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Il restauro scientifico per un presepe trapanese in materiali preziosi
DOI: 10.7431/RIV13042016
Maria Concetta Di Natale
Diroccati scorci paesaggistici di gusto quasi piranesiano presentano taluni scenografici presepi realizzati dalla maestranza dei corallari trapanesi, come quello del Museo Regionale Pepoli di Trapani della fine del XVII – inizi XVIII secolo1 (Fig. 1). Il presepe realizzato in rame dorato, corallo, smalto, argento presenta la sacra rappresentazione fra i ruderi di un edificio classico con colonne scanalate e arcate con bugne ove s’intreccia una minuta e fitta vegetazione in smalto verde. Tale tipologia di composizione, esemplicativa di una diffusa produzione che trova specifici raffronti nel presepe della Galleria Estense di Modena, già nel Museo Nazionale di San Martino di Napoli2, o in quello di collezione privata di Catania3, rimane immutata anche quando i maestri trapanesi dovranno sostituire il corallo con altri materiali. Non a caso desiderio di novità e creatività sono propri di questi artisti che nel XVIII secolo accoppiano il corallo con materiali diversi, quali l’avorio, la madreperla, l’alabastro, l’alabastro carneo, l’ambra, la tartaruga, per poi finire a poco a poco quasi con il sostituirlo totalmente, anche a causa del suo esaurirsi nel momento del massimo successo. E così che a Trapani, nel periodo del forzato tramonto dell’arte del corallo, tendono a fiorire molte realizzazioni presepiali sempre più ricche, in particolare di avorio e madreperla. Emergono a tal proposito le composizioni presepiali riferite alla bottega dei Tipa sulla base di raggruppamenti tipologici più che affini e di riscontro con le fonti che riferivano a tali maestri abilità in questa tipologia di opere. Scrive il Fogali che gli scultori trapanesi Giuseppe Tipa e i figli Andrea (1725-1766) e Alberto (1732-1783) erano famosi per “lo scolpire in tenero e in piccolo “, cioè “sugli alabastri, sui coralli, sull’avorio, sull’ambra e sulle conchiglie”4. Il Di Ferro ricorda che Andrea Tipa “eseguì varj bellissimi presepi con figure d’avorio e di alabastri (…) esitò (…) fiori naturali e leggeri di varie colorate conchiglie su le quali si lavorava moltissimo, per arrivare a quel bello che alla natura non costa niente”5. Fornisce un esempio in proposito il presepe del Museo Pepoli di Trapani dall’ambientazione scenica realizzata con materiali marini e personaggi in alabastro, facente già parte della collezione del conte Pepoli che viene attribuita ad Andrea Tipa per l’accurata raffinatezza compositiva6. Personaggi finemente scolpiti in avorio presenta invece il presepe già del Museo Civico di Termini Imerese (Fig. 2) ove il corallo è, analogamente al precedente, ridotto quasi del tutto a semplice elemento ornamentale con privilegio di rametti grezzi, dove sono ormai pure scomparse le rosse girandole floreali, mentre con la cera lacca, che simula il colore del corallo, è realizzato il terreno roccioso di base7. Proprio questo presepe ha forti analogie compositive con quello in esame, oggetto di un mirato intervento di restauro scientifico da parte di Sophie Bonetti. Delicate e raffinate composizioni come queste presepiali trapanesi, facenti parte della più ampia e varia categoria delle opere d’arte decorativa, devono, infatti, essere attento oggetto di restauro conservativo seguendo gli stessi criteri di scientificità ormai generalmente acclarati per tutte le opere d’arte, e non solo riservati, come in passato, a capolavori di pittura o scultura. L’attenzione alla conservazione e al restauro scientifico hanno, infatti, ormai generalmente preso il posto degli usuali e talora totali rifacimenti che caratterizzavano quelli che si possono definire pseudo-restauri di tempi non troppo lontani, senza volere andare ad indagare nel periodo del restauro di ripristino in cui almeno tali tipi di intervento erano giustificati da precisi criteri ideologici.
A questi due presepi, molto vicini tra loro, si può aggiungere anche quello individuato dalla stessa Bonetti, battuto all’asta di Sotheby’s European sculpture and works of art svoltasi a Londra il 7 luglio 2006, recentemente segnalato da Sergio Intorre8 (Fig. 3), che presenta analogamente la tradizionale impaginazione con le quinte architettoniche simulanti scenari cadenti e diruti, caratterizzati, pertanto, da quel particolare fascino proprio del rudere e specialmente in quell’epoca, con archi e colonne spezzate, muri cadenti che fanno da quinta scenica alle figure protagoniste finemente scolpite in avorio, mentre sui ramoscelli di corallo si arrampicano foglie d’argento e fioriscono fiori di madreperla. La scena culmina con la figura del Dio Padre in alto, quasi Deus ex Machina. Anche per queste opere la raffinatezza dell’esecuzione lascia pensare alla famosa bottega trapanese dei Tipa, ma non si può non tenere in considerazione che non si ha alcun riferimento ad opera certa, per cui ogni attribuzione rimane come pura ipotesi di studio. “Esimi cultori delle arti”, come nota Vito Amico, “sorsero a Trapani perché i Trapanesi, a preferenza di ogni altra gente dell’isola, si addicono alla scultura dell’alabastro, dell’avorio, del corallo, e di altre pietre e le loro opere sono tenute in gran pregio”.9 Un preciso riferimento ad un presepe fa il De Felice a proposito di Francesco Nolfo (1741-1809), figlio di Antonio (1696-1784), apprezzando “una folla microscopica di piccolo presepe in avorio, un portento di pazienza e perfezione”10, segno di come più artisti trapanesi famosi si dedicassero alla realizzazione di composizioni presepiali. Il fratello Domenico (1730-1782?) si dedicò anche alla scultura marmorea e realizzo un presepe per la Cattedrale di San Lorenzo di Trapani11. Antonio Nolfo e i figli Francesco e Domenico erano considerati tra i principali maestri dell’arte trapanese del Presepe, dopo Francesco Matera, relativamente anche alla peculiare produzione in legno tela e colla12.
Il restauro scientifico del Presepe in esame operato da Sophie Bonetti ha presentato non poche difficoltà proprio per quella polimatericità che caratterizza la composizione e per la conseguente necessità di ricorrere a modi diversi di intervento, tutti mirati egualmente agli stessi criteri di manutenzione, conservazione e non rifacimento o sostituzione.
Di fondamentale importanza si è rivelata la spolveratura preliminare propedeutica e basilare per ogni intervento di restauro che nel caso specifico è risultata già di per sé problematica. E’ stato pertanto necessario procedere cautamente a delicata spolveratura manuale con pennello e non con aspiratore diretto. Con la stessa attenzione sono stati ripuliti e ricollocati tutti gli elementi compositivi diversi, dal vetro alla stoffa, anche con l’intervento di restauratori specialisti nel trattare materiali diversi. Si ritiene, altresì, che sia stata la scelta idonea quella di sottoporre una porzione della base quasi ad una totale rivisitazione delle strutture che ha consentito di riproporre la stessa nel suo complessivo aspetto originario che costituisce un importante elemento di confronto con altre opere affini, come proprio gli altri presepi citati a raffronto, quello già a Termini Imprese e l’altro venduto all’asta. Sostituirla con materiali asettici e riconoscibili in quanto totalmente diversi avrebbe causato nel tempo all’opera un allontanamento da quegli elementi tipologici caratterizzanti che, talora in mancanza di altre notizie storiche tratte da documenti, più difficilmente individuabili per le opere d’arte decorativa destinate a committenza privata e talora occasionale, potessero aiutare a ricomporre la produzione artistica di una bottega di valenti maestri spesso appartenenti ad una stessa famiglia. La documentazione fotografica, peraltro, segnando le varie fasi del restauro, ripropone, anche, l’intervento sulle strutture portanti della base e ne attesta le originarie condizioni di degrado. La visione ravvicinata consente da un lato il riconoscimento dell’intervento stesso e dall’altro all’opera di mantenere la completezza originaria. La rigidità nell’applicazione del restauro scientifico non può e non deve compromettere, ove possibile, la composizione e riproposizione della visione originaria, in particolar modo quando ad essere rivisitato è un elemento secondario, come nel caso specifico una parte della struttura di base, che per le condizioni di degrado del legno non poteva più essere mantenuta nella sua totalità e certamente non, ad esempio, le figure protagoniste in avorio che costituiscono per l’opera d’arte le caratteristiche del fare artistico.
Il restauro ha consentito inoltre di rilevare quali fossero le modalità di realizzazione dell’opera in uso presso le maestranze trapanesi. E’ stata rilevata la tecnica di applicazione della colla animale come adesivo generale di base utilizzata con diverse modalità e spessori a seconda delle necessità.
Indispensabile era inoltre l’attenzione alla conservazione futura dal rapporto con la luce a quello con l’umidità e ad una migliore fruibilità dell’opera che ha visto la progettazione di una teca nuova in materiali moderni che peraltro sostituisce la preesistente non originaria e non pertinente e che, a differenza di quella, consente una più immediata e globale visione.
Il restauro di un inedito presepe trapanese del ‘700: complessita’ di un opera polimaterica
Sophie Bonetti
Il restauro di un presepe trapanese della seconda metà del ‘700 in collezione privata ha costituito un’imperdibile occasione di studio di un inedito manufatto siciliano: si tratta di un’opera polimaterica estremamente ricca sia in termini di varietà dei materiali, che per numero di figure e scene di genere rappresentate13 (Fig. 4). I materiali che a prima vista saltano all’occhio, connotando fortemente l’origine trapanese dell’opera, sono corallo e avorio, ma si contano almeno otto materiali diversi, vetro, marmo rosso, alabastro rosa, conchiglie, stoffa, carta, senza citare quelli di supporto e sostegno del presepe, legno e sughero. Tale varietà, date le pessime condizioni del manufatto prima del restauro, ha costituito la principale difficoltà nell’affrontare l’intervento con un corretto approccio metodologico (Fig. 5). La coesistenza di materiali anche molto eterogenei tra loro, alcuni di natura inorganica altri organici e deperibili, ha necessariamente richiesto varie competenze: il contribuito di colleghi specializzati in restauro e risanamento ligneo e restauro tessile è stato fondamentale14.
Il presepe, come tutti i coevi esemplari trapanesi, è caratterizzato da un’estrema fantasia e movimento della scena e dall’utilizzo di materiali il più possibile vari, anche per impatto cromatico. Tranne alcune specifiche committenze di rango, che prescrivevano materiali più nobili, come per esempio nel presepe commissionato dagli Este conservato alla Galleria Estense di Modena dove corallo e argento sono utilizzati copiosamente15, sovente nei manufatti di questo tipo si impiegavano insieme materiali ricchi e poveri, questi ultimi di minore resistenza e durabilità ma più facilmente reperibili in termini di accessibilità e costi. A questo proposito si evidenzia la centralità di Trapani come centro di produzione e lavorazione del corallo, soprattutto tra XVI e XVIII secolo16, già nella seconda metà del settecento quando i banchi di corallo davanti a Trapani si erano praticamente esauriti, non vi era più disponibilità di abbondante materia prima con cui realizzare le statuine dei presepi, oltre che trionfi, capezzali, oggetti liturgici e gli innumerevoli manufatti che contraddistinsero la produzione barocca siciliana17. Erano venuti a mancare i rametti in corallo più grossi da cui ricavare porzioni di figure, da assemblare, o in cui intagliare le statuette. Fu così che gradualmente le figure in corallo furono sostituite da quelle in avorio18, materiale che veniva importato in Sicilia in quantità proprio per la realizzazione di oggetti d’arte liturgici o di committenza laica. Potrebbe essere significativo che la famiglia ligure proprietaria da secoli dell’opera fosse coinvolta proprio nel commercio dell’avorio, con probabili contatti con Trapani.
Nel presepe in questione figure ed architetture in materiali “nobili” sono assemblate su un supporto in sughero, a sua volta montato su una base lignea mistilinea modanata, formando un tipico presepe con personaggi ed animali inseriti in un fantasioso contesto tra il rupestre ed il marino, fortemente connotato da corallo e conchiglie. La scena centrale della Natività è inserita come di prassi rispetto al gusto barocco, nel punto apicale in cima ad una scalinata, al centro di un’architettura che simula un tempio in rovina con colonne ed archi diruti mentre tutto attorno, in un paesaggio roccioso irregolare con antri e dirupi scoscesi si trovano figure di genere tipiche dei presepi. Tutte le figure, per un totale di ventitré tra umane ed animali sono in avorio. Tra le figure se ne distinguono cinque sulla destra: il suonatore di piffero, il portatore di legna, la donna con cesto sulla testa, il venditore di pollame, l’uomo che porta una pecora, e quattro sulla sinistra: un pastore con saccoccia, un cacciatore con fucile, due uomini al pozzo intenti a tirare l’acqua. Vi sono inoltre sei pecore disseminate qua e là, un cane, due mucche. La superficie entro cui sono collocate le figure, su piccole basette ovali, è punteggiata di rametti in corallo, in parte inseriti in verticale, in parte in orizzontale. Arricchisce ulteriormente l’insieme la presenza di numerosi mazzolini di fiori, e piante di stoffa o carta dipinta: si tratta di circa venti piccoli ciuffi di vegetazione, a volte di fantasia ma per lo più attinenti a modelli reali, costituiti da sottilissimi fili metallici con avvolta tela colorata o carte, che raffigurano foglie, cespugli e fiori. Questi sono inseriti all’interno del supporto in sughero, in verticale così come alcuni dei rametti in corallo. Una dozzina di conchiglie di varie forme e dimensioni sono disseminate tutt’intorno, incollate al sughero.
È evidente come il problema della durabilità nel tempo di questo genere di manufatti non fosse una priorità per gli artigiani-artisti che li realizzavano. Oltre alla varietà dei materiali impiegati, sono molto diversi anche i sistemi di montaggio del presepe: la maggior parte dei pezzi risulta incollata sulla superficie, altri sono stati inseriti a forza nel sughero (alcuni rametti in corallo, i mazzetti di fiori che terminano in un esiguo fil di ferro). Tra quelli incollati, in prevalenza avorio su sughero, si rileva anche l’abbinamento tra materiali diversi ed incompatibili tra di loro, che sono stati assemblati per costruire la parte architettonica. Così infatti la struttura portante è in avorio, ma numerosi sono i dettagli architettonici delle rifiniture in materiali diversi. I profili delle due finestre poste ai lati della scena centrale sono in lastrine di madreperla; le finestre stesse ed i pilastri che incorniciano l’arco centrale sono realizzati in lastrine di vetro a specchio, questa tipologia di materiale caratterizza anche la cornice basamentale del presepe, mistilinea, in legno dorato con specchietti inseriti nelle varie porzioni della cornice. Vi sono quattro colonne, vere colonne in miniatura, poste davanti ai due pilastri, realizzate in prezioso marmo rosso di Castellamare. Altri dettagli architettonici quali capitelli, supporti di balaustra, sono in alabastro rosa o marmo bianco. L’eterogeneità di materiali e di tecniche impiegate ha determinato, come prevedibile, una serie di problemi di conservazione che sono emersi con tutta evidenza durante le fasi di lavoro. Si è trattato di un restauro conservativo realizzato secondo il principio del minimo intervento, in cui non è stato ricostruito nulla, se non nella parte del basamento ligneo, fortemente ammalorato. L’intervento ha fatto luce sulle tecniche utilizzate per la creazione del presepe, in particolare sul sistema di montaggio originale, ed anche sulle successive manomissioni subite dall’opera.
Gli aspetti di maggior criticità sono subito apparsi essere tre: il notevole accumulo di polvere, il distacco/collasso di molti elementi in corallo ed il cedimento strutturale della cornice basamentale in legno. Il naturale decadimento dei materiali impiegati, unito agli stress meccanici da trasporto, avevano determinato un pessimo stato di conservazione dell’opera, sia strutturale che visivo.
Il tipo di superficie, irregolare, scabra e porosa, aveva favorito un notevole accumulo di polvere che risultava ancor più impressionante visto dall’alto (Fig. 6). La coltre di polvere aveva ingrigito e spento le superfici dei diversi materiali tanto che a prima vista la loro estrema varietà cromatica non saltava più all’occhio. Questo è avvenuto soltanto a restauro iniziato, quando a poco a poco è stata rimossa la polvere. Tale semplice operazione, che di prassi sta alla base di ogni intervento di restauro, come prima fase preliminare al “vero” intervento di pulitura su quasi ogni tipologia di manufatto, è stata in questo caso l’operazione più complessa da mettere in atto.
È apparso subito evidente il cedimento dell’angolo sinistro della cornice lignea dorata che racchiude il presepe, con uno slittamento in avanti dei moduli della stessa. Nel programmare una metodologia d’intervento che includesse tutti gli aspetti della conservazione, anche futura, è stato necessario considerare anche un nuovo sistema di protezione che è stato progettato fin dall’inizio del lavoro. Il presepe era infatti stato conservato per anni in una teca ottocentesca non pertinente, troppo ampia ed alta, che ne nascondeva la visione laterale con dei montanti in legno. Dopo aver escluso la possibilità di una campana di vetro, per la difficoltà tecnica di realizzazione (date le dimensioni dell’opera) si è optato per una teca rettangolare in perspex che includesse un’ulteriore base di supporto all’attuale base lignea.
Date le precarie condizioni strutturali del presepe con la base lignea in parte ammalorata si è reso necessario programmare un intervento mirato al risanamento ligneo, da effettuare prima di affrontare il lavoro sul presepe. A seguito di un attento studio si è compreso che la base in legno dorato ed i piedini necessitavano di un risanamento strutturale poiché il metodo di assemblaggio originario non aveva tenuto conto del fatto che i piedini posteriori (due dei quattro) erano troppo esterni e non sostenevano adeguatamente il peso del manufatto; questo, gravando al centro, aveva comportato uno scollamento e una deformazione di alcuni elementi della base visibile anche su tratti della cornice. Il profilo della base è dorato con oro in foglia brunito e impreziosito da specchietti rettangolari inseriti nelle facce delle singole modanature. Gli specchietti si ritrovano anche all’interno del presepe come sfondo delle finestre e delle aperture dell’architettura, ma anche alternati agli scalini in avorio dell’ampia scalinata centrale che porta verso la Natività. Alcune delle lastrine degli specchietti erano rotte, altre avevano perso completamente l’effetto specchio, ottenuto a mercurio.
Il complesso intervento sulla base lignea è stato curato dal collega Francesco Borsellino. Per riconferire al presepe la planarità, che risultava alterata, soprattutto nell’angolo anteriore sinistro, si è reso necessario lo smontaggio dei tratti della cornice che avevano ceduto, e che presentavano i maggiori problemi di disallineamento (Figg. 7 – 8) I segmenti della cornice, con le relative cornicette e gli specchietti in esse inseriti incluso il piede sono stati smontati, esercitando una pressione meccanica con strumenti quali bisturi e spatole, avendo cura di non danneggiare i profili in oro, che sono risultati essere in tela gessata. Tutti i frammenti sono stati ripuliti dalla colla indurita che creava spessore, per poterli riaccostare propriamente con la colla nuova; per il nuovo assemblaggio è stato necessario modellare nuovi tratti di cornice ed integrarne altri per fare in modo che collimassero. Gli specchietti inseriti all’interno della cornice, in numero di 16 più uno mancante sono stati recuperati tranne due che sono stati sostituiti o perché fratturati, o perché avevano perso l’effetto specchio. I nuovi specchietti sono stati debitamente trattati a partire da lastrine di vetro tagliate a misura, per ottenere l’effetto dello specchio ossidato; sono tuttavia riconoscibili alla visione ravvicinata. Per lo stesso motivo sono anche state trattate le superfici di legno ove poggiavano gli specchietti, con stucco di colore grigio scuro tinteggiato in pasta in modo da fare trasparire attraverso il vetro l’effetto scuro dello specchio alterato. L’intero lato da risanare è stato riassemblato con colla di cervione in un’unica soluzione incollando in sequenza tutti i pezzi e tenendo conto dell’inserimento degli specchietti: questi sono stati fermati sulla struttura lignea tramite l’incollaggio con colla di coniglio di una sottile striscia di stoffa di lino a maglia larga tipo garza, debitamente trattata a gesso e colla, applicata lungo i margini, seguendo la stessa tecnica impiegata nella realizzazione originale, secondo una felice intuizione della collega Silvia Doro. Per concludere l’intervento sulla base, che ha parzialmente riallineato le varie componenti della cornice mistilinea con specchietti, si è reso necessario intervenire sugli appoggi. I quattro piedini a cipolla infatti non poggiavano perfettamente in piano ed il presepe risultava leggermente fuori asse rispetto al piano orizzontale. Per evitare in futuro nuovi cedimenti legati al gravare del peso dell’opera in maniera non equilibrata, e soprattutto per riconferire il più possibile la planarità alla base senza gravare sugli appoggi originari sono stati inseriti dei piedini in acciaio regolabili, realizzati appositamente: in teoria per risolvere in via definitiva il problema della non planarità si sarebbe dovuto smontare completamente i componenti della base e rimontarli ma tale intervento sarebbe risultato troppo invasivo per l’opera. Si è quindi optato, secondo il principio del minimo intervento, per l’inserimento di piedini regolabili e smontabili19 che sono stati provati in corso d’opera (Fig. 9) per poi essere montati una volta ricollocato il presepe nella sua postazione definitiva. In ultimo è stato effettuato, ove necessario il consolidamento della doratura, che a tratti era andata perduta, con colla di coniglio a caldo; le lacune sono state stuccate con gesso e colla. Il ritocco è stato eseguito in punta di pennello con oro a conchiglia. Il lavoro di risanamento della base ha consentito di fare luce sulla tecnica e sulla sequenza del montaggio originario che è risultata essere suddivisa in tre fasi: la prima è stata la creazione del supporto di base in legno, con i quattro piedini e sagomatura della cornice, probabilmente allo stato grezzo cioè senza la doratura; la seconda è consistita nell’applicazione della massa di sughero in più strati per costruire la scenografia del presepe, e l’ultima nell’inserimento di tutti materiali – architetture, figure ed altro.
Per la costruzione del presepe vero e proprio si presume sia stata utilizzata questa sequenza: dapprima l’inserimento mediante incollaggio degli elementi architettonici in avorio, probabilmente già messi in opera completi di “finestre” in vetro e delle listature in madreperla; successivamente l’inserimento dei pilastri quadrangolari che fiancheggiano l’arco con la Natività, in legno, ricoperti con lastrine a specchio, e successivamente delle colonne in marmo rosso. Infine si dovette procedere al posizionamento dei personaggi ed animali in avorio, creando delle basi di supporto il più possibile in piano, forse sagomando anche il sughero, e al successivo inserimento dei rametti di corallo: i più grossi e lunghi furono conficcati direttamente nel sughero, prevalentemente sui due lati in prossimità degli antri rocciosi, i più minuti direttamente incollati in orizzontale sulla superficie con abbondante colla. Infine furono inseriti i rametti fioriti con l’anima in fil di ferro, direttamente entro il sughero, e le conchiglie, incollate sulla superficie
Durante lo studio preliminare è emerso un aspetto problematico, ovvero il distacco di numerosissimi pezzi. Questi, per lo più rametti di corallo e conchiglie, erano spesso nella loro collocazione d’origine ma meramente appoggiati, senza più nessuna adesione al supporto. Anche alcuni animali in avorio risultavano decoesi. Va infatti rilevato che quando l’opera è giunta in laboratorio numerosi pezzi, sia di corallo, conchiglie ma anche di avorio erano distaccati e sono stati raccolti e catalogati per poi essere reinseriti nel presepe a restauro concluso. È stato inoltre rilevato come un certo numero di pezzi sia andato probabilmente perduto e che il presepe sia stato in passato parzialmente alterato, come mostrano tracce di colla presenti sugli scalini della gradinata principale, ove si nota l’impronta di basi di personaggi o animali non più esistenti ( o spostati).
La prima operazione effettuata è stata quella di numerare e rimuovere i numerosi mazzetti di fiori, circa una ventina, dai loro alloggiamenti (Fig. 10). I fiori sono risultati essere in stoffa o carta oleate e filo di ferro fine. Sono stati spolverati e puliti con la collaborazione della restauratrice di tessili Lucia Nucci.
La difficoltà principale è stata quella di non potere smontare le figurine in avorio per pulirle singolarmente, essendo queste incollate sul supporto, inoltre l’estrema precarietà di moltissimi pezzetti, che si muovevano al tatto, ha reso difficoltosa la messa a punto di una metodologia di spolveratura che tenesse conto di tutti i materiali presenti. L’intervento col microaspiratore, che viene solitamente utilizzato nel restauro dei materiali tessili, è stato qui escluso, dopo alcuni test, non essendo abbastanza selettivo e controllabile: nonostante le piccole dimensioni dell’ugello in vetro, esso non riusciva ad aspirare la polvere ormai compattata sulla superficie degli avori. Per le parti di superficie “piana”, esso non risultava comunque adatto in quanto troppi erano i pezzetti di corallo decoesi e quindi mobili.
Preso atto della situazione, si è proceduto per gradi, rimuovendo la polvere con un pennello da ritocco a setole morbide, ed aspirandola con un aspirapolvere posizionato a debita distanza ( almeno 20 cm). In questo modo, delicatamente, la polvere veniva rimossa in punta di pennello in maniera puntuale, anche in prossimità dei rametti di corallo distaccati, senza spostarli dalla loro collocazione. In caso di pezzi più grossi, o conchiglie, queste venivano rimosse con pinzette per essere immediatamente ricollocate dopo la spolveratura.
Una volta conclusa la spolveratura, lunga e laboriosa, il presepe aveva già recuperato gran parte della sua cromia originaria e luminosità. Nel proseguo della pulitura, dopo ave rimosso la polvere cioè il cosiddetto “particellato incoerente” era necessario eliminare o assottigliare la patina grigiastra assorbita dalle superfici in avorio e corallo. In questo caso è stato necessario intervenire con pennelli inumiditi con acqua e sapone neutro di Marsiglia: ottenendo una leggera schiuma sulle superfici si otteneva un effetto tensioattivo con rimozione del particellato più tenace, che poi veniva rimosso con tamponcini di cotone e successivo risciaquo. Con pennelli a punta fine è stato possibile pulire anche le pieghe più inaccessibili dei personaggi, ed è emersa tutta l’incredibile perizia tecnica con la quale le figure sono state intagliate (Fig. 11): si tratta di figure di meno di 3 cm, realizzate con un notevole livello di dettaglio, ove anche le dita delle mani sono singolarmente intagliate, cosi come le pieghe delle vesti, bisacce, elaborati copricapi. Dall’analisi ravvicinata è emerso come baffi, occhi e bocche fossero policrome, con tocchi di rosso e nero (Fig. 12).
Durante la pulitura “a umido” dei singoli elementi sia di avorio che di corallo, si è notata l’abbondanza di colla animale utilizzata in origine per fissare tutti gli elementi. In alcuni rari casi, gli elementi distaccatisi hanno lasciato la loro impronta nella colla ancora in situ, per cui è stato possibile ricollocare alcuni dei numerosi elementi erratici al loro posto. È emerso un dato importante sulla tecnica di montaggio del presepe e sulle difficoltà tecniche incontrate dagli autori, difficoltà che hanno portato nel tempo all’acuirsi di problemi conservativi. Come già rilevato infatti la superficie in sughero del presepe era stata lasciata intenzionalmente scabra ed irregolare per simulare in maniera realistica un paesaggio roccioso. L’intera superficie era stata trattata con colla animale per renderla più adatta all’incollaggio delle varie figure, ma anche delle conchiglie che hanno una superficie di contatto più ampia rispetto ad un rametto di corallo. Le basi delle figurine in avorio, di forma ovale, necessitavano di un appoggio liscio; cosi come i grossi rametti di corallo o le conchiglie necessitavano di un collante viscoso e non troppo fluido che ne sostenesse i bordi, come una sorta di strato cuscinetto. Si è infatti notato che in alcuni casi i pezzetti di corallo o conchiglie distaccatesi hanno lasciato l’impronta in negativo in un guscio di colla. Da questo si desume che la colla utilizzata per incollare questo genere di pezzi, benché applicata a caldo come di prassi per la colla forte (colla di cervione), fosse già in parte raffreddata e quindi più corposa. Tanto più calda la colla, infatti tanto più risulta fluida, al contrario, raffreddandosi si rapprende. In questo modo però diminuisce il suo potere adesivo, ed infatti nel tempo si è cristallizzata e sono bastate vibrazioni o urti meccanici, anche del trasporto, per far distaccare i pezzi.
Erano infatti circa un centinaio i frammenti già distaccati dal presepe, soprattutto rametti e frammenti anche minutissimi di corallo ma anche numerose conchiglie, oltre a lastrine di vetro con effetto a specchio, lastrine di madreperla, saltate sia per il motivo appena descritto, che per incompatibilità tra materiali. Oltre all’incollaggio di avorio su sughero, erano presenti abbinamenti di madreperla su avorio, o vetro su legno; accostamenti tra materiali molto diversi tra loro
Nel caso delle lastrine di madreperla che profilavano le finestre, quasi tutte trovate distaccate, si è anche posto il problema della loro iniziale collocazione (Fig. 10). Anche in questo caso, dall’impronta lasciata dalla colla sull’avorio è stato possibile ricostruire la loro posizione. Dallo studio attento delle lastrine, dopo la rimozione dei residui di colla, è emerso come tutte queste, di circa 15-20 mm x 4, fossero leggermente concave e non perfettamente planari (com’è naturale data la loro provenienza da conchiglie). Si intuisce pertanto che la quantità di colla necessaria a tenerle adese al supporto in avorio non fosse di uno spessore omogeneo: al centro, in prossimità dell’inarcamento della lastrina, doveva essere più abbondante che sui bordi. Questa disomogeneità di spessori, unita alla rigidità dei materiali, ha certamente contribuito a facilitare il distacco della madreperla in presenza di urti meccanici.
Uno degli aspetti metodologici più critici è stato per l’appunto la scelta dell’adesivo da utilizzare per l’incollaggio dei pezzi già distaccati o da consolidare. Dopo aver valutato varie ipotesi sull’uso di adesivi blandi e teoricamente più reversibili rispetto alla colla di cervione impiegata in origine, alla luce di varie considerazioni, si è optato per l’utilizzo dello stesso adesivo. Oltre alla sua maggior compatibilità con il resto della superficie sotto il profilo cromatico, anche nell’ottica di evitare di inserire ulteriori materiali quale sarebbe state una resina di sintesi, la reversibilità è garantita con un apporto controllato di umidità . Per la rimozione dei residui di colla presenti sugli scalini in avorio della scalinata, lasciate da figure in avorio che sono forse andate disperse, sono infatti stati posizionati sulla superficie batuffoli di cotone inumiditi per circa 30 minuti. La stessa operazione è stata eseguita per rimuovere i residui di colla dalle architetture in avorio, ove si erano staccate le profilature in madreperla: la colla una volta rigonfiatasi con l’assorbimento di acqua assume lo stato di gel e può essere facilmente asportata meccanicamente con cotone inumidito. Una volta stabilito di utilizzare lo stesso adesivo, i numerosi rametti di coralli staccati sono stati ricollocati sulla superficie, avendo cura di inserire quelli più lunghi in verticale, ove erano già presenti dei fori nel sughero ed i più minuti di piatto, a riempire i vuoti. Anche alcune delle conchiglie sono state ricollocate negli alloggiamenti originari, ove era possibile vedere l’impronta della colla che ne aveva mantenuto la forma.
Alcuni animali in avorio distaccati sono stati ricollocati secondo un criterio di equilibrio spaziale; l’adesione delle basi, lisce, su una base irregolare e non orizzontale, frastagliata da minuti frammenti di coralli ha presentato notevoli difficoltà. I più minuti frammenti di corallo distaccati sono stati utilizzati di volta in volta come zeppe, per formare delle basi adatte per poggiarvi le minute sculture in avorio. In questo caso la stessa colla di cervione è stata utilizzata in forma più viscosa per fare effetto cuscinetto: un adesivo troppo fluido sarebbe stato assorbito completamente non assolvendo questa fondamentale funzione. Nei punti di discontinuità tra i grossi pezzi di sughero assemblati che costituiscono la base, si erano talvolta create delle grosse cavità, troppo ampie per potervi inserire rametti di corallo. In tali casi queste sono state chiuse con una resina bicomponente per legno20 che in taluni casi ha avuto anche la funzione di adesivo, ove era richiesto un certo spessore.
In conclusione, le fasi di spolveratura e di consolidamento/incollaggio sono state le più complesse per quanto riguarda il recupero del presepe. La viscosità dell’adesivo è risultata essere la principale problematica riscontrata nel fare aderire materiali totalmente diversi a livello chimico-fisico, come sughero e avorio, madreperla e avorio, corallo e avorio, vetro e sughero o legno: oltre alle incompatibilità tra materiali organici ed inorganici, l’aspetto più critico era la tenuta della colla tra superfici perfettamente lisce, come il vetro e l’avorio, ed altre scabre come la madreperla e il sughero: nelle prime la colla non viene assorbita e rimane in superficie mentre nelle seconde viene assorbita, creando disomogeneità negli spessori dell’adesivo, che vanno calibrati con attenzione. Anche per questo motivo la scelta di utilizzare lo stesso adesivo impiegato in origine si è rivelata idonea.
Alla luce di quanto sopra esposto emerge con chiarezza la fragilità di questa tipologia di oggetti: per prolungarne la conservazione nel tempo, manufatti multimaterici come questo dovrebbero essere protetti in primo luogo da una teca; non essere esposti ad irradiamento diretto in quanto la luce solare diretta e costante nel tempo provoca un scolorimento dei colori (in questo caso dei mazzetti di fiori); non essere esposti a correnti d’aria, ed in ambiente non troppo umido né troppo secco per non creare un eccessivo rigonfiamento o un eccessiva cristallizzazione della colla.
- V. Abbate, scheda n. 158, in L’arte del corallo in Sicilia, catalogo della Mostra (Trapani Museo Regionale Pepoli 1 marzo-1 giugno1986), a cura di C. Maltese e M. C. Di Natale, Palermo 1986, pp. 346-47. [↩]
- Ibidem. Cfr. pure B. Schindler, Il presepe trapanese della famiglia Este, in “Kermes. La rivista del restauro”, n. 82, 2011, pp. 41-50 [↩]
- M. C. Di Natale, Ad laborandum corallum, in I grandi capolavori del corallo. I coralli di Trapani del XVII e XVIII secolo, catalogo della Mostra (Catania, Palazzo Valle, Fondazione Puglisi Cosentino, 4 marzo-5 maggio 2013) a cura di V. P. Li Vigni, M. C. Di Natale, V. Abbate, Milano 2013, p. 41, fig. 2. tra i presepi della stessa tipologia e tecnica dovuti alle maestranze trapanesi tra XVII e XVIII secolo si ricorda quello del castello di Masino di Caratino, con personaggi in avorio non originali che devono aver sostituito quelli in corallo, cfr. C. Araldi di Balme, S. Castronovo, I coralli nelle collezioni sabaude: una ricognizione delle fonti inventariali e delle raccolte museali piemontesi, in Rosso corallo. Arti preziose della Sicilia Barocca, catalogo della Mostra (Torino, Palazzo Madama Museo Civico d’Arte Antica 28 luglio-28 settembre 2008) a cura di C. Araldi di Balme, S. Castronovo, Milano 2008, p. 49, fig.21. [↩]
- G. M. Fogalli, Memorie biografiche degli illustri trapanesi per santità, nobiltà, dignità, dottrina ed arte, ms. del 1840, della Biblioteca del Museo regionale Pepoli di Trapani. Ai segni 14 C 8. Cfr. pure M. C. Di Natale, I maestri corallari trapanesi dal XVI al XIX secolo, e Eadem ad vocem Tipa, in Corallari e scultori in corallo, madreperla, avorio, tartaruga, conchiglia, ostrica, alabastro, ambra, osso attivi a Trapani e nella Sicilia Occidentale dal XV al XIX secolo, a cura di R. Vadalà, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della Mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli, 15 febbraio-30 settembre 2003) a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2003, p. 39. Cfr. pure M. C. Di Natale, Il Presepe a Trapani, in Presepi di Sicilia, a cura di V. Schewiller, prefazioni di V. Consolo, A. Ragona, Milano 1998, pp. 54-63 [↩]
- G. M. Di Ferro, Guida per gli stranieri in Trapani, Trapani 1825, p. 213 [↩]
- V. Scuderi, Il Museo Nazionale Pepoli in Trapani, Roma 1965, M.C. Di Natale, Arti decorative nel Museo Pepoli di Trapani, in V. Abbate, G. Bresc Bautier, M. C. Di Natale, R. Giglio, Il Museo Regionale Pepoli di Trapani, Palermo 1991, cfr. pure G. Bongiovanni , scheda n. III, 4, in Materiali preziosi…, 2003, p. 156, che riporta la precedente bibliografia. Strettamente raffrontabili a questo presepe sono un altro dello stesso Museo analogamente riferito ad Andrea Tipa e uno del Museo Civico “A Cordici” di Erice, cfr. G. Bongiovanni , scheda n. III, 5-6, in Materiali preziosi …, 2003, pp. 157-158, che riporta la precedente bibliografia. [↩]
- M. C. Di Natale, scheda n. 177, in L’arte del corallo…, 1986, p. 372. [↩]
- S. Intorre, Coralli trapanesi nella collezione March, Palermo 2016, p. 13. [↩]
- V. Amico, Lexicon topographicum siculum…, Catanae 1757-1760, 3 voll. Cfr. pure M. C. Di Natale, I maestri corallari…, in Materiali preziosi…, 2003, p. 38. [↩]
- F. De Felice, Arte del trapanese, pittura ed arti minori, Palermo 1936, p. 55. Cfr. pure M. C. Di Natale, I maestri corallari…, in Materiali preziosi…, 2003, p. 46. [↩]
- Ibidem. [↩]
- I. Bruno, ad vocem, Nolfo, in Corallari e scultori in corallo…, in Materiali preziosi …, 2003. [↩]
- Il presepe, di forma trapezoidale, misura: altezza cm 50, larghezza anteriore cm 45, larghezza a tergo cm 57, profondità cm 30 [↩]
- Ringrazio i colleghi Fabrizio Iacopini ed Alessandra Buccheri per le fotografie, Lucia Nucci per la collaborazione sulla parte tessile, e Francesco Borsellino, Silvia Doro e Giuseppe Traina per la collaborazione al restauro della cornice lignea [↩]
- Restaurato dalla restauratrice Bettina Schindler che ne ha evidenziato vicissitudini conservative e tecnica costruttiva: B. Schindler, Il presepe trapanese della famiglia Este in Kermes- la rivista del restauro, 2011 n. 82 pagg.41-50 [↩]
- A. Precopi Lombardo, Scultori trapanesi “d’ogni materia in piccolo e in grande” nella dinamica artistico-artigianale tra XVIII e XIX secolo e M.C. Di Natale, I maestri corallari trapanesi dal XVI al XIX secolo, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare, Palermo, 2003, pp. 77-88 e 35-36. [↩]
- A. Daneu, L’arte trapanese del corallo, Milano 1964 e L’arte del corallo in Sicilia, a cura di C. Maltese, M.C. Di Natale, catalogo della Mostra (Museo Regionale Pepoli, Trapani, 1 marzo – 1 giugno 1986), Palermo 1986, passim. [↩]
- M.C. Di Natale, Oro argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica in Splendori di Sicilia arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p.61 [↩]
- I piedini sono stati realizzati appositamente su progetto di Francesco Borsellino utilizzando un tondino in acciaio filettato all’interno che accoglie una vite in acciaio; questa è stata dotata di una base in gomma con effetto frenante e di cuscinetto, ottenuto mediante stampo in silicone. Le viti possono essere regolate sull’altezza desiderata una volta inserite sotto la base del presepe [↩]
- Stucco epossidico bicomponente Balsite, leggero, lavorabile, qui utilizzato sia come riempitivo che come consolidante, di colore simile a quello del sughero. [↩]