Roberta Cruciata – Edgar Vella

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Piccole meraviglie in alabastro, avorio e corallo: nuove aggiunte alle arti decorative siciliane a Malta

DOI: 10.7431/RIV15062017

Una ricca collezione privata maltese custodisce alcune piccole inedite opere d’arte decorativa realizzate in materiali di pregio che, per motivi sia tecnici che stilistico-compositivi, possono riconoscersi come manufatti siciliani del XVIII secolo. Essi, verosimilmente considerati dai collezionisti aristocratici e religiosi del tempo da esibire o conservare gelosamente alla stregua di moderni status symbol, non fanno che confermare la radicata presenza a Malta delle più rappresentative e riconoscibili espressioni artistiche che resero celebri nei secoli in tutto il bacino mediterraneo i maestri di Sicilia, in particolar modo quelli trapanesi1. Si tratta di un Cristo in croce in alabastro rosa (“pietra incarnata”) dipinto, un San Sebastiano nello stesso materiale tipicamente trapanese dipinto e dorato e due composizioni raffiguranti l’Adorazione dei pastori, la prima in avorio, la seconda in avorio, corallo, ceralacca, tela grezza, legno dorato e madreperla, che evidenziano come qualità peculiari una spensierata eleganza e una minuziosa leggiadria che sembrano anticipare il gusto rococò pur nella sacralità dei temi illustrati.

L’esile Cristo morto in alabastro rosa (Fig. 1) è di un certo interesse in quanto conserva ancora la policromia originale: capelli e barba bruni, labbra rosse, così come le ferite su mani, piedi e costato, e perizoma bianco annodato sul fianco destro. Sono presenti i classici patetismi ravvisabili in altre opere similari, quali il capo reclinato, il viso smunto, gli occhi socchiusi e la bocca lievemente dischiusa, la barba bipartita sul mento, la particolare capigliatura con le due ciocche anteriori ondulate, che sembrano ancora stancamente riecheggiare i moduli classicisti-seicenteschi; ma il Cristo è ormai raffigurato compostamente in posizione frontale con un evidente fine esemplificativo e didascalico nei confronti dei fedeli, che non lascia spazio a eventuali coinvolgimenti emotivi. Richiama alla memoria il piccolo Cristo in marmo alabastrino policromo e dorato mutilo delle braccia e delle gambe di collezione privata catanese2, da considerare allo stesso modo opera di maestri attivi a Trapani alla metà del Settecento.

Quello di San Sebastiano è un soggetto tanto caro all’arte e alla devozione trapanese, soprattutto in virtù del suo essere considerato taumaturgo contro le epidemie, che fu scolpito dalle maestranze della città falcata soprattutto in avorio e in alabastro rosa, materiale quest’ultimo che si addice benissimo alla rappresentazione del suo corpo sfigurato dal martirio subito. Nell’opera in esame (Fig. 2), databile alla metà del XVIII secolo, contrariamente a quanto accadeva nella tradizione della pittura italiana che era solita effigiare il Santo con le braccia conserte dietro la schiena, egli è colto nel momento esatto in cui viene martirizzato con il lancio delle frecce (anche se poi sarebbe morto verberato) con il braccio destro arcuato levato al cielo secondo una consuetudine nordica. Vestito esclusivamente di un ricco perizoma drappeggiato, è privo della colonna o dell’albero a cui in origine doveva essere legato. Strette analogie sono ravvisabili con la statua di San Sebastiano in “pietra incarnata” dall’impianto figurativo assai mosso, di dimensioni medie, parte delle collezioni del Museo Regionale “A. Pepoli”, riferita a maestranze trapanesi della prima metà del Settecento3.

La terza opera, l’Adorazione dei pastori eburnea (Fig. 3), espressione di una religiosità intima frutto delle teorie controriformate che privilegiarono un uso devozionale e cultuale dell’arte sacra, si inserisce all’interno di una produzione che di certo dovette accomunare numerosissime botteghe trapanesi nel corso del Settecento, tanto che pare lecito parlare di una vera e propria produzione seriale ante litteram. Il manufatto, raffrontabile da un punto di vista tecnico, stilistico-compositivo ma soprattutto iconografico con numerosi altri dal medesimo soggetto presenti in collezioni private maltesi4, è ascrivibile a bottega attiva nella prima metà del secolo. Secondo uno schema consolidato, infatti, in alto sta Dio Padre circondato da fitti raggi, in basso Maria, Giuseppe e Gesù Bambino e tre pastorelli, che trovano spazio tra due quinte architettoniche in rovina secondo un gusto di derivazione piranesiana. Tutti i personaggi sono plasmati con dovizia di particolari e una grazia leziosa.

La composizione polimaterica che similmente rappresenta un’Adorazione dei pastori (Fig. 4) sorge su un basamento con profili e piccoli piedi in legno dorato e specchiature in madreperla ornate centralmente da ovali lisci e rettangolini sfaccettati in corallo. Gli elementi di fondo sono realizzati in rosso corallo grezzo, su cui si stagliano le micro-sculture intagliate in avorio che nella loro candida compostezza di matrice neoclassica appaiono chiuse nella contemplazione dell’evento prodigioso a cui hanno il privilegio di assistere. L’impostazione generale della scena e i materiali utilizzati permettono di accostare il manufatto a produzione trapanese della metà del XVIII secolo. Particolarmente calzanti appaiono i raffronti con il coevo gruppo in avorio, corallo, ceralacca, agata e legno dorato raffigurante la Fuga in Egitto che fa parte della Collezione Banca Popolare di Novara5; e con i due, che in aggiunta hanno la madreperla, di collezioni private palermitane con Scene della vita di Santa Rosalia6, entrambi attribuiti dubitativamente alla bottega di Andrea Tipa (ante 1725-1766).

A proposito di corallo, durante tutto il Settecento numerose imbarcazioni siciliane continuarono a recarsi lungo le coste di Malta per praticarne la pesca7. Il prelievo dell’“oro rosso” sull’Isola ha una tradizione antichissima, basti citare quanto scriveva il poeta romano Grazio Falisco (fine I secolo a.C.-post 8 d.C.) nel suo Cynegeticon, poema didascalico sulla caccia con i cani, quando a proposito dei rimedi contro la rabbia faceva riferimento all’uso di allacciare intorno al collo del cane malato dei piccoli collari realizzati, oltre che con conchiglie sacre, pietra focaia ed erbe con l’accompagnamento di incantesimi, anche con coralli maltesi (Melitensia curalia)8. Un piccolo dipinto del XVII secolo di collezione privata palermitana pubblicato nel 1986 da Maria Concetta Di Natale mostra proprio «un cagnolino, dalle movenze aggraziate, ornato di collanine di corallo rosso non solo al collo, ma in tutte le quattro zampe»9, a suffragare la conseguente diffusione nel tempo di tale usanza con evidente funzione profilattica e apotropaica. I coralli usati per i cani, non a caso, nel tempo continuarono a essere detti melitensi (Ibidem.)).

Le sculture descritte del Cristo in croce e del San Sebastiano facevano parte in origine della collezione Zammit Gauci di Casal Zebbugi (Malta). Si tratta di una nobile famiglia di Malta che dovette avere rapporti familiari o commerciali con la Sicilia, o comunque con l’Italia meridionale, come palesano ancora oggi altre piccole sculture, una delle quali, un inedito San Girolamo eremita in marmo alabastrino databile al XIX secolo, è custodito allo stesso modo nella collezione privata finora analizzata. Altre due, una Madonna di Trapani (Fig. 5) in marmo alabastrino dipinto e dorato10 e un inedito San Michele Arcangelo (Fig. 6) in alabastro dipinto e dorato si trovano in un’altra collezione privata di Musta (Malta). Un’inedita Annunciazione in alabastro in origine di proprietà degli Zammit Gauci fa parte oggi di una collezione privata di Tarscen (Malta).

La citata Madonna di Trapani è un manufatto ascrivibile a maestranze trapanesi della fine del XVII secolo, tipica espressione della cultura barocca siciliana e allo stesso tempo emblematico esempio della diffusione di tale culto, e di conseguenza delle piccole sculture in materiali pregiati che la ritraevano, anche a Malta11. Rientra tra le riproduzioni che, seppur rispettando nell’insieme l’iconografia del simulacro della Madonna di Trapani (1360 ca.) in marmo dipinto e dorato di Nino Pisano che si trova nella basilica-santuario trapanese di Maria Santissima Annunziata, se ne distaccano per taluni dettagli frutto di una più libera interpretazione. È l’elaborata base a palesare soprattutto la sua provenienza, per l’utilizzo a scopo decorativo di elementi tanto cari al repertorio ornamentale dei maestri della città falcata, quali le volute laterali entro cui si inserisce lo scudo circondato da una cornice lavorata a traforo con volute acantiformi, completata in alto da una corona. Lo scudo, campito di rosso, riporta lo stemma della città, ovvero il ponte a tre arcate con le cinque torri (torre Pali, torre Vecchia, torre di Porta oscura, torre del Castello a mare, torre del Castello a terra) sormontato dalla falce dorata che allude alla forma del porto. La statuetta è raffrontabile con la Madonna di Trapani in alabastro dipinto custodita nella chiesa dei Cappuccini

di Caccamo (Palermo), datata alla metà del Settecento, che tra l’altro mostra un’identica soluzione compositiva nel basamento12. A Malta sono documentate molte altre minute statue di maestranze trapanesi che riproducono tale soggetto iconografico, tra le quali si ricordano quella in alabastro dipinto e dorato (fine XVII secolo) esposta al museo del convento di San Francesco a Rabat, quella in alabastro (inizi XVIII secolo) del museo Wignacourt di Rabat e la Madonna di Trapani in alabastro dorato (fine XVIII-inizi XIX secolo) di proprietà dei Cappuccini di Floriana13.

Per quanto riguarda l’inedito San Michele è raffrontabile con quello di collezione privata di Palermo14 e, similmente, riferibile a maestranze pugliesi della prima metà del Seicento. Si tratta, infatti, di un’opera che si ispira al celebre San Michele Arcangelo dell’omonimo santuario di Monte Sant’Angelo (Foggia), attribuito allo scultore fiesolano Andrea Ferrucci (1465 ca.-1526)15. L’arcangelo-guerriero era già considerato dagli Ebrei come il principe degli angeli, protettore del popolo eletto, simbolo dell’assistenza divina nei confronti di Israele (Daniele 10,13.21; 12,1). Nel Nuovo Testamento egli è presentato come avversario del demonio, vincitore dell’ultima battaglia contro satana e i suoi sostenitori, che viene così descritta nell’Apocalisse: «Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli» (Apocalisse 12, 7-9). La statua in esame ritrae il Santo in piedi come un combattente, con una corta spada sollevata nella mano destra e una lancia-stendardo a simboleggiare l’unione tra cielo e terra nell’altra, in un atteggiamento vittorioso ma compassato, al limite del distaccato, tant’è vero che è assente sotto i suoi piedi il tipico attributo raffigurante il demonio bensì vi si trovano nuvole e cherubini alati. Indossa la tradizionale armatura che ricorda quella dei centurioni romani e gli alti calzari dalla foggia classica. La medesima consistenza eterea e trasparente dell’alabastro permette poi di riferire ugualmente a bottega pugliese l’inedita Madonna con Bambino e Santa, verosimilmente la Vergine della cintura con Santa Monica, scolpita in un unico blocco di roccia sedimentaria, che fa parte della stessa collezione privata di Musta. Altre due statuette con San Michele Arcangelo che scaccia i demoni, rispettivamente in alabastro e in marmo alabastrino, attribuite a maestranze trapanesi attive nella prima metà/metà del Seicento si trovano al museo Wignacourt di Rabat e in una collezione privata dell’Isola16. Esse sono animate da ben altro pathos, dal momento che mostrano il Santo nell’atto di sferrare l’attacco finale all’agonizzante demonio dalle sembianze umane che giace schiacciato sotto i suoi calzari.

I vincoli familiari e commerciali tra Sicilia e Malta si rivelano ancora una volta un forte tramite per la commissione di opere d’arte e la circolazione di manufatti e maestranze tra i due territori, e ciò che rimane dell’originaria collezione Zammit Gauci di Casal Zebbugi ne è un’interessante riprova.

  1. Per l’argomento cfr. R. Cruciata, Intrecci preziosi Arti Decorative Siciliane a Malta 1565-1798, prefazione M.C. Di Natale, premessa M. Buhagiar, saggio introduttivo M. Vitella. “Quaderni dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia Maria Accascina”, 5, collana diretta da M.C. Di Natale, Palermo 2016. []
  2. Cfr. G. Travagliato, “Scheda IV.23”, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra (Trapani, 15 febbraio-30 settembre 2003), a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003, pp. 193-194. []
  3. Cfr. G. Bongiovanni, “Scheda V.10.2”, in Materiali preziosi , 2003, p. 257. []
  4. Cfr. R. Cruciata, Intrecci preziosi …, 2016, pp. 169-172. []
  5. Cfr. L. Marino, “Scheda 46”, in Rosso Corallo Arti Preziose della Sicilia Barocca, catalogo della mostra (Torino, 29 luglio-28 settembre 2008), a cura di C. Arnaldi di Balme, S. Castronovo, Cinisello Balsamo 2008, pp. 186-187. []
  6. Cfr. T. Crivello, “Schede V.9.4 e V.9.5”, in Materiali preziosi , 2003, pp. 250-251. []
  7. Cfr. R. Cruciata, Intrecci preziosi …, 2016, p. 59. []
  8. M. Cassia, L’arcipelago maltese sotto il dominio romano, in Malta in the Hybleans, the Hybleans in Malta, proc. int. conference (Catania, 30 september, Sliema 10 november 2006), eds. by A. Bonanno, P. Militello, Palermo 2008, p. 152. []
  9. M.C. Di Natale, Il corallo da mito a simbolo nelle espressioni pittoriche e decorative in Sicilia, in L’arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra (Trapani, 1 marzo-1 giugno 1986), a cura di C. Maltese, M.C. Di Natale, Palermo 1986, pp. 97-99. []
  10. R. Cruciata, Intrecci preziosi …, 2016, p. 155. []
  11. Per l’argomento cfr. R. Cruciata, Devozione per la Madonna di Trapani a Malta tra Sei e Settecento: la statua del convento di Santa Maria di Gesù di Valletta e altre opere siciliane, in Scientia et Religio Studies in memory of Fr George Aquilina OFM (1939-2012). Scholar, Archivist and Franciscan Friar, ed. by M.J. Azzopardi, Malta 2014, pp. 275-293. []
  12. Cfr. M. Vitella, “Scheda I.9”, in Materiali preziosi …, 2003, p. 120. []
  13. Cfr. R. Cruciata, Intrecci preziosi …, 2016, pp. 73-75, 154, 157, 163. []
  14. Cfr. R. Cinà, “Scheda V.8.1”, in Materiali preziosi…, 2003, p. 240. []
  15. Cfr. R. Naldi, Andrea Ferrucci Marmi gentili tra Toscana e Napoli, Napoli 2002. []
  16. Cfr. R. Cruciata, Intrecci preziosi …, 2016, pp. 158-159. []