Giovanni Boraccesi

g.boraccesi@libero.it

Una sinfonia di argenti nell’isola di  Tinos: le chiese di Agapi, Kechros e Potamia

DOI: 10.7431/RIV14082016

Prima di inoltrarmi in una nuova analisi degli argenti liturgici dell’isola di Tinos1 – in particolare quelli conservati nei villaggi cattolici di Agapi, di Kechros e di Potamia – anche al fine di comprendere meglio le dinamiche delle committenze e le origini di tali oggetti, è opportuno tenere sempre a mente la tradizione storico-religiosa di questo arcipelago delle Cicladi, da secoli amministrato dalle attuali diocesi latine di Tinos e di Siros.

La chiesa di Agapi, riedificata tra il 1828 e il 1830 su un più antico tempio mariano, dal 1830 è dedicata a Sant’Agapito da Palestrina, decapitato il 18 agosto del 2742; da questo martire cristiano il nostro villaggio prende il nome. Oltre agli argenti di questa chiesa, ho pure analizzato quelli dell’annesso Museo Parrocchiale, piccolo ma dignitoso3.

Come già nell’area di ricognizione da me finora compiuta in Grecia (Corfù, Naxos, Tinos e Rodi), anche questo gruppo di reperti documenta la predominante presenza di argenti veneziani  dei secoli XVI-XIX, seguita da quella turca e francese, essenzialmente di epoca ottocentesca, per non dire di quella greca, più povera certo, ma non meno importante. A tal proposito, ricordo che la città epirota di Kalarrytes fu un rinomato centro manifatturiero che risentì, oltre al prevalere della cultura bizantina, anche l’influsso di quella veneziana per il tramite delle città rivierasche e delle isole ionie di Corfù, Cefalonia e Zante.

Introduco qui una Croce processionale (Fig. 1), il più antico argento recuperato ad Agapi, ove non mancano richiami di solida cultura veneziana, certo non una novità in virtù delle profonde relazioni tra Tinos e la Serenissima Repubblica.

Su un nodo a pera, traboccante di foglie d’acanto disposte in maniera speculare, si erge la croce bordata di minute foglioline e con le terminazioni decorate da motivi a volute ricorrenti di gusto rocaille; qui sono sbalzate le figure degli evangelisti con i propri simboli di riconoscimento. All’incrocio dei bracci è fissato il Crocifisso, già in asse con il perduto teschio di Adamo come testimonia il foro sotto i suoi piedi. Identica decorazione si ritrova nel rovescio della croce, qui però con le testine angeliche nelle terminazioni e la figura dell’Assunta nel mezzo, chiaro riferimento al più antico titolo della chiesa.

Sulla croce, databile alla seconda metà del XVIII secolo, ho rilevato un punzone di forma rettangolare con le lettere IM, ovverosia il simbolo di riconoscimento dell’argentiere; la mancanza, però, di più precisi riscontri impone di mantenerlo per il momento nell’anonimato, pur se l’evidente adesione ai prodotti veneziani di età barocca e i caratteri latini del punzone suggerirebbero di assegnarlo a un maestro della Serenissima.

La lista degli argenti di Agapi continua con un Calice (Fig. 2), oggi nel Museo Parrocchiale, che parrebbe il risultato di due pezzi disomogenei sia sul piano cronologico che stilistico. La superficie del piede, bordata da un orlo liscio, dispiega un repertorio di foglie d’acanto e di volute affrontate. Privo di ornati è il fusto con nodo a balaustro contenuto entro collarini. Questa parte del calice andrebbe assegnata a un maestro veneziano della seconda metà del XVIII secolo. Il sottocoppa invece, attribuibile a un argentiere greco o turco dei primi decenni del XIX secolo, presenta una decorazione a traforo di teste di cherubini alternati a steli floreali. Per quest’ultimo elemento si veda l’analogo repertorio che connota il calice del 1834 della chiesa ortodossa di Kardiani4.

Al 1813 va datata una Coperta di immagine sacra (Fig. 3), nella fattispecie l’icona di Santa Giuliana di Nicomedia vergine e martire5. Questo genere di suppellettile è abbastanza frequente nelle chiese – ancor più in quelle di rito ortodosso – poiché la preziosità della lamina argentea ne arricchisce la sottostante figura, spesso evidenziata dal solo volto. L’iscrizione incisa appare pasticciata e  grossolanamente corretta, giacché alla primitiva stesura di S. ELENA/1813 venne in seguito sovrapposta, forse per un iniziale errore del maestro argentiere, quella di S. JULIANA/1813. Del resto, conviene annotarlo, l’iconografia di Sant’Elena imperatrice, madre di Costantino, non prevede la presenza della palma e della corona di fiori che, come si sa, sono simboli del martirio. L’oggetto va probabilmente assegnato a un argentiere greco attivo a Smirne o a Costantinopoli.

Una seconda Croce processionale (Fig. 4), conservata nel Museo, pervenne ad Agapi nel 1817 come attesta l’iscrizione in greco ma con caratteri latini – siamo dinanzi alla fragkochiotica, una lingua in uso tra i cattolici europei e greci di Costantinopoli e Smirne come gentilmente mi suggerisce padre Marco Foscolo – incisa sul nodo col riferimento al costo e alla data di acquisto: ECOSTEPSE O STAUROS GHROSIA 2425 AGHAPISTIS 28 FLEVARIVIS 18176.

Tra le croci da me rinvenute a Tinos e nelle isole dell’Egeo, questa in esame si connota non tanto per la foggia, ancora una volta riconducibile ai canoni del barocco veneziano, quanto piuttosto per le ridondanti decorazioni e l’uso eccessivo del traforo. Se sulla facciata principale è quanto mai consueta la presenza di Cristo e degli evangelisti nelle terminazioni; al contrario, insolite sono le figure dei profeti che popolano le terminazioni della facciata secondaria, ove pure compare, nel mezzo, una sinuosa Madonna col Bambino, il cui modello è facilmente rinvenibile in molte croci venete e friulane. Sono dell’avviso perciò di assegnare la croce a un argentiere greco attivo in una delle due città turche sopra citate.

Nulla è dato sapere sull’origine e sul nome dell’artista che realizzò lo Sportello di tabernacolo (Fig. 5) dell’altare maggiore della chiesa di Sant’Agapito, lo ricordo riedificata tra il 1828 e il 1830. Per tale ragione, appare plausibile datare lo sportello subito dopo questo biennio e attribuirlo forse a un maestro greco attivo a Costantinopoli o a Smirne. La morfologia della croce qui sbalzata, affiancata da due angeli in adorazione, richiama le croci processionali di manifattura veneziana o di derivazione, diffuse nelle chiese di Tinos; si veda, a tal proposito, la croce processionale prima descritta.

Nello stesso torno di tempo pervenne una Navicella (Fig. 6), la cui forma e ancor più i decori di natura vegetale si rifanno sostanzialmente al gusto neoclassico di matrice occidentale. La base circolare è ravvivata da fasce di foglie mentre il fusto, con nodo a sfera schiacciata, presenta una grossolana saldatura, frutto di una caduta accidentale. Il corpo è decorato da baccellature rigonfie alternate ad altre piatte, dall’incisione di fiori recisi e dalla riproposizione delle fasce vegetali già osservate sul piede. Il coperchio, con sportello incernierato nel mezzo, è decorato da due cartigli circondati da un fitto e movimentato repertorio naturalistico, di sapore ancora tardo rococò.

La navicella andrebbe assegnata alla mano di un argentiere greco dei primi decenni del XIX secolo.

L’esame dell’argenteria religiosa continua con un Turibolo (Fig. 7), databile ai primi decenni del XIX secolo, particolarmente bello per la forma e per la finezza esecutiva dei decori. Su un piede esagonale liscio, cui si salda un fusto tubolare altrettanto liscio, si erge la coppa impreziosita da elementi vegetali, da festoni floreali e da nappe pendule originate da mascheroni; un motivo quest’ultimo di origine ellenistica e romana largamente utilizzato in Italia nel periodo manierista e barocco. Il coperchio, lavorato a traforo con un’alternanza di lunghi steli fogliacei, è bordato da palmette (anthémion), da cespi floreali e da piccole torri circolari.

Il punzone, impresso sull’orlo del coperchio, è connotato dalle lettere N e M divise da un quadrifoglio, che potremmo interpretare come ν e μ dell’alfabeto greco. Difficile dunque, per il momento, individuare il nome dell’argentiere e la città di produzione del turibolo che potrebbe ipoteticamente localizzarsi sul territorio greco oppure su quello turco, in particolare a Costantinopoli o a Smirne, ove risiedevano, come detto, diverse comunità greche di religione cattolica e ortodossa.

Il rinvenimento di questo inedito punzone è importante perché se davvero di pertinenza di un argentiere greco ne attesteremmo intanto la sua attività e secondariamente quella di una eventuale corporazione, di cui non conosciamo nulla. Se fosse così, a questo punzone andrebbe allora aggiunto quello con le lettere greche φ e χ impresso sull’elegantissimo secchiello della cattedrale di Naxos7.

In ragione dei decori che caratterizzano la coppa di questo turibolo, i mascheroni e le ghirlande floreali in particolare, un confronto e possibile con l’esemplare da me visto sia nella chiesa dell’Annunciazione a Myrsini8, sia nella chiesa della Natività di Maria a Volax, entrambi a Tinos e che presenterò meglio in un prossimo futuro. A loro volta questi ultimi, del tipo architettonico, sono in relazione ai prototipi aulici realizzati nell’Italia centro-meridionale: si veda, per esempio, il turibolo della chiesa di San Giovanni Battista ad Appignano, oggi nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino9 e il turibolo del 1577 di Pasturo (Lecco), eseguito da un argentiere siciliano10.

Del 1845 è un Piatto da comunione (Fig. 8), oggi nel Museo di Agapi, la cui forma “a mezzaluna”, avulsa da qualsiasi decoro, è stata da me riscontrata in altre chiese cattoliche di Tinos, di Rodi11 e perfino della Terra Santa. A eseguire il piatto in esame fu un argentiere turco, come certifica il punzone con il tughra, il sigillo dei sultani ottomani, in uso dal 1844 al 192312, a cui si accompagna un altro indecifrabile, forse riferito alla città di produzione, ovvero Smirne o Costantinopoli. L’oggetto fu donato da tal Giorgio Sigala, un devoto cattolico di origine graca, come riferisce l’iscrizione: Αφιέρωμα Γεωργίου Σηγάλα 1845.

Sempre il Museo di Agapi custodisce un ennesimo Ostensorio (Fig. 9), in cui è chiaramente ravvisabile lo stile eclettico; va probabilmente restituito a un argentiere italiano della seconda metà del XIX secolo affascinato dalle produzioni artistiche del passato. Ridondante è l’ornato che investe questo manufatto, in specie la raggiera arricchita da numerosi interventi plastici (angeli in adorazione) e dall’inserimento di false gemme. Tale ricchezza di ornamentazioni connota anche l’ostensorio di Steni13. Tuttavia la base, in argento sbalzato e finemente cesellato, parrebbe più antica (prima metà del XIX secolo?) forse da assegnare a un argentiere greco.

Placide Poussielgue Rusand, attivo a Parigi dal 1847 al 189114, fu l’autore del Calice (Fig. 10), tipico prodotto francese del XIX secolo molto diffuso. Le diverse suppellettili liturgiche realizzate in Francia (ostensori, patene, pissidi, croci d’altare, ecc.) affluirono copiose in Grecia all’indomani della sua liberazione dal dominio dell’impero ottomano (1832), a cui fece seguito una più ampia libertà di culto e un conseguente arrivo di ordini religiosi, d’oltralpe in particolare.

Sulla base del calice, oltre ai consueti decori vegetali e ai simboli eucaristici dell’uva e del grano, sono presenti tre medaglioni con le raffigurazioni dell’Immacolata, dell’Ecce Homo e del Crocifisso. Ulteriori medaglioni, con la raffigurazione delle tre Virtù Teologali, decorano l’elegante sottocoppa a traforo. Al punzone di garanzia con la testa di Minerva, in uso dal 9 maggio 1838 fino al 1919, si accompagna, come detto, quello dell’autore siglato PP/R.

A questa temperie culturale appartiene anche un Ostensorio (Fig. 11), oggi nel Museo Parrocchiale. La base rettangolare, poggiante su quattro protomi angeliche, è abbellita da elementi vegetali e da una piastra con la raffigurazione dell’Agnello accovacciato sul libro con i sette sigilli. Il fusto cilindrico è decorato da elementi vegetali, da un cuore infiammato e da due teste angeliche. L’ampia raggiera in bronzo dorato presenta una teca centrale circondata da nubi e da testine di cherubini. Sul retro dell’ostensorio è riportata la scritta OUVRE APOSTOLICHE.

Tale tipologia, assai consueta in Francia, si rinviene anche nelle chiese isolane di Tinos: cito, per esempio, l’ostensorio del villaggio di Kechros (vedi più avanti).

Ai caratteri neogotici francesi s’ispira la successiva Pisside (Fig. 12) di evidente finezza esecutiva sia per l’uso della doratura, sia per gli smalti policromi. La base polilobata bordata di perline si arricchisce di tre quadrilobi a rilievo con figure smaltate, di pigne affiancate da pampini e di due corolle floreali; un motivo, questo, che torna a decorare il sottocoppa traforato sul cui coperchio insiste una croce apicale. Il fusto presenta un nodo a sfera schiacciata.

Il punzone di garanzia con la testa di Minerva obbliga a datare il manufatto dopo il 1838, mentre il marchio a losanga con la scritta CHEVRON permette di assegnarlo all’atelier degli argentieri Eugène Chevron e Jules Jamain attivi a Parigi dal 1865 al 187915 e, dunque, a restringerne l’esecuzione entro quest’arco cronologico.

Passando alla raccolta degli argenti liturgici della chiesa di Kechros, dedicata alla Madonna della Misericordia, questa si apre con due calici in bronzo e argento, interessanti modelli di produzione veneziana elaborati a cavallo fra il Cinque e il Seicento.

Il primo Calice (Fig. 13), presenta una base gradinata, movimentata da filettature e da cornicette vegetali. La decorazione del piede, come quella del nodo ovale ed entrambi in bronzo fuso e dorato, è costituita da motivi ad arabeschi, in particolare nastri intrecciati includenti singole foglie stilizzate; un gusto, questo, che affascinò i laboratori orafi dell’Occidente. A voler solo considerare l’area delle Cicladi, un confronto stilistico è possibile con il calice della chiesa di Karkados16 e con l’altro della cattedrale di Naxos17. Il semplice sottocoppa, invece, dorato al mercurio e probabilmente di recupero, accoglie la coppa svasata che daterei alla seconda metà del XVII secolo. Qui ho rilevato il punzone di San Marco con la testa del leone alato e quello dell’argentiere, purtroppo indistinguibile a causa della consunzione.

Il secondo Calice (Fig. 14), in ragione della morfologia e dei decori che connotano la base e il nodo, richiama quello prima analizzato. Il sottocoppa è raccordato alla coppa da una serie di foglie frastagliate e traforate realizzate con particolare cura. Sulla coppa è impresso il punzone di Venezia, ovverosia il leone di San Marco, e quello della bottega posta all’insegna della “Croze”, in cui per lungo tempo operarono diversi maestri argentieri18. Il motivo delle foglie che ingentilisce il sottocoppa contraddistingue anche il calice del duomo di Cologna Veneta19.

Merita una particolare sottolineatura un Calice (Fig. 15) di neoclassica raffinatezza che il romano Giovacchino Grazioli (1755-1826), figlio dell’argentiere Giuseppe (1717-1792)20, realizzò tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento. Esso è marchiato con il punzone camerale di Roma (le chiavi incrociate sotto l’ombrellino) e con quello dell’autore evidenziato dalle lettere GG in campo ovale, lo stesso utilizzato dal padre fin dal 1749. Il calice si sviluppa su una base gradinata decorata da una fascia di foglie lanceolate e da un’altra di foglie orizzontali intrecciate a un nastro. La superficie del piede è guarnita da festoni penduli eseguiti a sbalzo. Il nodo a vaso è decorato da elementi ornamentali fin qui descritti e dal classico motivo del “cane corrente”. Questo medesimo ornato si ritrova nel sottocoppa. Il calice è molto simile all’esemplare della chiesa di San Carlo ai Catinari a Roma, eseguito tra il 1799 e il 180121, e, lo anticipo in questa sede, a quello conservato nel Museo del Vescovado a Xinara (Tinos).

Una particolare tipologia di Navicella (Fig. 16), forse desunta da esemplari aulici di matrice veneziana che certo non mancarono in quest’area della Grecia, prese il sopravvento nei primi decenni del XIX secolo grazie all’attività di maestri autoctoni o turchi operanti nelle più ricche città dell’impero ottomano, vale a dire Costantinopoli e Smirne. La navicella, estremamente lineare, è molto simile all’esemplare conservata nella chiesa di San Nicola di Bari del capoluogo Tinos22.

Come già rilevato, un consistente incremento di argenti liturgici di manifattura francese destinati ad arredare le chiese cattoliche di Grecia si ebbe per tutto l’Ottocento. Ne è nuova testimonianza questo ragguardevole Ostensorio (Fig. 17) come certifica il punzone di garanzia con la testa di Minerva affiancato a quello dell’argentiere Joseph-Philippe-Adolphe Dejean, operante a Parigi tra il 1846 e il 1865 al numero 24 Parvis Notre-Dame23. Di tipo analogo sono gli altri suoi ostensori diffusi in Francia e resi noti dalla compulsazione degli inventari del Ministero della Cultura24. Sulle due facciate principali della base, sorretta da volute, si individua da un lato il triangolo radiato con l’occhio dell’Onniveggente, dall’altro l’Agnello accovacciato sul libro con i sette sigilli. Sulla sommità del nodo, arricchito da due teste di angeli, si erge la ricca raggiera, il cui ricettacolo è circondato dai simboli eucaristici. Un simile ostensorio è nel Museo di Agapi (vedi sopra).

Il susseguente Calice (Fig. 18) è il frutto dell’assemblaggio di più pezzi databili al XIX secolo, qualcuno di reimpiego forse a seguito di un intervento di “restauro”. La base, l’unica interessata da ornamentazioni, presenta una fascia di minuti baccelli mentre la superficie è decorata da un repertorio di piante vegetali stilizzate. Sotto il piede è incisa la seguente iscrizione: P. IOAN(N)ES CARICHIOP(OULO)S. CAP.LIS CHIE. Da quando mi comunica padre Marco Foscolo che ringrazio, Giovanni Charikiopoulos fu segretario capitolare tra il 1865 e il 1870 nonché parroco di entrambe le chiese di Kechros e Steni; forse in quest’ultima località, che peraltro diede i natali al nostro ecclesiastico, fu destinato il calice.

L’ultimo argento di questa chiesa mariana è una semplice Pisside (Fig. 19), di produzione ormai seriale e connotata da decorazioni a stampo. Va assegnata a una manifattura italiana di fine Ottocento.

È dedicata alla Madonna del Carmelo la chiesa del villaggio interno di Potamia; tutta l’argenteria qui rinvenuta è databile al XIX secolo.

Il primo reperto è riferito a una Navicella (Fig. 20) costituita da una base circolare bordata di perline. Il fusto, dalla struttura movimentata, regge la coppa decorata da piccole foglie lanceolate e da perline. Lo sportello, decorato da vari elementi fitomorfi di gusto rocaille, è sovrastato da una croce greca a giorno; all’estremità è saldata una piccola colomba a fusione che in principio serviva ad agganciare la catenella, oggi ridotta a pochi anelli, fissata sul sottostante bordo della coppa.

L’opera è frutto della committenza di un aristocratico locale poiché qui è inciso uno stemma coronato e inquartato: in alto a sinistra una bilancia, a destra un animale rampante; in basso a sinistra un altro animale rampante, a destra un giglio.

La tipologia di questo manufatto è comune a quelli prodotti a Venezia in età barocca, a cui evidentemente si ispirarono gli argentieri levantini; difatti diversi esemplari sono stati a oggi rinvenuti a Steni, a Kechros, ad Agapi, a S. Nicola di Tinos. Dei tre punzoni impressi sulla navicella in argomento, probabilmente da assegnare a un argentiere veneziano del primo ventennio dell’Ottocento, non tutti sono di facile lettura: una sigla MA, un animale andante verso destra (leone?), forse una lettera Z. Il cucchiaino in dotazione alla navicella, ragionevolmente di recupero, è di manifattura turca come attesta il punzone del tughra in uso dal 1844 al 1923.

Il successivo Calice (Fig. 21) è connotato da un orlo polilobato e da una fila di perline che cinge la parte inferiore del collo. Movimentato è il fusto con nodo a pera mentre il sottocoppa è decorato da un elegante motivo a palmette lanciformi e dall’iterazione di ciuffi di volute nel bordo superiore. Per via dell’assenza dei punzoni, l’oggetto non è di facile classificazione, tuttavia sono propenso a datarlo alla prima metà dell’Ottocento e ad assegnarlo a un maestro greco.

Il secondo Calice (Fig. 22), provvisto di patena, fu realizzato in Francia dopo il 9 maggio 1838 come attestano i punzoni di garanzia con la testa di Minerva e quello con la figura del granchio (crabe) valido per i dipartimenti25; purtroppo non è impresso il punzone dell’argentiere. Sulla base, fra decori vegetali, sono sbalzati tre medaglioni ovali che rappresentano la Lavanda dei piedi, Gesù nel Getzemani e la Crocifissione; nel sottocoppa, altri tre medaglioni con le teste di Gesù, di Pietro e di Paolo. Numerosi ormai sono gli esemplari analoghi da me rinvenuti sul territorio ellenico, in modo particolare nella cattedrale di Naxos e nelle diverse chiese dell’isola di Tinos; anche la chiesa dell’Immacolata Concezione di Volos ne conserva alcuni, ma questi li esporrò in altra occasione.

Pur mancando qualsiasi appiglio documentario, come pure le punzonature, questo Turibolo (Fig. 23), assieme alle tre lampade pensili descritte più innanzi, va stilisticamente assegnato alla mano di un argentiere turco del primo Ottocento (ante 1844?); in questo manufatto si riconoscono i caratteri peculiari della fantasia decorativa sei-settecentesca dei laboratori veneziani.

Su una base circolare e baccellata si erge il braciere decorato da cartelle ovali includenti singoli steli di fiori. Analogo decoro contraddistingue la cupola traforata. Il sapore orientaleggiante del pezzo si percepisce ancor più nel cupolino apicale sovrastato da crocetta. Tale manufatto è analogo a quello conservato nella chiesa di San Giovanni a Komi (Tinos), come avrò modo di evidenziare in un prossimo futuro.

Pressappoco di tipo analogo sono i motivi naturalistici che connotano le successive Lampade pensili (Figg. 2425), peraltro stilisticamente prossime a quelle di Chatziràdos26 e ad altre disseminate negli edifici di culto di Tinos.

Con questo mio ennesimo contributo termina un altro viaggio inedito di storia e di cultura, nella fattispecie quello concernente queste tre piccole comunità cattoliche, da secoli sedimentate nel proprio territorio isolano.

  1. G. Boraccesi, Rapporti tra la Grecia e l’Occidente europeo negli argenti della Cattedrale di Naxos, in «Arte Cristiana», n. 863, marzo-aprile 2011, pp. 131-144; Idem, A Levante di Palermo. Argenti con l’aquila a volo alto nell’isola greca di Tinos, in «OADI», n. 4, dicembre 2011, pp. 60-67 (www.unipa.it/oadi/rivista); Idem, Una sinfonia di argenti nell’isola di Tinos: le chiese di Aetofolia, Kalloni, Karkados, Smardakito e Vrissi, in «OADI», n. 10, 2014 (www.unipa.it/oadi/rivista); Idem, Una sinfonia di argenti nell’isola di Tinos: le chiese di Chatziràdos, Koumàros, Kròkos e Steni, in «OADI», n. 12, dicembre 2015 (www.unipa.it/oadi/rivista); Idem, Una sinfonia di argenti nell’isola di Tinos: la chiesa di San Nicola di Bari a Chora e il Palazzo Vescovile, in «OADI», n. 13, giugno 2016 (www.unipa.it/oadi/rivista). []
  2. L. Russo, Sant’Agapito Martire, https://www.santiebeati.it. []
  3. M. Φώσκολοs, Το Αγάπι, Τήνος 2008. []
  4. Ι. Γκερέκος, Σκεύη ιερά τω Θεώ ανατεθειμένα, Tήvoς 2010, p. 28. []
  5. J-M. Sauget, Santa Giuliana di Nicomedia vergine e martire, https://www.santiebeati.it. []
  6. Il grosio, o piastra, fu l’unità monetaria utilizzata durante l’impero Ottomano dagli abitanti greci di Costantinopoli, di Smirne e di Cipro. []
  7. G. Boraccesi, Rapporti tra la Grecia e l’Occidente europeo…, 2011, p. 141. []
  8. Ι. Γκερέκος, Σκεύη ιερά τω Θεώ ανατεθειμένα, Tήvoς 2010, p. 40. []
  9. B. Montevecchi, Tra Quattro e Cinquecento, in G. Barucca – B. Montevecchi, Atlante dei Beni Culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo. Beni Artistici Oreficerie, Cinisello Balsamo 2006, pp. 155-156. []
  10. O. Zastrow, Antichi e unici argenti siciliani in Valsassina. La confutazione di errati giudizi storico-artistici sugli argenti di Pasturo, in «Archivi di Lecco e della Provincia». A. XXVIII, aprile giugno 2005, p. 45. []
  11. G. Boraccesi, Argenti della liturgia cattolica nella cattedrale di Rodi, in «Arte Cristiana», n. 879, 2013, p. 445. Simili reperti sono stati da me analizzati anche nel Museo della Custodia Francescana di Terra Santa a Gerusalemme. []
  12. J. Divis I marchi negli oggetti d’argento, La Spezia 1989, p. 234 n. 1982; Tardy, Poinçons d’argent, Paris, p. 407. []
  13. G. Boraccesi, Una sinfonia di argenti…, 2016. []
  14. C. Arminjon-J. Beaupuis-M. Bilimoff, Dictionnaire des poinçons de fabricants d’ouvrages d’or et d’argent de Paris et de la Seine, t. II, 1838-1875, Paris 1994, p. 321 n. 3550. []
  15. C. Arminjon-J. Beaupuis-M. Bilimoff, Dictionnaire des poinçons de fabricants d’ouvrages d’or et d’argent de Paris et de la Seine, t. II, 1838-1875, Paris 1994. []
  16. G. Boraccesi, Una sinfonia di argenti…, 2016. []
  17. G. Boraccesi, Rapporti tra la Grecia e l’Occidente europeo…, 2011, p. 132. []
  18. P. Pazzi, I punzoni dell’argenteria veneta, Venezia 1992, p. 163, n. 543, p. 222. []
  19. G. Mariacher, scheda n. 25, in Oggetti sacri del secolo XVI nella diocesi di Vicenza, catalogo della mostra (Vicenza, 29 agosto-9 novembre 1980 ), a cura di T. Motterle, Vicenza 1980, p. 27. []
  20. A. Bulgari Calissoni, Maestri argentieri gemmari e orafi di Roma, Roma 1987,  pp. 239-240. []
  21. A. M. Pedrocchi, Argenti sacri nelle chiese di Roma dal XV al XIX secolo, Roma 2010, p. 116. []
  22. G. Boraccesi, Una sinfonia di argenti…, 2016. []
  23. C. Arminjon-J. Beaupuis-M. Bilimoff, Dictionnaire des poinçons…, 1994. []
  24. https://www.culture.gouv.fr/public/mistral/palissy_fr?. []
  25. J. Divis I marchi negli oggetti…, 1989, p. 171 n. 1340. []
  26. G. Boraccesi, Una sinfonia di argenti…, 2016. Non mi è stato possibile verificare l’esistenza di punzoni sulla terza lampada perché sospesa sull’altare maggiore. []