Leonardo Pisciotta

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1834-37: “Il Vapore” e la moda a Palermo

DOI: 10.7431/RIV14092016

Le prime pubblicazioni di moda, fin dal XVIII secolo, si ricollegano a quel giornalismo galante e letterario, rivolto ad un pubblico di donne o costituito per donne ben dotate di strumenti culturali. Rifacendosi a questa eredità, alla fine del XVIII secolo alcuni giornali riservati al gentil sesso, tra la novella, l’aneddoto e il “varietà”, cominciarono ad inserire la rubrica di moda, scommettendo non senza rischi su un pubblico di lettrici ancora ristretto. Il “Cabinet des Modes”, nato nel 1785 e pubblicato fino al 1793, può essere considerato il precursore delle numerose testate che di lì a poco nacquero sia in Francia che in tutta Europa. In Italia il primo giornale illustrato di moda sarà il “Giornale delle Dame e delle Mode di Francia”, pubblicato per la prima volta nel luglio 1786 presso la stamperia Pirola di Milano, un anno dopo la comparsa del “Cabinet” francese e di cui segue palesemente il modello. Il periodico femminile costruito intorno al figurino di moda diverrà soprattutto un’impresa redditizia per il settore editoriale e, su imitazione delle pubblicazioni francesi, anche in Italia si avrà un abbondante incremento della stampa di moda1. Per tutto il Settecento e l’Ottocento (come anche nella prima metà del secolo successivo) la Francia si fa portavoce di tendenze e da Parigi sopraggiungono tutte le proposte della “moda ufficiale” attraverso pubblicazioni che, oltre a riportare i resoconti di balli e serate all’opera, descrivono le toilettes delle principesse e delle nobildonne presenti ai principali eventi mondani, paladine del gusto estetico ottocentesco. Le riviste divengono una vera e propria opportunità per le donne del ceto borghese che, attraverso i figurini di moda e le riproduzioni a poco prezzo, possono aggiornarsi sulle nuove fogge e rinnovare i loro guardaroba. Il figurino inoltre divenne per sarte e modiste lo schema su cui basarsi per la riproduzione degli abiti più in voga così che, in un momento in cui le trasformazioni delle fogge si avviavano verso una sempre più rapida velocizzazione rispetto a quelle del passato e il conseguente fenomeno “moda” prendeva il sopravvento, potevano venire incontro alle richieste di una sempre più esigente clientela locale. Nella seconda metà del secolo il figurino divenne una vera e propria forma pubblicitaria e consentì l’acquisto per corrispondenza del modello raffigurato, da realizzare facilmente tra le mura domestiche2.

Negli anni ’30 dell’Ottocento anche a Palermo nascono alcune riviste rivolte ad un pubblico femminile. Tra queste, oltre al “Passatempo per le dame” già ampiamente analizzato in altra sede”3, “Il Vapore” (Fig. 1) si distingue per l’attenzione dedicata alla moda. La rivista, pubblicata presso la stamperia di Domenico Lao a Palermo, attraverso i figurini ci offre un prezioso documento per gli studi di storia del costume così da registrare dettagliatamente il mutamento del gusto avvenuto nella moda francese in quegli anni e la diffusione di tali fogge anche in Sicilia. L’osservazione delle immagini di moda, i relativi commenti analitici e i possibili riscontri con esemplari coevi di abiti conservati, sono le principali fonti per lo studio dell’abbigliamento e dei suoi mutamenti avvenuti in periodi più o meno lunghi e, al tempo stesso, un notevole supporto alle ricerche che si indirizzano ad un più circoscritto ambito locale.

Le notizie di attualità, che già nel “Passatempo” trovavano spazio nella sezione detta “Varietà”, ne “Il Vapore” si ritrovano in molteplici trafiletti dai titoli più svariati. L’espediente di raccogliere curiosità varie provenienti da ogni parte e i relativi commenti dei cronisti, era difatti una forte attrazione e diletto per le lettrici più fedeli e possono ben considerarsi i precursori della odierna stampa scandalistica. Tra gli articoli dedicati all’arte, alla letteratura, al teatro si ritrovano inoltre svariati consigli di bellezza, come ad esempio per quelle dame che vogliono mantenere un incarnato simile all’avorio o allontanare il più possibile la formazione delle rughe, «quei solchi con cui il tempo rivendica i suoi diritti e che sono loro continuo ricordo della loro vita trascorsa»4. Altre argomentazioni di varia natura, definite di frequente “filosofiche”, rispecchiano tuttavia la condizione femminile della prima metà dell’Ottocento, come l’importanza di occupare uno dei dignitosi ruoli sociali tra cui, per una donna dell’epoca, la vita matrimoniale è l’ispirazione principale: «Le donne sono le lettere di grazia date dalla creazione per felicitare il sesso mascolino. Le maritate sono già pervenute al loro indirizzo; le zitelle non ebbero per anche la direzione; e quelle che restano sempre nubili, le zitelle, sono quelle lettere che per difetto d’indirizzo non poterono essere consegnate e rimangono negli scaffali della posta»5.

La sezione “Mode” (Fig. 2) accompagna puntualmente i figurini che, nonostante venissero stampati a Palermo6, erano ripresi più o meno regolarmente dalle più diffuse pubblicazioni francesi. Come in tutte le riviste di moda coeve, francese è il lessico utilizzato di frequente sui figurini de “ Il Vapore” nelle didascalie dei modelli e dei molteplici orpelli (le descrizioni erano invece tradotte nella sezione che accompagnava il figurino). Al di là di ogni patriottismo, l’Italia aveva infatti subìto da Luigi XIV in poi l’influenza di inevitabili francesismi così come il francese era la lingua privilegiata dalla nobiltà e dall’alta borghesia, motivo che contribuiva a definire ogni parte dell’abbigliamento femminile con l’idioma d’oltralpe; i termini inglesi invece, d’altro canto, venivano utilizzati di norma per definire numerose parti dell’abbigliamento maschile7. Le quattro annate della rivista qui esaminate (1834-37) ci offrono un piccolo percorso di storia della moda attraverso le immagini allegate. Le rilevanti alterazioni delle fogge degli abiti  femminili tuttavia erano già avvenute negli anni compresi tra il 1820 e il 1824, quando erano stati abbandonati i tagli delle vesti all’altezza del seno, emblema degli stili Direttorio e Impero, per un ritorno della vita nel punto naturale. Dal 1834 al 1837 non si registrano invece particolari sconvolgimenti dei modelli femminili e le parti fondamentali dell’abito sono quelle che rimangono più o meno stabili: il corpetto mantiene la linea aderente e sagomata al busto e presenta il taglio dritto in vita per gli abiti da giorno e a punta per quelli destinati ad un uso da sera o più elegante. Saranno certi particolari della modellistica a presentare alcuni cambiamenti come ad esempio la circonferenza delle vesti che anno dopo anno acquisisce maggiore ampiezza. Inoltre la ricomparsa di elementi costrittivi, già aboliti dal precedente stile Impero, quali lo stretto corsetto, permettono il ritorno alla vita sottile e ad un conseguente rigonfiamento dei fianchi, che sarà in maggiore aumento nel corso degli anni successivi al 1824 ma ancora più rapidamente dal 1830 a seguire. L’occultamento del corpo femminile, avviatosi già alla fine del Direttorio, giunge adesso al culmine conferendo alla silhouette la forma di tre triangoli, quello della testa, quello del torace, quello della gonna: l’austera donna della Restaurazione lasciava adesso il posto alla bambola adornata e ornamentale dell’epoca di Luigi Filippo8, simbolo di una classe sociale e di un benessere economico conquistato che metri di stoffe preziose potevano al meglio ostentare. È comprensibile come in un tale contesto, l’ampiezza delle maniche raggiunta negli anni ’30 è l’elemento che forse meglio rappresenta l’aspetto sociale e distintivo del vestito (esattamente come avverrà con le monumentali crinoline degli anni 1850-60). Solo rare volte il cambiamento implicava la linea dell’abito e la struttura simbolica di base era costantemente arricchita di significati aggiunti, affidati soprattutto ai materiali, alle decorazioni e agli accessori, di natura effimera e soggetti al gusto del momento ed è così che le maniche assurgono al valore di un vero e proprio elemento decorativo (Figg. 34). L’abbondanza era principalmente raccolta sull’attaccatura della spalla, posizionata più in basso rispetto al punto naturale, artificio che meglio evidenziava la forma triangolare del busto che in questi anni si stringe ulteriormente (Fig. 5). I complessi rigonfiamenti delle maniche à gigot raggiungono il punto massimo intorno al ’35, quando la gonna acquista maggiore volume in larghezza, arricchendosi alla vita di increspature e di più esagerati fronzoli oltre che ad una più considerevole lunghezza (che adesso ricopre interamente le scarpe). L’eccesso raggiunto dalle nuove fogge non passò inosservato in numerosi scritti critici o satirici dell’epoca9, e anche dalla rivista palermitana che non manca di sottolinearne in più occasioni gli eccessi raggiunti, considerando «desse […] di cattivo incomodo per la loro grandezza e, se non si pensa d’accorciarle, noi udiremo molte Belle minacciar di ribellarsi contro la moda»10. Le dame palermitane vestivano secondo le mode di Parigi. I figurini pubblicati dal “Passatempo” e da “Il Vapore” furono certamente i modelli per le loro mises che, effettuate con perizia e tempestività da modiste e da accreditate sartorie locali, abbiamo oggi la fortuna di osservare. La collezione Piraino11 a Palermo custodisce alcuni esemplari di toilettes femminili realizzate tra il 1830 e il 1840 che per molti aspetti sono riconducibili al periodo delle fogge riprodotte sui figurini allegati alla rivista palermitana. Tra questi merita l’attenzione un abito da passeggio12 di manifattura siciliana in taffetas verde marcio con effetto marezzato (Fig. 6). Il corpino è sagomato al busto, grazie a numerose pences che ne evidenziano l’aderenza, e riporta sul mezzo davanti un supporto verticale che crea un motivo riecheggiante la stecca dei busti cinquecenteschi e che si inserisce in quei revivals storici presenti sulle vesti della prima metà del XIX secolo. Le maniche sono di larga fattura, con copiosa increspatura alla pala e l’ampiezza si riassorbe nella parte iniziale dell’alto polso. Il punto vita è alto e la gonna, che si allarga a campana, presenta sul basso un motivo decorativo che gira in circonferenza ottenuto mediante un doppio tralcio di foglie imbottite realizzate nello stesso tessuto. Il modello è molto raro, visto anche il buono stato di conservazione, e si inserisce in pieno nello stile Restaurazione, sia per la modellistica, che riecheggia motivi medievali, sia per la presenza del tralcio di foglie, motivo ricorrente (in diverse forme o dimensioni) in molte fogge realizzate tra il 1830 e il 1835 riscontrabili nei figurini coevi e in quelli della rivista siciliana (Fig. 7). Il movimento romantico diffuse nella cultura borghese europea una moda storicista che si manifestò attraverso la letteratura, l’opera lirica, il teatro, le arti figurative, l’architettura. Dal Medioevo al tardo Rinascimento, tutto era divenuto un’enorme fonte di ispirazione per la creatività moderna e per la moda. A questa tendenza che predilige rimandi  storicistici è palesemente riconducibile un altro abito da pomeriggio o da passeggio (Fig. 8) della collezione Piraino che, pur presentando dei rimaneggiamenti al corpetto effettuati in momenti successivi (il corpetto è stato modificato a punta nella parte anteriore e posteriore) presenta sulle maniche e sul collo ranghi di volani frastagliati di chiaro stampo neo-medievale, riportati in auge in Francia in pieno clima di Restaurazione intorno al 1829-30 dalla Duchessa di Berry13.

I complessi rigonfiamenti delle maniche raggiungono il culmine intorno al ’35, quando la gonna acquista ulteriore volume in larghezza tramite maggiori increspature alla vita e più esagerati ornamenti, ma inizieranno a ridursi in maniera consistente nel periodo appena successivo. Tipologie meno imponenti vennero riservate alle sole vesti da casa, come riporta anche il periodico siciliano: «I giornali francesi annunziano come un arnese che avrà corso tra poco nel regno della moda certe mezze maniche destinate a scemare l’incomodo delle maniche enormemente grandi, che si costumano presentemente. Queste mezze maniche, le quali però non sono ammesse che dalla toilette familiare, vanno dal gomito al polso. Sono tagliate per modo da potersi allacciare ne’ lati e da chiudere, lasciando tuttavia che si vegga la manica dell’abito»14. In seguito anche sugli abiti riservati ad altre occasioni la parte alta delle maniche comincia ad appiattirsi e l’ampiezza, come suggerisce le gusti neo-medievali imperanti nel periodo romantico, scende verso il basso. Rientra in questo filone un abito da passeggio (Fig. 9) della collezione Piraino, realizzato in broccatello di seta celeste a motivi giallo oro. Sulle maniche, che esibiscono una linea meno ampia rispetto all’esemplare precedente, sono presenti dei motivi decorativi cosiddetti “a braccialetto” mentre la parte terminale è gonfia e rifinita da raffinati polsini. I rigonfiamenti à  bracialets delle maniche si ritrovano sugli abiti realizzati dal 1820 e permangono successivamente per essere ripresi ancora una volta tra i motivi decorativi di quelli realizzati dopo il ’34, quando la manica si avvia verso una più rilevante semplificazione della modellistica, come riportano anche alcuni figurini del ’35 e del ’36 (Figg. 1011). L’ampiezza estrema della manica tuttavia si manterrà su pellegrine e soprabiti che esibiranno ancora le linee degli anni precedenti (Fig. 12).

L’immagine della donna ottocentesca proposta attraverso gli inserti pubblicitari, i figurini, le stampe, è quella di una indossatrice statica e silenziosa, abbigliata fino all’ultimo dettaglio e immersa il più delle volte in un ambiente emblematicamente femminile, secondo un copione codificato15.  Il copione degli orpelli prevede in più una serie di accessori che completano le toilettes delle dame eleganti, illustrati dai figurini fino all’ultimo dettaglio. “Il Vapore” dedica un grandissimo interesse alla miriade di copricapi prescritti alle signore raffinate le quali rappresentano il proprio decoro con «il pudore nelle cappotte allacciate fino alla gola»16. Il carattere estroso della moda, che dal gusto aristocratico si diffonde in quello borghese, si dimostra già in questi anni con l’ampiezza e la ricchezza dei turbanti, tra cui quelli realizzati in blonda «che stanno bene al viso ed hanno una leggerezza che da nessuno può essere imitata»17, ma trova la sua più clamorosa affermazione nella miriade di cappelli realizzati soprattutto in paglia di riso (Fig. 13).

La sezione degli accessori della collezione Piraino comprende un consistente numero di oggetti ascrivibili al terzo decennio dell’Ottocento. Tra questi merita l’attenzione una scarpa da sera in pelle di capretto blu e tela (Fig. 14) che, per l’assenza di tacco e il tipo di rifinitura (nastro di seta a cocche legate), è pienamente ascrivibile al periodo suddetto18. Tra gli accessori è bene annoverare anche un raffinato porte-bouquet in oro, madreperla e topazi rosa,  piccolo capolavoro di arte orafa siciliana (Fig. 15). Il manufatto riporta uno spillone al centro della corolla, a cui fissare il mazzolino di fiori freschi, e all’estremità del manico reca invece una catenella con anello che consentiva alla dama di non lasciarlo scivolare dalle mani durante il ballo.

Le illustrazioni del “Vapore” riservano ampio spazio anche all’abbigliamento maschile che già negli anni ’30 dell’Ottocento si era orientato verso tenute semplici e funzionali. La delicata cromia degli abiti di seta e di velluto che aveva caratterizzato il primo trentennio del XIX secolo adesso era stata sostituita dall’uniformità dei toni scuri. In contrapposizione con la passata moda di corte spazzata dall’ondata rivoluzionaria, la praticità riservata in passato all’abbigliamento delle classi popolari aveva acquistato infatti fin dal primo decennio dell’Ottocento un valore di prestigio poiché i momenti salienti della vita del nuovo borghese adesso non si consumavano nei salotti ma in negozio, in amministrazione, in ufficio, luoghi che in antica tradizione erano associati ad un vestiario piuttosto semplice19. In un simile contesto va ricordato come la  “nuova aristocrazia” borghese, già nella prima metà dell’Ottocento, avesse sostituito come élite la nobiltà di corte del secolo precedente e come avesse avvertito immediatamente la necessità di adottare dei comportamenti aristocratici quali forme di distinzione. Da qui il diffondersi di galatei e di manuali di buone maniere che, già apprezzati da un pubblico femminile, si rivolsero anche agli uomini per la formazione del vero gentleman e per una scrupolosa attenzione ai gesti, alle parole e, forse più di ogni altra cosa, all’abbigliamento20. Nel decennio degli anni ’30 l’abito maschile assume un rigonfiamento sui fianchi e sulla parte anteriore, come era avvenuto per le vesti femminili. Per assottigliare la figura si impiegano spesso dei busti e lo slancio della linea viene evidenziato dalle maniche dell’abito che ora si presentano più increspate rispetto agli anni precedenti. Sotto l’uniformità di fogge e di colori che la moda borghese impone all’abbigliamento maschile, le differenze di classe e di censo si manifesteranno tramite dettagli quali la perfezione e la maestria del taglio, la qualità dei materiali e il gusto per stoffe dalle gradazioni rigorosamente scure21. Le sole stravaganze consentite ad un abbigliamento estremamente composto saranno invece esclusivamente riservate  ai gilets, realizzati abitualmente in tessuti contrastanti rispetto a quelli dell’abito e contrassegnati da colori vivaci. E’ intorno al ’33-36 che, parallelamente all’uso di modelli più severi, si assisterà ad una maggiore diffusione di questi capi, come si ricava anche dagli articoli di moda e da alcuni esemplari presenti nella collezione Piraino. Tra questi un chiaro esempio è il Gilet in broccato di seta rosso (Fig. 16), con fodera di rasatello di cotone e imbottitura in ovatta che presenta l’abbottonatura ad un petto e il collo sciallato, trovando chiare affinità coi figurini maschili della rivista (Fig. 17) pubblicati tra il ’34 e il ’37, epoca a cui è indubbiamente ascrivibile il capo. I colori del gilet rimasero ancora per qualche decennio l’unica sopravvivenza dell’estrosità degli abiti, prima dell’avvento decisivo del nero e di un più severo rigorismo che caratterizzerà a lungo il guardaroba maschile.

  1. Per soddisfare le esigenze di un pubblico femminile divenuto sempre più numeroso ed attentissimo alle ultime novità, una grande quantità di riviste vede la luce nella prima metà del XX secolo. Oltre al successo del già ricordato milanese “Giornale delle Dame e delle Mode di Francia” e al prestigio raggiunto dal fiorentino “Toelette” (che, nato già nel 1770 e pur rivolgendosi ad un pubblico femminile, rispetto alle pubblicazioni coeve non presentava ancora sezioni legate esclusivamente alla moda se non per alcuni sporadici riferimenti), “Il Piccolo Corriere delle Dame” a Genova, il “Giornale di Mode e di Aneddoti”, “Il Folletto” e “La Flora delle Mode” a Firenze, “L’eco e “Il Corriere delle Dame” a Milano sono solo alcuni esempi di questo nascente e fortunato filone dell’editoria italiana. Cfr. S. Franchini, Editori, lettrici e stampa di moda, Milano 2002, pp. 53-54. Cfr. anche M. Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 208-210 e A. Gigli Marchetti, Le nuove dimensioni dell’impresa editoriale, in Storia dell’editoria nell’Italia contemporanea, a cura di G. Turi, Firenze 1997, pp. 115-132. []
  2. Cfr. T. Boccherini, Figurini di moda in “MCM, La Storia delle Cose, n. 3, settembre 1996, p. 18. []
  3. L. Pisciotta, Il “Passatempo”, le dame e la moda in “ Kalós. Arte in Sicilia”, anno 17, n° 1, gennaio-marzo 2005, pp. 26-31; L. Pisciotta, Per il gentil sesso in “MCM. La storia delle cose”, n° 86, dicembre 2009, pp. 31-34. []
  4. “Il Vapore”, 30 agosto 1834, pp. 196-197. Nella stessa sezione viene inoltre riportata una ricetta per appianare le rughe del viso che, esempio di bizzarra “chirurgia estetica” ottocentesca, vale la pena riportare: «Gettasi sopra una paletta di ferro arroventata un po’ di mirra in polvere e se ne riceve il fumo sul volto coprendosi la testa con un pannolino acciò non si perda. Ripetasi questa operazione tre volte di seguito, poi si arroventa di nuovo la paletta e vi si versa sopra una boccata di vino bianco, tenendovi sopra il capo coperto di un pannolino come la prima volta, e anche questa seconda operazione ripetesi tre volte successive. Si continua ogni giorno mattina e sera lo stesso, fino a che siasi ottenuto il buon effetto bramato. Molti, e noi fra quelli, stimeranno maggior male questa cura nojosa che le rughe, ma non tutti pensano a un modo». La ricetta di bellezza, come ricordano i redattori del “Vapore”, è ripresa dalla rivista inglese “Toilette of healt, Beauty and Fashion”. Ibidem. []
  5. Idem, 10 dicembre 1836, p. 277. []
  6. Su tutti i figurini de “Il Vapore” e del “Passatempo per le dame” sono presenti le firme degli incisori: M. Chilardi inc. (figurini  sul “Passatempo per le dame” del 1834), G. Di Giovanni inc. (“Passatempo per le dame”, anni 1834, 1835 e 1836), Gio. Minneci dis. e Lit. F. Scondito Pal. “Passatempo per le dame” 1833), Pietro Waincher inc. in Paler. (“Il Vapore”, anni 1834-1836). Su P. Waincher vedi A. Gallo, Notizie degli incisori siciliani, a cura di D. Malignaggi, Palermo 1994, pp. 128-129. []
  7. C. Giorgetti, Percorsi paralleli. Vestiti del passato e costumi per il cinema in Visconti e il Gattopardo. La scena del principe, catalogo della mostra a cura di F. Petrucci, Milano 2001, p. 101. []
  8. E. Morini, Storia della Moda. XVII-XX secolo, Milano 2000, p. 68. []
  9. Cfr. L. Kybalovà, O. Herbenovà, M. Lamarovà, Enciclopedia illustrata della moda, Milano 2002, pp. 249-250. []
  10. “Il Vapore”, 30 novembre 1834, pag. 280. []
  11. Sulla collezione Piraino cfr. Abiti d’epoca 1700-1950. Collezione Raffaello Piraino, a cura di C. Giorgetti, Palermo 1990; L. Pisciotta, Abiti per un museo mai nato in “MCM. La Storia delle Cose”, n. 59, marzo 2003, pp. 59-62. []
  12. Cfr. L. Pisciotta, Abiti…, 2003, scheda n. 10, pp. 176-177. []
  13. Cfr. L. Pisciotta, Abiti…, 2003, pp. 180-181. []
  14. “Il Vapore”, 30 ottobre 1834, p. 256. []
  15. Per una maggiore trattazione sull’immagine della donna nel secolo XIX cfr. A. Higonnet, Immagini di donne, in G. Duby – M. Perrot, Storia delle donne. L’Ottocento, a cura di G. Fraisse – M. Perrot, Roma-Bari 1991, pp. 288-306, in particolare p. 293. []
  16. “Il Vapore”, 15 marzo 1834, p. 93. []
  17. Idem, 30 gennaio 1834, p. 28. []
  18. Vedi Abiti…cit, scheda n. 7, pp. 278-279. []
  19. J. Flügel, Psicologia dell’abbigliamento, Milano 1984, nota 9, p. 125. []
  20. Sull’argomento cfr. G. Turnaturi, Signori si nasce o si diventa in Rituale Cerimoniale Etichetta, a cura di S. Bertelli – G. Grifò, Milano 1985, pp. 209-229. I nuovi precetti dell’eleganza maschile troveranno fondamento nella distinzione che costituisce il tratto dominante della società borghese. In merito all’argomento cfr. E. Goblot, I fenomeni di moda nelle società borghesi in Sociologia dei fenomeni di moda, a cura di G. Ragone, Milano 1982, pp. 51 e 52. []
  21. Cfr. C. Giorgetti – E. Colarullo, Moda maschile dal 1600 al 1990, Firenze 1994, pp. 38-40. []