Alberto Mannino

albertomannino@virgilio.it

L’opera pittorica del fiammingo Simone de Wobreck e le sue vetrate artistiche

DOI: 10.7431/RIV11032015

Recenti ricerche d’archivio effettuate dallo scrivente mettono ulteriormente in evidenza la poliedricità del pittore fiammingo Simone de Wobreck1, presente a Palermo dalla metà del Cinquecento, capace di rispondere alle richieste più svariate della committenza.

Per avere un’idea delle grandi capacità artistiche del fiammingo è bene primariamente esaminare i più importanti dipinti a lui riferiti con certezza.

La notizia più antica che abbiamo del pittore a Palermo è del febbraio 1558, come si desume da un contratto notarile, in cui l’artista si obbligava a realizzare una grande tela, non più rintracciabile, raffigurante La Cena in casa di Simone per il refettorio del monastero di San Martino delle Scale2. Si deve quindi desumere che già in questa data il de Wobreck era già abbastanza conosciuto e stimato.

Nel 1560, la Regia Curia gli pagava “una pittura dell’isola di Sicilia”, per il Palazzo Regio3.

Il 5 aprile dello stesso anno, come si evince da un documento inedito rintracciato presso l’Archivio di Stato di Palermo, tra gli atti notarili di Antonino Carasi, il de Wobreck si obbligava con Vincenzo (?) Branciforte, conte di Raccuia, a dipingere un quadro ad olio con tre figure, rappresentanti la Madonna della Grazia con il figlio in braccio, San Francesco di Paola e Santa Oliva, alti 5 palmi circa per un prezzo di 16 onze4. L’opera doveva presentare pure due angioletti reggenti una corona posta sul capo della Vergine ed il ritratto del committente nella parte bassa, che “lo raffiguri fino alla cintura”. Per la sua realizzazione, il committente doveva consegnare al pittore entro un mese, una tavola di legname di 8 palmi di larghezza e 10 palmi di altezza. L’artista si impegnava, inoltre, a consegnare il dipinto entro otto mesi presso la propria dimora o la chiesa di San Francesco di Paola di Palermo5. Probabilmente, si trattava di un’opera commissionata per la cappella di famiglia, concessa nel 1527 a Blasco Branciforte, nell’altare maggiore della chiesa di San Francesco di Paola6. Nella Sala Verde della Galleria di Palazzo Abatellis, si ammira, accanto ad altre due tele del de Wobreck, un dipinto di un pittore anonimo7 donato dal Convento di San Francesco di Paola, che pertanto potrebbe essere identificato con quello commissionato al fiammingo dal conte di Raccuia (Fig. 1).

Successivamente a queste date conosciamo altri dipinti su tavola del de Wobreck. Il primo in ordine di tempo è quello de La Pentecoste, un tempo collocato nell’atrio del Ospedale Magno di Palermo e commissionato dall’ospedaliere Giacomo Castrone nel 1562, oggi custodito nei depositi della Galleria Interdisciplinare della Sicilia di Palazzo Abatellis8.

Nella sua collocazione originaria, all’interno della chiesa di San Agostino di Palermo, si osserva il dipinto di San Guglielmo, documentato nel 1567, quando fu commissionato da Pietro Aloisio di Scicli figlio del capomastro delle fortificazioni della città Giovan Francesco di Scicli9.

Ancora presso la Galleria di Palazzo Abatellis, possiamo ammirare il dipinto su tavola datato 1581 dell’Assunzione della Vergine, proveniente dalla chiesa di San Nicolò lo Gorgo, che presentava un tempo la firma leggibile del pittore10.

Nella Chiesa Madre di Caccamo si trova oggi il dipinto Andata al Calvario, firmato e datato 1582, proveniente dalla chiesa di San Francesco dello stesso centro11, un’ulteriore rivisitazione di questo tema iconografico dopo il più famoso Spasimo di Raffaello12 e quello di Polidoro13. Lo stesso soggetto ritorna nel dipinto su tavola, conservato nella Chiesa Madre di Ciminna, in cui si legge la firma del pittore Simone l’olandese, ma la cui data oggi non è più leggibile. In entrambi i dipinti, si nota l’inserimento del personaggio della Veronica, così come aveva fatto Polidoro14.

Nella Pinacoteca del Castello di Grifeo di Partanna si conserva la tavola del 1585 della Madonna del Rosario con i Misteri che il de Wobreck realizza per la chiesa di San Francesco. In questo dipinto il pittore si firma aggiungendo Haarlem15 per la sua città di provenienza. L’opera, gravemente danneggiata nei volti, presenta molte analogie con quella di Vincenzo da Pavia custodita nella chiesa di San Domenico di Palermo.

Nel Museo del Castello Ursino di Catania si trova oggi l’Adorazione dei Magi del 1585, che un tempo decorava l’altare maggiore della chiesa palermitana dei Tre Re al Celso16.

Nel Museo Diocesano di Palermo, ma di provenienza ignota, è esposta, invece, La Flagellazione, firmata e datata 1585, che ricorda un dipinto analogo di Vincenzo di Pavia17.

L’ultimo dipinto in ordine di tempo in cui troviamo obbligato il de Wobreck, questa volta in solido con il suo allievo Giulio Mosca, porta la data 1587 e raffigura San Sebastiano così come commissionato dal medico Giulio de Milazzo per la sua cappella presso la chiesa di Sant’Agostino di Palermo, edificio chiesastico dove è ancora custodito18.

Non si conosce la data della morte del de Wobreck, ma quando il suo allievo Giulio Mosca, il 21 agosto 1597, detta le sue volontà testamentarie l’artista fiammingo era già defunto. Infatti, il Mosca dispone di voler essere sepolto nella Chiesa di San Marco di Palermo accanto al suo precettore Simone de Wobreck19.

La notizia della morte del fiammingo è confermata anche dal testamento di Maddalena Wobreck, moglie del defunto pittore, che il 27 agosto 1597 dispone di volere essere sepolta accanto al defunto marito20. La vedova del de Wobreck nomina il pittore Giovan Paolo Fonduli esecutore testamentario e curatore dei suoi beni dopo la morte21. Quanto detto testimonia gli stretti legami che intercorrevano tra i pittori de Wobreck, Mosca e Fonduli.

I documenti pubblicati fino a questo momento ci confermano che il de Wobreck operò lungamente a Palermo tra il 1558 ed il 1587. Ebbe certamente diversi allievi, tra cui il citato Giulio Mosca e quel Domenico Nore, a cui ha insegnato l’arte pittorica e per cui è remunerato nel 157422. La sua pittura presenta colori luminosi e brillanti e alcuni suoi dipinti colpiscono l’attenzione per la presenza di una folla di personaggi, descritti miniaturisticamente, forse influenzato dalla cultura manierista tosco-romana, importata a Napoli da artisti come Vasari, Roviale e Marco Pino23. Un artista formatosi nel suo paese d’origine e stabilitosi a Palermo attratto dalle opportunità lavorative.

A quanto si è detto fino a questo momento, bisogna aggiungere il memoriale inedito che si legge tra le carte del Tribunale del Real Patrimonio che getta una nuova luce sul nostro artista. Si tratta di una richiesta inviata il 18 novembre 1573 (II ind.) da Palermo alla Regia Corte, in cui il de Wobreck espone di aver “con isperienza retrovato lo modo di fari vitriate in questa Città” e pertanto chiedeva la licenza per operare in esclusiva24. L’attività di decoratore di vetri richiedeva un sostanziale impegno economico, visto l’alto costo dell’importazione del vetro, e per tale motivo l’artista fiammingo chiedeva sostegno ed aiuto alla Corte. Inoltre, si precisava che le vetriate erano realizzate di “tutti sorti tanto impersonaggi et le pinti quanto piani grandi e piccoli per quali si voglia fenestra e apertura come si usa nelli parti di Fiandra e di Franza e tanti altri lochi de la Italia”25. In altre parole, egli introduce a Palermo e in Sicilia, una moda diffusa nelle altre città europee e, sicuramente, immaginava di poter attirare i ricchi committenti siciliani.

Quello che colpisce è la richiesta di esercitare in esclusiva – per dieci anni – l’attività di realizzatore di vetrate artistiche, precisando che “nixuno ne regniculo ne estero possa ne debia in questo regno detto esercizio esercitare senza la sua licenza”26. Nella sua richiesta sono contemplate anche delle multe per i trasgressori, si chiedeva l’autorizzazione a fare spezzare le vetrate realizzate senza suo ordine e ad imputare una pena in denaro di 50 onze. Questa cifra sarà equamente divisa tra l’artista e la chiesa maggiore di Palermo27. Purtroppo nel fondo dell’Archivio di Stato di Palermo sono conservate soltanto le lettere indirizzate alla Regia Corte e non è stato possibile accertare il consenso positivo alle richieste del Wobreck.

Quest’importante aspetto delle capacità artistiche del de Wobreck, ovvero la sua perizia nel realizzare vetrate, doveva essere ben conosciuta dai suoi contemporanei, e ci permette di immaginare il pittore fiammingo impegnato nella realizzazione di vetrate artistiche in Sicilia.

Lo sviluppo dell’arte del vetro in Europa inizia nel Medioevo e continua fino alla metà del Cinquecento sotto l’egemonia stilistica della scuola fiamminga, raggiungendo l’apice nel XVI secolo. In genere, il pittore si limitava a realizzare il disegno in cartone che poi veniva spedito per essere eseguito dalle maestranze locali, mentre per i cantieri più importanti l’artista si recava sul posto per seguire meglio le fasi di realizzazione28. Tra i pittori di vetrate attivi in quegli anni in Italia, possiamo ricordare Corrado Mochis, proveniente dal cantiere del duomo di Colonia, giunto a Milano nel 1544 dove fu assunto dalla Fabbrica del Duomo, per la quale lavorò fino alla morte avvenuta nel rogo che distrusse il suo laboratorio, il 30 agosto 156929.

Alla luce di quanto detto e rileggendo quanto è stato pubblicato sul pittore, la mia attenzione è stata catturata da alcuni documenti pubblicati dal Meli30. Si tratta di tre mandati di pagamento fatti proprio a Simone de Wobreck, relativi al “magisterio di pittura che ha fatto e fa alla camera chiamata le quattro colonne unde è la vetriata” nel Palazzo Reale di Palermo. Il primo compenso è datato 18 novembre 1578 (VII ind.), così come riportato nei registri di spesa, per un acconto di 20 onze. Altro anticipo di 20 onze si registra il 16 gennaio 1579 (VII ind.) e, infine, il saldo del lavori di pittura svolti dall’artista in data 18 agosto 1579 (VII ind.), per una spesa complessiva di 66 onze. La somma pagata al Wobreck, per i lavori di pittura nella Camera delle Quattro Colonne è abbastanza cospicua e lo è tanto più se si considera che nel giugno del 1577al pittore Giuseppe Alvino, alias Lo Sozzo, per la realizzazione delle pitture di tre stanze del Palazzo Regio venivano pagate in totale soltanto 35 onze31.

A questo punto, si deve ricordare che il primo gennaio 1577 era stato nominato viceré Marco Antonio Colonna il cui ingresso trionfale in città si registra il 24 aprile di quell’anno32. Al momento dell’arrivo del Colonna, nel Palazzo Reale era in atto un progetto di riammodernamento, iniziato già nel 1550 quando, con Giovanni de Vega, i vicerè ritornano ad abitare nel Palazzo, fino a quel momento in abbandono. Il viceré Colonna, al momento del suo arrivo, trova i lavori in corso di svolgimento e nei registri contabili vengono annotati i pagamenti dei lavori voluti dal suo predecessore, il duca di Terranova33.

Per quanto riguarda la Camera delle Quattro Colonne, essa presenta una pianta quadrata di impronta araba-normanna, con quattro colonne a delimitare lo spazio centrale. Si è ipotizzato che lo spazio doveva essere originariamente scoperto e con una fontana al centro, a cui forse si devono riferire i due leoni oggi ai lati della porta che immette nella sala di re Ruggero34. Quindi, per quello che ci dicono i documenti trascritti dal Meli, il 18 novembre 1578 (VII ind.) il Wobreck ha fatto e fa delle pitture, per decorare la Camera delle Quattro Colonne in cui si trova la vetrata35.

Volendo approfondire la ricerca, il passaggio successivo ha portato chi scrive a rileggere i registri contabili da cui il Meli ed altri studiosi hanno tratto le informazioni relative a questi lavori. Si tratta del registro contabile della fabbrica regia, conservato nel fondo Secrezia36.

È interessante riportare la voce di spesa dell’11 gennaio 1577 (V ind.) relativa al pagamento di 20 onze al magnifico Joanni Pinedo e “sono per lo prezzo di 100 tavole veneziane di longhizza di palmi 19 in circa que si hanno adoperato per farsi lo cubulo di legname dove sono le quattro colonne que si havi di sostenere la vitriata”. Segue nello stesso foglio un conto cassato – ma comunque interessante per la nostra ricerca – in cui, in data 6 febbraio 1577 (V ind.), si pagano un totale di 7 onze e 10 tarì al mastro Stefano de Pilieri e da questa somma si versano 3 onze e 15 tarì per “havere fatto 140 viti e per 15 lima quali si hanno posto per mettersi la vitrata nuovamente fatta dove sono le quattro colonne”. In un altro conto pure datato 6 febbraio 1577 (V ind.) si versa inoltre a mastro Simone Greppi un anticipo di 6 onze, per una spesa totale di 22 onze, per la realizzazione di cinque armi di rilievo di legname, “una con le armi regali et li 4 con le armi del Ex sua quali li hanno de ponere nuovamente si fa la vitrata dove sono le 4 colonne”. Un altro documento del 16 febbraio 1577 (V ind.), si attesta un pagamento a mastro Placido di Alistagno di 3 onze e 8 tarì per il prezzo di 49 tavoli di zappino piccoli (è il pino d’Aleppo) “che si hanno adoperato per la vitriata nuovamente fatta in la stanza del regio palazzo”. Infine, il 12 marzo 1577 (V ind.), si versano onze 11 al pittore Giovan Paolo Fonduli e “sono per avere fatto indorare e dipingere le 5 armi di rilievo di legname con l’arma di sua Maestà e li 4 armi di sua Ex.” collocate nella vetriata nuovamente realizzata nel regio palazzo.

Riassumendo, alla luce di questi conti, possiamo affermare che nel marzo del 1577 (V ind.) erano già state acquistate 100 tavole veneziane lunghe 19 palmi (circa 5 metri) e 49 tavole di zappino, utili per realizzare un cubulo di legname atto a sostenere una vetrata per la Camera delle Quattro Colonne. Per la realizzazione di questa complessa struttura lignea erano state utilizzate 140 viti e 15 lime e a completamento della stessa struttura venivano realizzati 5 stemmi di legno, decorati in seguito dal pittore Fonduli, raffiguranti una lo stemma del Sovrano e le altre quattro lo stemma del Duca di Terranova, alla cui volontà si deve rimandare la realizzazione di questa nuova vetrata.

Fino a questo momento, si è realizzata dunque la struttura lignea, ma non si trova riscontro, successivamente a questa data, di spese per l’acquisto di vetri. L’assenza del conto di spesa per l’esecuzione della vetrata ci permette di confermare l’ipotesi che la realizzazione della stessa sia da attribuire al de Wobreck, che come sappiamo dalla sua richiesta presentata alla Regia Corte nel novembre 1573 (II ind.), si era dichiarato esperto nel realizzare questo tipo di decorazioni artistiche.

A questo punto, non è più casuale la presenza del de Wobreck nella realizzazione delle decorazioni di questa camera. Era la persona più indicata a realizzare sia la vetrata che le decorazioni dell’intera camera. Quindi, quella cospicua somma di 66 onze, pagate al pittore, deve essere attribuita al lavoro complessivo di decoro della camera. Un progetto approvato durante il governo del duca di Terranova e continuato durante il governo del viceré Colonna.

Ad ogni modo, quanto realizzato in quegli anni del Cinquecento, oggi non è più visibile. Tuttavia, possiamo immaginare come fosse quella camera, dalle parole del Di Giovanni, che così la descriveva: “è fatta sopra quattro colonne di finissima pietra e le mura sono tutte dipinte di finissima pittura ed è coperta di una cupola delicatissimamente lavorata in modo che, entrandovi dentro, vi rappresenta la maestà reale”37. Un ambiente di assoluto fascino, che purtroppo non è arrivato ai nostri giorni in quanto nel XVIII secolo verrà realizzata una nuova copertura lignea, decorata con i quattro punti cardinali. Da quel momento la sala prenderà il nome di Sala dei Quattro Venti. Alla luce di quanto detto, da questo momento in poi, guarderemo al de Wobreck anche come esperto di vetriate, importante elemento che apre nuovi scenari di ricerca.

Un particolare ringraziamento va all’amica Milena Vela per i consigli che mi ha fornito.

1573 novembre 18, Palermo

Memoriale inviato alla Regia Corte di Palermo da parte del pittore Simone de Wobreck

“Ill. Ex.mo S.r, da parte di lo Mco Simone Vobrich si esponi a la Ex. Vostra qualmenti como homo curioso nella pittura con molti soi travagli et dispesa havendo con isperienza retrovato lo modo di fari vitriate in questa Città, di tutti sorti tanto impersonaggi et le pinti quando piani grandi e piccoli per quali si voglia fenestra e apertura come si usa nelli parti di Fiandra e di Franza e tanti altri lochi de la Italia e desiderando da li soi travagli cavare la spesa con suo utilità per tanto ornamento de molti ecclesie lochi e palazzi di questo regno li ha parso supplicare la Ex. Vostra darli licenza et soccorso con aiuto de costa della Regia Gran Corte è ciò che lo detto Ex. per conseguire e far la spesa de traduchiri li vitri in questo regno li quali sono de alto prezzo ben visto alla Ex. Vostra de la che Ipso ex di darra sicura plegeria a ciò che venendo li ditti vitri poza operare e fare detti vetriate per cui li sarà di bisogno per tanti ornamenti di questo regno tante vero che altro non percipa de ciò utilitati supplica li soi travagli dispesi et industria demanda al Ex. Vra che ultra li conceda gran privilegio che per anni dechi dal giorno che ipso incominceria a lavorare nixuno ne regniculo ne estero possa ne debia in questo regno detto esercizio esercitare senza la licenza di detto Mco Ex. tanto cun li peni soliti ben visti a la Ex Vra et in tali casu contravvenendo si alcuno senza licenza de detto Esponeti presumissi infra detto termino de anni dechi senza sua espressa licenza esercitare seu fari diretti vel indiretti per se vel sunnizzas personas tutto a parti di lo quillo che detto Ex havvi supplicato circa detti vitriati sia lecito suo ordine fatti farli spezari et in tal caso con imperio de onze 50, di applicarsi come segue, onze 25 a lo revelanti et altri 25 de la magior panhormitana eclesia per ogni volta che in ciò contravvenissi et de questa inapla forma farle fare lettera a ciò che per occasione et favore della Ex V.ra et industria che detto Ex si introduca in questo regno un tanto ornamento di chiesi et palazzi da molti tempi desiderato et item supplica ut altissimo.

Panormi die 18 Novembri II ind 1573

Per lo spett. de Agostino

firmato: Francesco d’Aurelio m.ro notaro”.

ASPa, TRP, Memoriali, vol. 189, f. 92.

  1. Per il pittore nativo di Haarlem si veda tra l’altro T. Viscuso, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, vol. II, Pittura, a cura di M.A. Spadaro, Palermo 1993, ad vocem, con relativa bibliografia. Riferimenti al pittore riportano anche A.G. Marchese-B. De Marco Spata, Albina, Navarrete, Novello, Potenzano, Wobreck & co. Nuovi documenti sui pittori siciliani della Maniera, in Manierismo siciliano. Antonino Ferraro da Giuliana e l’età di Filippo II di Spagna, atti del convegno di studi di Giuliana (Castello Federiciano, 18-20 ottobre 2009), Palermo 2010, pp. 345-372. []
  2. T. Pugliatti, Pittura della tarda Maniera nella Sicilia occidentale, Palermo 2011, p. 25. []
  3. Archivio di Stato di Palermo (d’ora in poi  ASPa), Fondo Secrezia, vol. n. 444, f. 122v. Si veda anche G. Meli, Di Simone de Wobreck pittore olandese del sec. XVI,  in “Archivio Storico Siciliano”, ns., a. III, fasc. 2, 1878, p. 202. []
  4. ASPa, Fondo notai defunti, Carasi Antonino, st. I, vol.  6310, f.2308v. e sgg. []
  5. Ibidem. []
  6. ASPa, Fondo Corporazioni soppresse, San Francesco di Paola, vol. 1095, rubrica lettera B. []
  7. T. Pugliatti, Pittura…, 2011, p. 57, dove attribuisce questo dipinto alla scuola del Wobreck. []
  8. T. Pugliatti, Pittura…, 2011, p. 25. Cfr. inoltre A. Mazzè, L’edilizia sanitaria a Palermo dal XVI al XIX sec. L’Ospedale Grande e Nuovo, Palermo 1992. []
  9. F. Meli, Nuovi documenti relativi a dipinti di Palermo dei secc. XVI e XVII, in “Atti dell’Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo”, s. IV, XVI, p. II, 1957. Il cognome corretto del committente è Scicli. Per approfondimenti sulla famiglia Scicli si rimanda alla lettura del volume di Antonino Palazzolo, La domus artis pannorum e il Venerabile Monte di Pietà a Palermo, Palermo 2005, pp. 35-36. []
  10. F. Meli, Nuovi documenti relativi a dipinti di Palermo dei secc. XVI e XVII, in “Atti dell’Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo”, s. IV, XVI, p. II, 1957. Il cognome corretto del committente è Scicli. Per approfondimenti sulla famiglia Scicli si rimanda alla lettura del volume di Antonino Palazzolo, La domus artis pannorum e il Venerabile Monte di Pietà a Palermo, Palermo 2005, pp. 35-36. []
  11. T. Viscuso, scheda n. 8, in Momenti del Cinquecento meridionale. Restauri e recuperi, Palermo 1985; A. Cuccia, Caccamo: i segni artistici, Caccamo 1988; Eadem, in L. Sarullo, Dizionario…, 1993, ad vocem. []
  12. M.A. Spadaro, Raffaello e lo Spasimo di Sicilia, Palermo 1991. []
  13. S. Bottari, Intorno a Simone de Wobreck, in “Siculorum Gymnasium”, ns., n. 1, 1951, p. 94. []
  14. T. Pugliatti, Pittura…, 2011, pp. 38-39. []
  15. G. Meli, Di Simone de Wobreck…,  in “Archivio Storico Siciliano”, ns., a. III, fasc. 2, 1878, p. 202. []
  16. B. Mancuso, Castello Ursino a Catania, Catania 2008, p. 73. []
  17. M.C. Di Natale, Il Museo Diocesano di Palermo, Palermo 2010, p. 89. []
  18. ASPa, Fondo notai defunti, Guagliardo Cusimano, st.I, vol. 4233, ff. non numerati, 28 ottobre 1587. Si veda anche T. Pugliatti, Pittura…, 2011, p. 139, che non riporta l’indicazione archivistica. []
  19. ASPa, Fondo notai defunti, GiulioTrabona, st. I, vol. 9713, ff.  non numerati, 21 agosto 1597. []
  20. ASPa, Fondo notai defunti, GiulioTrabona, st. I, vol.  9713, ff. non numerati, 27 agosto 1597. Si veda anche F. Meli, Nuovi documenti…, in “Atti dell’Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Palermo”, s. IV, XVI, p. II, 1957,  pp. 212-214. []
  21. Ibidem. []
  22. ASPa, Fondo notai defunti, Giacomo Vacanti, st. I, vol. 6976, 20 dicembre 1575. []
  23. F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale. Il Cinquecento, Roma 2002, vol. III, p.193. []
  24. ASPa,Tribunale Real Patrimonio (d’ora in poi TRP), Memoriali, vol. 189, f.. 92 e sgg. []
  25. Ibidem. []
  26. Ibidem. []
  27. Ibidem. []
  28. Ibidem. []
  29. https://www.icvbc.cnr.it/bivi/schede/Lombardia/Duomo/25cat_siena.htm. []
  30. G. Meli, Di Simone de Wobreck…,  in “Archivio Storico Siciliano”, ns., a. III, fasc. 2, 1878, p.  202-207. []
  31. ASPa, Fondo Secrezia, Fabbriche, vol. 1536, giugno 1577. []
  32. Su Marcantonio Colonna si veda R.F. Margiotta – G. Travagliato, «Lo quale pittore si domanda Sipione Cartaro Gaitano…». Scipione Pulzone, i Colonna e novità sulla committenza artistica per le chiese cappuccine di Sicilia, in Opere d’arte nelle chiese francescane. Conservazione, restauro e musealizzazione, Palermo 2013, che riporta ampia bibliografia. []
  33. Per approfondimenti sui lavori svoltisi nel Palazzo Reale rimando alla consultazione del saggio di C. Guastella, Ricerche su Giuseppe Alvino detto il Sozzo e la pittura a Palermo alla fine del Cinquecento, in Contributi alla storia della cultura figurativa nella Sicilia occidentale tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo, atti della giornata di studio su Pietro d’Asaro (Racalmuto 1985), Palermo 1985. []
  34. R. Calandra, Il Palazzo dei Normanni, Palermo 1999, p. 25 e sgg. []
  35. ASPa, Fondo Secrezia, Fabbriche, vol. 1536,  novembre 1578. []
  36. ASPa, Fondo Secrezia, Fabbriche, vol. 1536, f. 1 e sgg. []
  37. V. Di Giovanni, Topografia antica di Palermo dal sec. X al XV, Palermo 1890. []