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Postille alla mostra romana “Sculture preziose”
DOI: 10.7431/RIV12022015
In questa nota si propongono alcune piccole novità in merito all’autografia di opere recentemente esposte alla mostra “Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio tra XIII e XVIII secolo”1. Sono novità emerse dalla rilevazione e identificazione dei punzoni che non era stato possibile effettuare durante le lunghe e talvolta non agevoli fasi di schedatura delle opere sul territorio. Tali dati, pertanto, non compaiono nel volume pubblicato in occasione della mostra2, ma sembra utile renderli noti per continuare gli studi avviati e contribuire ad ampliare la conoscenza di questo particolare e importante settore del patrimonio artistico laziale.
Due marchi (Fig. 1) sono stati rilevati sotto la voluta che funge da impugnatura della pace custodita presso il santuario della Madonna del Colle a Lenola3 (Fig. 2). L’immagine, in argento fuso, inciso e cesellato entro un riquadro impreziosito da volute foliacee, riprende quella dipinta in un’antica edicola miracolosamente scoperta nel 1602 da un gruppo di giovani del luogo, a seguito di un grave fatto di sangue. Per volontà dell’allora vescovo di Fondi Giovanni Battista Comparini, tra il 1607 e il 1610 venne eretto un santuario per custodire l’immagine prodigiosa, ancora oggi meta di grande devozione. Il pregevole rilievo argenteo ripropone con fedeltà l’immagine dipinta (ed evidentemente nel tempo ‘ridipinta’) (Fig. 3), sostituendo tuttavia il tono popolaresco e devozionale dell’originale, dove il Gesù Bambino ignudo si stringe alla Madre afferrandone il velo, con un più solenne ragazzino benedicente, vestito di un severo abito contemporaneo mentre la Madonna è avvolta in un manto classicamente drappeggiato. Di difficile lettura, sia per la collocazione che per lo stato di consunzione, i due marchi impressi sotto l’impugnatura sono comunque riconoscibili come il punzone camerale e il punzone raffigurante un sole raggiato che identifica l’argentiere romano Giovanni Francesco Frangi (1581 ca-1653, pat.1610)4. Diverse sono le opere di questo artefice note solo per via documentaria, ovvero una croce per il monastero di Santa Cecilia degli anni 1624-25, uno specchio donato da Don Antonio Barberini a Lucrezia Machiavelli del 1626, una guantiera per la Vallicella del 1627, otto calici offerti dal Magistrato di Roma a varie chiese nel giorno del santo patrono tra il 1629 e il 1644, uno scaldavivande e due ‘caldarini’ in rame per la tavola dei Conservatori in Campidoglio, un bacile e un bocca d’argento del 1642. Esiste tuttora, invece, presso la chiesa romana di San Marco, il reliquario di sant’Orsola, contrassegnato dal punzone del sole raggiato e dal camerale che lo fa datare agli anni 1637-16425, opera che nella sua tradizionale semplicità esclude reminiscenze manieristiche e ridondanze barocche in nome di un sobrio classicismo. Questa stessa caratteristica formale caratterizza anche la bella croce da tavolo d’argento – presentata in mostra – che racchiude una piccola e preziosa stauroteca trecentesca (Viterbo, Museo del Colle del Duomo); sulla croce, oltre al punzone del Frangi e al camerale, compare l’iscrizione dedicatoria del committente, il vescovo di Viterbo Tiberio Muti, e la data 16346. A questa importante aggiunta al catalogo dell’artefice romano si può ora accostare la bella pace di Lenola, datata 1619 e dunque prima opera finora nota del Frangi, già improntata a quella “rotondità” e “fermezza di volumi” che, come è stato giustamente notato, riconducono alle “salde figure” del contemporaneo argentiere e fonditore Fantino Taglietti7.
Personaggio emerso solo in occasione della mostra romana è invece Vito Viti (1591-1636, dal 1622 citato tra i maestri orafi), figlio di Michelangelo, anch’egli argentiere. Il Viti compare nel repertorio di Bulgari8 solo come autore di vari calici, commissionati tra il 1629 e il 1636 dal Magistrato di Roma e offerti a varie chiese romane in occasione della festività patronale, e di due candelieri e una lampada, pagati nel 1632 dalla Camera Capitolina. Ma le capacità di questo poco noto artefice dovevano andare ben al di là di tali modeste commissioni, almeno a giudicare dal magnifico busto d’argento raffigurante san Pietro Eremita, patrono della cittadina di Vico nel Lazio il cui stemma compare sulla base della scultura (Fig. 4). L’autografia del Viti è stata proposta sulla base di un documento dove il reliquiario si dice realizzato nel 1626 da un “…Vito argentiere romano”9. L’attribuzione è sembrata plausibile per l’identità del nome – relativamente inconsueto – e per la coincidenza tra la data di realizzazione dell’opera e gli anni in cui è documentata l’attività del Viti. A ciò si aggiunge ora il rilevamento di due bolli, non notati in precedenza e poco leggibili, impressi lungo il bordo inferiore del busto: uno è il camerale, l’altro, che sembra formato da due V separate da un oggetto (una ventola?), è verosimilmente quello dell’autore (Fig. 5). Il bollo non compare nel repertorio del Bulgari e, al momento, non è stato trovato su altri argenti noti, ma sembra utile segnalarlo per eventuali futuri confronti con altre opere di Vito Viti che nella realizzazione di questo busto d’argento, dall’ interessante intento ritrattistico, dimostra notevoli capacità sostenute dalla probabile collaborazione con uno scultore, mentre il finissimo trattamento delle superfici – dall’originale modellato della chierica contornata da riccioli, alla resa meticolosa dei tessuti – ne attesta la grande maestria tecnica.
E una decisa caratterizzazione fisiognomica è espressa anche nel volto del giovane guerriero, caratterizzato da baffetti e da una corta barba, che impersona il sant’Ermete dell’omonima chiesa di Ischia di Castro (Fig. 6). In occasione della redazione della scheda10 è stato rilevato ma non identificato il punzone, molto confuso e lacunoso (Fig. 7), impresso accanto al bollo camerale invece riconoscibile per quello impiegato negli anni 1731-1732. E’ stato così possibile datare la scultura, realizzata probabilmente in occasione della ricostruzione della chiesa di Ischia di Castro, quando vi vennero riportate parte delle reliquie del santo che presumibilmente furono allora collocate nel reliquiario d’argento fatto per l’occasione. Ne rimaneva però anonimo l’autore la cui probabile individuazione devo ora alla cortesia e competenza di Aldo Vitali che suggerisce, sia pure con riserva, di riconoscere nel lacunoso punzone quello di Paolo Andrea Gamba (Roma, 1654-1734, pat.1702)11. Tale bollo è stato ritrovato su varie argenterie sacre, tra cui alcuni reliquiari per la cattedrale di Veroli e reliquiari per il santuario di Santa Maria del Tufo a Rocca di Papa; ma la probabile autografia di questa espressiva scultura attesta le finora sconosciute possibilità tecniche e la fine capacità di resa quasi ritrattistica dell’argentiere, capacità anche in questo caso sostenute dalla conoscenza della scultura contemporanea e dalla probabile collaborazione con uno specialista.
Ringrazio infine Jennifer Montagu per il prezioso suggerimento di assegnare senz’altro ad Antonio Gigli (Roma, 1704-1761, pat.1724)12 il bel calice della cattedrale di Sora (Fig. 8) che nella relativa scheda13 si è preferito attribuire ad un ignoto argentiere romano per l’incerta leggibilità del punzone (Fig. 9). L’autografia ad Antonio Gigli, peraltro già ipotizzata in passato14, è in effetti sostenuta oltre che dalla notevole qualità del magnifico calice interamente dorato, la cui superficie è arricchita da placchette con le canoniche scene della Passione e il consueto repertorio ornamentale di testine angeliche, cartigli e volute, soprattutto dal confronto con altre opere del grande artefice romano e, in particolare, con un simile calice conservato presso il tesoro della cappella di San Rocco a Lisbona15. Ma l’esemplare di Sora appare ancora più elaborato ed originale, rispetto al calice portoghese, per l’inserimento, nel piede, di tre delicate figure di putti ignudi addormentati, resi in forte aggetto e quasi a tutto tondo, le cui piccole membra sono morbidamente adagiate tra i rigidi cartigli includenti le scene cristologiche.
Referenze fotografiche
Archivio fotografico della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo: foto 2,3,4,6,7,8,9
Benedetta Montevecchi: foto 1,5
- La mostra, curata da Anna Imponente e da chi scrive, si è tenuta presso la Città del Vaticano, Braccio di Carlo Magno, dal 30 marzo al 30 giugno 2015. Le puntualizzazioni qui proposte sono emerse dalla possibilità di esaminare nuovamente le opere durante le fasi di movimentazione per l’allestimento e lo smontaggio dell’esposizione. [↩]
- Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo, a cura di B Montevecchi, Roma 2015. [↩]
- Cfr. M.Minati, scheda n. 64 in Sculture preziose…, 2015, p. 212. [↩]
- Sull’argentiere, cfr. G.C.Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia, Parte prima- Roma *, Roma 1958, pp.465-466; A.Bulgari Calissoni, Maestri argentieri gemmari e orafi di Roma, Roma 1987, p.209. [↩]
- V.Gazzaniga, La vita e le opere di Fantino Taglietti, in Marmorari e argentieri a Roma e nel Lazio tra Cinquecento e Seicento. I committenti, i documenti, le opere, Roma 1994, pp.220-257, in part. pp.246-247; A.M.Pedrocchi, Argenti sacri nelle chiese di Roma dal XV al XIX secolo, Roma 2010, pp.61-62, 200. [↩]
- Cfr. V.Valerio, scheda n. 68, in Sculture preziose…, 2015, pp.213-214. [↩]
- V.Gazzaniga, La vita e le opere…, 1994, p.247. [↩]
- G.C.Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d’Italia, Parte prima- Roma **, Roma 1959, p. 542. [↩]
- M.Spinucci, scheda n.66, in Sculture preziose…, 2015, p.213. [↩]
- V.Valerio, scheda n.124 in Sculture preziose…, 2015, p.233. [↩]
- Cfr. A.Bulgari Calissoni, Maestri argentieri…,1987, pp.219-220. [↩]
- Cfr. G.C.Bulgari, Argentieri, gemmari…, 1958, cit., pp.534-545; Bulgari Calissoni, Maestri argentieri…, 1987, p.231. [↩]
- M.Spinucci, scheda n.111, in Sculture preziose…, 2015, p.228. [↩]
- Cfr. scheda di catalogo ministeriale OA 12/00216312. [↩]
- Cfr. T.L.M.Vale, Eighteenth-century Roman silver for the chapel of St John the Baptist in the church of S.Roque, Lisbon, in “The Burlington Magazine”, CLII, august 2010, pp.528-435, in part. p.533, Fig. 23. [↩]