Elvira D’Amico

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Un inedito stendardo ricamato siciliano del secolo XVIII (1741)

DOI: 10.7431/RIV14072016

Sul mercato antiquario di Palermo è transitata, una quindicina di anni or sono, una straordinaria opera che ebbi appena il tempo di fotografare, prima che se ne perdessero le tracce. Le tre sole foto che potei fare (Figg. 123), di mediocre qualità -che quindi ho avuto finora qualche riserva a rendere note- danno però un’idea dell’interesse e dell’alta qualità del manufatto in questione, uno straordinario stendardo, costituendo pur sempre una preziosa documentazione di esso1.

La presenza di una precisa data poi -il 1741- su uno dei pendoni , sovrastata dallo stemma benedettino (Fig. 3), nonché la peculiarità dell’ iconografia, riescono a collocare l’opera in un determinato contesto storico-artistico, testimoniandoci come unica fosse la matrice culturale di opere dell’arte colta e prodotti delle arti applicate.

Lo stendardo infatti si attesta come uno tra i più pregiati manufatti nel campo del ricamo settecentesco siciliano, ispirato certo a un’opera pittorica, che ripropone un tema iconografico in auge nel periodo. Eseguito su tessuto di seta rosso, con ricami in oro argento e seta, esso raffigura al centro La Madonna col Bambino che concede a San Francesco l’indulgenza plenaria, entro un ovale circondato da eleganti volute in oro. La finezza dell’ esecuzione della scena centrale, ricamata con filo di seta con un punto di resa naturalistica (punto raso-pittoresco?), è solo pari a quella del corpo dello stendardo, tutto ricamato in filo d’oro a punto steso-posato, con fogliame stilizzato di stile  barocchetto, che risente di quel gusto per l’esotico che ha nei tessuti e nei ricami del periodo una delle espressioni più elevate. Ma ovviamente l’attenzione si concentra sul medaglione centrale, ai fini anche di una collocazione del pezzo in un preciso contesto storico-artistico. L’iconografia infatti, vicina a quella della Porziuncola, è diffusa, anche nell’Isola, precipuamente in ambito francescano. Essa è presente, ad esempio, nell’affresco della volta dell’Oratorio dei Terziari francescani di Palermo, annesso alla chiesa della Gancia, databile alla prima metà del secolo XVIII. Un altro simile affresco si ritrova nel Convento dei Cappuccini di Palermo (un tempo la Selva del Convento), opera di Olivio Sozzi, che lo eseguì negli anni 1741-432 (Fig. 4). Esso raffigura la Vergine di tre quarti, che porge la pergamena al Santo, inginocchiato con mani incrociate sul petto e sguardo rivolto verso di Lei, mentre il Bambino è intento a raccogliere rose da una cesta portagli dall’angelo.

Allo stesso entourage culturale sembra appartenere il manufatto ricamato, che reca la Vergine assisa su una nuvola, col manto bianco drappeggiato sulle ginocchia, il viso rotondo e minuto, il Bambino con braccia aperte, il Santo inginocchiato di profilo con braccia tese verso di Lei. La Vergine e il Bambino guardano però verso lo spettatore e la scena sacra è calata in un contesto squisitamente naturalistico, come si evince dalla presenza del prato in primo piano, disseminato di sassi, vegetazione, alberi,  e dal  brano paesaggistico riportato sul fondo: in un porto protetto da una lingua di terra si erge una fortezza bastionata con una arcata centrale, e dietro ad essa si staglia un alto monte innevato. In esso sembrerebbe riconoscersi uno scorcio della Catania del primo Settecento, rappresentata dai due topoi di Porta d’Uzeda e dell’Etna. Un simile paesaggio con un alto monte innevato appare pure sull’affresco del Convento dei Cappuccini del pittore catanese: si tratta di un omaggio del Sozzi alla sua città natale?

L’ immagine dello stendardo processionale quindi, destinata ad un uso popolare e devozionale per eccellenza, risulta di più immediato impatto visivo, grazie al marcato decorativismo dell’esecuzione, all’acceso contrasto cromatico rosso-oro del fondo, ai preziosi  virtuosismi della tecnica del ricamo. Riguardo alla manifattura, è plausibile pensare ad una trasposizione da parte del ricamatore del soggetto in questione, forse da una stampa relativa, oppure ad un disegno fornito dallo stesso pittore catanese, di poco differente dal bozzetto o disegno realizzato per l’affresco3. La presenza dello stemma benedettino poi, unitamente al paesaggio etneo di cui s’è detto, testimoniano un interesse per il tema iconografico anche in ambito benedettino ed una probabile committenza dell’opera da parte di una confraternita o monastero del catanese.

  1. Sugli stendardi siciliani appartenenti alle confraternite, si cfr. Le confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo.Storia e Arte,a cura di M.C.Di Natale,Palermo 1993, pp.69-110. []
  2. C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, p. 223 []
  3. Spesso le immagini figurate ricamate sui parati sacri siciliani erano affidate a ricamatori specialisti diversi da quelli che eseguivano il resto del parato, cfr. E. D’Amico, Arti applicate nella chiesa di S. Domenico a Palermo, in “Antologia di belle arti”, diretta da Alvar Gonzales Palacios, Nuova serie, nn. 55-58, 1998. Studi sul Settecento, pp. 30-35. In altri casi il disegno veniva fornito direttamente da pittori, cfr. E. D’Amico, I paramenti sacri, collana “Collezioni” di Palazzo Abatellis, diretta da V.Abbate, Palermo 1997, pp. 24-27 []