  capitolo intitolato “Cultura della seta”, in cui Rosati porta il lettore a riflettere sui tessuti ‘in opera’, dando le opportune coordinate anche per realtà meno consuete come le corti orientali: estremamente parlanti sono gli esempi visivi portati, come un arazzo cinese degli inizi del XIV secolo dove sono raffigurati l’imperatore e il fratello con una meticolosa rappresentazione delle rispettive vesti, rispondenti a ciò che l’uno e l’altro potevano indossare, oppure una miniatura realizzata a Tabriz tra il 1314-15 in cui è raffigurato il dono di una veste da parte del califfo di Bagdad, o un’altra persiana di poco più di un secolo successiva che evoca la tenda reale di Gengis Khan.

Il costo altissimo dei manufatti serici portò a tesaurizzarli e a reimpiegarli in parati di uso liturgico, fortunata causa della conservazione fino a noi di alcuni reperti d’eccezione, come testimoniano nell’esposizione fiorentina due eccezionali dalmatiche del Museo di Stralsund studiate da Juliane von Fircks1, una confezionata con cinque diversi lampassi di provenienza mongola, l’altra con quattro di manifattura italiana, a ulteriore conferma di quanto nodale fosse l’intreccio oriente-occidente – non a caso nel comitato scientifico della mostra è presente Marco Spallanzani –  che proprio nei tessili ebbe un veicolo privilegiato, attraverso il quale specificità iconografiche e compositive cinesi, mongoliche, islamiche entrarono direttamente nell’universo visivo delle arti in Europa: non pochi sono infatti i dipinti in cui, a parte i volti, tutto ciò che è rappresentato sono tessuti, e si potrebbe persino estremizzare riflettendo che le stesse tavole a fondo oro percorse da punzonature – laddove non imitazione dell’oreficeria come nei nimbi del Cristo, dei Santi e della Madonna – siano evocazione di quei “panni tartarici” interamente intessuti di trame supplementari in oro raffiguranti fiori e foglie “de opere minuto”, cioè a piccolo disegno, come sono descritti negli inventari europei di fine Duecento.

In questo generale quadro di interscambi, la cultura serica asiatica si conferma di particolare importanza soprattutto per i tessitori lucchesi, sia dal punto di vista tecnico che decorativo: una cultura assorbita a tal punto che i loro prodotti finirono per essere praticamente subito indistinguibili da quelli orientali, visto che – come evidenzia Rosati nel volume specificamente dedicato a Lucca – già nell’inventario dei parati di papa Clemente V stilato nel 1311 è registrata una “tunicellam de panno tartarico sive lucano”. Le modalità di appropriazione della tecnica rimangono controverse e Rosati propende giustamente per un processo avvenuto per via sperimentale, non essendoci coincidenza tra i telai medievali europei e quelli asiatici, mentre la rielaborazione delle soluzioni decorative è un’evidenza indiscutibile, che porta alla produzione di tessuti insieme “esotici e gotici”, particolarmente affascinanti quando abitati da un bestiario cinese, più o meno occidentalizzato, di feng huang, khilin e lepri della steppa.

Per l’individuazione delle diverse manifatture fondamentale è prima di tutto l’analisi della struttura tecnica e dei materiali utilizzati nella tessitura, analisi che sono ovviamente alla base di entrambe le pubblicazioni, ma mentre nel catalogo della mostra fiorentina si è scelto – per un giusto approccio più divulgativo nei confronti di un pubblico che ci si augura non solo di specialisti – di limitarsi nelle schede alla definizione del nome dell’armatura, nella monografia su Lucca “città di seta” i dati tecnici sono dettagliati fino a permettere di ipotizzare il tipo di montaggio del telaio, ma – concentrati nelle schede – non pesano comunque sul testo, dove vengono esplicitate solo in funzione di una possibile identificazione del luogo di produzione: per esempio poiché nello Statuto della Corte dei Mercanti promulgato a Lucca nel 1376 si prescrive che l’anima dei filati metallici sia di seta, Rosati ipotizza che due diaspri comunemente identificati come lucchesi potrebbero non esserlo perché le broccature sono invece in oro filato membranaceo su accia di lino: l’ipotesi è avanzata peraltro solo in nota2, ma comprensibilmente – di fronte a una ormai consolidata tradizione attributiva – non viene ripresa né nelle schede in appendice, né nelle didascalie delle relative immagini3, forse anche in considerazione della non contemporaneità tra il documento e i ben precedenti manufatti. Una cautela che conferma la qualità meditata di questi interventi, esito di ricerche avviate ormai da tempo.

Per una singolare quanto fortunata coincidenza, la pubblicazione di tali studi così come l’allestimento della mostra si sono realizzati in questo 2017 che segna i dieci anni dalla scomparsa di Donata Devoti, punto di riferimento riconosciuto internazionalmente negli studi sul tessile antico: una geometria del caso, che senza volere – in perfetta linea col carattere riservato della persona – celebra questo anniversario tornando proprio sui temi che furono oggetto della sua tesi di laurea Per uno studio sulle antiche stoffe lucchesi dal XII al XIV secolo, discussa nel febbraio del 1966 alla Facoltà di Lettere dell’Università di Pisa con relatore Carlo Ludovico Ragghianti (Fig. 3). L’argomento, assolutamente d’eccezione all’epoca nell’università italiana, era sviluppato e approfondito coniugando l’analisi tecnica diretta dei tessuti allo spoglio di atti notarili, statuti e inventari: un lavoro immane, concretizzato in due volumi, di cui il secondo riservato a centosessantacinque schede dei tessuti da lei visti non solo nei musei più ovvi – a cominciare dal Musée des Tissus di Lione, dove aveva anche seguito i corsi del Centre International d’Etude des Textiles Anciens – ma anche in quelli di Providence, Cleveland, Boston. L’incontro con il manufatto, la sua analisi tecnica fu da subito per lei il momento fondante del lavoro dello storico dell’arte: la scheda dell’oggetto non era un’appendice, bensì il punto di partenza caratterizzante di un metodo di ricerca, nutrito di una  dimensione culturale tutt’altro che settoriale. Un metodo oggi ormai generalizzato e condiviso da tempo – come ottimamente dimostrano la pubblicazione “lucchese” e la mostra fiorentina – ma non compreso e apprezzato nel sistema accademico di allora, se persino nel ponderoso volume di oltre seicento pagine che raccolse gli atti del primo congresso nazionale di storia dell’arte promosso nel 1978 dal CNR il “punto” sulle pubblicazioni relative alle arti applicate edite tra il 1972 e il 1978 relega il suo volume L’arte del tessuto in Europa – uno studio rimasto nel tempo riferimento imprescindibile4 – tra le “trattazioni generali” da menzionare “nonostante la loro sommarietà”5.

  1. J. von Fircks, schede 28 e 51 in  Tessuto e ricchezza a Firenze nel Trecento, catalogo della mostra  (Firenze, 5 dicembre 2017 – 18 marzo 2018) a cura di C. Hollberg, Firenze 2017, pp. 170 e 224. []
  2. M.L. Rosati, “De opere Lucano”, in I. Del Punta, M.L. Rosati, Lucca una città di seta. Produzione, commercio e diffusione dei tessuti lucchesi nel tardo Medioevo, Lucca 2017, p. 55, nota 88. []
  3. M.L. Rosati, “De opere Lucano”…,  2017, nn. 3-4, pp. 270-271 e fig. 20-21, p. 50. []
  4. D.Devoti, L’arte del tessuto in Europa, Milano 1974. []
  5. M. Rotili, Grafica e miniatura: le arti applicate fino all’epoca della rivoluzione industriale; rassegna degli studi dal 1972 al 1978, in 1 Congresso Nazionale di Storia dell’Arte, Roma, CNR, 11-14 settembre 1978, atti a cura di Corrado Maltese, Roma 1980, p. 342.  La superficialità dell’approccio di chi comunque nel 1970 aveva pubblicato una Introduzione alla storia della miniatura e delle arti minori in Italia è tutta evidente nel fatto che l’autore de L’arte del tessuto in Europa viene detto “il Devoti”. []