Elvira D’Amico

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Milazzo-Palermo andata e ritorno: il fil rouge della Belle Époque

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Le collezioni abbigliamentarie di Capo Milazzo

La pittoresca strada del Capo che, iniziando dalla salita del Borgo antico, si snoda attraverso il Promontorio, per terminare solo all’estremità di esso, è costellata da amene ville ottocentesche , che attestano i fasti della vecchia aristocrazia terriera locale. Realizzate nei vari neo-stili da architetti locali,  concedono poco o niente all’incipiente gusto liberty- ben rappresentato invece nella vicina Città Bassa, da epigoni di Ernesto Basile1- e sono spesso accomunate da edulcorate decorazioni ad affresco ad opera di rinomati pittori del periodo- come Carlo Righetto- e da festosi pavimenti in piastrelle maiolicate, di manifattura napoletana o siciliana, che denotano i gusti decorosamente tradizionali dei committenti. Ciò che è meno noto è il fatto che alcune di queste ville racchiudono patrimoni abbigliamentari di alto livello qualitativo, gelosamente tramandati di generazione in generazione,  spesso coevi ai loro contenitori.

All’occhio del visitatore più attento che ha la fortuna di imbattersi in alcune di queste collezioni poi, appare subito evidente che esse non attengono soltanto alla  sfera privata e sentimentale dei proprietari, ma assurgono a un interesse più vasto,  per collocarsi sul piano dello stile e del gusto di un intero periodo storico, quello  a cavallo dei secoli XIX e XX,  ricco di fermenti culturali e di cambiamenti, che si concluderà solo con l’immane tragedia della prima guerra mondiale. Una sorta di età dell’oro per la Sicilia – non a caso definita Belle Époque e connotata nel campo visivo dall’ Art Nouveau –  dominata a Palermo dall’economia, la cultura, la mondanità  dei Florio,  e a Milazzo dalle velleità di un’ aristocrazia di provincia che tende ad imitarne le imprese,  che per la cittadina mamertina viene però introdotta  da un testo letterario d’eccellenza, ormai entrato a far parte di diritto del patrimonio immateriale di essa, L’Illusione di Federico De Roberto (1891).

Esso, facente parte della trilogia della nobile famiglia Uzeda, a mezzo tra verismo e psicologismo, ma anche  “quadro familiare e d’ambiente”2 , si svolge per buona parte nella Milazzo degli ultimi decenni del secolo XIX, della quale descrive luoghi, personaggi, consuetudini, ma anche vita sociale e moda. Per questo è interessante notare – o anche solo immaginare –  come le alcune di queste collezioni , in parte coeve al racconto derobertiano, diano quasi voce e vita alle notazioni d’ambiente in esso contenute, evocate dalla protagonista Teresa Uzeda, giovane donna siciliana che vive appieno – negli agi e nelle contraddizioni- la società del suo tempo. La stessa società di cui dovevano far parte le nobildonne milazzesi, che commissionarono, indossarono, tramandarono i loro abiti, forse per le stesse occasioni mondane descritte magistralmente nel romanzo. Abiti che mettono in luce peraltro, da un punto di vista più strettamente tecnico-manifatturiero,  inediti rapporti extra -cittadini e persino extra -isolani delle proprietarie, che sembrano riscattare la cittadina, almeno nel settore della moda e del gusto, dall’etichetta di provincialismo di cui è stata  da sempre tacciata, non ultimo dallo stesso testo letterario.

Le raccolte di abiti e accessori, databili in massima parte tra l’ultimo ventennio dell’800 e il primo decennio del ‘900,  sono improntate alla raffinatezza e al buon gusto e appaiono aggiornate sempre sulle ultime novità della moda del tempo. È il periodo in cui rifulge a Palermo la personalità di donna Franca Florio,  icona di stile e bellezza, ritratta da Boldini e dama di corte della regina,  ammirata e imitata anche per il suo guardaroba, che rifornisce a Parigi, Torino, Firenze, Napoli, Palermo. Per questo notevole curiosità desta il fatto che alcuni dei capi milazzesi rechino l’ etichetta del rinomato atelier palermitano  di Madame Durand (Figg. 123), che riforniva pure donna Franca; e che altri siano contrassegnati da etichette francesi, come quella della maison  Arnoux di Parigi (Fig. 4), il massimo centro di smistamento della moda del tempo, acquisto che conferma i rapporti di alcuni aristocratici milazzesi con la Francia.

Grazie alle suddette etichette inoltre, ma anche all’ analogia con capi già noti dell’entourage palermitano,  altri abiti milazzesi possono attribuirsi ad atelier del capoluogo siciliano, e contestualmente informarci su una produzione similare di capi di diversa destinazione geografica da parte delle case di moda dell’epoca. É il caso della elegante giacca in velluto nero e merletto macramè (Fig. 5), che ricalca quella di collezione Piraino, uscita dalla sartoria sopra citata3, o dell’elaborato completo in macramè nero (Fig. 2),  gemello di un altro da gran sera della stessa collezione palermitana4, pure realizzato dall’ atelier Durand. Altri capi  ancora , si possono considerare confezionati pure da rinomate case di moda del capoluogo siciliano, tutte in stretto rapporto con Parigi, come ad esempio la Casa di confezioni di via Principe di Scordia, specializzata in abiti in seta nera damascata a disegni floreali(Fig. 6)5.

Non mancano i casi di abiti ispirati a modelli famosi del periodo, come il completo in raso bianco con maniche à gigot (Fig. 7), che sembra esemplato sull’abito da sposa di donna Franca Florio, di manifattura francese, oggi conservato alla Galleria del Costume di  Palazzo Pitti6.

Pure la vasta campionatura di accessori presenti nella cittadina mamertina potrebbe essere stata rifornita presso le principali modisterie del capoluogo siciliano, data l’analogia con alcuni capi qui esistenti o documentati (Fig. 8)7.

Le collezioni milazzesi,  pervenute in maggior parte in stato conservativo ottimale, sono rappresentative di varie tipologie abbigliamentarie, che abbracciano tutte le ore e  le occasioni della giornata: il mattino, il pomeriggio, la sera, la notte; e ancora la visita, il passeggio, la gala, la cerimonia, il lutto (Figg. 910111213141516). Abiti e mantelle da passeggio, cappe da pomeriggio elegante, corpetti da gala e abiti da gran sera, vestiti da camera e indumenti da notte, e ancora raffinati accessori quali ombrellini e cappelli, bastoni e ventagli , cinture e gioielli (Figg. 1718). Tutti  sembrano avere una caratteristica comune, che discende evidentemente dalla personalità delle loro proprietarie: la moderazione, la castigatezza, la pudicizia insomma, che contrasta con l’esibizione del corpo – braccia e décolleté soprattutto – che campeggia invece nei più noti abiti e ritratti della moda Belle Époque

Testimonianze letterarie sulla moda degli ultimi decenni del secolo XIX a Milazzo

La conoscenza della moda palermitana fin du siècle poteva essere incrementata da scambi e da trasferimenti, nella cittadina mamertina, di nobili fanciulle palermitane, che andavano spose a patrizi locali, portandosi dietro un ricco corredo, come nel caso di donna Carolina Di Maria Alleri e Brunaccini, che sposa il milazzese barone don Cesare Ryolo nel 1893. Il matrimonio veniva celebrato nello stesso anno di quello di donna Franca Florio-   sebbene quest’ultima si sposasse a Livorno, sua città d’origine. Non è escluso che le due giovani, all’incirca coetanee, si conoscessero, data anche la frequentazione acclarata dei baroni Alleri coi Florio, e che Carolina potesse apportare a Milazzo le novità  più in auge della moda che si andava svolgendo nell’elegante  capoluogo siciliano. La consuetudine si protrae ancora fino almeno al terzo decennio del secolo successivo, quando la palermitana donna Eva Marigliano, duchessa di Villarosa, sposa il principe di Spadafora, residente nella frazione milazzese di S.Pietro, un tempo feudo della sua famiglia.

Una rara cronaca milazzese di fine ‘800,  Il Carnevale del 1887 al Circolo Duca di Genova, diventa testimonianza rilevante sulla società elegante del tempo, facendoci pure il nome di una sarta francese operante nella cittadina, possibile apportatrice delle ultime mode d’oltralpe:

Ricorderò le toilettes ricche ed elegantissime delle belle signore che si compiacquero ,venendo ,di aumentare lo splendore delle feste. La giovane ed elegante signora Muscianisi comparve alla seconda festa in abito color lilio e bronzo eseguito stupendamente  dalla sarta Carlotta Justal che, con intelligenza ed arte senza pari, seppe eseguire quell’abbigliamento in modo veramente mirabile…

Adesso non posso nascondere che un grido d’ammirazione mi sia sfuggito dal petto, vedendo apparire all’ultima festa la signora Muscianisi in abito ricchissimo di velluto nero e pizzo, tutto a guide di fiori, che dalla vita in giù arrivavano all’estremo lembo, non meno bene ed eccellentemente…eseguito del primo. .. La signora Marullo vedova Cassisi…si servì di un’altra, la quale le eseguì per la terza festa un magnifico abito di velluto nero con uno strascico più largo che lungo, che le conservava il carattere di avvenente vedovella; mentre agli adorni in brillanti che essa portava fra i capelli ed al collo, al fascino dei suoi occhioni contendevano i lampi e lo splendore8.

Che una delle massime occasioni di gala fosse costituita a Milazzo dal veglione di Carnevale, trova conferma  nel citato capolavoro derobertiano  l’Illusione:

In carnevale il barone Accardi invitò la gente a ballare da lui: la casa era stata rimessa a nuovo, e tutto ciò che occorreva per i cotillons veniva da Napoli. La società milazzese non parlava d’altro: ella smaniava per esservi condotta.

Ma anche il fil rouge che lega Milazzo a Palermo riaffiora dalle delicate notazioni relative alla giovane protagonista, Teresa Uzeda:

La zia Carlotta mandava loro gli abiti a ogni mutar di stagione; e quando arrivavano le casse da Palermo, ella non dava più retta a nessuno, correndo a provarsi e riprovarsi le vesticciuole,i cappellini e le scarpette

Venivano anche gli abiti per la mamma; ma questa neppur li guardava; peccato, tanti begli abiti di velluto e di raso, pieni di trine, di merletti, di nastri, di guarnizioni d’ogni specie; tanti cappelli con grandi piume attorcigliate, con mazzi di fiori che pareva si potessero spiccare!…

Se la zia, invece di abiti belli e fatti, le mandava da Palermo tagli di stoffe, li lasciava dentro una cassa, in pasto alle tignole…

Significativa pure la descrizione di alcuni capi e accessori in voga, fatta dalla giovane con tutta l’emozione della scoperta:

Quando s’andava fuori, prima di vestirsi stava a veder vestirsi la zia; si cacciava dentro gli armadi per tastare le stoffe, esaminava le mantiglie e i corpetti, apriva tutte le scatole dei cappelli e dei ventagli, restava estatica dinanzi alle piume, ai fiori, alle gale, ai pizzi, a tutte le cose belle, ricche e smaglianti…

Ma fra tutte quelle signore le sue preferite erano le più giovani e le più eleganti: la Feràolo, che portava le vesti da camera azzurre guarnite di larghi merletti bianchi e neri…

Per le adolescenti usa l’azzurro: la prima veste lunga, una veste di stoffa azzurra, con un cappellino di velluto: una bellezza! Però bisognava metterla solo nei giorni di festa…

Ancora, dal romanzo vien fuori la prassi inveterata di trarre ispirazione dal figurino per la scelta del modello, da sottoporsi alle sarte locali, salvo ricorrere , per i casi eccezionali, ad atelier parigini:

Che si porterà? Hai visto i figurini?

Guarda che code! Come si farà per muoversi? Da per tutto giallo intanto…pare che si porti molto? Io vorrei cambiare sarta: quella Rabbi non me ne azzecca più una .Vorrei prendere la Grandoni , ma per un abito così…Il bello lo farei venire da Parigi….

Pure la familiarità delle fanciulle aristocratiche con l’antica arte del ricamo riaffiora nella suddetta opera letteraria, tanto diffusa e naturale, da far da sfondo a romantiche ambientazioni amorose:

Una volta che ella gli mostrò certi ricami, le punte delle sue dita sfiorarono quelle di lui sotto i fini tessuti: un tocco lieve, l’ombra di una carezza, che le fece passare un lungo brivido per tutto il braccio…

Parimenti, si palesa l’usanza  delle nobildonne milazzesi di ricamare arredi sacri  per le chiese d’appartenenza – nella fattispecie il Santuario di S.Francesco di Paola- , come già ampiamente attestato per le nobili palermitane, sin dai secoli precedenti:

Ella andava spesso in chiesa, ricamava tovaglie da altare, stava attenta a tutte le funzioni sacre, si confessava spesso, era assidua alle prediche di padre Raffaele.

Certo l’edificante arte del ricamo, da esercitarsi per puro diletto, veniva appresa, in ambiente aristocratico, presso una maestra privata, al pari delle altre materie scolastiche, diversamente da quanto avveniva in ambito borghese, ove le giovani imparavano i “lavori femminili”, da utilizzarsi per il loro fabbisogno personale o il futuro sostentamento,  nei collegi e nei convitti, tra cui, nell’entroterra milazzese, primeggiava il “Regina Margherita” di Castroreale, che ospitava, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, parecchie milazzesi, fra allieve ed insegnanti (Fig. 19).

Ma, per il grosso dei lavori da corredo che accontentassero una clientela estremamente variegata, non mancavano a Milazzo avviati laboratori di ricamo, come quello della signora Ragusi e Bevacqua, immortalato in una rara foto degli inizi del secolo XX (Fig. 20). É certo che qui si eseguissero ricami e merletti, oltre che per biancheria da corredo, anche per le ricche guarnizioni – jabots, pettorine, applicazioni, tramezzi –  che rifinivano e ingentilivano ogni capo d’abbigliamento Belle Époque degno di questo nome, di cui le collezioni milazzesi forniscono parecchi notevoli esemplari.

  1. Si tratta di Letterio D’Andrea che nel 1907 realizza il villino Greco, e di Gaetano Bonanno autore della più tarda Villa Vaccarino (1929).

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  2. N .Zago, premessa a F. De Roberto, L’illusione, a cura di N. Zago, Milano 2011. []
  3. Cfr. Abiti d’epoca 1700-1950. Collezione Raffaello Piraino, Palermo 1990, p.97. []
  4. Abiti d’epoca …, 1990, p. 58. []
  5. Abiti d’epoca …, 1990,  p. 60, n .18. []
  6. Cfr. Il guardaroba di donna Franca Florio, Firenze 1986,  p. 22. []
  7. Cfr. Tre secoli di moda in  Sicilia. Mostra di abiti e accessori dal XVIII al XX secolo. Collezione Gabriele Arezzo di Trifiletti, Palermo 1991, p. 125 []
  8. Il Carnevale del 1887 al Duca di Genova. Cronaca da Milazzo, da “L’imparziale” del 3 marzo 1887, in  “MilazzoNostra”, n.19 []