Riccardo Franci

r.franci@museostibbert.it

Un Tesoro Nazionale del Giappone, la spada della tomba Inariyama

DOI: 10.7431/RIV15022017

Nel 1968 in Giappone una equipe di archeologi riporta alla luce il contenuto della tomba di un guerriero di alto rango vissuto alla fine del V secolo. Fra gli oltre duecento oggetti che compongono il corredo funebre c’è anche una spada destinata a rivoluzionare la storia dell’archeologia e a divenire uno dei Tesori Nazionali del Giappone.

Per cominciare è però importante contestualizzare il ritrovamento. Gli anni Sessanta del secolo scorso furono il periodo di maggior splendore1 per una disciplina, l’archeologia, sempre considerata in Giappone ‘fastidiosa’. È il caso di ricordare che fino alla seconda guerra mondiale l’imperatore non era soltanto una figura simbolica, ma il capo dello stato a tutti gli effetti.  Il sistema politico giapponese si reggeva sul dogma della natura divina dell’imperatore, avvalorando la tradizione secondo la quale la sua stirpe discendeva direttamente dalla dea del sole Amaterasu Ōmikami. I due testi sacri «Kojiki»2 e «Nihon Shoki»3, scritti nell’VIII secolo, in cui si tramandano la storia e le gesta degli esponenti della casa imperiale, erano indicati come unica fonte storica corretta. Negli anni Trenta e Quaranta, durante il militarismo, la figura dell’imperatore fu brutalmente strumentalizzata dal regime che se ne autoproclamava tutore, e tutta l’ideologia nipponica del Giappone a capo di un’Asia unificata per volere divino, si fondava sull’interpretazione integralista di questi testi. Facile comprendere quanto l’archeologia fosse considerata come fumo negli occhi, gli scavi furono fortemente osteggiati e qualsiasi dato archeologico emerso fu pesantemente censurato. Quando poi si andavano a toccare argomenti quali l’origine del popolo giapponese, le immigrazioni dalla Corea oppure i primordi dell’evoluzione sociale in Giappone, scattavano arresti e punizioni che ridussero al silenzio molti professori universitari e illuminati archeologi4.

Con la fine della guerra nel 1945, spazzati via il militarismo e la censura, e ridotto l’imperatore a mera figura simbolica, caddero i lacci che imprigionavano la ricerca archeologica5 e, dopo la ricostruzione degli anni Cinquanta, si aprì una nuova era per chi voleva indagare preistoria e protostoria del Giappone. È in questo nuovo clima che il governo stanziò contributi e garantì facilitazioni per iniziare a scavare siti ed aree legate al passato. Le strutture sicuramente più promettenti erano senza dubbio le grandi tombe a tumulo che tutti conoscevano ma che fino ad allora erano state indagate solo occasionalmente e senza le metodologie dell’archeologia moderna.

Si iniziò a scavare le tombe più importanti delle necropoli più significative e fra queste va annoverata quella di Sakitama, nella città di Gyōda, prefettura di Saitama, a pochi chilometri a Nord Ovest di Tokyo6.

Il complesso tombale conta nove tumuli principali e una serie di tumuli minori. I più importanti sono di lunghezza compresa fra i 100 e i 130 metri con una struttura del tipo zempō-kōen (letteralmente quadrangolare davanti e tonda dietro), facilmente individuabili per la caratteristica forma a toppa di serratura, quasi tutti circondati da fossati un tempo pieni d’acqua. Da annotare fra i maggiori, quello chiamato Maruhakayama che, con un diametro di 102 metri, è il tumulo circolare più grande del Giappone (Fig. 1).

Per ottenere finanziamenti dallo stato era necessario dimostrare l’importanza storica del sito, pertanto fu deciso di iniziare scavando una delle tombe più grandi, con l’augurio che potesse restituire materiale in grado di smuovere l’opinione pubblica. Il 1 agosto del 1968 fu dato l’avvio ai lavori sul tumulo chiamato Inariyama.

La scelta cadde su questa tomba perché si presentava fortemente danneggiata da alcuni lavori di sterro, per ampliare delle risaie limitrofe, effettuati negli anni 1938-397. Fortunatamente rimaneva intatta gran parte dell’area circolare posteriore ospitante la tomba vera e propria. Dai rilievi fatti fu dedotta una lunghezza originale di 120 metri, la parte trapezoidale anteriore aveva un fronte di 75 metri con una altezza di 11,4 metri, mentre la parte posteriore aveva un diametro di 58 metri per una altezza di 10,4 metri. Il tumulo era circondato da un doppio ordine di fossati quadrangolari di cui il più esterno misurava 206 metri per 163 metri8 (Fig. 2).

Sulla parte sommitale del tumulo furono rinvenute due fosse, una rivestita di ciottoli e grossa ghiaia che doveva costituire la sepoltura principale, mentre l’altra, in semplice terra battuta, era probabilmente una sepoltura successiva. Entrambe ospitavano i resti di due bare in legno foderate di tessuto. La tomba più importante, oltre che per la differente tecnica di costruzione, si distingueva per la particolare magnificenza del corredo funebre disposto sia all’interno che all’esterno del sarcofago ligneo. Il defunto indossava orecchini d’argento e cingeva in vita una cintura di bronzo dorato traforata a giorno con figure di drago di ispirazione coreana, sotto la testa erano posizionati degli specchi in bronzo avvolti in tessuto, ai fianchi erano disposte sei spade in ferro, lance e faretre piene di frecce mentre ai piedi era sistemata un’armatura a scaglie del tipo keikō. Fuori dalla bara erano presenti finimenti da cavallo, altre faretre con frecce e una serie di attrezzi in ferro fra cui asce, pinze e coltelli. Tutti i materiali ritrovati furono sistemati presso i locali dell’Archivio della Prefettura di Saitama (Fig. 3).

Dieci anni dopo, nel 1978, lo stesso Archivio commissionò un lavoro di restauro dei materiali ritrovati durante gli scavi dei vari tumuli, col proposito di esibirli in un museo da erigere nel parco archeologico del complesso di Sakitama. Uno dei restauratori iniziò il lavoro di pulizia di una delle spade ritrovate nella tomba di Inariyama e, rimuovendo terra e concrezioni, si accorse che stavano affiorando delle tracce d’oro. Terminato il consolidamento, fu immediatamente eseguita una radiografia all’intera spada e con sommo stupore di tutti, la lama si rivelò completamente ricoperta, su entrambi i lati, da una iscrizione ageminata in oro di 115 caratteri. Data l’eccezionalità della scoperta, basti pensare che a tutt’oggi le spade con iscrizioni ageminate del periodo protostorico ammontano a soltanto otto esemplari, e nessuna con un testo così lungo, fu deciso di ripulire completamente l’iscrizione in modo da poterla rendere nuovamente leggibile (Fig. 4).

La spada è di tipologia detta ken, dritta a doppio filo con costolatura mediana, la lama è lunga 735 mm larga 31,5 mm con uno spessore al centro di 4,3 mm. La punta, in origine di forma ogivale, è rotta al vertice, i piatti della lama sono lenticolari. Il codolo è lungo 155 mm largo 20,5 mm al centro e presenta due fori di fissaggio per l’impugnatura con diametro di 5 mm ciascuno. La punta del codolo è molto interessante, è infatti asimmetrica secondo quello stile, detto iriyamagata, che si ritrova sulle spade giapponesi in tutti i periodi storici, addirittura fino alle produzioni dei giorni nostri.

Su lama e codolo erano presenti resti di fodero e impugnatura in legno, in parte rimossi nella fase di ripulitura dell’iscrizione. Questa si presenta suddivisa sui due lati della lama di cui ricopre pressoché totalmente la lunghezza con cinquantasette caratteri sul lato anteriore (lato A) e cinquantotto sul lato posteriore (lato B).

Tutti i 115 caratteri sulla spada sono pressoché completi ed è stato possibile decifrare l’intera iscrizione che appare come segue:

Lato A

辛亥年七月中記乎獲居臣上祖名意富比垝其児多加利足尼其児名弖已加利獲居其児名多加披次獲居其児名多沙鬼獲居其児名半弖比

Lato B

其児名加差披余其児名乎獲居臣世々為杖刀人首奉事来至今獲加多支鹵大王寺在斯鬼宮時吾左治天下令作此百練利刀記吾奉事根原也

La traduzione è:

Scritta nel settimo mese dell’anno Xinhai (471). L’antenato di Wowake no omi ((Può essere letto anche Wowake-shin.)) si chiamava Ohohiko, suo figlio aveva nome Takari no sukune, suo figlio aveva nome Teyokari no wake, suo figlio aveva nome Takahashi no wake, suo figlio aveva nome Tasaki no wake, suo figlio aveva nome Hatehi

suo figlio aveva nome Kasahaya, suo figlio ha nome Wowake no omi. Generazione dopo generazione, in qualità di capi dei portatori di spada abbiamo servito il nostro signore fino ad oggi. Quando la corte del grande signore Waka Takeru era al palazzo Shikii, io l’ho aiutato a governare il paese. Ho fatto costruire questa spada forgiata cento volte e ho fatto scrivere questa iscrizione per tramandare le origini del mio servizio al mio signore9.

Analizzando l’iscrizione si può facilmente stabilire come la lingua utilizzata sia il cinese, sia per quanto riguarda la sintassi, che per i termini usati per definire i vari titoli onorifici e gli incarichi ufficiali, così come anche lo stile della scrittura è inequivocabilmente quello riscontrabile nei coevi testi continentali. Alcune delle parole sono però foriere di una novità assoluta per la scrittura in Giappone. I nomi propri dei vari personaggi sono resi tramite caratteri cinesi utilizzati per il loro valore fonetico e non di significato. Si tratta di uno dei primissimi esempi di man’yōgana, cioè di adattamento dei caratteri cinesi alla resa della lingua giapponese. Fino a questo momento infatti chi in Giappone voleva scrivere era costretto ad operare una vera e propria traduzione in cinese. Quindi soltanto chi conosceva entrambe le lingue aveva accesso alla scrittura, ma con la lenta introduzione dei man’yōgana si assiste alla progressiva costruzione da parte dei giapponesi di una loro lingua scritta.

Analizzando attentamente l’iscrizione si possono dedurre tutta una serie di elementi estremamente interessanti, sia per contestualizzare la spada sia per dedurre informazioni storiche.

L’anno Xinhai (辛亥年), con cui si apre l’iscrizione, veniva utilizzato all’interno di un sistema ciclico di sessanta anni del calendario cinese antico, pertanto non è stato facile determinare a quale ciclo appartenesse quello indicato sulla spada. Gli studiosi concordano ormai sull’identificazione con l’anno 471.

La prima parte dell’iscrizione elenca sette generazioni di antenati di Wowake no omi (乎獲居臣), colui che ha commissionato la spada. La seconda parte è invece dedicata alla celebrazione del prestigio che le diverse generazioni della famiglia hanno goduto presso la corte degli Yamato. Wowake no omi si definisce «capo dei portatori di spada», titolo che non è ancora ben chiaro ma che potrebbe indicare il capo della guardia reale Yamato, o in alternativa definire un ufficiale con un incarico militare di alto livello. Se si accredita la prima ipotesi è interessante notare come l’incarico di capitano delle guardie reali venisse tramandato all’interno di una famiglia, probabilmente per legare in modo strettissimo questi guerrieri alla figura del re. La spada sarebbe stata quindi commissionata da Wowake no omi per celebrare l’onore ricevuto dai membri della sua famiglia nel servire il re come capitani della guardia per sette generazioni.

Per quanto riguarda il nome del sovrano, Waka Takeru Ōkimi (獲加多支鹵大王), si è da subito pensato trattarsi di Ōhatsuse Wakatake, nome col quale viene indicato nel testo «Nihon Shoki» l’imperatore Yūryaku, il cui regno viene ricordato negli anni 456-479. Costui viene anche identificato con Mu (武) uno dei cinque re di Wa (nome con cui veniva indicato il Giappone prima del VII secolo) tramandati nelle cronache cinesi della dinastia Song del tardo secolo V10.

L’uso di suffissi personali aggiunti ai nomi propri è una caratteristica interessante visto che la troviamo in uso anche nel giapponese contemporaneo, sebbene con termini differenti. Ad esempio il suffisso no omi (臣) aggiunto al nome di Wowake, nonostante l’alta carica da lui rivestita, significa ‘servitore’ e viene utilizzato per dimostrare umiltà nei confronti del sovrano nominato poco più sotto. Il titolo di Ōkimi (大王), ‘grande re’,  utilizzato come suffisso al nome del sovrano si trova documentato per la prima volta su uno specchio11 della prima metà del V secolo, anch’esso Tesoro Nazionale e conservato nel tesoro del tempio Suda Hachiman nella prefettura di Wakayama, su cui è riportata una iscrizione in cui ci si riferisce al sovrano mediante l’appellativo di Ōkimi12.

Estremamente interessante l’annotazione della residenza reale nel palazzo di Shikii. Fino all’VIII secolo, e alla fondazione della città di Nara, non esisteva una capitale stabile e ogni sovrano muoveva la propria residenza in un’area differente (sebbene sempre entro i confini dell’attuale zona del Kinki)13 costruendo il proprio palazzo per stabilirvisi con la corte. Non si conoscono i nomi di molte altre di queste residenze, salvo Oshisaka, ricordata nell’iscrizione sullo specchio del tempio Suda Hachiman e quelle più tarde, come Naniwa, Fujiwara e Asuka.

Il nome del sovrano Waka Takeru si ritrova anche nell’iscrizione di un’altra famosissima spada, quella ritrovata nella tomba di Eta Funayama, nella prefettura di Kumamoto, nell’isola di Kyūshū. Questo fatto è estremamente importante perché insieme le due spade testimoniano l’ampiezza dell’area di influenza degli Yamato alla fine del V secolo. Estendendosi dalla zona del Kyūshū a quella del Kantō (dove si trova la tomba di Inariyama), si può dedurre che sotto il regno di Waka Takeru la formazione di uno Stato nazionale in Giappone, sotto il comando di un unico sovrano,  era ad uno stadio molto avanzato. Sempre in merito a questo punto, la parte conclusiva della frase in cui Wowake no omi dice: «quando la corte del grande signore Waka Takeru era al palazzo Shikii, io l’ho aiutato a governare il paese» può essere tradotta14 anche come «io l’ho aiutato a pacificare il paese». Questa interpretazione getterebbe una luce nuova sull’oscura vicenda dell’unificazione del Giappone. Se è vero che Waka Takeru è uno dei cinque re di Wa e che la sfera di influenza del suo regno si spande sulla maggior parte del paese, allora è anche plausibile che, come affermerebbe Wowake no omi nell’iscrizione sulla spada, sia proprio lui ad aver riunito sotto il suo dominio anche gli altri regni15.

La frase in cui Wowake no omi dice di aver commissionato questa spada «forgiata cento volte» è estremamente interessante dal punto di vista tecnologico. Se da un lato questa espressione può essere considerata un’iperbole per celebrare la grande qualità costruttiva della lama, d’altro canto è noto che le tecniche di forgia in uso nel V secolo prevedevano già la realizzazione delle lame mediante numerose ripiegature di acciai a tenori di carbonio differenti. Un’analisi16 della struttura del materiale con cui è costruita la spada ha rivelato che essa è costruita come una specie di panino, con l’interno costituito da uno strato d’acciaio più duro, che si estende a formare i due taglienti, stretto fra due strati di acciaio più morbido che formano i piatti della lama. Questa complessità strutturale sta alla base della successiva evoluzione della forgiatura delle lame da cui emergeranno quelle spade giapponesi che sono ormai note in tutto il mondo.

Il ritrovamento della spada di Inariyama, come abbiamo visto, è stato di grandissima importanza a vari livelli: quello storico, con la fotografia della situazione geopolitica della fine del V secolo, la conferma di attendibilità di parte delle cronache imperiali («Kojiki» e «Nihon Shoki»), la scoperta del nome della residenza imperiale al palazzo Shikii. Sul piano sociale abbiamo imparato come alte cariche ufficiali venissero tramandate all’interno della stessa famiglia e come perfino esponenti importanti dell’entourage reale venissero assegnati a zone anche molto lontane dalla corte. Sul piano linguistico è palese che la spada rappresenti una miniera di informazioni essendo il testo più antico pervenutoci con testimonianze della nascita della scrittura giapponese. Sul piano tecnologico siamo di fronte al primo documento con riferimenti alla tecnica di forgiatura delle lame nel V secolo. Per tutte queste ragioni nel 1983 il governo ha dichiarato la spada di Inariyama Tesoro Nazionale (Fig. 5).

Questo importantissimo reperto è stato anche il primo ad essere  indagato in modo approfondito dal punto di vista scientifico17, mediante radiografie, XRF, esami chimici e al microscopio. I risultati sono stati molto interessanti. Il ferro di cui è composta ad esempio è stato prodotto a partire da una magnetite ricca di rame tipica della zona compresa fra la provincia di Shandong in Cina, il fiume Yang-tze e l’area di Gagnam in Corea18. Questo vuol dire che la lama è stata fabbricata da uno spadaio nipponico a partire da materiale importato. Il fatto è tutt’altro che anomalo, anzi perfettamente in linea con la datazione al tardo V secolo, dato che la produzione di ferro in Giappone è attestata a partire dalla metà del secolo successivo. L’analisi dei caratteri ageminati in oro tramite spettrofotometria ha rivelato che i primi 34 caratteri del lato A e i primi 46 del lato B sono realizzati con una lega al 70% di oro e 30% di argento, mentre i restanti caratteri (nella parte inferiore della lama) sono fatti con una lega al 90% di oro e 10% di argento. Ciò ci permette di dedurre che l’operazione di agemina è avvenuta in almeno due tempi con una suddivisione del lavoro sulla lama secondo lo schema basso/alto piuttosto che lato anteriore/posteriore. L’esame al microscopio delle superfici in oro ha permesso perfino di individuare i segni lasciati dalle pietre in fase di lucidatura della lama. L’analisi dei resti del fodero e dell’impugnatura infine ha permesso di stabilire che erano fatti con il legno di una cupressacea, quasi certamente hinoki.

Per concludere è il caso di affrontare le domande che tutti coloro che hanno trattato questo argomento si sono posti: chi fu sepolto nel tumulo di Inariyama? E quale relazione ebbe con la corte imperiale e la spada? Numerosi studiosi e ricercatori si sono posti tali quesiti di tutt’altro che semplice soluzione, giungendo a conclusioni differenti19.

Di sicuro la tomba appartiene ad un guerriero di altissimo rango, quasi sicuramente ad un ufficiale di primissimo piano, probabilmente un governatore della regione. L’uso dell’oro per realizzare l’iscrizione è significativo, altre spade, con iscrizioni più semplici e brevi, presentano agemine in argento. È stata notata una relazione fra differente uso dei metalli preziosi nella decorazione dei fornimenti di spada e posizione sociale del proprietario. L’uso dell’oro parrebbe essere riservato a l’élite militare mentre l’argento poteva essere usato da civili che si occupavano di gestire aspetti economici o, per usare un termine moderno, di risorse umane20. Qualcuno21 ipotizza che nel tumulo di Inariyama fosse stato inumato il primo governatore di Musashi (area in cui si trova l’attuale Saitama), trattandosi del più antico fra i grandi tumuli della necropoli di Sakitama. Nella zona, prima di questo, esistevano solo piccoli tumuli circolari. Le altre tombe maggiori apparterrebbero ai discendenti di questo primo governatore di nomina imperiale.

L’ipotesi più accreditata è che la tomba sia dello stesso Wowake no omi, inviato ufficialmente nella zona di Musashi e lì sepolto con la spada celebrativa della propria famiglia. Un’altra ipotesi è che l’occupante del sepolcro non fosse legato direttamente né a Wowake no omi né alla corte imperiale, ma che fosse un governatore cui era stata attribuita la spada come dono. Una ulteriore teoria è che la famiglia di Wowake no omi fosse originaria di Musashi e che i vari esponenti si recassero presso la corte Yamato per svolgere il loro servizio per poi ritirarsi nuovamente nel paese natio.

Il tumulo di Inariyama presenta caratteristiche costruttive molto vicine a quelle dei tumuli della zona del Kinki, potremmo definirla quasi una tomba di importazione, pertanto il suo proprietario doveva sicuramente frequentare ambienti geograficamente prossimi alla corte. Oltre a questo, una spada celebrativa del calibro di quella di Inariyama difficilmente sarebbe stata ceduta a qualcuno che non facesse parte della famiglia, pertanto la seconda ipotesi pare veramente poco probabile.

Anche la terza teoria si scontra con le caratteristiche del tumulo, se la famiglia di Wowake no omi fosse stata originaria del Kantō non si vede per quale ragione avrebbe dovuto farsi costruire una tomba nello stile del Kinki. Al momento dell’inclusione al regno di nuove regioni in zone del paese lontane dalla sede reale, il sovrano avrebbe scelto di inviare come governatori persone fortemente legate alla corte e di cui si poteva fidare ciecamente. La nomina a governatore era senza dubbio un avanzamento notevole di status, e occasione degna di celebrazione. Pertanto l’idea che Wowake no omi festeggiasse la sua investitura a governatore di Musashi con la fabbricazione della spada e la portasse con se alla sede del suo nuovo incarico ci pare del tutto plausibile.

I nuovi ufficiali deputati a governare le provincie lontane acquisirono nel tempo una tale autonomia da rappresentare essi stessi un pericolo per l’unità dello stato, tanto che nel VI e VII secolo la corte fu costretta ad introdurre il sistema noto come Kuni no Miyatsuko. I governatori delle provincie più lontane furono trasformati da funzionari pubblici in veri e propri vassalli con diritti sulle terre conferiti direttamente dall’imperatore ma assoggettati con giuramento di fedeltà e l’obbligo di pagare tasse e fornire guerrieri a sostegno dell’esercito imperiale.

  1. K. Mizoguchi, The archaeology of Japan, Cambridge 2013, pp. 9-19. []
  2. Kojiki. Un racconto di antichi eventi, a cura di P. Villani, Venezia 2006. []
  3. Nihongi. Chronicles of Japan from the Earliest Times to A.D. 697, a cura di W.G. Aston, Tokyo 1972. []
  4. L’aspetto paradossale è che molti dei punti più invisi al regime, come i matrimoni di alcuni imperatori con principesse coreane che avrebbero quindi generato futuri imperatori di sangue misto, sono riportati perfino nei due testi ‘sacri’. []
  5. Sebbene non proprio tutti, dal momento che tuttora vige il divieto assoluto di accesso ai tumuli tramandati storicamente come tombe di imperatori. []
  6. 埼玉稲荷山古墳 (Saitama Inariyama kofun) 1980, p. 1. []
  7. Proprio le deturpazioni ai danni di questo tumulo e al limitrofo Shōgunyama spinse le autorità a vincolare l’area della necropoli per evitare altri scempi. In seguito alla decisione di istituire il parco archeologico, i due tumuli sono stati ricostruiti così come dovevano apparire prima delle amputazioni. []
  8. Con queste misure il tumulo di Inariyama si classifica come il nono più grande di tutto il Giappone del medio periodo Kofun (III-VII secolo). []
  9. A. Tollini, La scrittura del Giappone antico, Venezia 2005, pp. 199-200. []
  10. R. Tsunoda, Sources of Japanese Tradition, 2 voll, New York 1958, p. 23. []
  11. D. B. Lurie, The Suda Hachiman shrine mirror and its inscription, in «Impressions», 30, New York 2009, pp. 27-31. []
  12. F. Masuzawa, X線がいざなう古代の世界 (X-senga izanau kodai no seikai), in 日本放射線技術学会近畿部会雑誌 Nihon hōshasen gijutsu gakkai kinkibukai zashi, 12, 2, Nara 2006, p. 18. In realtà la datazione dello specchio è ancora dibattuta per il solito problema del nome dell’anno che ritorna ciclicamente ogni sessanta anni. Lo specchio è stato realizzato nell’anno cinese Guiwei che potrebbe corrispondere sia al 443 che al 503. Masuzawa, e anche noi, prende per buona la datazione più antica. []
  13. Il Kinki è l’area in cui si trovano le città di Osaka, Kyoto e Nara. []
  14. A. Tollini, La scrittura…, 2005, p. 200. []
  15. Sebbene almeno fino al VII secolo più che ad un impero sembrerebbe di trovarsi difronte ad una specie di confederazione di regni governata da un primus inter pares. []
  16. F. Masuzawa, X線がいざなう古代の世界 (X-senga izanau kodai no seikai), 2006; M. Ishii, M. Sasaki, 古代刀と鉄の科学 (Kodaitō to tetsu no kagaku), Tokyo 2006, p. 149. []
  17. Ibidem; T. Murata, M. Sasaki, I. Taguchi, 表面錆からみた稲荷山鉄剣の材質 (Hyōmen sabi kara mita inariyama tekken no zaishitsu), in “The iron and steel institute of Japan”, 69, Tokyo 1983; Y. Nishiyama, 東アジアの古代象嵌名文大刀(Higashi Asia no kodai zōgan meibun tachi), in 文化財学報 “Bunkazai gakuhō”, 4, Nara 1999. []
  18. T. Murata, M. Sasaki, I. Taguchi, 表面錆からみた稲荷山鉄剣の材質 (Hyōmen sabi kara mita inariyama tekken no zaishitsu), 1983, pp. 148-149. []
  19. W. Wang, Inariyama Kofun and the Sakitama Kofun Group in Japan as seen from China, in “Chinese Archaeology»”, 11, Boston 2011, p. 183; ワカタケル大王 (Waka Takeru Ōkimi) 2015. []
  20. F. Masuzawa, X線がいざなう古代の世界 (X-senga izanau kodai no seikai), 2006, p. 18. []
  21. W. Wang, Inariyama Kofun…, 2011, pp. 186-187. []