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Il reliquiario a statua di San Nicasio di Caccamo: nuove acquisizioni documentarie
DOI: 10.7431/RIV14052016
Il restauro a cui è stato sottoposto il reliquiario a statua di San Nicasio (Fig. 1), patrono di Caccamo, ha permesso una puntuale ispezione delle molteplici parti argentee che lo compongono1. L’intervento conservativo, condotto nel 2014 dal maestro argentiere Benedetto Gelardi e dal prof. Gaetano Correnti, ha contemplato la scomposizione degli elementi metallici, evidenziando l’alta maestria degli artefici che hanno realizzato ogni singola lamina, a cominciare dalla testa che – e questa è forse la sorpresa più interessante – non fu realizzata a fusione, bensì con un certosino lavoro di sbalzo e cesello. Un’ esecuzione tecnica sorprendente, al limite del virtuosismo. La resa d’insieme dei tratti fisionomici e la realistica, quanto austera, espressione del Santo la dicono lunga sulla bravura dell’argentiere palermitano di cui purtroppo non si è in grado, con certezza, di rivelarne l’identità. Nel collo, all’altezza del pomo di Adamo, è stato rilevato2 il punzone con l’aquila a volo basso, che identifica la maestranza orafa palermitana, accompagnato dal codice alfanumerico GO84, da riferire al console Giacinto Omodei in carica nel 16843, e dalla sigla CLA o GLA (Fig. 2). Queste ultime lettere, marchiate in verticale, sono le iniziali dell’argentiere artefice della testa che, allo stato attuale degli studi e secondo quanto avanzato dalla Di Natale, potrebbe essere identificato con Giovanni Luna, documentato in attività a Palermo dal 1677 al 17014, autore di un calice, datato intorno agli anni ’80 del XVII, custodito nel santuario di Maria Santissima della Consolazione di Termini Imerese5.
Lo scorporo dei vari elementi che danno forma alla statua-reliquiario ha permesso, inoltre, di verificare le punzonature delle parti argentee e alcune iscrizioni nelle strutture metalliche che compongono il corpo. Nel busto, vicino al ricettacolo che custodisce la reliquia, e nella parte apicale degli arti inferiori si può rilevare il bollo del console palermitano Francesco Bracco, in carica con tale ruolo tra il 1688 e il 16896. Sulle lamine sagomate che ornano il gonnellino, invece, troviamo il punzone del console Placido Caruso, documentato per tale carica nel 16897, e infine nel libro in rame dorato che il santo tiene poggiato sul fianco destro è incisa la data 1690. L’acquisizione di questi dati cronologici ha fatto dedurre che la realizzazione del prezioso simulacro avvenne in un arco temporale di sei anni e quest’ampia tempistica è stata giustificata dall’alto costo dei preziosi metalli e dalla manodopera8. Tali supposizioni sono oggi confermate da due documenti9 custoditi presso l’Archivio storico diocesano di Palermo. Infatti, da una richiesta datata 14 febbraio 168810 indirizzata all’Arcivescovo Ferdinando Bazan y Manriquez redatta dal vicario generale don Vincenzo Vanni e inviata al vicario foraneo si apprende che « […] da alcuni anni a questa parte li rettori passati di detta chiesa diedero principio a far fare una statua di argento di detto glorioso santo come attualmente si sta facendo in questa città di Palermo da un mastro argentiero, e perché per la perfectione di detta statua, oltre di quello si ha speso e si sta spendendo dell’introjti di detta chiesa li necessita la somma di onze 40 et anco includere in detta statua il braccio di argento et una patena vecchia di detta chiesa, non havendo modo di potere prontamente spendere detta somma han ritrovato persona che viene a’ prestargliela, con darseli qualche pegno per la sicurtà e riconoscendosi che detta chiesa coll’introjti venturi potrà fra il termino di anno uno sodisfare detta somma, e spignorare li pegni e retornarli alla detta chiesa e confraternita. Intanto vengono l’esponenti a’ supplicare a Vostra Signoria Ill.ma et Rev.ma si serva concederli licenza di potere pignorare il lampiero d’argento et altro argento di detta chiesa, per l’accommodo di detta somma, e che si possi dare all’argentiero detto braccio e patena per includerli in detta statua, acciò si possi subito pefettionare detta statua e togliere di qualche pericolo il denaro, che per detto effetto ha detta chiesa esburzato alli mastri argentieri per l’argento e fattura di detta statua movendosi l’animo di V.S. Ill.ma et Rev.ma a’ devenire a questa licenza per l’evidente utiltà che resulta a detta chiesa per lo suddetto denaro che si trova havere speso»11. Apprendiamo, dunque, delle difficoltà a reperire fondi per portare a compimento la realizzazione della statua, già iniziata “da alcuni anni”, tanto da essere necessaria la fusione di vecchie suppellettili e ricorrere ad un prestito dando in garanzia un “lampiero d’argento e altro argento”. La fonte archivistica conferma, pertanto, quanto già supposto a proposito delle difficoltà a procurare le somme necessarie per portare a compimento l’opera. I confrati ottennero, il 16 marzo 1688, dall’Arcivescovo Bazan la licenza affinché potessero alienare un braccio reliquiario e una patena, al fine di essere fusi per la realizzazione del simulacro. La particolare tecnica esecutiva, che non ricopre con lamine argentee le parti anatomiche di un manichino preesistente, ma le modella singolarmente per poi rinforzarle con l’inserimento di elementi lignei costruendo un insolito, quanto unico, gioco di incastri, richiese dunque un’ingente somma di denaro resasi disponibile nel giro di due anni, come conferma un altro documento dell’Archivio Diocesano. Infatti, una licenza concessa dall’Arcivescovo Bazan il 23 agosto 169012 autorizza il trasporto processionale del simulacro di San Nicasio «havendo fatto e complito una statua di argento di detto Santo nella quale si doverà ingastare una reliquia nuovamente venuta di questo medesimo santo autenticata e riconosciuta per la sua gran corte arcivescovile», confermando che la data incisa sul libro poggiato sul fianco destro della statua è quella della definitiva consegna dell’opera ai confrati committenti. Dalla licenza arcivescovile si apprende, inoltre, che il corteo processionale avrebbe preso l’avvio dalla Matrice per recarsi alla chiesa di campagna intitolata al Santo Patrono, passando dalla Santissima Annunziata.
Il nostro prezioso manufatto, restituito al suo originario splendore, rientra appieno nel clima di grande fermento devozionale post tridentino: la propaganda anti protestante sollecitò la creazione di raffinati contenitori dalle varie tipologie, anche antropomorfe, spesso ordinatamente collocati all’interno di artistiche lipsanoteche. In questo contesto, il ruolo di sacra custodia del simulacro custodito a Caccamo è avvalorato dalla presenza della bolla di autentica della reliquia inserita all’interno di uno sportello ricavato nella struttura lignea che sostiene il busto. Per onorare ed evidenziare il valore salvifico dei preziosi resti di San Nicasio Camuto della famiglia Burgio si volle, dunque, creare un apposito reliquiario antropomorfo che ne riproducesse le fattezze umane, idealizzandole in quelle dell’austero e nobile Cavaliere di Malta. In tal senso l’opera d’arte risponde a dei canoni stilistici ben definiti: se le sembianze fisionomiche denotano una palese adesione alle istanze realiste della temperie seicentesca, la postura e alcuni dettagli decorativi rievocano soluzioni tardo manieriste citando la statua bronzea di Carlo V che Scipione Li Volsi realizzò nel 163113, e la figura di Coriolano ricamata negli arazzi un tempo nel castello di Caccamo e oggi al Museo Civico di Termini Imerese realizzati, secondo Elvira D’Amico, su disegno dell’architetto del Senato di Palermo Vincenzo La Barbera14. Chiunque sia stato l’ideatore dell’opera, è certamente una personalità a conoscenza del dibattito artistico culturale siciliano d’inizio Seicento che compendia eredità cinquecentesche con più aggiornate sintassi barocche. Di certo, nei tratti fisiognomici del Santo, nell’accurata realizzazione dei dettagli, traspare un’evidente retaggio del naturalismo, ampiamente praticato in Sicilia, dopo il breve soggiorno di Caravaggio, da numerosi artisti che si sono lasciati suggestionare dalla lezione del grande maestro lombardo. Il prezioso manufatto, che assolve anche una funzione processionale, rappresenta San Nicasio, invocato a protezione della peste e della scrofolosi, in vesti militari con armatura, spada, calzari, elmo piumato e mantello. Ripreso a figura intera e con una postura eretta (Fig. 3), calpesta vittorioso l’orrenda immagine simboleggiante il morbo funesto. Quest’ultima riproduce, attraverso un egregio lavoro d’intaglio, la personificazione della peste, a ricordo dell’intercessione del santo per la guarigione dall’orrenda epidemia che colpì la città di Caccamo nel 1624. Come spesso avviene, l’interpretazione figurativa del male assume simboliche sembianze declinate con una rappresentazione, tra zoomorfa e antropomorfa, la cui visione incute angoscia e terrore (Fig. 4). Sottomessa ai piedi del Santo, l’orrida immagine manifesta che attraverso la fede nulla è invincibile e le virtù taumaturgiche delle reliquie proteggono contro ogni avversità, del fisico e dell’anima. Oggi questo capolavoro dell’oreficeria palermitana del Seicento dopo l’accorto restauro è stato restituito alla comunità caccamese, con la certezza che alla funzione processionale sarà congiunta un’attenta salvaguardia, utile per trasmettere alle generazioni future una delle più preziose opere d’arte decorativa che la devozione siciliana ha saputo produrre.
- Ringrazio don Domenico Bartolone che in occasione della presentazione del restauro del reliquiario a statua ha reso possibile lo studio del simulacro seguendo le varie fasi degli interventi conservativi. [↩]
- Si deve a Maria Concetta Di Natale il primo approccio scientifico all’opera e la consequenziale lettura del marchio. Il reliquiario a statua fu oggetto di studio in occasione della grande manifestazione espositiva realizzata nel maggio del 1993 presso il Real Albergo dei Poveri di Palermo, cfr. M. C. Di Natale, Scheda n. V,7, in Le Confraternite dell’Arcidiocesi di Palermo. Storia e Arte, catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, Palermo 1993, p. 232. [↩]
- S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad oggi, Milano 2010, p. 69. [↩]
- S. Barraja, Luna Giovanni, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2014, p. 386. [↩]
- Cfr. M. C. Di Natale, Scheda n. 103, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 2001, p. 427; M. C. Di Natale, La cultura figurativa di Caccamo tra arte e devozione, in Caccamo. Una memoria per il futuro, Caccamo 2008, p. 55; M. C. Di Natale, Chiesa dell’Annunziata, in D. Campisi – M. C. Di Natale, Caccamo. Il Castello le Arti i Riti, Caccamo 2010, p. 72. [↩]
- Cfr. S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 69. [↩]
- Cfr. Ibidem. [↩]
- M. Vitella, Il reliquario a statua di San Nicasio, in At Home in Art Essays in Honour of Mario Buhagiar, a cura di C. Vella, Malta 2016, pp. 257-262. [↩]
- Gentilmente segnalati dall’amico Marcello Messina, che ringrazio. [↩]
- ASDPa, Diocesano, Lettere di visita, n. 640, c. 82r/v. [↩]
- Ringrazio l’amico Giovanni Travagliato per l’assistenza alla trascrizione del documento. [↩]
- ASDPa, Diocesano, Lettere di visita, n. 642, cc. 117v-118r. [↩]
- A. Pettineo – P. Ragonese, Dopo i Gagini prima dei Serpotta i Li Volsi, Tusa 2007, pp. 149-150. [↩]
- E. D’Amico, Appunti per una storia del ricamo palermitano in età barocca. La committenza nobiliare, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, pp. 204-221. [↩]