Rita Pellegrini

ritapellegrini@alice.it

Argenti palermitani del XVII e XVIII secolo in Valchiavenna

DOI: 10.7431/RIV13022016

Tra il XV e il XIX secolo la zona dell’Alta Lombardia comprendente le terre dell’Alto Lario Occidentale, della Valchiavenna e della Valtellina fu caratterizzata da un processo emigratorio verso la città di Palermo, inscritto all’interno di un movimento più vasto di emigrazione “interna”1 verso varie città della penisola italica, tra cui Roma, Napoli, Venezia, Genova, Siena, Pisa, Modena, Bologna, Ferrara2.

L’emigrazione a Palermo ebbe la sua fase di massimo sviluppo nel Seicento, epoca in cui gli emigrati dei paesi in questione erano uniti, insieme a quelli provenienti da altre località della Lombardia, nella Nazione Lombarda3, nell’ambito della quale fondarono confraternite, dette anche scolae o cassette, legate ai vari paesi di provenienza4, secondo un’esperienza comune a quella di altri emigranti della regione alpina5. L’aggregazione comportava non solo il reciproco aiuto dei sodali, ma anche la collaborazione fattiva per la raccolta di offerte in danaro destinate all’acquisto di beni materiali da inviare alle comunità ecclesiali di origine6.

Fra i doni, si annoverano varie suppellettili sacre in argento, ancor oggi conservate nelle chiese lombarde. In territorio altolariano (provincia di Como) questi beni risultano particolarmente numerosi e ad essi sono state dedicate varie pubblicazioni, ma le ricerche non sono ancora confluite in uno studio specifico di inventariazione7. Per la Valtellina e la Valchiavenna (provincia di Sondrio) nel 2002 venne realizzata una catalogazione generale degli arredi sacri provenienti dall’emigrazione locale. Dall’inventario delle opere schedate risulta che in Valchiavenna su 192 doni elargiti dagli emigranti alle chiese locali, solo 13 proverrebbero dalla Sicilia8. Tuttavia non tutte le suppellettili preziose di provenienza siciliana sono state passate al vaglio e rimangono ancora degli inediti, a motivo soprattutto del fatto che si sono presi in considerazione soltanto i beni dotati di iscrizioni esplicitamente riferite a un dono da parte degli emigranti. Inoltre vanno chiarite in generale le informazioni derivanti dall’analisi dei punzoni, che fino ad ora non è stata attuata, nonché la dettagliata descrizione morfologica, le relazioni artistico-culturali con altri oggetti e le notizie archivistiche relative ai manufatti.

Le località di origine degli emigrati valchiavennaschi, che «facevano per lo più i facchini»9, si trovano citate nei documenti concernenti i consoli della Nazione Lombarda. Tra coloro che contribuirono alla redazione dei Capitoli della Nazione nel 1617 appare un «Nicolò Brocco, capo della comunità di Piur[o]»10, paese che fu distrutto proprio nell’anno successivo, il 1618, da una frana11. Inoltre in una nota del 1636 relativa alle località «che concorrono all’officii, come nelli capitoli», si elencano il «Contado di Chiavenna, di Piur[o], Gordona, e Villa di Piur[o]». Il paese di Gordona è poi nominato alla stesura dei capitoli del 173812. In effetti l’emigrazione verso Palermo nel Sei e Settecento interessò soprattutto i paesi di Chiavenna e di Gordona, ma anche a Gallivaggio vengono custoditi alcuni doni degli emigrati in Sicilia13.

La presenza a Palermo degli emigranti di una certa località fu soggetta a fluttuazioni in quanto, come anticipato, si scelsero varie mete di emigrazione e in particolare, per quanto concerne la Valchiavenna, le tappe principali furono, oltre alla città sicula, Napoli, Roma e Venezia14. Nel periodo 1668-74, nel paese di Gordona, che faceva all’epoca 1300 abitanti di cui 97 assenti, si contavano 64 persone emigrate a Napoli, 12 in Francia, 11 a Roma, 9 a Palermo e una a Reggio Emilia15. Il prevosto Andrea Pedocchi, in carica tra 1779 e 179616, lasciò annotato che l’emigrazione da Gordona a Palermo si era svolta principalmente agli inizi del Cinquecento e che in seguito gli abitanti avevano preferito la città di Napoli17. In ogni caso la carità degli emigrati gordonesi a Palermo si considerava  essenziale per le necessità parrocchiali. Infatti, in occasione della visita pastorale del 1668, il parroco della chiesa di S. Martino di Gordona annotava che «la fabrica di detta chiesa […] di quando in quando dalla pietà de’ paesani di questa comunità che dimorano nelle città di Roma, Napoli, e Palermo viene con danari sostenuta» ed elencava le opere realizzate, grazie anche ai doni degli emigranti, a partire dal 165118. Fu in pieno Settecento che l’emigrazione a Palermo ebbe un declino, tanto che nella sua visita pastorale del 1742 il vescovo P. Cernuschi indirizzò una specifica richiesta di intervento a favore della chiesa ai soli emigrati a Napoli e a Roma19.

Vengono di seguito schedate sette opere annoverate tra le suppellettili storiche in argento di produzione palermitana, custodite in Valchiavenna. Si tratta per lo più di manufatti già recensiti ma senza una descrizione analitica, una contestualizzazione artistico-culturale, un esame dei documenti archivistici correlati e soprattutto, senza l’esame dei punzoni, motivo per cui in alcuni casi, in assenza di iscrizioni esplicative, si sono dedotte ipotesi cronologiche e attributive erronee.

L’opera più antica che verrà presa in considerazione è un reliquiario a ostensorio di S. Rosalia (altezza 55 cm,), ascrivibile agli anni 1629-30, in cui fu console l’argentiere che appose all’opera il proprio punzone e cioè Giuseppe Bertino (G·B·)20 (Fig. 1). Oltre a questo marchio, l’unico presente è l’aquila a volo basso della città di Palermo. L’argentiere rimane pertanto anonimo, lasciando aperta però l’ipotesi, già avanzata per casi analoghi, che il console stesso possa essere l’autore del manufatto21. In passato il reliquiario fu invece assegnato su base stilistica alla metà del Settecento22.

Il piede circolare (13 cm), bordato da una cornice a ovoli e bottoni, è ornato a sbalzo e cesello con testine angeliche alate e motivi fitomorfi. Il fusto a balaustra presenta un nodo inferiore piriforme, con classica decorazione seicentesca a testine di cherubino alternate a composizioni di frutta, un nodo mediano più articolato, in cui quattro figurine antropomorfe di fusione, conformate a sirena, sostengono un piccolo elemento ellissoidale sbalzato e inciso, e un nodo superiore boccioliforme, ornato di foglie d’acanto. La parte più ricca del reliquiario è il ricettacolo (larghezza 24 cm), costituito da elementi in lamina d’argento sbalzata e cesellata composti intorno alla teca. Il disegno è una vistosa composizione floreale sostenuta ai lati da due aggraziate figure angeliche, ciascuna delle quali reca un fiore nella mano libera e poggia su una cornucopia riccamente ornata di fiori, congiunta basolateralmente al terzo nodo (quello a bocciolo) del fusto (Fig. 2). Il ricettacolo poggia su una testina di cherubino ed è ornato ai due lati e superiormente da tre testine di cherubino con il capo agghindato da una corona floreale e fogliacea. In sommità è stata realizzata una effigie di S. Rosalia con manto e corona di fiori.

La teca ovale contiene una capsula circolare con sottile cornicetta in filigrana d’argento. All’interno è racchiusa una reliquia di S. Rosalia. Sul verso un coperchio in argento sigilla i sacri resti e ci informa sulla provenienza dell’oggetto. Vi è inciso S. Martino, titolare della parrocchia proprietaria del bene, nell’atto di donare il mantello al povero, con l’iscrizione: QUESTO RELIQUIA / RIO L’HANNO FATTO / LI SCOLARI DI / PALERMO. La reliquia era stata elargita a Palermo, dotata di autentica del 4 giugno 1625, e venne approvata nella curia vescovile di Como il 7 ottobre 163923.

Si tratta di un’opera elegante che rispecchia la temperie storico-artistica dell’epoca in cui fu creata poiché se, da una parte, la ricca decorazione floreale rimanda al nome della Santa effigiata, dall’altra si riallaccia al gusto del tempo. Infatti a partire dalla fine del XVI secolo e soprattutto nei primi decenni del Seicento, l’iconografia orafa mostrò «una virata in senso naturalistico»24 e vari disegnatori europei si cimentarono a realizzare modelli vegetali di riferimento per orefici e argentieri. Grazie alla loro diffusione, il gusto per questo tipo di decorazione interessò tutta la penisola italica25, compresa la Sicilia, ove «l’elemento naturalistico apparve più evidente nella prima metà del Seicento»26. Il motore di tale processo fu in particolare la Francia, sia attraverso la promozione da parte dei regnanti della floricoltura esotica del giardino di Jean Robin nell’Île de la Cité (quello che diverrà il «Jardin du Roi»), che avrebbe ispirato le celebri  incisioni di Pierre Vallet, sia attraverso la pubblicazione di libri di floricoltura come quello di François Laglois del 162027, sia grazie a trattati specifici per l’oreficeria come il Livre de fleurs propre pour orfèvres et graveurs di Jacques Vauquer28.

Il reliquiario valchiavennasco venne elencato nell’inventario dei beni mobili della chiesa proprietaria, stilato in occasione della visita pastorale del 2 agosto 1668: «un reliquiario d’argento, dove sono riposti cinque fragmenta dell’ossa di Santa Rosalia vergine palermitana»29. Il vescovo A. Torriani in quella occasione ordinò che «nella capella maggiore dalla parte del Vangelo si facci la fenestrella per le reliquie di S. Rosalia […], s’esponghino, o riponghino con lumi ed orazioni da sacerdote in habito corale ma non si diano a baciare all’offertorio della messa né si tenghi bacile, bussola, o tovaglia vicina per raccogliere elemosina»30.

Il culto per S. Rosalia ha avuto una certa importanza nella storia religiosa della Valchiavenna. Nel centro principale della Valle, e cioè a Chiavenna, esisteva una piccola chiesa dedicata alla Santa palermitana31.

Al pieno Seicento risale un secchiello lustrale (8 cm x15 cm) con vasca modellata a sbalzo e suddivisa in sei specchiature ornate da semplici decorazioni geometriche realizzate a cesello (Fig. 3). Su una delle specchiature è presente l’iscrizione che circostanzia l’opera in senso geografico e temporale: SCOLA DI PALERMO ANNO 1641. Sul fondo è stato cesellato un medaglione con fiore, al centro del quale si trova il marchio territoriale di Palermo e cioè l’aquila a volo basso con la sigla RVP. Su un petalo è impresso il pontillo consolare. Il manico, liscio e mistilineo, è attaccato alla vasca mediante due ganci zoomorfi configurati a testa leonina (Fig. 4), particolare che rimanda a un secchiello palermitano del 1631 già ampiamente recensito, conservato a Livo (CO)32.

Il secchiello valchiavennasco è già stato oggetto di attenzione33, ma non si sono ancora presi in considerazione i suoi punzoni, impressi anche sul manico e comprendenti, oltre a quello cittadino, il solo marchio AVC, verosimilmente corrispondente ad Alfonso Vaginaro, console degli argentieri nel 1639, la cui sigla non era stata fino ad ora identificata34. La mancanza del marchio dell’artefice lascia ipotizzare, come già notato35, che il console stesso possa essere stato l’esecutore materiale dell’opera.

L’oggetto venne inventariato nella lista dei beni redatta in occasione della visita pastorale del vescovo A. Torriani del 1668: «un sedelino coll’aspersorio d’argento»36.

Il punzone consolare AVC, che riporta alla data di fabbricazione 1639, si riscontra anche su una corona da statua in argento per simulacro mariano (altezza 13 cm, diametro minore 10 cm, diametro maggiore 15 cm), fino ad ora inedita e con l’iscrizione SCOLARI DI PALERMU  (Fig. 5). L’oggetto è impresso anche con l’aquila a volo basso e con l’incuso G◊D◊R, in cui le tre lettere sono separate da piccoli rombi, corrispondente forse a Gaspare di Rinaldo, attivo tra il 1623 e il 165137. Si tratta di un modello concepito secondo i canoni consueti dell’epoca38.

Il cerchio alla base è decorato da una cornice a dischetti inserita tra  due bordini a treccia. Il fastigio, che si presenta mutilo in più punti, è ornato da cinque castoni dorati, aventi bordo festonato, con griffes angolari contenenti pietre false tagliate a carré (due rosse, due blu e una verde). È cesellato a disegni volutiformi e termina con testine di cherubino sormontate da un motivo floreale, alternate a decorazioni fitomorfe.

Fra gli oggetti portati in Lombardia dagli emigrati in Sicilia, le corone ad ora note sono poche e si trovano in territorio altolariano. Risultano edite due coppie di corone settecentesche per statua mariana con Bambino, conservate in due chiese dei monti di Domaso39, mentre rimane ancora inedito un diadema mariano da affresco custodito nei monti di Sorico e risalente al 1699 (pontillo consolare FB99)40.

Degno di nota è un ostensorio seicentesco (51 cm x 27 cm) che è stato ascritto a una fase temporale compresa tra il 1640 e il 1650 sulla scorta di dati documentari che testimoniano il dono degli emigranti alla comunità locale41. Sotto la base è presente un’iscrizione che indica la provenienza: QUESTA CUSTODIA LANO FATO LI SCULALI DI PANORMI (Fig. 6).

Il piede circolare (15 cm), lavorato a sbalzo e cesello, è bordato da due modanature, una interna più sobria a scagliette incise ed una esterna con disegno più articolato, in cui bottoni lisci si alternano a rosette inserite in cornicette ovaliformi ornate a volute. Sul corpo del piede sporgono quattro testine angeliche le cui ali costituiscono la principale e fitta cesellatura del piede stesso, orlato da un colletto superiore fogliaceo che lo raccorda a un sobrio internodo anulare triplo.

Nel suo complesso il fusto può esser definito del tipo “a balaustra”. Un nodo principale, decorato con quattro testine di cherubino, volute e brevi profili perlinati, è connesso a un nodo superiore secondario boccioliforme, ornato di foglie d’acanto. Un raccordo tornito supporta il sostegno del ricettacolo, costituito da due sagome speculari saldate a forma di testina alata di cherubino, che corrispondono alla faccia anteriore e posteriore dell’ostensorio.

La raggiera, che racchiude una teca circolare con cornice decorata da quattro testine alate di cherubino, è formata da raggi fiammeggianti e lanceolati alternati e sormontata da croce latina; modello analogo di raggiera a lastra incisa (priva però della croce sommitale) si ritrova in un ostensorio valchiavennasco di fattura palermitana, che, secondo l’iscrizione appostavi, fu donato alla chiesa di Piuro nel 162842. Si tratta di una tipologia caratteristica del XVII secolo, di cui esistono vari esemplari43.

Dal nodo principale si dipartono due bracci laterali a forma di cornucopia, che sostengono due angeli adoranti a fusione (Fig. 7), di gusto ancora rinascimentale, ispirato al modello iconografico degli angeli oranti noto «in diversi reliquiari della croce di tipologia tardo-gotica, nonché in croci gonfaloni lignee e persino in croci dipinte»44 o anche a quello degli angeli annuncianti sul reliquiario del velo della Vergine della chiesa di S. Domenico di Palermo del 1620 ca.45.

L’ostensorio è punzonato sul piede e sulla raggiera con l’aquila a volo basso, simbolo della città di Palermo, con l’ignoto incuso consolare ·O·L·C· e con quello dell’argentiere ·D·C·. È sicuramente anteriore al 1715, come indica il marchio di Palermo46, e stilisticamente parrebbe riconducibile a una fase temporale compresa tra il secondo e il terzo quarto del XVII secolo. Allo stato attuale degli studi, è possibile ricollegare il marchio consolare a Orazio Liparoto, attivo tra il 1615 e il 166147. L’argentiere fu console dell’oro nel 1634, anno in cui console dell’argento era Pietro De Vita48: è ipotizzabile che, per motivi non ancora noti, il Liparoto possa essersi trovato a sostituire il collega dotandosi di punzone appropriato. Le iniziali dell’artefice potrebbero invece corrispondere a quelle di Diego (o Didaco) Curiale (noto dal 1620 al 1663)49. Tutti gli indizi convergono quindi ad assegnare la realizzazione del manufatto a un periodo compreso tra il 1615 e il 1665-’70 e, se accettiamo l’ipotesi relativa al Liparoto, l’anno preciso potrebbe essere il 163450. Il fusto a balaustra con ricettacolo sostenuto da cherubino, ornato da raggi fiammeggianti e lanceolati alternati e con cherubini intorno alla lente trova comunque un rimando cronologicamente avanzato nell’ostensorio del 1668 della chiesa della Consolazione di Termini Imerese, forse opera dell’argentiere Carlo di Napoli51.

L’ostensorio sarebbe dunque quello annoverato come «hostiario d’argento» fra le suppellettili della chiesa proprietaria nelle carte agli atti della visita pastorale del 166852.

Veniamo ora ad una pisside ascritta dalla letteratura alla manifattura napoletana per motivi legati all’analisi stilistica53, ma che risulta in  verità un prodotto della attività argentiera palermitana, come accertabile in base ai marchi (Fig. 8). Il manufatto (altezza 31 cm, diametro piede 12 cm) presenta due iscrizioni relative alla committenza. La prima si trova sotto il piede: GIOVANNI LOMBARDINO, GIOVANNI ANTONIO TOGNONE ADAMO LOMBARDINO 1705. La seconda è posta sul bordo della coppa (sotto il coperchio): GIOVANNI ANTONIO MICHEROLO VINCENZO MICHEROLO GIOVANNI BATTISTA MICHEROLO ANDREA BALATO DOMENICO BALATO BERNARDINO REDOLATO.

La punzonatura è completa e impressa sulla base e sull’orlo della coppa. La pisside è identificata dall’aquila di Palermo, dal marchio consolare PC·704, corrispondente all’incuso di Placido Caruso che fu in carica nel 1704, e da quello dell’argentiere GS:[***], ove la sigla del nome è seguita da un segno non decifrabile. Definire l’identità dell’artefice in assenza di documenti probanti risulta ad ora impossibile giacché le iniziali GS corrispondono a quelle di molti orafi e argentieri attivi nel periodo a cui l’opera risale54, come ad esempio Giovanni Sances (noto dal 1680), Giovanni Scimeca (dal 1680) o Giuseppe Sutera (dal 1682)55.

La decorazione è prevalentemente fitomorfa. Il piede circolare cesellato è orlato da una cornice à rais de coeur, bordato da un festone fogliare e decorato da tre testine alate di cherubini alternate a un motivo floreale. Un colletto a disegno fogliare collega la base a un doppio raccordo ad anello connesso a un nodo con tre testine di cherubino aggettanti. Un internodo vasiforme sostiene il sottocoppa, cesellato con le solite testine alate, intrecciate a foglie d’acanto e alternate a margherite. Il coperchio è suddiviso in due ordini decorativi ornati con motivi fogliacei e separati da una cornicetta dorata, come dorati risultano l’orlo della coppa e la crocetta sommitale.

La pisside è nominata in un inventario dei beni parrocchiali stilato nel 1742 in occasione della visita pastorale del vescovo P. Cernuschi: «pisside d’argento grande, con la sua copertina di seta rossa e fiori d’oro»56.

In Valchiavenna è custodito un calice palermitano (altezza 27 cm) che è stato preso in considerazione in un inventario generale dei beni della provincia di Sondrio57, ma senza esser messo in relazione con l’emigrazione giacché le iscrizioni appostevi non si riferiscono alla Sicilia.

Il modello richiama una tipologia consueta per l’epoca (Fig. 9). Il sottocoppa è ornato con testine alate di cherubini alternate a motivi fitomorfi e il nodo del fusto presenta tre testine angeliche aggettanti. Il piede tripartito (15 cm), con contorno mistilineo e decorazioni fitomorfe e volutiformi, rimanda a modelli di suppellettili caratteristiche della prima metà del Settecento.

Nei comparti del piede sono inseriti tre cartocci con scudetti recanti un’iscrizione che circostanzia tempo e committenza: IACOBUS BALATTO / FECIT / ANNO DOMINI 1736. Il donatore corrisponde verosimilmente al Giacomo Balatto che risultava capo della comunità di Gordona a Palermo nel 173858.

I punzoni consistono nell’aquila palermitana a volo alto, nel pontillo consolare AG735, riferito al console del 1735 Antonio Gulotta59, e nel marchio GDA, che potrebbe riferirsi a più di un artefice attivo all’epoca, come Giacomo D’Aia (noto dal 1729), Gaetano D’Aquino (dal 1729 al 1753), Giacomo Damiano (dal 1727-†1770)60.

Il calice è custodito dalla medesima chiesa proprietaria della pisside suddetta e del reliquiario qui di seguito analizzato, chiesa che nella prima metà del Settecento ricevette dunque da Palermo questi preziosi doni, annoverati fra i suoi beni artistici degni di nota nelle osservazioni scritte dal parroco per la visita pastorale del vescovo A. Ferrari del 189261.

Si considera infine un reliquiario a ostensorio (altezza 54 cm), anch’esso destinato alla custodia dei sacri resti di S. Rosalia62 (Fig. 10). Sul verso della teca un’iscrizione specifica provenienza e committenza: LI / FRATELLI E BENE / FATTORI DI PALERMO ANNO / FATTO FARE PER SUA / DIVOTIONE DI SANTA / ROSOLIA NEL AN- / NO 1737.

Il piede mistilineo e gradinato (diametro 15 cm), bordato da una cornice a dischetti, è suddiviso da tre volute in altrettante specchiature ornate da una testina alata di cherubino. Il fusto è formato da un angioletto a fusione poggiante su un podio a ornati volutiformi. La statuina ad ali dorate sostiene idealmente, con le braccia protese verso l’alto, un ricettacolo, innestato posteriormente lungo il dorso della figura (Fig. 11).

La teca è costituita da un busto della santa con capsula porta-reliquia ovale, sormontato da due puttini incoronanti e circonfuso da una raggiera dorata inserita in una cornice ovale dorata, formata da un ideale fascio di rami da cui si dipartono i fiori che fanno da ghirlanda al ricettacolo (larghezza 23 cm). L’impianto formale generale, pur con diverse particolarità decorative, è comune a molti reliquiari floreali settecenteschi di fattura palermitana rinvenuti sia in Sicilia che in Alto Lario e destinati a reliquie di vario tipo, comprese quelle della Santa Croce63. Si tratta di un modello il cui prodromo può essere identificato con un pezzo della collezione del Museo Diocesano di Palermo del 171564. In particolare, si rilevano strette analogie tra il reliquiario valchiavennasco e quello altolariano del 1734 ca., nel fusto del quale l’angelo è sostituito da un’aquila che ghermisce una serpe  e nella cui teca la corona portata dai due putti è già posta sul capo del busto porta-capsula della Santa e risulta incastonata con tre pietre rosse65. Nel reliquiario valchiavennasco invece la “corona” di S. Rosalia è in realtà un anello dorato con incisioni a volute, chiaramente spurio e applicato all’opera in qualche modo con del filo metallico.

Il reliquiario è impresso col marchio dell’aquila a volo alto di Palermo e con l’incuso del 1736 del console Gerolamo Cristadoro (GCR36), già documentato66. Si trova menzione in un inventario dei beni della chiesa proprietaria, stilato in occasione della visita pastorale del vescovo P. Cernuschi del 1742: viene nominato un «deposito» modellato «in forma d’ostensorio tutto di fiori con entro ex sacris ossibus Sanctae Rosaliae Virginis Panormitanae»67.

  1. Questi processi emigratori lombardi furono così connotati per la prima volta negli anni ’50. M. Zecchinelli, Le Tre Pievi. Gravedona Dongo Sorico, Milano 1951, p. 159. []
  2. Si citano qui solo alcuni dei numerosi riferimenti bibliografici sul tema. C. Volpati, Da Gravedona a Palermo, in “Broletto”, Como 1935; M. Zecchinelli, Le Tre Pievi…, 1951, pp. 159-163; B. Caizzi, Il comasco sotto il dominio spagnolo, Como 1955, pp. 141-169; G. Scaramellini, L’emigrazione valtellinese e valchiavennasca. Lo stato degli studi e obiettivi per la ricerca, in Valli Alpine ed emigrazione. Studi, proposte, testimonianze, a cura di B. Ciapponi Landi, Tirano 1997, pp. 34-42; I tesori degli emigranti, catalogo della mostra (Sondrio, Sala Ligari della Provincia, 15 marzo – 28 aprile 2002), a cura di G. Scaramellini, Milano 2002; R. Pellegrini, Dongo. Oltre il conosciuto. Mille anni di storia, Villa Guardia 2012, pp. 28-33, 336-337; M. Longatti, Ricerche e documenti sull’emigrazione dalle Tre Pievi nei secoli XV e XVI, in “Altolariana”, 4, 2014; R. Pellegrini, Emigrazione dall’Alto Lario Occidentale tra XV e XIX secolo. Dati acquisiti, criticità, prospettive, in atti del convegno “Emigrazione lombarda. Una storia da riscoprire” (Cuggiono, 13-14 novembre 2015), Ecoistituto della Valle del Ticino di Cuggiono, in corso di pubblicazione. []
  3. R. Grillo, I Lombardi a Palermo, in “Archivio Storico Lombardo”, Serie IX, Vol. 1, 1961; M. Belloni Zecchinelli, L’emigrazione popolare dalle terre dell’Alto Lario attraverso documenti arte e folclore, in “Archivio Storico Lombardo”, Serie IX, Vol. I, 1961; M. Zecchinelli – L. M. Belloni, L’antica emigrazione dalle sponde occidentali del Lario. Aspetti culturali ed umani, Menaggio 1984. []
  4. La bibliografia in proposito è molto vasta. Per una sintetica panoramica sul fenomeno cfr. M. Zecchinelli, Arte e folclore siciliani sui monti dell’Alto Lario nei secoli xvi-xviii, in “Rivista Archeologica Comense”, 131-132, Como 1951; G. Scaramellini, I tesori degli emigranti, in I tesori…, 2002, pp. 18-20; G. Perotti, I doni alle chiese del terziere inferiore di Valtellina, in idem, pp. 56-57. []
  5. Si veda ad esempio il caso del Ticino, per il quale è stata evidenziata una sottolineatura valida in generale e cioè che la confraternita aveva lo scopo anche «di rafforzare la propria posizione all’interno della nuova realtà e di evidenziare la propria presenza e il proprio rango» in un contesto che era di fatto articolato per corpi. C. Orelli, I migranti nelle città d’Italia, in Storia della Svizzera italiana dal Cinquecento al Settecento, a cura di R. Ceschi, Bellinzona 2000, p. 283. []
  6. La bibliografia è vasta e frazionata, soprattutto la più recente, in pubblicazioni specifiche sulle varie località. Si vedano a introduzione del tema: M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951; I tesori…, 2002. []
  7. M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, passim; O. Zastrow, Capolavori di oreficeria sacra nel Comasco, Como 1984, passim; A. M. Boca, Rapporti con la Sicilia di artisti e maestranze delle Valli lombarde, in I Lombardi e la Sicilia, a cura di R. Bossaglia, Pavia 1995, pp. 90-92, 98-99; G. Conca Muschialli – G. Monti, Parole d’argento, Gravedona 2001, passim; L. Viganò, Argenti sul Lario, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 34, 2013; R. Pellegrini, Tra noc e sass. Storia della comunità di Stazzona, Gravedona 2004, pp. 83-84; R. Pellegrini, Gioielli storici dell’Alto Lario. Cultura del prezioso nel periodo dell’emigrazione a Palermo, Como 2009, pp. 38-45; R. Pellegrini, Di alcune suppellettili d’argento donate dagli emigrati, in “Quaderni della Biblioteca del Convento francescano di Dongo”, 70, 2013; P. Albonico Comalini, N. Spelzini, Sulle tracce di antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 3, 2013; P. Albonico Comalini – N. Spelzini, Altri antichi “argenti”, dono degli emigranti, in “Altolariana”, 4, 2014. []
  8. I tesori…, 2002, pp. 241-308. []
  9. G. Scaramellini, I tesori…, 2002, p. 46. []
  10. M. Belloni Zecchinelli, L’emigrazione…, 1961, p. 31. Nel 1616 a Palermo si costituì un sodalizio della comunità di Piuro avente diritto a indicare sette nominativi per l’elezione dei capi della Nazione Lombarda. Uno dei membri era Nicolò Brocco, che appare due anni dopo come console dell’arte serica cittadina. G. Scaramellini, Piuro nella storia, in G. Scaramellini – G. Kahl – G. P. Falappi, La frana di Piuro del 1618. Storia e immagini di una rovina, Sondrio 1988, p. 17. Nel 1616 Nicolò Brocco fu eletto fra i quattro amministratori della chiesa di S. Carlo Borromeo di Palermo. Consistente risulta la documentazione che lo concerne a proposito di tale incarico amministrativo e anche per il suo ruolo di procuratore della chiesa di S. Cassiano di Piuro. R. Grillo, I Lombardi…, 1961, pp. 212-222. []
  11. G. Scaramellini, Piuro…, 1988, pp. 22-26. []
  12. M. Belloni Zecchinelli, L’emigrazione…, 1961, pp. 32, 43. []
  13. G. Scaramellini, La Madonna di Gallivaggio. Storia e arte, Chiavenna 1998, p. 110; G. Scaramellini, I tesori…, 2002, p. 46. []
  14. G. Scaramellini, I tesori…, 2002, p. 15. []
  15. G. Perotti, Le premure pastorali del parroco di Gordona per i suoi emigranti nel Seicento, in “Le Vie del Bene”, 64/11, 1993, p.7; B. De Agostini, Gordona. La collegiata di S. Martino, Chiavenna 1994, p. 76; G. Scaramellini, I tesori…, 2002, pp. 43-44. []
  16. B. De Agostini, Gordona…, 1994, p. 96. []
  17. G. Scaramellini, I tesori…, 2002, p. 18. []
  18. ASDC, Visite Pastorali, 57/4, f. 159. []
  19. R. Pellegrini, Di alcuni argenti napoletani in Valchiavenna, in “Clavenna”, in corso di stampa. []
  20. Il punzone consolare si presenta come quello dell’urna di S. Rosalia riportato in S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, Palermo 1996, pp. 39, 63. []
  21. Cfr. a titolo esemplificativo M. C. Di Natale, Catalogo delle opere, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, pp. 239, 297. In questa prospettiva si ammette una analogia con altri sistemi come quello della punzonatura dell’argenteria a Napoli, ove era «inammissibile che il console garantisse col suo bollo un lavoro anonimo». E. Catello – C. Catello, Argenti napoletani dal XVI al XIX secolo, Napoli 1973, p. 93. []
  22. I tesori…, 2002, p. 291. Non è chiaro se si tratti dello stesso oggetto inventariato nel 1938 e ascritto invece al XVII secolo. M. Gnoli Lenzi, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia. IX. Provincia di Sondrio, Roma 1938, pp. 130-131. []
  23. ASDC, Visite Pastorali, 57/4, f. 152. []
  24. P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte, moda (1450-1630), Milano 1996, p. 99. []
  25. G. Gregorietti, Il gioiello nei secoli, Milano 1969, pp. 207-210; P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri…, 1996, pp. 99-100. []
  26. M. G. Mazzola, Il motivo decorativo: dalla natura all’arredo, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra (Palermo, Albergo dei Poveri, 10 dicembre 2000 – 30 aprile 2001), a cura di M. C. Di Natale, Milano 2001, p. 255. []
  27. Si tratta del Livre des fleurs, où sont representés touttes sorts de tulippes, narcisses, iris, et plusieurs autres fleurs avec diversités d’oiseaux, mouches, et papillons, le tout fait après le naturel. E. Hyde, Flowers of distinction: taste, class, and floriculture in Seventeenth-Century France,1550-1850, in Bourgeois and aristocratic encounters in garden art, a cura di M. Conan, Washington 2002, pp. 91-93. []
  28. La raccolta, edita a Parigi da Poilly, venne ripubblicata a Londra nel 1888 da Bernard Quaritch. G. Gregorietti, Il gioiello…, p. 207. Il successo dei modelli ispirati alle piante si deve a orafi e disegnatori come A. Hédouyns, F. Le Febvre o G. Légaré. A. Omodeo, Grafica per orafi. Modelli del Cinque e Seicento, Firenze 1975, pp. 55-58. In Sicilia incontriamo il gusto per la decorazione floreale nei medaglioni smaltati di Joseph Bruno. M. C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, pp. 157-164. Caratteristici medaglioni smaltati a motivi floreali anche nella penisola iberica. L. D’Orey, Five centuries of jewellery. National Museum of Ancient Art, Lisbon, Londra 1995, p. 35. []
  29. ASDC, Visite Pastorali, 57/4, f. 162. []
  30. ASDC, Visite Pastorali, 57/3, f. 93. Alla successiva visita pastorale (1 settembre 1682) l’ordine risultava eseguito. ASDC, Visite Pastorali, 71/1, f. 209. []
  31. La costruzione della chiesa venne intrapresa nel 1629 e terminata nel ’31. Nel 1939 è stata sconsacrata. P. Buzzetti, Le chiese nel territorio dei comuni di Chiavenna – Mese – Prata, Chiavenna 1964, pp. 128-129; G. Scaramellini – L. Scaramellini, Chiese in Valchiavenna, Sondrio 1988, p. 17. []
  32. S. Monti, Storia ed arte nella provincia ed antica diocesi di Como, Como 1902, p. 178; M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, p. 86; O. Zastrow, Capolavori…, 1984, p. 168; G. Conca Muschialli – G. Monti, Parole…, 2001, pp. 101-102; P. Albonico Comalini – N. Spelzini, Altri antichi…, 2014, pp. 88, 100, 102. []
  33. M. Gnoli Lenzi, Inventario…, 1938, pp. 133;  I tesori…, 2002, p. 297. []
  34. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 64. []
  35. Cfr. nota 21. []
  36. ASDC, Visite Pastorali, 57/4, f. 162. []
  37. S. Barraja, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori…, 2001, p. 672. []
  38. Cfr. il disegno conservato presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana e citato in D. Malignaggi, Il disegno decorativo dal Rinascimento al Barocco, in Splendori…, 2001, p. 91. []
  39. O. Zastrow, Capolavori…, 1984, pp. 188-189. []
  40. L’utilizzo di corona nel territorio altolariano si correla con la storica tradizione di ornare le statue mariane in occasione delle ricorrenze con gioielli e, in particolare, con monili in corallo provenienti dalla emigrazione in Sicilia. R. Pellegrini, Gioielli…, 2009, pp. 113-115. Casi emblematici e tuttora perduranti sono quelli delle statue mariane delle località di Livo, Peglio, Càino, Trezzone, Stazzona, l’ornamento e il disabbigliamento delle quali presenta ancora oggi alcuni aspetti di ritualità. L’uso di ornare con corona e gioielli vale anche per gli affreschi, come si può vedere in quelli della chiesa di S. Maria delle Grazie di Trezzone o della Madonna del Gorghiglio di Peglio. L’origine della tradizione è da ricercarsi innanzitutto in una consuetudine locale, come dimostrato nel caso delle statue vestite valtellinesi (cfr. E. Silvestrini, Antropologia dei simulacri da vestire, in In confidenza col sacro. Statue vestite al centro delle Alpi, a cura di F. Bormetti, Sondrio 2012, pp. 63-81), ma anche nell’influsso dell’emigrazione in Sicilia. R. Pellegrini, Gioielli…, 2009, pp. 113-115. Per l’uso siciliano di ornare le statue cfr. M. C. Di Natale, Il corallo da mito a simbolo nelle espressioni pittoriche e decorative, in Coralli talismani sacri e profani, catalogo della mostra (L’arte del corallo in Sicilia, Trapani, Museo regionale Pepoli, 1 marzo-1 giugno 1986), Trapani 1986, p. 103; M. C. Di Natale, I tesori nella contea dei Ventimiglia. Oreficeria a Geraci Siculo, Palermo 2006, p. 47. []
  41. M. Gnoli Lenzi, Inventario…, 1938, pp. 130-131; B. De Agostini, Gordona…, 1994, p. 87; I tesori…, 2002, pp. 128-129, 287. []
  42. M. Gnoli Lenzi, Inventario…, 1938, p. 210; I tesori…, 2002, p. 266. []
  43. M. C. Di Natale, Ostensorio raggiato (Catalogo delle opere), in Ori e argenti…, 1989, p. 240. []
  44. Un esempio è quello del reliquiario del Legno della Croce del Tesoro della Cattedrale di Palermo del 1642. M. C. Di Natale, Ori e argenti del Tesoro della Cattedrale di Palermo, in Il Tesoro della Cattedrale di Palermo, a cura di M. C. Di Natale – M. Vitella, Palermo 2010, p. 76. []
  45. E. D’Amico, Reliquiario del velo della Vergine (Catalogo delle opere), in Ori e argenti…, 1989, p. 222. []
  46. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 34. []
  47. S. Barraja, Gli orafi e argentieri…, 2001, p. 673. []
  48. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 63. []
  49. S. Barraja, Gli orafi e argentieri…, 2001, p. 671. La sigla DC è stata rinvenuta ad esempio sulla corona di S. Caterina del monastero benedettino di Geraci Siculo. M. C. Di Natale, I tesori…, 2006, p.  39. []
  50. Ringrazio il dott. Silvano Barraja per le dettagliate precisazioni fornitemi e per la proficua discussione intorno alla punzonatura di questo ostensorio. []
  51. M. C. Di Natale, Ori e argenti…, 2010, pp. 239-240. []
  52. ASDC, Visite Pastorali, 57/4, f. 162. []
  53. I tesori…, 2002, p. 286. Nella scheda si cita solo una delle due iscrizioni presenti sulla pisside. []
  54. M. Accascina, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, p. 51. []
  55. S. Barraja, Gli orafi e argentieri…, 2001, p. 676. Il marchio GS è stato reperito per esempio su una brocca palermitana della prima metà del XVIII secolo custodita nel Museo di Capodimonte a Napoli. L. Ambrosio, Brocca (Catalogo delle opere), in Splendori…, 2001, pp. 443-444. []
  56. ASDC, Visite Pastorali, 127, f. 711. []
  57. M. Gnoli Lenzi, Inventario…, 1938, p. 170. []
  58. M. Belloni Zecchinelli, L’emigrazione…, 1961, p. 43. []
  59. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 75. []
  60. S. Barraja, Gli orafi e argentieri…, 2001, p. 671; G. Mendola, Orafi e argentieri a Palermo tra il 1740 e il 1790, in Argenti e cultura rococò nella Sicilia Centro-Occidentale. 1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, St. Annen-Museum, 21 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008), a cura di S. Grasso e M. C. Gulisano, Palermo 2008, 598, 617. []
  61. ASDC, Visite Pastorali, 215/9. Il calice è annoverato anche nel già citato inventario del 1742 e in altro del 1770, ove si descrive come «calice grande d’argento per le feste». ASDC, Visite Pastorali, 179/3, f. 7. []
  62. M. Gnoli Lenzi, Inventario…, 1938, p. 170; I tesori…, 2002, p. 290. []
  63. O. Zastrow, Capolavori…, 1984, pp. 137-139; M. C. Di Natale, Reliquiario dei SS. Pietro e Paolo (Catalogo delle opere), in Ori e argenti…, 1989, pp. 245-246; M. C. Di Natale, La raccolta di argenteria sacra nel Museo Diocesano di Palermo, in Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo. Dalla città al museo e dal museo alla città, a cura di M. C. Di Natale, Palermo 1999, pp. 114-115. Si rileva in particolare una stretta somiglianza tra le teche dei due reliquiari del velo della Vergine del Museo Diocesano di Palermo (1751, argentiere G.M) e della chiesa altolariana di S. Sebastiano di Vercana (1764, argentiere B.P). []
  64. M. C. Di Natale, Ori e argenti del Tesoro…, 2010, pp. 85-86. Più antico (1704) il noto reliquiario di Livo, CO, che racchiude all’interno della cornice floreale l’effigie completa della Santa. M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, p. 86; O. Zastrow, Capolavori…, 1984, p. 135; G. Conca Muschialli, G. Monti, Parole…, 2001, p. 99; P. Albonico Comalini – N. Spelzini, Altri antichi…, 2014, pp. 102, 104-106. []
  65. M. Zecchinelli, Arte e folclore…, 1951, p. 77; O. Zastrow, Capolavori…, 1984, p. 137; O. Zastrow, Reliquiario di Santa Rosalia (Catalogo delle opere), in Ori e argenti…, 1989, pp. 285-287; G. Conca Muschialli, G. Monti, Parole…, 2001, pp. 82-83. []
  66. S. Barraja, I marchi…, 1996, p. 75. []
  67. ASDC, Visite Pastorali, 127, f. 711. []