Salvatore Squillante

s.squillante91@tiscali.it

Un momento di collaborazione tra botteghe napoletane: la statua di San Ferdinando d’Aragona per l’Annunziata di Dragoni

DOI: 10.7431/RIV16072017

Tra fine Seicento e inizio Settecento a Napoli ci fu un notevole sviluppo della statuaria lignea e delle botteghe che la producevano. Statue policrome di diversa grandezza, sia di carattere religioso che profano, erano molto richieste nel Viceregno e in Spagna anche per uso ornamentale. Si era molto arricchita e perfezionata, inoltre, l’arte dei presepi che si andavano popolando di nuovi personaggi di diverse dimensioni. Tra le botteghe che operarono a Napoli nella seconda metà del Seicento ci fu quella di Pietro Ceraso e dei gemelli Perrone. In questo contesto si inserisce la figura dello scultore Pietro Rocco Patalano (1664-1737?) che, insieme a quella del più noto fratello Gaetano, contribuirono allo sviluppo della statuaria lignea. La prima indicazione biografica su tali artisti si trova nella guida della città di Napoli del Parrino il quale, descrivendo la chiesa del Rosario1 di Lacco, sull’isola d’Ischia, afferma che vi era una «Vergine Assunta ed un Crocifisso molto belli di legno coloriti di Gaetano Patalano stimabile scoltore in legno di detto paese»2. Qualche decennio dopo il De Dominici scrivendo degli scultori Aniello e Michele Perrone, afferma che essi «ebbero vari discepoli, ma i migliori furono Gaetano e Pietro Patalano, de’ quali Gaetano fu il migliore, benché Pietro fusse ancor egli buono scultore e varie opere per la Spagna egli fece unite a quelle di Gaetano, per varie chiese del Regno mandarono loro lavori […]»3. Fondamentale nel tracciare le fila della loro vicenda critica è il rapporto con la Spagna, in particolare con Cadice dove ancora oggi si può ammirare il gruppo scultoreo dell’Incoronazione della Vergine. La fortuna delle loro opere nella penisola iberica è attestata già nel corso del Settecento dagli studi di eruditi quali Pons, De Urrutis, Peman, Pasco e Lopez Jimenez4. Il Giannone nota che i due fratelli «operarono a Napoli, ove a quei tempi s’usavano de scrittoj con vetri, e dentro statue di Santi e cristalli avanti»5, lasciando supporre che i Patalano, come altri scultori, si dedicassero anche alla plastica di piccolo formato. Di particolare importanza è il testo di G. Borrelli che costituisce il primo contributo sulla personalità artistica dei Patalano e contiene un regesto completo delle opere e un loro profilo biografico6. Il catalogo del fratello minore Pietro, si incrementa nel 1985 di documenti inediti presentati dal Rizzo, relativi alla produzione di alcuni scultori lignei napoletani del tempo7. Ad Agostino Di Lustro si deve la prima e unica monografia dedicata interamente all’attività di Gaetano e Pietro Patalano, corredata dal contribuito di G. Borrelli sull’interrelazione tra la famiglia Patalano e Perrone. Il Di Lustro, inoltre, pubblica anche una serie di documenti relativi a opere non ancora rintracciate con certezza8. Alcune novità emergono nel volume di G.G. Borrelli dove lo studioso trattando di scultura menziona anche Pietro, conferendo all’artista l’inedita Annunciazione di Roccanova9. Anche nel catalogo della mostra Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e la Spagna si trova un’ampia trattazione della statuaria lignea. Le opere presenti in Puglia relative alla fine del Sei e l’inizio del Settecento, come è noto, sono prevalentemente di produzione napoletana e più precisamente appartenenti alle botteghe del Patalano, del Fumo e del Colombo che operarono a Napoli in quegli anni10. Altre novità emergono dal testo pubblicato dalla Di Liddo dove la studiosa, prima di presentare i casi inediti emersi su Gaetano, dedica un capitolo ai fratelli Patalano inserendoli tra i discepoli di Aniello Perrone, e fa un excursus delle opere documentate, quelle esistenti e quelle attribuite11. Se dalle ricerche della Di Liddo non emergono notizie sull’attività di Pietro Patalano, dal catalogo della mostra Sculture in legno in Calabria dal Medioevo al Settecento si possono riscontrare novità in ambito calabro, in particolare a Spezzano Piccolo dove Pietro, in età avanzata, realizza l’Assunta e il busto della S. Teresa12.

Gli apporti precedenti hanno consentito di definire i profili biografici dei due fratelli. Originari di Lacco Ameno sono stati entrambi a bottega dai Perrone amici e parenti dei Patalano13. Gaetano, di nove anni più grande di Pietro, aprì una propria bottega nei pressi del Regio Palazzo Vecchio, vicino al Maschio Angioino, dove sicuramente lavorò anche Pietro14. Al periodo della loro attività risalgono i rapporti con altri scultori in particolare l’Ardia e il De Simone15. Successivamente, alla prematura scomparsa di Gaetano, è molto probabile che Pietro abbia ereditato la bottega continuandone l’attività. La produzione artistica di quest’ultimo trova riscontro oltre che in Spagna, in tutto il Viceregno e in particolare in Terra di Lavoro16. Al 1716 risalgono due polizze che prevedono l’esecuzione, per il prezzo di sessanta ducati, di un San Ferdinando d’Aragona a mezzo busto commissionato da Francesco Di Grazia per la città di Dragoni17. Queste polizze forniscono dati interessanti sulle dimensioni e le altre caratteristiche dell’opera: il Santo doveva essere alto quattro palmi ca., con la base e il pastorale ma senza la testa, le mani e il reliquiario (da sistemarsi sul petto) dovevano essere in argento ed erano «in potere di detto Pietro a chi sono state consegnate da esso Francesco a fine di doversi fare detta statua a proportione […] secondo la forma del disegno sottoscritto da detto Pietro che da esso si conserva» e «quale statua e pedagna doverà consegnarla colorita, et indorata, e fiorata cioè panneggiamento piviale con fascia indorata a modo di rigamo, e stola e pastorale tutta indorata il camise miniato arricciata con la baretta»18. Il Santo (Figg. 12) è stato individuato nella seconda cappella a sinistra nella chiesa della SS.ma Annunziata di Dragoni. L’opera corrisponde perfettamente alle indicazioni contenute nei documenti (Fig. 3). Il San Ferdinando si mostra in atto benedicente, con il pastorale nella mano sinistra e la mitra, tipici attributi della sua carica vescovile. Ha il volto e le mani in cartapesta rivestita da foglia d’argento mentre la mitra, anch’essa in cartapesta, è solo dipinta (Fig. 4). Gli stessi non sono da considerarsi inerenti a quelli menzionati nel documento del 1716 ma legati ad una commissione successiva avvenuta probabilmente in seguito ad un tentativo di furto. In realtà, lo stesso reliquiario, che doveva essere in argento, è compromesso da rifacimenti novecenteschi e si presenta oggi in legno dipinto sovrapposto a un pezzo di multistrato (Fig. 5)19. I pezzi originari in argento (Fig. 6) sono stati rintracciati presso la sede della diocesi  di Alife-Caiazzo di Dragoni, con sede a Piedimonte Matese, dove essi vengono custoditi in cassaforte e resi fruibili soltanto una volta all’anno in occasione della processione del Santo. L’individuazione dei manufatti argentei aggiunge ulteriori elementi alla commissione. I pezzi, di buona fattura e in ottimo stato di conservazione (Figg. 78), recano ciascuno i seguenti marchi: bollo dell’argentiere (F+C), bollo della corporazione o dell’arte (NAP coronato/ 711) e bollo consolare (F·C/·C·) (Fig. 9)20. La loro identificazione ha permesso di risalire, non solo alla data, ma soprattutto all’esecutore materiale. Si tratta dell’artista Francesco Cangiani, appartenente ad una nota famiglia di argentieri, di cui fanno parte Giuseppe, Nicola e Luca. Francesco, come specificano le punzonature sulla testa e le mani, realizzò le opere nel 1711 e nello stesso anno fu anche console21. Sulla sua attività, documentata dai Catello, non abbiamo molte informazioni e non conosciamo nemmeno quale scultore o pittore eseguì i disegni e i modelli in creta per la realizzazione dei tre pezzi. Sappiamo che fu console anche in altri anni, tra il 1692 e il 1718, e il suo bollo è stato rilevato su alcune opere in raccolta privata ad Andria, Genova e Milano, su un ostensorio nella Cattedrale di Teano, su una navicella a Firenze in raccolta privata, su un frammento nella Cattedrale di Capua, su una coppia di candelieri sempre in raccolta privata e su un calice nella collezione “De Ciccio” del Museo Nazionale di Capodimonte22. È interessante sottolineare come altre effigi del Santo, simili alla statua del 1716 del S. Ferdinando d’Aragona realizzata da Pietro Patalano in collaborazione con l’argentiere Francesco Cangiani, si trovino in paesi vicini, realizzate da artisti diversi. Ad Alvignano, la statua (Fig. 10), collocata nella chiesa di S. Sebastiano, risale ad un periodo successivo, a Caiazzo, il mezzo busto del santo (Fig. 11), collocato nella Cattedrale, fu realizzato interamente in argento dall’orafo Matteo Treglia23 nel 170624. Queste due effigi reggono nella mano sinistra, oltre il pastorale, anche il libro (altro attributo della carica vescovile del santo). In quella realizzata dal Patalano, invece, la mano è predisposta a reggere solo il pastorale senza il libro. È possibile ipotizzare che Pietro, nel costruire la statua, si sia dovuto adattare ai pezzi che gli erano stati consegnati dal committente e cioè quelli realizzati dall’argentiere Francesco Cangiani. L’opera oltre a inserirsi tra quelle non documentate dell’artista, è testimone della collaborazione tra scultori lignei e argentieri che molto successo riscosse nel corso del Settecento. È il caso di fare qualche confronto con alcune sculture dello stesso tipo cioè busti che venivano utilizzati prevalentemente nei riti processionali. Tra tali opere va segnalato il busto di S. Teresa dello stesso Pietro realizzato nel 1724 per la chiesa madre di Spezzano Piccolo e quelle del fratello maggiore realizzate nel 1694 ca. per la cattedrale di Lecce: il San Fortunato (Fig. 12) e il San Giusto (Fig. 13) che Pietro avrà senz’altro visto nella bottega di Gaetano dove anch’egli lavorava25. Dei due santi, realizzati da Gaetano in legno dipinto e argentato, il San Fortunato è quello stilisticamente più vicino al San Ferdinando d’Aragona: le stesse posture della mano destra in atto benedicente e della sinistra che regge il libro e il pastorale, quest’ultimo ripreso fedelmente da Pietro nel suo San Ferdinando. Si può notare anche la stessa morbidezza del panneggio specialmente nella parte che ricade sulla base delle due statue. È possibile fare un altro confronto con il busto di San Donato (Fig. 14) di Nicola Fumo che questi realizza per la chiesa del convento di Sant’Antonio a Salandra molti anni prima rispetto alle opere poc’anzi citate26. Pietro avrà sicuramente tenuto presente il San Donato con il pastorale nella mano destra, vestito con gli stessi paramenti: il camice, il piviale e la stola. Il piviale, annodato sul petto, presenta le stesse soffici pieghe che ricadono sulle braccia e così anche il camice bianco presenta le stesse fitte ondulazioni. Una importante differenza è nella posizione della stola che nel San Donato scende libera sopra il camice fermato in vita da una corda mentre nel San Ferdinando anche la stola viene stretta con il camice dalla corda.

Le evidenti affinità con sculture di altri artisti suoi contemporanei ci fa ritenere che Pietro doveva conoscere le loro opere o per lo meno i modelli che le avevano ispirate. Non c’è nessun documento che attesti la presenza di Pietro in botteghe diverse da quella del fratello ma è molto probabile che egli abbia conosciuto e avuto rapporti con le maestranze delle numerose attività che in quel periodo erano attive a Napoli, capitale del Viceregno. Allo stato attuale delle ricerche è documentato solo il rapporto di collaborazione tra Pietro e l’argentiere Francesco Cangiani. Non è escluso che il prosieguo delle ricerche faccia emergere documenti che comprovino l’esistenza di altri scambi tra gli artisti del tempo.

  1. La chiesa, ricostruita nel corso del XVIII sec., subì gravi dissesti per i terremoti del 1828 e del 1881 e fu, poi, completamente distrutta da quello del 28 luglio 1883. []
  2. D.A. Parrino, Della moderna descrizione di Napoli e il suo cratero…, vol. II, Napoli 1704, p. 136. Le due sculture citate dal Parrino erano scomparse già nel corso del XVIII, poiché in un inventario delle suppellettili della chiesa del 10 luglio 1765, non vi è alcun cenno delle opere. []
  3. B. De Dominici, Vite de’ Pittori, Scultori e Architetti napoletani, tomo III, Napoli 1742, p. 391. []
  4. A. Pons, Viage de Esapna, tomo XVII, carta septima, Madrid 1796, p. 345; J. De Urrutis, Description historico-artistica de la Catedral de Cadiz, Cadiz 1843, p. 221; F. Pasco, Historia artistica de Cadiz, Cadice 1853, p. 73; J.C. Lopez Jimenez, Escultura Mediterranea, Murcia 1966, p. 39. []
  5. O. Giannone, Giunte sulle vite de’ pittori napoletani, a cura di O. Morisani, Napoli 1941, p. 160. []
  6. G. Borrelli, Il presepe napoletano, Roma 1970, p. 153. []
  7. V. Rizzo, Scultori napoletani tre Sei e Settecento. Documenti e personalità inedite, in «Antologia di Belle Arti», n. 25-26, 1985, pp. 22-34. []
  8. A. Di Lustro, Gli scultori Gaetano e Pietro Patalano tra Napoli e Cadice, Napoli 1993. []
  9. G.G. Borrelli, Sculture in legno d’età barocca in Basilicata, Napoli 2005, pp. 28-29. []
  10. R. Casciaro, Napoli vista da fuori: sculture di età barocca in Terra d’Otranto e oltre, in Sculture di età barocca tra Terra d’Otranto, Napoli e la Spagna, a cura di R. Casciaro e A. Cassiano, Roma 2007, pp. 49-74. []
  11. I. Di Liddo, La circolazione della scultura lignea barocca nel Mediterraneo. Napoli, la Puglia e la Spagna. Una indagine comparata sul ruolo delle botteghe: Nicola Salzillo, Roma 2008, pp. 94-149. []
  12. G.G. Borelli, Sculture barocche e tardobarocche in Calabria. Un percorso accidentato, in Sculture in legno in Calabria dal Medioevo al Settecento, catalogo della mostra, a cura di P. L. de Castris, Napoli 2009, pp. 63-77; cit. p. 70. []
  13. Cfr. A. Di Lustro, Gli scultori…, 1993, p. 40; doc. pp. 56-57; A. Di Lustro, Il Casale del Lacco nel secolo XVII crocevia di artisti tra Napoli e l’isola d’Ischia, in «La Rassegna d’Ischia», n. 5/2010, pp. 33-36. []
  14. Cfr. I. Di Liddo, La circolazione della scultura…, 2008, p. 128; doc. n. 4, pp. 45-46. []
  15. Idem, p. 137; doc. n. 26, p. 64. []
  16. Cfr. A. Di Lustro, Scoperto a Cadice un Bambino dello scultore Pietro Patalano, in «La Rassegna d’Ischia», 1, 1990, pp. 16-17; A. Di Lustro, Gli scultori…, 1993, pp. 54-55; A. Di Lustro, Un San Giovannino di Pietro Patalano scoperto a Cadice, in «La Rassegna d’Ischia», 3, 1995, pp. 18-20; Splendori di Sicilia: arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di M.C. Di Natale, catalogo della mostra, Palermo 2001, p. 541; G. G. Borrelli, Sculture in legno…, 2005, pp. 28-29, figg. 70-71, 74, tavv. X-XI; G.G. Borelli, Sculture barocche e tardobarocche…, 2009, scheda relativa a Pietro Patalano, n. 43, pp. 224-225. []
  17. Cfr. V. Rizzo, Scultori napoletani…, 1985, p. 32, doc. n. 80; A. Di Lustro, Gli scultori…, 1993, p. 61. []
  18. A. Di Lustro, Gli scultori…, 1993, pp. 61. []
  19. Colgo l’occasione per ringraziare il parroco della chiesa della SS.ma Annunziata di Dragoni, Don Davide Ortega, per avermi dato la possibilità di fotografare la statua. []
  20. Ringrazio la Diocesi di Alife-Caiazzo, in particolare Sig. Luigi Arrigo per l’immensa disponibilità e per avermi permesso di fotografare i pezzi in argento. []
  21. «I consoli (rappresentanti dell’arte) in numero di quattro, due per l’oro e due per l’argento, inizialmente venivano proposti da quelli uscenti e soltanto in seguito eletti per votazione dagli iscritti alla corporazione. Il loro compito consisteva nell’apporre su tutti gli oggetti il bollo della città e nel garantire con il proprio punzone che la bontà del metallo risultasse, dopo il saggio, quella prescritta dalla legge. I consoli dovevano anche effettuare controlli nelle botteghe degli argentieri che, fin dal Medioevo, erano concentrate nella “Piazza degli Orefici” e infliggere pene pecuniarie ai maestri inadempienti, devolvendo il ricavato ai poveri della “Piazza”». D. Catello, Tesori in luce: gli argenti della basilica cattedrale e del Museo diocesano di Pozzuoli, Napoli 2005, p. 12. []
  22. Cfr. Idem, p. 135; E. e C. Catello, Argenti napoletani dal XV al XIX secolo, Napoli 1973, p. 97; C. Catello, Tre secoli di argenti napoletani, Napoli 1988, p. 46; E. e C. Catello, I marchi dell’argenteria napoletana dal XV al XIX secolo, Sorrento 1996, pp. 29-66; C. Catello, Argenti antichi: tecnologia restauro conservazione rifacimenti e falsificazioni, Sorrento 2000, pp. 150-151. []
  23. Nel 1712 Matteo Treglia realizzò la mitra per la statua di S. Gennaro. L’opera, valutata a quei tempi 20.000 ducati, è ricca di 3694 pietre preziose: 3328 diamanti, 198 smeraldi e 168 rubini. Cfr. F. Strazzullo, La real cappella del tesoro di S. Gennaro: documenti inediti, Napoli 1978, pp. 28-29/ 124-127. []
  24. Sempre per la cattedrale di Caiazzo nel 1689 venne conseguito dal padre di Matteo, Aniello Treglia, il mezzo busto in argento di Santo Stefano vescovo, il quale sul retro reca lo stemma della città di Caiazzo: una croce fra quattro gigli sormontata da una corona. Cfr. E. e C. Catello, Scultura in argento nel Sei e Settecento a Napoli, Sorrento 2000, pp. 80-81, 157. Il San Ferdinando d’Aragona, vescovo di Caiazzo e protettore dei paesi di Dragoni ed Alvignano, è ricordato il 27 giugno di ogni anno quando di buon’ora parte una processione sia dalla chiesa di San Sebastiano ad Alvignano, con la statua e le reliquie del Santo, sia dalla chiesa della SS.ma Annunziata di Dragoni per raggiungere la chiesa di San Ferdinando d’Aragona che si trova presso il cimitero comunale di Alvignano. Questa tradizione, ricordata dal Fabrizio, ormai in uso da secoli, ha lo scopo di ricordare la morte del Santo avvenuta proprio in quest’area nel 1082. Cfr. M. Fabrizio, San Ferdinando d’Aragona Vescovo di Caiazzo e protettore di Dragoni ed Alvignano, in Dragoni: il territorio – la storia – le tradizioni, vol. II, Piedimonte Matese 1989, pp. 84-87. []
  25. Per l’opera di Pietro cfr. G.G. Borelli, Sculture barocche e tardobarocche…, 2009, pp. 63-77. Per le opere di Gaetano Patalano a Lecce cfr. G. Borrelli, Il presepe napoletano, 1970, p. 223; M. P. Ferrara, Arte napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo, Fasano 1983, pp. 223-224; doc. n. 158 pp. 315-316; A. Di Lustro, Gli scultori…, 1993, p. 59; R. Casciaro, La scultura, in Il Barocco a Lecce e nel Salento, catalogo della mostra, a cura di A. Cassiano, Roma 1995, p. 153; M. Cesari, scheda n. 44, in Sculture di età barocca…, 2007, pp. 252-253; I. Di Liddo, La circolazione della scultura…, 2008, pp. 128-131; p. 64 doc. n. 25. []
  26. Per il l’opera di Nicola Fumo cfr. G.G. Borrelli, Sculture in legno…, 2005, p. 19, fig. 24; Splendori del barocco…, 2009, p. 154. []