Simone Picchianti

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Un armaiolo fiorentino di inizio Quattrocento: la bottega di Francesco di ser Andrea di ser Bene

DOI: 10.7431/RIV16012017

Lo studio degli armamenti prevede, oltre all’analisi dei manufatti, la ricerca di informazioni in fonti scritte, come gli inventari delle botteghe, delle armerie o gli elenchi di merci di compagnie mercantili, risorse fondamentali ed essenziali per quanto riguarda gli inizi del XV secolo. Gli oggetti esistenti in questo periodo storico sono pochissimi e specificatamente quelli di produzione fiorentina. Secondo le ricerche e le attribuzioni di Scalini, oggi esistono solo due armamenti difensivi della prima metà del Quattrocento: una celata, conservata a Firenze presso il museo del Bargello, e un elmetto presente nel Museum für Deutsche Geschichte di Berlino1. Mancano anche fonti solitamente presenti, come le pitture murali o le lastre tombali, raffiguranti cavalieri e guerrieri che per altri periodi storici, hanno permesso di indagare sugli armamenti ma che in questo caso non ci vengono in aiuto. In questo contesto lo studio dell’inventario dei beni presenti nella bottega dell’armaiolo, diviene quindi essenziale per darci l’idea del volume produttivo di questi artigiani e risulta essere fondamentale, non solo per lo studio dell’evoluzione degli armamenti e dei materiali, ma anche per comprendere quali fossero gli strumenti e le tecniche decorative utilizzate2 in quel periodo.

Il termine armaiolo ha acquisito nel corso dei secoli e in base all’area geografica, significati che, seppur parzialmente simili, non rispecchiano la realtà storica di tale professione in contesti specifici d’analisi. Già nella prima edizione del vocabolario della Crusca, alla voce armaiolo corrisponde quegli che fabbrica l’armi3 e tale utilizzo permane tutt’oggi normalmente nella lingua italiana, talvolta nella specifica accezione di produttore di armature. Nella Firenze del XIV e XV secolo, un termine che potesse riunire tutti i produttori di armamenti non esisteva; si trovavano infatti lanciai, spadai, balestrieri, scudai, corazzai ed armaioli. I due ultimi gruppi di artigiani sono i soli che effettivamente potrebbero generare una qualche confusione, essendo i loro lavori talvolta simili. I corazzai erano produttori diretti di tutte le parti dell’armatura fabbricate mediante piastre di metallo4, mentre invece le protezioni costituite da anelli di metallo uniti tra loro, le cosiddette cotte di maglia, erano produzioni ad appannaggio dei soli armaioli5 (Fig. 1). Oltre a questa prima differenza, gli armaioli, forse proprio perché membri dell’Arte della Seta o Por Santa Maria, erano anche addetti al rivestimento di armamenti con tessuti anche di pregio come la seta6. Tale attività ci viene confermata dall’unica rubrica dello statuto dell’Arte riguardante espressamente l’attività degli armaioli, ovvero «Quod armaiuoli huius artis omnia que ad arma et armaduras pertinent facere possint», nella quale viene specificato che questi potevano riparare o modificare qualunque tipologia di arma e armatura7. Altra informazione interessante specificata, è quella della presenza, tra i lavoratori della bottega, di donne laboratrices, le quali, con tutta probabilità, si occupavano principalmente dei tessuti adoprati per i rivestimenti e per le imbottiture. Un’ultima fondamentale differenza tra corazzai e armaioli, era infine sulla vendita dei prodotti; i primi infatti potevano commerciare soltanto beni da loro prodotti, i secondi invece vendevano merci provenienti da ogni dove, avendo così la possibilità di operare anche sul mercato internazionale.

Venendo ora a trattare di Francesco di ser Andrea di ser Bene, di lui sappiamo che nel 1394 si iscrive all’Arte della Seta come armaiolo, dichiarando di vivere nel popolo di San Pier Maggiore, nel gonfalone delle Chiavi del quartiere di San Giovanni di Firenze8. All’interno della sua famiglia, già il fratello Puccino era iscritto come armaiolo nel 13849 e i figli di entrambi seguiranno le loro orme10. Francesco aveva una bottega assieme al compagno Antonio di Domenico del quartiere di Santa Maria Novella11 e, come meglio precisa Antonio nella sua portata al Catasto del 1427, la bottega si trovava nel Corso dei Brigliai, attualmente collocabile in via dei Calzaioli, tra via del Corso e la Piazza di Palazzo Vecchio12. Francesco risulta essere già morto nel 1424 mentre il figlio Bartolomeo continua il lavoro paterno nella stessa bottega assieme ad Antonio, il quale diviene il tutore e l’amministratore dell’eredità anche per i suoi fratelli Agnetta, Andrea e Giovanni, ancora minorenni13. Proprio per questa ragione, ad occuparsi dei beni del defunto, assieme a Bartolomeo, interviene la magistratura cittadina degli Ufficiali dei Pupilli, i quali si occupano dell’inventariazione di ogni bene e di elencare ogni debitore e creditore. All’interno della bottega, alla morte del padre, erano rimasti un gran numero di beni che, al fine di poterli meglio analizzare, saranno suddivisi in tre categorie: armamenti, elementi per fabbricazione o riparazione, strumenti14.

Per quanto riguarda gli armamenti, possiamo suddividerli tra copricapi, armature e protezioni per il tronco, protezioni delle braccia e delle gambe15.

I copricapi elencati nel documento sono16: «3 elmecti nuovi, fi. 14; I elmecto vecchio, fi. I; 5 elmecti vecchi a chappellino, lb.317. 16 cielate nuove forbite, fi. 12; 16 cielate verniciate vecchie, fi. 12; 2 cielate vecchie schoperte, lb.218. 2 bacinetti al’anticha vecchi, lb. I19. 30 ciervelliere et chappelline vecchie, fi. 2, lb.220. II ghorzarini d’acciaio21. 16 chamaglecti da elmecti, fi. 2722».

Come possiamo constatare, all’interno della bottega vi era un numero straordinario di questo genere di protezioni, divisibili in elmetti, cappelli d’arme, celate, bacinetti, cervelliere, cappelline e camagli. Ci sono tre definizioni relative a queste protezioni che risultano interessanti: verniciate, schoperte e forbite. Per quanto riguarda il primo, le vernici utilizzate in quel periodo erano composte da tre elementi, ovvero il veicolo, il diluente e il pigmento. Il veicolo poteva essere “grasso” oppure “magro”: nel primo caso era composto in prevalenza da olio cotto (noce, canapa, lino), mentre nel secondo da resina (la più pregevole era la sandracca, prodotta in Marocco ed Algeria, e commerciata già nel XIII secolo in Europa). Entrambi i veicoli erano diluiti con sostanze oleose di diversa natura, rispetto a quelle adoprate con essenza di trementina e i pigmenti potevano essere molteplici: bianchi, rossi, gialli, azzurri, verdi, bruni, violetti e neri23. La vernice così composta era applicata in forma liquida, che poi si solidificava mediante un processo di evaporazione dei componenti volatili del composto, assieme a un’ossidazione e polimerizzazione dei pigmenti. È da ricordare infine che tale operazione svolgeva la duplice funzione di colorazione dell’oggetto e di protezione del medesimo dagli agenti atmosferici. L’aggettivo schoperte potrebbe invece riferirsi al fatto che tale elmo potesse essere ricoperto di tessuto, cosa che poteva riguardare anche altri armamenti, come abbiamo avuto modo di dire precedentemente. Troviamo infatti, in un altro inventario di beni, le chorazze choperte vecchie di seta e cielate sotto il chappuccio24. Infine con l’aggettivo forbite si intendevano oggetti con lucidatura a specchio (Fig. 2). Tale operazione era effettuata a mano o mediante ruote di legno, utilizzando abrasivi come sabbie silicee, specialmente quelle di fiume o di mare, preferibili a quelle di cava, essendo quest’ultime composte da materiali eterogenei, senza escludere però le polveri di marmo come quelle di Carrara25. La lucidatura, oltre ad essere fatta per scopi estetici, riduceva anche la suscettibilità dell’oggetto all’ossidazione che poteva subire un manufatto con superficie irregolare.

Per quanto riguarda le armature e le protezioni per il tronco troviamo26: «4 chorazze schoperte melanesi nuove, fi. 32; 2 chorazzaccie triste, lb. 3; 2 chorazze, fi. I, lb 2. 1 petto a cinghie, lb.I, s. 10; 4 pecti vecchi, fi, I; 18 pecti vecchi, fi. 327. 10 panziere misere d’acciaio, fi. 25, lb.2; 5 panziere d’acciaio, fi. 4028. 14 chorecti di ferro, fi. 16, lb. 2; 3 chorecti29. 4 reste da pecti30».

La suddivisione principale è tra corazze, petti, panziere e coretti, tra le quali appare evidente il maggior valore della corazza senza copertura milanese, del prezzo di ben 8 fiorini. Tale cifra trova giustificazione per la qualità del prodotto ma non bisogna sottovalutare anche i maggiori costi di trasporto, i quali erano nulli per le armature prodotte in città. È da aggiungere inoltre che l’indicazione milanese non in tutti i casi indica il luogo di produzione, infatti il nome può riferirsi a un modello caratteristico del luogo indicato, prodotto altrove con lo scopo di contraffare tale oggetto31. Oltre a ciò, il termine chorazza sfortunatamente non ci aiuta a comprendere con certezza a quale armamento ci si riferisca. Nel linguaggio oplologico odierno, Boccia ha identificato quattro tipologie di armamenti corazzati, ovvero: corazza, lamiere, corazzina e brigantina32. Le tipologie corazza e lamiere, si diffondono dalla metà del XIII secolo in Europa e sono entrambe composte da un corpetto in corame rivestito nel primo caso da placche e nel secondo, da lame o piastre di metallo. Queste possono essere ricoperte esternamente da tessuto, fissato agli elementi metallici mediante rivetti, talvolta sapientemente posizionati per creare giochi decorativi sulla superficie. Le lamiere, dalla metà del Trecento, eliminano il supporto interno e iniziano ad evolversi nella successiva armatura di piastre, mentre la corazza, verso la fine del secolo, cede il passo alla corazzina, Questa è una protezione per il busto composta da piastre sagomate di grandi dimensioni, posizionate sul petto e sulla schiena, da placche e da lamelle; anch’essa era ricoperta di pelle, velluto e stoffa. La brigantina infine, è un giubbone di tessuto corazzato nella parte interna con lamelle, utilizzato per tutto il XV ed il XVI secolo. Detto questo, l’importante studio di Vignola sugli armamenti corazzati, evidenzia come i limiti cronologici fissati da Boccia per questi manufatti, siano suscettibili a modifiche. Secondo l’autore, il passaggio tra corazza e corazzina, potrebbe essere posteriore: infatti ad esempio, per quanto concerne il caso genovese, la differenza terminologica è attestata per la prima volta in un inventario datato 146933. Per quanto riguarda Firenze invece, nello statuto dei Corazzai e Spadai di inizio Quattrocento, si trova solo il termine coraçças senza alcun’altra differenzazione tipologica34. Questo ci indica di conseguenza la labilità dei limiti cronologici e, come in questo caso, la terminologia dell’epoca risulti essere di difficile interprestazione, identificandoci con chiarezza solo che si tratta di un armamento corazzato. Altro particolare su cui occorre soffermarci, è la divisione tra i prodotti in ferro e quelli in acciaio. Gergalmente tutt’oggi si trova tale differenza ma, in ambito metallurgico, le cose sono differenti. Il ferro come materiale puro non esiste in natura e anche quello che viene definito come “ferro battuto”, è in realtà un acciaio composto principalmente da ferro e carbonio, quest’ultimo presente in quantità bassissima (si tratta infatti di un acciaio extra dolce, con tenore di carbonio tra lo 0,05% e lo 0,15%). Detto ciò, già all’epoca era possibile creare acciai, seppur empiricamente, con determinate qualità di resistenza, dovute alla maggiore o minore presenza di carbonio e di elementi nocivi per il legame, come zolfo o fosforo35. Senza inoltrarci ulteriormente in questo ambito, la differenza tra ferro e acciaio, come esposta, era quindi una classificazione in base alla resistenza del metallo alla perforazione e alla deformazione in genere.

Tra le protezioni delle braccia compaiono36: «5 paia di bracciali nuovi, fi. 6; 6 bracciali recti vecchi, lb.3; I paio di bracciali vecchi, lb. I, s. 10; I paio di maniche d’acciaio, fi. I37. 2 spalliere manche nuove, fi. 3; I spalleruolo recto, lb.2; 8 spalleruoli chon spalliere vecchie, lb. I, s. 10385 paia di ghuanti di tre pezi melanesi nuovi, fi.3, lb. 239. I rotella da bracciali, lb. I40».

Come possiamo constatare, il numero di pezzi è inferiore alle categorie precedenti, data probabilmente una richiesta inferiore rispetto a protezioni valutate “più utili”, come quelle per il busto e la testa che non a caso saranno le più longeve nella storia degli armamenti difensivi. Particolarmente interessante è poi la presenza di spalleruoli chon spalliere vecchie, entrambe le protezioni sono per le spalle ma normalmente erano utilizzate separatamente, essendo di per se analoghe. In questo caso si trova quindi un modello di passaggio o sperimentale, utilizzante i prototipi di spallacci (spalliere vecchie) probabilmente non ancora totalmente efficaci e gli spallaroli di più antica tradizione.

Infine le protezioni delle gambe elencate sono41: «6 paia di chosciali fiorentini nuovi, fi. 15; 8 paia di chosciali melanesi riforbiti, fi. 20; 2 paia di chosciali antichi sanza fornimento, lb. 342, I paia d’arnesi vecchi, fi. 1, I paio d’arnesi43, 8 paia di schiniere nuove, fi. 8; 10 paia di schiniere usate et riforbite, fi. 8; 4 paia di schiniere vecchie, fi. I44».

Per la prima volta in questo elenco troviamo specificata la provenienza fiorentina e non solo quella milanese dei manufatti.  A mio avviso due sono le possibilità per giustificare tale evento: la prima è che ogni oggetto che non presenti una chiara indicazione di provenienza, sia stato prodotto a Firenze o nel contado della città e, di conseguenza, la specificazione in questo caso, sia da imputare ad una chiara qualificazione del prodotto, in base a caratteristiche peculiari alla sola produzione fiorentina. La seconda è che questo sia l’unico prodotto fiorentino presente, mentre gli altri, non specificati, siano di zone di produzione meno pregiate rispetto a Firenze o Milano, per cui non era necessario spendere parole. Ritengo che la prima ipotesi sia la più convincente anche se non si ha modo di meglio chiarire quali fossero le peculiarità del cosciale fiorentino a confronto con altri, a causa della mancanza di fonti che possano far luce a questo proposito. Per la prima volta troviamo l’aggettivo riforbito, indicante il riuso di un articolo, riportandolo però allo stato qualitativo iniziale. Di questi armamenti, possiamo vedere che il prezzo non cambiava molto: 10 fiorini nuovo e 8 fiorini riforbito, confermandoci il significato del termine vecchio, ovvero non è riferito all’utilizzo di un oggetto, ma propriamente ad un modello precedente.

Oltre alle protezioni aderenti al corpo troviamo anche I rotella45. Si tratta di una tipologia di scudo tondo costituito da elementi in legno, corame e ovviamente in acciaio46.Le uniche armi presenti nell’inventario sono infine 6 stocchi melanesi nuovi, fi. 447. Lo stocco è una spada caratterizzata da una lama fortemente acuminata a sezione romboidale, atta propriamente a scardinare gli anelli di maglia, impugnata con una o due mani, in uso principalmente nel XV e nel XVI secolo48.

All’interno dell’inventario, si trova inoltre un interessante elenco di prodotti ai quali corrisponde anche il nome di coloro che avevano commissionato l’acquisto dell’oggetto49:

I chorecto delle rede di Bonsi; I chorecto di ferro del Seccha;  I ghorzarino di Meo messer Vanni; I chorecto di Meo Donzello; I panziera di meza boza di Lucha dal’Ancisa; I chorecto di ferro di Vanni d’Anghiari; I panziera di boza di Iachopo Giungni50; I panziera chacciata di messer Pagholo da Roma; I chorecto di ser Tomme da Larchiano; I panziera di Johanni Rondinelli; I chorecto di ferro di Iachopo di Cameli; I panziera d’Acciaio di Bartolomeo da Pisa; 2 panziere d’Acciaio di Niccholo Barbadoro; I paio di fianchali di Perone da Chareggi51; I elmecto del Pizicha; I falda di Checcho di messer Filippo52; 2 chorecti di Giobbo reghactiere; I paio d’arnesi di Maso Ciacchi; I bacinetto verniciato di Matteo d’Ascholi.

Molti dei nomi presenti sono di personaggi di spicco della vita politica ed economica non solo di Firenze ma anche di altre città. Tra questi: Meo di messer Vanni Castellani, inviato con altri venti giovani fiorentini, tra i quali vi era Cosimo di Giovanni de’ Medici, a Pisa dopo la presa della città, come portavoce del Comune53; Baldaccio di Piero Vanni d’Anghiari, marito di Annalena Malatesta, condottiero di fanti al soldo di Firenze, poi giustiziato nel 1441 a causa di un suo possibile tradimento54; Iacopo Giugni, gonfaloniere di giustizia della città di Firenze nel 143155; Niccolò Barbadori, importante esponente politico alleato di Rinaldo degli Albizzi  e Palla Strozzi contro Cosimo de Medici56; infine Antonio Bentivoglio, figlio del signore di Bologna Giovanni I, occupato dagli anni ’20 del XV secolo, nel tentativo di riportare la città sotto il controllo della propria famiglia57. A questi possiamo ancora aggiungere, attingendo all’elenco dei suoi debitori, Francescho di Francescho della Luna, gonfaloniere di Giustizia nel 1418 e membro dei Dieci di Balìa nel 1423 e l’abate Giovanni Chancelliere di Francescho Orsini58. Come si è potuto constatare, l’attività di armaiolo di Francesco era chiaramente rivolta a una clientela di alto livello, facendo di lui uno dei personaggi più importanti in questo settore in ambito fiorentino. È da evidenziare infine l’alta qualità di alcune delle panziere da lui vendute, definite come di meza boza e di boza. Tali termini si riferiscono alle prove di resistenza alle quali l’oggetto era sottoposto, le quali, in altri contesti, venivano definiti di mezza pruova e di pruova, oppure da bota o da meza bota59. Tale verifica, così come possiamo leggere anche negli statuti degli armaioli di Angers del 1448, consisteva nel colpire l’armamento con un dardo scagliato da balestre con maggior o minore potenza: nel primo caso venivano segnate con due marchi (de toute éprove), nel secondo da uno solo (de demie espreuve)60. Per concludere, è da sottolineare anche il fatto che indubbiamente tali armature erano di qualità superiore rispetto alle altre presenti nella bottega, essendo state prodotte su misura per gli acquirenti e non riadattate in base alle esigenze.

Tra gli elementi per fabbricazione o riparazione di armamenti, troviamo61: «200 libre di piastrame da ghuanti tristi et altre piastrame, fi. 3; 500 libre di piastre da choraze, fi. 12, lb. 2; 6 peze di schiniere vecchie, lb I; 50 libre di pezame d’acciaio, fi. 4».

Da questa prima parte dell’elenco possiamo constatare l’imponente presenza (circa 255 kg) di semi lavorati in piastre, pronti a divenire parti di corazze o guanti. Come abbiamo avuto modo di vedere precedentemente, una delle attività principali dell’armaiolo era la riparazione e il rivestimento con tessuto di armamenti, tra i quali spiccano quelli corazzati. La presenza delle piastre doveva servire quindi a sostituire quelle danneggiate, per poi essere ricoperte nuovamente da tessuto. Il piastrame per guanti da una parte potrebbe riferirsi agli elementi di medie dimensioni che costituivano quelli a mittene, dall’altra potrebbero indicare le piccole piastrine che componevano quelli a dita separate. La presenza delle pezze da schiniere è invece più dubbia; forse in un’ottica di riutilizzo, queste potevano anche essere ottimi materiali oppure potrebbero essere state acquistate in questa forma per poi rivenderle nella medesima. Continuando l’elenco troviamo:

«100 libre di magle di ferro in piastrame, fi. 3, lb. 2; 470 libre di pezame di magla, fi. 9; 30 libre di pezame di magla d’ottone da panziere, lb. 3; 30 libre di maglie per fondere».

Gli oltre 210 kg di maglie presenti nella bottega, ci confermano chiaramente l’importanza non solo della vendita da parte dell’armaiolo ma anche della sua produzione di maglie di metallo (Fig. 3). L’indicazione magle di ferro in piastrame, ci indica infatti la prima fase della lavorazione ovvero, ricavare gli anelli da una piastra. Le metodologie per la produzione di anelli erano infatti due: ritagliandoli da una lamiera utilizzando un punzone, mantenendoli interi o con una apertura per poi richiuderli successivamente, oppure partendo da un filo di metallo, arrotondandolo e tagliandolo62. Per la creazione della maglia, si univano tra loro gli anelli, i quali venivano successivamente chiusi mediante dei piccoli rivetti ribattuti o schiacciati per fissarli i quali conferivano inoltre, una leggera decorazione all’oggetto, definita oggi “a grano d’orzo”63. Troviamo poi maglie con anelli in ottone, le quali avevano indubbiamente una scarsa efficacia rispetto a quelle in acciaio, infatti erano poste nei bordi delle maglie, al solo scopo estetico. Le maglie da fondere infine dovevano essere anelli venuti male o di sostituzione, impossibili da riportare ad uno stato valido per un nuovo utilizzo. Tra gli ultimi materiali presenti in bottega sono elencate:

«20 libre di bullecte di piu ragioni; 3 paia di cinghie vecchie, fi. 2; 2 cinghie vecchie, lb. 2; 8 libre o circha di fibbie; più legaci di berrectaccie da cielate; I pano vermiglo».

La scarsa presenza di questi ultimi elementi è giustificabile con il fatto che l’armaiolo di norma non si occupava di fissare le cinghie ai vari elementi dell’armatura. In questo senso non si può invece giustificare lo scarso numero di bullecte o di rivetti, i quali servivano a fissare le piastre ai tessuti. L’unica spiegazione possibile è che tali materiali fossero utilizzati in comune con il compagno di bottega Antonio e, di conseguenza, quelli qui indicati, sono solo una parte di quelli realmente presenti. Infine, il panno vermiglio ci ribadisce l’attività di rivestimento di armamenti svolta nella bottega. Non a caso troviamo anche una I cioppetta adogata con ariento sono di Giovanni da Vercelli, ovvero una veste decorata con fili d’argento, in questo caso forse indossata sopra qualche tipologia di armatura e perciò riadattata64.

Infine possiamo estrapolare dall’elenco dei beni presenti nella bottega, gli strumenti di lavoro65: «2 paia di tenagle; 2 martella; I paio di ciesoie; I stadera; I stadera grossa, lb. 2; descho chon anchudine a I° chorno; I anchudinetta a due chorni; 4 pali tondi».

Per quanto riguarda gli strumenti presenti nella bottega, essi ci indicano quali fasi lavorative venissero svolte al suo interno. Le tenaglie, non specificandone la qualità, potevano essere utilizzate per chiudere gli anelli della maglia e, allo stesso tempo, per afferrare le piastre al fine di modificarle leggermente tramite l’utilizzo dei martelli66. Forse, sempre per la creazione degli anelli o per la loro modifica, si trova una anchudinetta a due chorni che potrebbe aver avuto le minute dimensioni di quella da orafo, perfetta per le maglie (Fig. 4). Le cesoie invece potevano essere adoperate per il taglio di lastre di metallo67. All’interno della bottega manca una forgia che infatti non ci aspettavamo di trovare, data la sua funzione poiché le operazioni di modifica delle piastre dovevano essere molto esigue, benché confermate dall’incudine e dai quattro pali. Questi ultimi erano elementi che potevano essere fissati sull’incudine o in appositi ceppi; avevano varie forme, solitamente concave o convesse, atte a conferire rotondità alle piastre lavorate a martello. Infine immancabili sono le due stadere, ovvero bilance di due diverse dimensioni, per pesare le differenti tipologie di merci.

Infine va detto che l’esiguità degli strumenti di lavoro nella bottega, possono essere imputati a diversi fattori. In primo luogo, nella stessa bottega, come abbiamo poc’anzi ricordato, lavorava anche Antonio di Domenico e di conseguenza, non essendo a conoscenza di come fossero divise le attività è possibile che uno dei due avesse più strumenti dell’altro e che in caso di necessità potessero prestarseli (ad esempio l’inspiegabile mancanza di lime e punzoni). Inoltre tra i debitori di Francesco troviamo Nanni di Prio, definito come suo fabbro68 cosa che ci indica di conseguenza che alcune mansioni erano demandate a manovalanze esterne alla bottega, le quali avranno utilizzato strumenti di loro proprietà. Per di più non è da sottovalutare che le operazioni di decorazione sulle armature, ad esclusione in alcuni casi della lucidatura, non venivano svolte né dai corazzai né dagli armaioli. Se infatti escludiamo l’attività dell’armaiolo, inerente il rivestimento di armamenti con tessuti preziosi e la produzione di maglie di metallo con inserti decorativi, come quelli in ottone, Francesco di ser Andrea di Ser Bene si doveva appoggiare ad altri specialisti. A parziale conferma di tutto ciò, troviamo ancora tra i suoi debitori Piero battiloro69, ovvero un produttore di foglie d’oro e tra i creditori Datini di Niccholo di ser Vanni orafo70.

Per concludere, l’analisi della bottega di Francesco di ser Andrea di Ser Bene, oltre a mostrarci quali fossero gli armamenti commercializzati dal punto di vista tipologico, ci ha chiarito maggiormente in che cosa consistesse il mestiere dell’armaiolo a Firenze nel primo Quattrocento, cosa che invece le scarne indicazioni dello statuto dell’Arte non erano riuscite a fare. Oltre ad essere lui stesso un abile artiere, si può dire che Francesco sapesse muoversi con destrezza tra gli artigiani ed i mercanti fiorentini, al fine di soddisfare la sua esigente clientela. Egli infatti si occupava di reperire sul mercato internazionale i beni richiesti maggiormente e, nel caso si volesse un armamento con caratteristiche peculiari, era lui la persona a cui ci si doveva affidare. Egli sapeva infatti reperire la migliore spada sul mercato ed ingaggiare un orafo per dorarne il fornimento; poteva comprare un eccellente panziera, farla lucidare a specchio da un forbitore d’arme e poi completarla lui stesso con frange di maglia e con giochi di anelli d’ottone; o ancora, poteva acquistare da un setaiolo un tessuto di qualità che poi avrebbe utilizzato per rivestire un armamento corazzato. L’armaiolo fiorentino non era quindi solo un semplice artigiano o commerciante ma bensì poteva essere un trait d’union di manovalanze altamente specializzate, per creare armamenti qualitativamente ed esteticamente eccezionali.


  1. M. Scalini, L’armatura fiorentina del Quattrocento e la produzione d’armi in Toscana in Guerra e guerrieri nella Toscana del Rinascimento, Firenze 1990, pp.83-126. []
  2. Molto interessante sarebbe approfondire gli aspetti legati alla trasmissione delle conoscenze da una generazione all’altra o le diverse forme di collaborazione lavorativa all’interno della bottega che però, in questa sede, non saranno trattate. Per questi aspetti rimando a due contributi specifici ovvero M. Morello, L’organizzazione del lavoro nelle botteghe artigiane tra XIII e XV secolo. Il contratto di apprendistato, in «Historia e ius», (2016), pp.1-32 e D. Degrassi, La trasmissione dei saperi: le botteghe artigiane, in La trasmissione dei saperi nel medioevo (secoli XII-XV), Atti del convegno, Pistoia 16-19 maggio 2003, Pistoia 2005, pp.53-87. []
  3. Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze 1612, p.76, online. []
  4. G. Camerani Marri, Statuti delle Arti dei Corazzai, dei Chiavaioli, ferraioli, e Calderai e dei Fabbri di Firenze (1321-1344), Firenze 1957, p.9. «Hoc est constitutum artis coraççariorum et forbitorum elmorum, gamberolorum, lameriarum et aliorum rerum spectantis ad hanc artem et facientium coraçças, lamerias, starios de ferro, elmos, baccinectos, gambeloros, testieras et alia laboreria ad ipsam artem spectantia et ipsa arma et laboria vendentium et ad vendere tenentium». []
  5. Tra i molti beni commercializzati dagli iscritti all’Arte della Seta o Por Santa Maria, si trova: «quecumque arma de maglis» e «filum de ferro pro maglis faciendis». U. Dorini, Statuti dell’Arte di Santa Maria del tempo della Repubblica, Firenze 1934, pp.18-19. Sempre nell’elenco dei beni sopra citato troviamo maczas de ferro munitas de sirico. Idem, Statuti dell’Arte di Santa Maria..., 1934, p. 20. []
  6. Sempre nell’elenco dei beni sopra citato troviamo maczas de ferro munitas de sirico. Idem, Statuti dell’Arte di Santa Maria..., 1934, p. 20. []
  7. Idem, Statuti dell’Arte di Santa Maria..., 1934, p. 250. «Item, considerato quod armaiuoli sunt membrorum artis huius et quandoque reactant et ractari faciunt corazzas et alia arma, quod cedit in commodum et comunem utilitatem, et propterea molestantur diversimode ipsi et eorum discipuli, factores et laborantes, ideo provisum et statutum est quod armaiuoli possint eisque et cuilibet eorum liceat et potuerint et licuerint reactare et reactari facere tam per se ipsos quam per eorum discipulos, factores et laborantes et laboratrices, omnia arma et armaduras tam de maglis quam de corazzis et omnia alia facere e fieri facere que ad arma et armaduram et ad dictam artem et misterium pertinent et pertinebunt libere, licite et impune, et absque briga vel molestia eis vel alicui predictorum propterea quomodolibet molestari, cogi vel gravari per aliquem seu aliquos ad se matriculandum vel submictendum alicui alteri arti seu consulibus alicuius alterius artis». []
  8. ASFi, Arte della Seta o Por Santa Maria, 7, c. 68r. []
  9. ASFi, Arte della Seta o Por Santa Maria, 7, c. 160r. []
  10. Entrambi si iscrivono all’Arte nel 1436: Bartolomeo di Francesco di ser Andrea di ser Bene, ASFi, Arte della Seta o Por Santa Maria, 8, c. 25r; Francesco di Puccino di ser Andrea di ser Bene, ASFi, Arte della Seta o Por Santa Maria, 8, c. 70r. []
  11. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, c. 229v. []
  12. ASFi, Catasto 1427, 42, c. 69r. []
  13. ASFi, Pupilli avanti il principato, 160, c. 250r. []
  14. Una delle difficoltà maggiori dello studio oplologico relativa ai documenti antichi, riguarda sicuramente l’ambito lessicale. Come avremo modo di vedere molti termini non sono di facile interpretazione di conseguenza, al fine di interpretare il significato, oltre che per definire i limiti cronologici d’uso di tali oggetti, verrà utilizzato il prezioso volume di L. Boccia, Armi difensive dal medioevo all’età moderna, Firenze 1982. Tale scritto, frutto degli studi decennali dello studioso sul lessico storico, è oggi uno strumento fondamentale per l’analisi degli armamenti difensivi. []
  15. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, cc. 229v e 266r. []
  16. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, cc. 229v e 266r. []
  17. Il termine elmecto indica, a questa altezza cronologica, un elmetto da uomo d’arme, ovvero un copricapo sviluppatosi alla fine del XIV secolo ed in uso sino al 1520. Questo era composto da almeno quattro pezzi: un coppo, avente un guarda nuca, due guanciali ed un frontale, ovvero una doppia protezione per la parte anteriore della testa, acquisita intorno al 1420. È possibile inoltre che questo avesse anche una rotellina, elemento metallico fissato sopra il guardacollo per incrementarne la difesa. L’elmetto a cappellino invece si riferisce al cappello d’arme, in uso per tutto il XV secolo, costituito da un coppo, rinforzato da costolonature e caratterizzato da una tesa a spiovente. Laddove indicato come vecchio, potrebbe riferirsi a modelli del primo quindicennio del Quattrocento. L. Boccia, Armi difensive…, 1982, p.28. []
  18. La celata è una protezione per la testa che si sviluppa nella seconda metà del XIV secolo e continua ad essere utilizzata, con molte varianti, fino al III quarto del Cinquecento. Questa lasciava scoperta parte del viso ed aveva una gronda nella parte posteriore. Idem, Armi difensive…, 1982, p. 27. []
  19. Con il termine bacinetto, è possibile che si riferisca ad un bacinetto a visiera ovvero un copricapo avente anche una protezione per il viso, la visiera, che poteva essere aperta a ribalta ed era completato da un camaglio, in uso dagli anni’20 del XIV secolo sino ai primi anni del Quattrocento. Potrebbe trattarsi anche del cosiddetto gran bacinetto, in uso dalla fine del Trecento fino al primo trentennio del XVI secolo, differente da quello a visiera per la mancanza delle maglie, per una maggiore protezione. Come abbiamo già precisato il termine vecchio indica indubbiamente un periodo cronologico, mentre in questo caso al’anticha, potrebbe suggerire una produzione particolare, volutamente con rimandi a periodi cronologici anteriori, probabilmente per scopi estetici. Idem, Armi difensive…, 1982, p. 25. []
  20. Le cervelliere sono, tra le armature per la testa, le più longeve in Europa. Esse infatti sono prodotte dal XII al XVIII secolo e possono essere composte da lamelle, dischetti o squame. La cappellina è molto simile: è composta da un coppo ed una tesa molto raccolta, a differenza dal già citato cappello d’arme. Idem, Armi difensive…, 1982, p. 29. []
  21. Il gorzarino è una maglia di anelli di metallo, molto piccola, fissata a un supporto in metallo o in pelle, nei guanciali dell’elmetto dall’ uomo d’arme. Idem, Armi difensive…, 1982, p.18. []
  22. Il camaglio, in uso tra l’inizio del XIV e l’inizio del XV secolo, era una maglia di anelli di metallo fissata a molte tipologie di copricapi, mediante cinghie in pelle con legacci. Ibidem. []
  23. G. Dondi, La fatica del bello, Tecniche decorative dell’acciaio e del ferro su armi e armature in Europa tra Basso Medioevo ed Età Moderna, Oxford 2011, pp. 120-123. []
  24. ASFi, Pupilli avanti il principato, 165, c. 393v. []
  25. G. Dondi, La fatica del bello…, 2011, pp. 45-46. []
  26. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, cc. 229v e 266r. []
  27. Questa tipologia di protezione per la parte superiore del busto, rimane in uso tra l’inizio del XV e la fine del XVI secolo. In questo periodo l’elemento è caratterizzato da una sporgenza al di sotto del baricentro umano e, specificamente in ambito italiano, ha una conformazione ovata. Il termine petto poteva inoltre indicare il modello composto, che nel caso italiano comprendeva il petto propriamente detto e la panziera. L. Boccia, Armi difensive…, 1982, p.33. []
  28. Come già accennato, essa protegge la parte inferiore del tronco ed è caratterizzata da una forma cuspidata nella parte centrale. Nella sua evoluzione ha teso sempre più a coprire la parte superiore del corpo, doppiando per gran parte il petto. Ibidem. []
  29. Il termine coretto nel nostro caso indica due tipologie dello stesso oggetto: il primo è il cosiddetto farsetto d’arme, ovvero una giubba di cuoio, con o senza maniche, indossata sotto l’armatura, con parti in anelli di maglia a protezione dei punti scoperti dalle piastre (falsi d’arme) ed aghetti atti al fissaggio di altri elementi quali arnesi, bracciali, spallacci; il secondo, quello di ferro, potrebbe indicare un’intera cotta di maglia fissata ad un farsetto in cuoio. L. Boccia, Armi difensive…, 1982, p.19. []
  30. Elemento metallico fissato sul fianco destro del corpo, sul quale era possibile posizionare la lancia (lancia in resta) per avere una maggior comodità e precisione del colpo. Idem, Armi difensive…, 1982, p.24. []
  31. Come ci dice Frangioni a proposito delle mercerie fiorentine per Avignone, si trovano casi di oggetti fatti a Firenze con l’indicazione “al modo di Milano” o più esplicitamente “contraffatti al modo di Milano”. L. Frangioni, Armi e mercerie fiorentine per Avignone, 1363-1410, in Studi di storia economica Toscana nel Medioevo e nel Rinascimento, in memoria di Federigo Melis, Ospedaletto, Pacini editore, 1987, p. 146. []
  32. L. Boccia, Armi difensive…, 1982, pp.19-20. []
  33. M. Vignola, Armamenti corazzati e archeologia: spunti per uno studio interdisciplinare. Il caso dell’Italia e dei contesti friulani, in «Quaderni cividalesi», 30, (2008), p.150. []
  34. ASFi, Arte dei Corazzai e Spadai, 2, 5r. []
  35. Per maggior approfondimenti si rimanda ai celebri lavori scritti da A. R. Williams della The Wallace Collections, come: A. R. Williams, On the Manufacture of Armor in Fifteenth-Century Italy, illustrated by Six Helmets in Metropolitan Museum of Art, in «Metropolitan Museum Journal», XIII, (1987), pp. 131-142; The Manufacture of Mail in Medieval Europe: a Technical Note, in «Gladius», XV, (1980), pp. 105-134; Fifteenth century armour from Churburg. A Metallurgical study, in «Armi Antiche», XXXII, (1986), pp. 3-82. []
  36. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, cc. 229v e 266r. []
  37. I bracciali, sono difese per l’intero arto, costituiti da lame e piastre di metallo, suddivisibili in tre parti: cannone di braccio, cubitiera e cannone antibraccio. Sono prodotti dalla metà del XIV alla metà del XVII secolo. Con maniche si indica il solo cannone di braccio che può essere composto da due piastre unite tra loro, oppure, nel caso dell’armatura italiana del XV secolo, si ha una sola piastra sagomata. L. Boccia, Armi difensive…, 1982, p.35. []
  38. Lo spallaccio di questo periodo può essere composto di un solo pezzo o da lame articolate. Lo spallarolo è il predecessore dello spallaccio, con il quale convive fino alla metà del XV secolo. È formato inizialmente da una lama ogivale fissata a una corazza e successivamente da lamelle di metallo. Idem, Armi difensive dal medioevo all’età moderna, cit., p.35. []
  39. I guanti, definiti oggi come manopole, in questo periodo potevano essere a mittene, ovvero delle muffole in lame di metallo, oppure a dita separate, protette da lamelle unite tra loro a rivestimento della mano. In questo caso la precisazione di tre pezi, ci indica chiaramente un modello a muffola (un pezzo per il dorso, uno per le quattro dita ed uno per il pollice). Idem, Armi difensive dal medioevo all’età moderna, cit., pp.36-37. []
  40. Detta odiernamente rotellina da spallaccio, era un disco di metallo, fissato alle protezioni della spalla per incrementarne la difesa. Idem, Armi difensive dal medioevo all’età moderna, cit., p.35. []
  41. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, cc. 229v e 266r. []
  42. Il cosciale, precedentemente in cuoio rinforzato da elementi metallici, nel XV secolo è composto da piastre e lame in metallo definendone vari modelli: intero, con una sola lama e una lama in forma di lunetta nella parte sommitale; a piastre, con due o più piastre; a lame, costituito da molteplici lame unite tra loro con strisce di cuoio rivettate. L. Boccia, Armi difensive dal medioevo all’età moderna, cit., p.38. []
  43. L’arnese era l’insieme di un cosciale e del ginocchiello, ovvero la protezione per il ginocchio. Ibidem. []
  44. La schiniera protegge dal ginocchio al collo del piede e comprende anche il calcagno. È formata da due piastre incernierate tra loro. Ibidem. []
  45. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, c. 266r. []
  46. L. Boccia, Armi difensive dal medioevo all’età moderna…, 1982, p.40. []
  47. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, c. 229v. []
  48. C. De Vita, Armi Bianche dal medioevo all’età moderna, Firenze 1983, p.14. []
  49. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, c. 266r. []
  50. L. Frangioni, Preposizioni semplici diverse per mercerie milanesi (e fiorentine) nel Trecento, in «Nuova rivista torica», (1985), V-VI, pp. 615 e 621. []
  51. I fiancali erano due piastre sagomate, fissate alle falde inferiori frontali della parte superiore dell’armatura, a protezione della parte superiore delle cosce. Essi fanno la loro comparsa proprio negli anni di scrittura del testamento e rimangono in uso sino ad inizio XVI secolo. L. Boccia, Armi difensive dal medioevo all’età moderna…, 1982, p.38. []
  52. Con il termine falda intende la serie di lame poste nella parte inferiore dell’armatura italiana del XV secolo, a protezione di cosce e bacino. Idem, Armi difensive dal medioevo all’età moderna…, 1982, p.37. []
  53. L.A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Milano 1731, p. 1148. []
  54. Dizionario biografico degli italiani, V, Roma 1963, online. []
  55. A. von Reumont, Tavole cronologiche e sincrone della storia fiorentina, Firenze 1841, p. 34. []
  56. Dizionario biografico degli italiani, VI, Roma 1964, online. []
  57. Dizionario biografico degli italiani, VIII, Roma 1966, online. []
  58. ASFi, Pupilli avanti il principato, 160, cc. 260r e 261r. []
  59. L. Frangioni, Preposizioni semplici diverse per mercerie milanesi (e fiorentine)…, 1985, pp. 615 e 621. []
  60. M. Vignola, Armamenti corazzati e archeologia…, 2008, p.150. []
  61. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, cc. 229v e 266r. []
  62. G. Dondi, La fatica del bello…, 2011, p. 23. []
  63. Un’interessante analisi metallografica su maglie metalliche del XV e XVI secolo, del Swiss Institute of Arms and Armour, si trova in C. W. Brawer, Metallographic examination of Medieval and Post-Medieval Iron Armour, in «Historical Metallurgy», (1981), 15, p.5. []
  64. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, c. 266r. []
  65. ASFi, Pupilli avanti il principato, 41, cc. 229v e 266r. []
  66. Tra quelle che troviamo nelle mercerie fiorentine per Avignone della fine del XIV secolo, troviamo il modello specifico di tanagle per lavorare di malgia. L. Frangioni, Armi e mercerie fiorentine per Avignone…, 1987, p.165. []
  67. Anche in questo caso, tra le mercerie troviamo cesoie in acciaio atte a tagliare il ferro. Idem, Armi e mercerie fiorentine per Avignone…, 1987, p.168. []
  68. ASFi, Pupilli avanti il principato, 160, c. 259v. []
  69. ASFi, Pupilli avanti il principato, 160, c. 260v. []
  70. ASFi, Pupilli avanti il principato, 160, c. 262r. []