Benedetta Montevecchi

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Ipotesi su una croce astile del Duomo di Montefiascone

DOI: 10.7431/RIV11012015

Le ricerche condotte per la realizzazione della mostra Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio dal XIII al XVIII secolo, attualmente in corso in Vaticano1, hanno contribuito ad ampliare la conoscenza del vasto e multiforme panorama di questo settore dell’arte laziale. Un settore indagato da tempo che tuttavia conserva ampi margini per ulteriori approfondimenti anche relativamente all’area finora più nota e indagata, cioè il viterbese dove, nel corso del XV secolo, si sviluppò una produzione orafa notevole ad opera di artisti influenzati dai molteplici apporti che giungevano da Siena, dall’Umbria, dall’Abruzzo, dalle Marche e, sebbene in proporzioni minori, dalle regioni settentrionali e transalpine. La maggior parte delle opere che si conservano ancora oggi sono anonime, ma non mancano esempi firmati, documentati o la cui committenza, certa o probabile, consente un buon margine di datazione come nel caso di quelli riconducibili a Bartolomeo Vitelleschi, vescovo di Corneto (Tarquinia) e Montefiascone negli anni 1449-1463. È invece da escludere dal novero delle oreficerie viterbesi la piccola e preziosa croce2 (Fig .1), oggetto di queste note, conservata nel Tesoro del Duomo di Montefiascone: un’opera già studiata, ma sulla cui collocazione stilistica e sulla cui inconsueta iconografia è forse possibile avanzare qualche nuova ipotesi.

La croce era stata tradizionalmente ritenuta dono di papa Urbano V all’atto dell’inaugurazione della nuova cattedrale di Montefiascone, elevata a sede vescovile nel 13693. Ma in occasione della grande mostra sui tesori di Roma e del Lazio4, Maria Andaloro rilevava gli evidenti caratteri stilistici quattrocenteschi dell’opera, assegnandola alla composita cultura orafa viterbese e accostandola, con qualche riserva, alla croce di Pietro Giovanni Giudice da Viterbo, conservata a Celleno, e all’arcaizzante croce di Cantalice, nel reatino, dalla predominante matrice abruzzese, con probabili contatti con la scuola orafa ascolana5. In seguito, Luisa Mortari6 ne confermava l’inserimento nella complessa ed elaborata produzione viterbese, e sottolineava il suggestivo particolare dei tre angeli che raccolgono nel calice il sangue di Cristo, particolare che la studiosa faceva derivare da opere abruzzesi coeve, notando altresì la finezza esecutiva del nodo, del tralcio vegetale lungo lo spessore e del bordo dentellato simile a quello della trecentesca croce di Vannuccio di Viva da Siena del Museo Diocesano di Orte. Nel catalogo della mostra sul Quattrocento a Viterbo7, Luisa Scalabroni riprendeva le proposte fin qui ricordate, riassunte anche nella recentissima scheda di Valentina Valerio nel volume pubblicato in occasione dell’attuale esposizione vaticana8.

La compresenza in questa mostra di alcune croci laziali consente utili confronti che evidenziano affinità e divergenze tra manufatti simili e coevi: la croce di Montefiascone si discosta dalle altre per la decisa originalità stilistica e iconografica. Nell’opera, infatti, non sono presenti elementi propriamente centro-italiani, quanto apporti settentrionali e soprattutto lombardo-veneti, di tradizione tardo-gotica. Ci si riferisce, in particolare, alla delicata e quasi impercettibile decorazione incisa, rifinita dalla puntinatura prodotta dai colpi di un minutissimo punzone, che interessa tutta la superficie liscia dei bracci, con un lieve motivo di volute e tralci vegetali. E’ un decoro riconducibile al delicato opus punctorium delle citazioni antiche, raffinata tecnica orafa utilizzata Oltralpe dalla metà del Trecento e adottata poi anche nell’oreficeria norditaliana, lombarda e veneta in particolare9. Al prezioso effetto luministico di questa ‘granitura’ che impreziosisce il fondo della croce con un delicato pittoricismo che richiama i decori di coevi dipinti su tavola, si accosta il lieve aggetto del girale vegetale dorato, con fiori e foglie intagliati a giorno, che si snoda, ondulante, lungo lo spessore della croce (Fig. 2). Il fine lavoro, delicatamente posato sul fondo liscio della lamina d’argento, ricorda i minuti racemi floreali dell’opus duplex, altra elegante tecnica orafa molto diffusa nell’oreficeria settentrionale10. E a modelli decorativi norditaliani può ricondursi anche il tipico, voluminoso nodo che culmina l’innesto per l’inserimento della croce nell’asta processionale (Fig. 3). A forma di sfera schiacciata, il nodo è sbalzato con una doppia serie di sei baccellature rigonfie, circondate da una cordonatura, nelle quali è inciso un decoro a pigna; nei punti di tangenza tra le baccellature posa una piccola foglia, mente negli spazi liberi è fissata una rosellina in rilievo; la cordonatura delimita anche le sei piccole specchiature dell’innesto, forse originariamente decorate.

In contrasto con tali preziosismi decorativi, accentuati dal gioco cromatico argento/argento dorato, si pone la fattura più corsiva delle figure, dal Crocifisso in argento parzialmente dorato, modellato a tutto tondo (Fig. 4), al massiccio Redentore benedicente del verso (Fig. 5), il cui trono è sostenuto da una mensola foliacea le cui nervature suggeriscono il simbolo francescano dell’Arbor Vitae.

Un discorso a parte meritano i tre angeli in volo che raccolgono nei calici il sangue che sgorga dalle ferite di Gesù11. Delle tre piccole figure, rivestite di lunghe tuniche raccolte in basso da un morbido panneggio, con le testine accuratamente acconciate e le ampie ali riunite, simili a quelle di grandi coleotteri, due si protendono dalle estremità della croce, sfiorando, con la mano libera dal calice, la mano del Crocifisso (Fig. 6), mentre la figurina in basso solleva entrambe le braccia per sostenere il calice sotto i piedi di Gesù (fig.3). Ma a differenza degli angeli sopra ricordati presenti nelle croci abruzzesi12, nelle quali uno solo cala dall’alto porgendo la corona verso il capo del Cristo che trionfa sulla morte13, qui gli angeli sono tre, piccole figure a tutto tondo che svolgono una diversa funzione, in un diverso contesto. Le tre microsculture, infatti, caratterizzano con immediatezza l’iconografia della croce, rendendola una sorta di ‘manifesto’ del tema devozionale del ‘Sangue di Cristo’, tema sostenuto e diffuso dagli ordini mendicanti con cui veniva sottolineata l’umanità sofferente del Redentore e dibattuto il valore salvifico del suo sangue. L’ iconografia, rarissima in un lavoro di oreficeria14, riprende gli innumerevoli esempi pittorici che, fin dalla seconda metà del Duecento, vengono proposti in ambito francescano, a cominciare dalle Crocifissioni assisiati di Cimabue e poi, dopo la Crocefissione di Giotto agli Scrovegni, dai tanti esempi proposti nella pittura tre e quattrocentesca. Rare, invece, le rappresentazioni scultoree, come l’originale croce a due facce scolpita in marmo dal toscano Andrea Guardi, intorno alla metà del XV secolo15, con il Crocifisso, sormontato da Dio Padre e dallo Spirito Santo, e tre piccoli angeli in volo che raccolgono il sangue di Cristo nei calici.

Proprio a metà Quattrocento, quella devozione cristologica motiva le contrapposte posizioni dei Francescani, che sostenevano la natura umana del sangue versato durante la Passione, e dei Domenicani, che ne propugnavano invece la natura divina. La violenza delle opposte fazioni, nel 1464 avrebbe indotto il pontefice Pio II ad emanare una bolla per proibire alle parti di disputare e predicare intorno all’argomento. Ma la personale e particolare devozione del pontefice per il sangue di Cristo si era rivelata qualche anno prima, nel 1459, quando egli si trovava a Mantova dove aveva riunito i rappresentanti delle potenze cristiane per organizzare una crociata in Terrasanta. Colpito da un grave attacco di podagra, il papa era guarito dopo avere invocato la celebre reliquia del Preziosissimo Sangue conservata in città, nella chiesa del monastero benedettino di Sant’Andrea; recatosi quindi a venerare personalmente il sacro cimelio, Pio II aveva dichiarato che questo venisse esposto ogni anno il giorno dell’Ascensione, dettando, inoltre, alcuni distici elegiaci da incidere sulla targa argentea offerta quale ex voto16.

La croce in esame, il cui ambito di produzione, come sopra argomentato, va individuato in una bottega norditaliana, forse lombarda, potrebbe essere stata fatta in quegli anni, magari proprio a Mantova, sede di una fiorente scuola orafa i cui statuti datavano all’inizio del XIV secolo. La particolare iconografia, che allude chiaramente alla devozione per il sangue di Cristo, potrebbe giustificarne la realizzazione nel periodo del soggiorno mantovano di Pio II al quale l’opera potrebbe essere stata offerta in dono. L’arrivo del prezioso manufatto a Montefiascone, infine, può ipoteticamente essere messo in relazione con la visita dello stesso Pio II nel viterbese nel 1462. Nell’occasione, il papa si recò in diversi luoghi sacri, concesse indulgenze e, secondo quanto tramandato, distribuì alcuni doni preziosi17 tra i quali si potrebbe annoverare anche la croce di Montefiascone, forse personalmente offerta al vescovo Bartolomeo Vitelleschi, legato al pontefice da antichi rapporti di alleanza politica e di amicizia18.

REFERENZE FOTOGRAFICHE – Archivio Fotografico Soprintendenza BSAE del Lazio

  1. Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio tra XIII e XVIII secolo, mostra a cura di A. Imponente e B. Montevecchi, Città del Vaticano, Braccio di Carlo Magno, 30 marzo – 30 giugno 2015. []
  2. Argento e metallo dorato; cm 28 x 22,5 x 2, nodo e fusto: alt. cm 15. La croce è stata restaurata a Roma negli anni 1954-1955 dal laboratorio Vitali, per conto della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio (cfr. A. Ballarotto, G. Breccola, D. Cruciani, G. Musolino, Montefiascone e la Basilica di Santa Margherita, Montefiascone 1992, pp.115-116). []
  3. G. Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, vol. XLVI Venezia 1847, p. 217. []
  4. M. Andaloro, Croce astile, in Tesori d’arte sacra di Roma e del Lazio dal medioevo all’ottocento, catalogo della mostra, Roma 1975, p.29, n.62. []
  5. L. Mortari, La croce nell’oreficeria del Lazio dal Medioevo al Rinascimento, in “Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’arte”, III, II, 1979, pp.229-343, in part.288–289. []
  6. Mortari, cit., pp.300-304. []
  7. L. Scalabroni, Oreficerie viterbesi tra Gotico e Rinascimento, in Il ‘400 a Viterbo, catalogo della mostra (Viterbo 1983), Roma 1983, pp.361-398, in part. 382-386. []
  8. V. Valerio, scheda n.22, in Sculture preziose. Oreficeria sacra nel Lazio tra XIII e XVIII secolo, a cura di B. Montevecchi, Roma 2015, p.197. []
  9. Sulla inconsueta presenza di tale decorazione anche in oreficerie marchigiane, cfr. B. Montevecchi, scheda III,18, in Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento, catalogo della mostra a cura di L. Laureati, L. Mochi Onori, Milano 2006, pp.176-177. []
  10. Un simile abbinamento, con un motivo vegetale finemente punzonato e un uguale serto floreale traforato, è proposto, per esempio, nel busto reliquiario di san Bernardo d’Aosta, opera di oreficeria milanese del 1424; cfr. C. Piglione, scheda n.142 in Il gotico nelle Alpi 1350-1450, catalogo della mostra (Trento 2002), pp.762-763. []
  11. Gli angeli sono fissati alla croce con tre grosse viti moderne, forse inserite durante il restauro di cui alla nota 2; secondo L. Mortari (cit., p.303), potrebbero essere probabili aggiunte posteriori il cartiglio con l’iscrizione “INRI” e la stella con lo Spirito Santo. []
  12. Mortari, cit., p.303; Scalabroni, cit., pp.382-383. []
  13. Si vedano, per esempio, la trecentesca croce della parrocchiale di Capradosso (cfr. Mortari, cit., p.286, fig.122), quella di Giacomo di Onofrio di Giovanni di Mastro Tommaso di Sulmona (1386-1448) di Montecassino (cfr. E. Mattiocco, scheda n.38 in Ave crux gloriosa. Croci e crocifissi dell’arte dall’VIII al XX secolo, a cura di P. Vittorelli, Montecassino 2000, pp.122-123), la grande croce di primo Quattrocento della Collegiata di Visso (MC) (cfr. M. Carugno, scheda n.16, in Ori e Argenti. Capolavori di oreficeria sacra nella provincia di Macerata, a cura di M. Giannatiempo Lopez, Milano 2001, p.99, fig.16). []
  14. Due angioletti che protendono i calici sotto le mani del Crocifisso sono inginocchiati sui due rami a voluta che aggettano dal braccio verticale di una croce di bottega orafa lombarda di primo ‘500 del Museo Diocesano di Milano; cfr. P. Venturelli, scheda n. 55 in Oro dai Visconti agli Sforza. Smalti e oreficerie nel Ducato di Milano, Milano 2011, pp.236-237. []
  15. Roma, Museo di Palazzo Venezia, deposito, inv. PV 10641; cfr. D. Gallavotti Cavallero, scheda n. 13 in Tracce di pietra. La Collezione dei marmi di Palazzo Venezia, a cura di M.G. Barberini, Roma 2008, pp.249-250. []
  16. Cfr. R. Signorini, Procumbe viator. Papi nel mantovano e a Mantova e la disputa sul ‘Preziosissimo Sangue di N.S.G.C.’ in Storia e arte religiosa a Mantova. Visite di Pontefici e la reliquia del Preziosissimo Sangue, catalogo della mostra, Mantova 1991, pp.7-54, in part. pp. 24-45. []
  17. Ci si riferisce, in particolare, alla croce reliquiario della chiesa di Santa Maria del Suffragio a Grotte di Castro; la notizia, non confermata da documenti, è contestata da M. Andaloro, Croce-reliquiario, in Tesori d’arte sacra…, cit., 1975, p.32. []
  18. Sui rapporti tra Pio II e Bartolomeo Vitelleschi, cfr. G. Insolera, Introduzione in Bartolomeo Vitelleschi, Il Passaggio e gli altri scritti del 1463, Civitavecchia 1996, pp.7-47. []