Georgia Lo Cicero

geo_satou@hotmail.com

Arti decorative all’Esposizione Ibero-Americana del 1929 a Siviglia

DOI: 10.7431/RIV10112014

L’esposizione Ibero-Americana si svolse dal 9 maggio 1929 al 21 giugno 1930 (Fig. 1), un evento storico-culturale che mutò per sempre l’urbanistica e la coscienza culturale di Siviglia. Il progetto, molto ambizioso, venne concepito per riallacciare i deboli legami economici che la Spagna aveva con le sue ex colonie e per rilanciare l’economia iberica, ferita profondamente dalla guerra d’indipendenza spagnola e dalla crisi economica che venne a crearsi, alimentata dalla mancanza di risorse e determinata dalla perdita delle colonie americane. L’evento proposto nel 1905 dal comandante di artiglieria Luis Rodriguez Caso, direttore della fabbrica di prodotti in vetro ‘’ La Trinidad’’1 e da un gruppo di privati2, venne organizzato a partire dal 1909, anticipato da eventi pilota come ‘’La fiesta de España en Sevilla’’; ma venne rallentato dal faticoso reperimento di fondi pubblici da affiancare a quelli privati, necessari per un tanto ambizioso progetto, ma soprattutto lo scoppio del primo conflitto mondiale non lo rese possibile sino agli anni ‘203.
L’esposizione venne organizzata a sud del centro storico, nei terreni appartenenti al Parque di María Luisa e attorno ad esso. Il parco era stato donato alla cittadinanza da María Luisa duchessa di Montpensier nel 1893 e i giardini, grazie a questa occasione vennero progettati dall’architetto francese Jean-Claude Nicolas Forestier. Siviglia, con l’exposición Ibero-Americana, ebbe l’opportunità di mettersi al pari con le altre capitali europee, implementando la pavimentazione cittadina, il circuito idrico ed elettrico e costruendo le infrastrutture di cui necessitava per ospitare il movimento economico e il turismo generato dall’evento. Oltre a paesi come Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Cuba, Marocco, Messico, Portogallo, Perù, Uruguay e Stati Uniti, parteciparono anche le comunità autonome della Spagna e le province dell’Andalusia. Per ognuno di essi, fu costruito un padiglione, interessando le zone del Prado San Sebastian, i giardini di San Telmo e il Paseo de Las Delicias. Vennero allestite diverse mostre, in uno spirito nazionalista4, inoltre venne organizzato un percorso sull’evoluzione della stampa.
Il centro dell’esposizione fu Plaza de España, nel cuore del Parque di María Luisa, la costruzione di forma semiellittica simboleggiava, assieme a tutte le azulejos5 che la decoravano, l’abbraccio della Spagna alle sue ex colonie e alle sue province. Il progetto in stile regionalista concepito e avviato da Aníbal Gonzales, venne portato avanti da Vicente Traver che ultimò le recinzioni e aggiunse la fontana al centro della piazza.
Il percorso espositivo che interessava le arti prese nome di Arte Antiguo e venne allestito fra il padiglione Reale6 (Fig. 2), creato per ospitare la Collezione Artistica della Casa Reale, quello di Arte Antiguo, Industrias Manufacturas y Artes Decorativa che oggi è il Palacio Mudéjar (Fig. 3) o Museo de Artes y Costumbres Populares e il palazzo di Bellas Artes, chiamato anche Pabellón Renacimiento, oggi Museo Arqueólogico de Sevilla (Fig. 4). I tre palazzi costruiti da Aníbal Gonzales esaltavano gli stili architettonici presenti in Andalusia, di fatto vennero realizzati rispettivamente in stile neogotico flamboyant, stile neomudéjar e neorenacentista.
I manufatti di arte decorativa vennero esposti sia nel Palácio Mudéjar che nel Palácio de Bellas Artes, come contorno a dipinti e statue; nel primo si preferì esporre un maggior quantitativo di arte suntuaria ecclesiastica, soprattutto corredi liturgici, mentre nel secondo si privilegiarono i gioielli. Cayetano Sánchez Pineda, direttore del Museo Provincial de Bellas Artes, nel prologo al catalogo dell’esposizione7 realizzato per l’occasione, precisa che la collocazione delle opere pittoriche, scultoree e di oreficeria, fu un lavoro diretto da un caso di necessità imposto da circostanze di tempo, spazio e luogo. Fino a poco tempo prima dell’inaugurazione, infatti, non si era certi del luogo prestabilito per la esposizione delle opere d’arte e si decise la costruzione del Palácio Mudéjar e del Palácio de Bellas Arte, non ritenendo sufficienti gli altri locali costruiti in Plaza de America. Tutto ciò fu oggetto di lunghe discussioni da parte della Comisíon Permanente e dell’ Architetto Aníbal Gonzáles, ideatore delle costruzioni della Grande Esposizione, prima che si riuscisse ad ottenere l’avvio all’ esposizione.
Per il criterio espositivo non venne seguito un ordine cronologico, ma vennero esposte solo le opere del passato ritenute inimitabili dalla Comisión Permanente in accordo con la Comisión de Arte, ponendo l’attenzione a ciò che poteva maggiormente attrarre il grande pubblico, non aspirando ad una esposizione con accezione scientifica ma principalmente estetica, il fine, infatti, era rendere l’esposizione un esperienza sugestiva Y atrayente8 per i fruitori. L’allestimento, in principio, doveva interessare principalmente le opere pittoriche e scultoree conservate nel Palácio Renacimiento, ovvero più di 50 opere di diverso autore, stile, scuola e dimensioni; a causa della varietà di questi manufatti si decise di valorizzare principalmente le tonalità, il colore e le luci, per un risultato armonico in una visione d’insieme. Le opere di oreficeria e argenteria, etichettate come arte industriale, vennero collocate in gradi vetrine, come arredamento di contorno alla collezione pittorica, pertanto si ritenne che questi manufatti dovessero necessitar poco estudio de colocación9, tenendo come unica condizione espositiva l’abbondante luce artificiale che facesse maggiormente risaltare lo splendore del metallo prezioso, la raffinatezza dello sbalzo e della cesellatura, l’opulenza degli smalti e delle pietre incastonate. Le finestre del Palácio de Bellas Artes vennero pannellate, in modo che i cristalli colorati non distorcessero la luce; le sale furono decorate con tele colorate di verde, grigio e rosso, accordandosi ai colori della zoccolatura in marmo delle pareti. Il Palácio Mudéjar invece venne illuminato con luce artificiale solo di notte, tutte le sale vennero tappezzate di stoffa rossa, bordata con un ricamo realizzato secondo il disegno di Sánchez Pineda. Le quattro sale ottagonali si decorarono con seta chiara a ornato floreale e fregi bronzei che ben si accordavano con le vetrine dorate usate per l’esposizione10. Tutt’oggi è possibile ammirare una delle vetrine usate per tale allestimento all’ingresso del Palácio Mudéjar, oggi Museo de Artes y Costumbres Populares.
Vennero prese delle precauzioni conservative solo per i quadri esposti, perché questi non subissero danni causati dal variare della temperatura, a causa del grande impiego di luce necessaria perché i manufatti metallici risplendessero attraendo il pubblico (Figg. 567). Si trattava di un concetto espositivo ottocentesco; di fatti l’esposizione contava su diverse grandi vetrine con un quantitativo indefinito di opere di natura e tecnica diversa ammassate insieme, dove i dipinti detenevano il primato per importanza e le norme conservative erano ben lontane da quelle odierne. Ogni vetrina esponeva in modo teatrale e appariscente, mobili, dipinti, sculture, armi, ceramiche, preziosi ventagli e poi naturalmente gioielli, argenteria e paramenti sacri, spesso decontestualizzati, ma esposti in un barocco trionfo. Il numero totale di opere esposte tra il Palácio de Bellas Artes e il Palácio Mudéjar fu 3.694, 1.380 nel primo e 2.314 nel secondo, superando tutte le previsioni. Molte vennero prestate da privati, soprattutto nobili come il marchese de Santillo e da personalità importanti per la città di Siviglia come Carlos Pickman, dalle prestigiose cattedrali spagnole pervennero paramenti sacri, libri miniati e carteggi reali, così come dalle numerose confraternite e conventi dei paesini limitrofi11.
Molte opere vennero chieste in prestito sotto segnalazione di Francisco Murillo Herrera e Diego Angulo Íñiguez, ritrovate grazie al loro lavoro di ricerca sul territorio. Professori dell’Università di Siviglia parteciparono al progetto di questa esposizione supportati dal Laboratorio de Arte dell’ Università fondato dallo stesso Murillo Herrera. Il loro lavoro di investigazione, per rintracciare molti manufatti di pregio con particolare riguardo all’ Arte Andalusa, risale già al primo dopo-guerra. Murillo Herrera credeva nel ruolo fondamentale della fotografia come tecnica di documentazione, pertanto ne fu un fervente sostenitore, ritenendolo uno strumento scientifico12 adatto all’insegnamento della Storia dell’ Arte e alla salvaguardia dei beni artistici. Aiutato così da un nutrito gruppo di fotografi il suo lavoro si materializzava in una ricchissima Fototeca, oggi proprietà dell’ Università di Siviglia. Per lavorare a stretto contatto con le opere esposte trasferirono le attrezzatura del Laboratorio dal secondo Patio de La Universidad Literaria al Pabellón Mudéjar sito in Plaza de America, per documentare, catalogare e fotografare parte (purtroppo non tutte!) delle opere esposte13. Il lavoro di documentazione svolto da questi studiosi è stato oggetto dell’ esposizione allestita al Pabellón Mudéjar dal 17 giugno al 7 settembre del 2014, in occasione delle manifestazioni organizzate per il Centenario del Parque de María Luisa. Molte delle loro foto, sono oggi un prezioso ausilio per non dimenticare le opere d’arte esposte in questa grandiosa manifestazione del 1929, di cui si sono perse le tracce a causa della disastrosa guerra civile spagnola e il secondo conflitto mondiale. Anche il marchese de Saltillo lavorò alla coordinazione della mostra dando il suo contributo alla segnalazione dei pezzi presenti nelle collezioni delle famiglie facoltose, ma la maggior parte furono offerte spontaneamente, quale orgoglio dei vari collezionisti. Come si leggeva nelle prime pagine del catalogo per il Palácio de Bellas Artes, Cayetano specificava che il lavoro venne fatto un po’ precipitosamente, di fatti le opere vennero raccolte e catalogate in meno di un anno, attenendosi ai dati forniti dai collezionisti. Il desiderio primario era di rappresentare al meglio e globalmente l’arte spagnola, ma si pensò di mostrare anche moltissime opere straniere, soprattutto italiane e americane per esibire sia la ricchezza posseduta dalle Hermandad e dai conventi, sia l’influenza reciproca in un vanto patriottico e campanilistico . Vennero esposte tele, come ad esempio il ritratto di Cristoforo Colombo di Tiziano e La Madonna del Garofano di Raffaello. I cataloghi, inoltre, elencano diversi manufatti, definiti in modo generale ’’italiani’’, non soffermandosi sul reale luogo di provenienza. I curatori dell’esposizione, infatti, si attennero e rispettarono le attribuzioni indicate dai proprietari. La mostra al Palácio de Bellas Artes si articolava in sedici sale e otto gallerie ( Fig. 8), la Sala n° 14 chiamata ‘’Maria Regordosa’’ venne adibita all’esposizione di una ricca collezione di gioielli, il catalogo venne stilato seguendo l’ordine espositivo delle varie sale, i numeri invece si riferivano all’ordine di acquisizione per la mostra. Assieme a manufatti spagnoli, francesi e maiorchini, reperti di epoca fenicia e romana, la prima opera italiana segnalata, con il numero 163 era una fede d’oro detta ‘’sortija’’ , di manifattura italiana del XIV secolo descritta come muy bien cincelada, y rubíes forma pointe naive, il numero 6 era una croce d’oro, definita di manifattura fiorentina del XV secolo, con smalti e un topazio brúles e piccole perle incastonate sul recto, il numero 46 una placca in avorio dipinto con soggetto religioso, manifattura italiana del XV secolo. Il numero 157 era, ancora, un anello ‘’sortija’’ del XV secolo, con uno smeraldo, la fede era lavorata a sbalzo. Al numero 8 del catalogo, veniva presentata una croce d’oro decorata con niellatura, smalto bianco, piccole perle, cristallo di rocca policromato manifattura italiana del XVI secolo, al numero 9 un negretto d’oro, smalto traslucido, con pietre incastonate che tiene in mano un pappagallino, ascritto a manifattura italiana del XVI secolo, numero 12, un cupido in oro e smalto traslucido, anche questo Italia XVI secolo. Questi pendenti, dalle forme variegate, decorati con smalti e pietre, ricordano quelli presenti nei tesori ecclesiastici siciliani, ad esempio le sirene poste sul busto reliquario di Sant’Agata14. Un reliquario a lanterna datato dai proprietari al XVI secolo, numero 13, presentava un lavoro di scultura finissimo ed era decorato con smalti e perle, parrebbe ricordare il reliquario per i Capelli della Vergine realizzato nel 1627 da Don Camillo Barbavara e che si conserva nella cattedrale di Piazza Armerina15 o comunque i meravigliosi smalti realizzati dai nostri artisti locali, così come il pezzo catalogato al numero 15 un gran reliquario in oro massiccio e smalti traslucidi, anche esso datato XVI secolo. Il manufatto catalogato con il numero 16 era definito come amuleto, quindi poteva trattarsi di una pietra stregonia come quelle presenti in molte collezioni private, al Museo Pepoli di Trapani o nei tesori ecclesiastici più studiati di Sicilia16. Questo veniva datato XVI secolo e presentava, appunto, sulla struttura in oro sia il cristallo di rocca che gli smalti traslucidi, molto simile quindi a quelli di manifattura siciliana. Il numero 17 era un cavalluccio in oro e smalti traslucidi, attribuito a Benvenuto Cellini, datato quindi XVI secolo. Si incontra un’altra croce d’oro al numero 41 di questo catalogo, presentava smalti policromi e perline, datata XVI secolo. Il numero 49 era un reliquario con cristallo di rocca e smalto traslucido del XVI secolo, purtroppo di questo come delle altre opere non venivano dati maggiori dettagli sulla manifattura e le tecniche eseguite. Un piccolo viso in porcellana, presentava degli occhi realizzati con diamanti rosa e la bocca di rubini, anche questo del XVI secolo. Un altro anello, presentava un viso con cappello, si apriva come una scatoletta per celare del veleno, lavorato a cesello, con smalti e occhi di rubino di manifattura veneziana del XVI secolo, era catalogato al numero 161. Al numero 19 si trovano degli orecchini in oro, smalti e perle, che raffiguravano il viso di un negretto, venivano datati al XVII secolo, come un’altra placchetta d’oro quadrata, decorata a smalti, che presentava una figurina, il cui soggetto però non è specificato nel catalogo. Al numero 80 veniva segnalata una Vergine in un pendente in cristallo di rocca, datato XVII secolo, non veniva specificata la provenienza Italiana, ma è da presupporre per la similitudine con le altre opere già incontrate e l’affinità con la tradizione siciliana di questa tipologia di opere. Gli orecchini segnati al numero 86 erano elogiati, da chi stilava il catalogo per la raffinatezza dei colori e i disegni in smalto sul supporto in argento e presentavano dei diamanti rosa, anche questi erano datati al XVII secolo. Altri due figurine di Cupido, una con rubini e perle e l’altra incompleta ma interamente smaltata, potrebbero essere come i precedente segnalati di manifattura italiana, erano catalogati rispettivamente con il numero 123 e 125. Una spilla in oro, raffigurante un cardinale era datata al XVII e presentava una decorazione in smalti, numero di catalogo 126; mentre al numero 82 veniva catalogata una Vergine in oro e smalti del XVIII secolo. Al numero 146 si trovava una fede di fidanzamento con due cuori in oro e argento, dove erano incastonati uno smeraldo e un rubino in ognuno dei due cuori, l’opera datata XVIII, stesso periodo della fede catalogata con il numero 149 definita ‘’ marcatamente italiano’’, con incastonati un diamante rosa e uno smeraldo. Si trattava delle ultime opere di oreficeria italiana segnalate sul catalogo come esposte al Pabellion de Bellas Artes. Nella sala n° 15 (Fig. 9), vennero esposte le opere provenienti da la ‘’Santa, Metropolitana Y Primada Iglesia de Toledo’’: tele, statue, messali e altri preziosi libri miniati, azulejos e arte suntuaria di periodi differenti, esposti tutti insieme nella medesima sala. La catalogazione aveva un ordine numerico e non secondo l’esposizione in vetrina. Solo una statua d’argento alta 1,40 m, veniva descritta come di manifattura italiana. Era una raffigurazione allegorica dell’ America, aveva smeraldi incastonati e una lavorazione a sbalzo e cesello, catalogata con il numero 30. Datata 1695, questa era un dono di María de Neoubourg, regina vedova di Carlo III di Spagna alla diocesi di Toledo.
Il Catálogo del Palácio de Bellas Arte, venne stampato da la Imprenta de la Exposicion nel 1930, era una guida molto sintetica sui manufatti esposti che rispettava l’attribuzione data alle opere alla loro consegna a cui venne aggiunta solo qualche considerazione e osservazione da parte degli operatori che allestirono la mostra. Alla fine del catalogo erano presenti delle foto di opere prettamente spagnole e la pianta architettonica del palazzo. Di questo catalogo vennero prodotti due copie in carta imperiale giapponese numerate a stampa, cento esemplari in Gran papel de Hilo, numerati a mano non finalizzati alla vendita, quindi verosimilmente omaggi per le personalità intervenute all’ evento e duemila esemplari in carta simil giapponese per la vendita. Vennero stampati anche dei piccoli cataloghi gratuiti inerenti ad alcune collezioni esposte, ad esempio per la collezione delle opere dello scultore Mateo Inurria offerte da D.ª María Serrano.
Il Catálogo de la Sección de Arte Antiguo , invece venne stampato dalla tipografia Gómez Hnos sempre nel 1930, non aveva alcuna illustrazione ne introduzione ed era un elenco numerato molto sintetico con una descrizione tecnica delle opere esposte, lo stile artistico e il proprietario dell’opera. Sporadicamente venivano citati gli autori spagnoli più famosi, la descrizione però era così sintetica da non consentire nessuna ipotesi plausibile sulla provenienza dell’opera. Le opere arrivate da Murcia, esposte anch’esse al Palácio Mudéjar, vennero scelte dalla Comisaría General de los Comités del Reino de Murcia, presieduta da don Isidoro de la Cierva, coinvolto nel progetto dal 192817. Venne prodotto un catalogo più piccolo, prettamente monografico, dedicato a queste opere e le foto prodotte sono tutt’oggi un valido strumento di studio per ricostruire la storia di alcuni di questi manufatti che dopo questo grande evento sono giunti in collezioni diverse. L’allestimento del Palácio Mudéjar si snodò per tutte le gallerie basse, in una delle sale superiori e la corrispondente galleria. Vennero esposte, sempre secondo moduli ottocenteschi, manufatti di tipologia diversa ma soprattutto di provenienza ecclesiastica, ad esempio dalle diocesi di Siviglia, Huelva, Cádiz e Málaga, ma anche da province spagnole lontane come Madrid, Zaragoza, Palencia e Santiago de Compostela, cioè le più ricche e importanti. Le foto arrivate fino ad oggi, realizzate dal Laboratorio de Arte, proprio per lo spirito campanilistico dell’intera manifestazione raffigurano le opere di manifattura iberica, simbolo della creatività e dell’opulenza della penisola. Si sfruttarono le capienti sale del palazzo per esporre trionfalmente le diverse opere, prevalentemente sculture a tema religioso in legno poste su piedistalli a forma di parallelepipedo , corredi liturgici, paramenti sacri, corali miniati e mobilio di fattura andalusa. Nella sala 7 (Fig. 10) venne collocato addirittura il retablo ligneo del monatero di San Esteban de Cenizate (Albacete), ponendo gli oggetti intorno e ricostruendo globalmente l’ambiente ecclesiastico. Moltissime croci astili ed enormi ostensori architettonici usati per le varie processioni vennero esposti sui piedistalli, mentre lunghe vetrine in legno esponevano insieme calici, ostensori, carteglorie, pissidi, patene e piatti da parata. Non venivano segnalate opere di manifattura italiana, ma è verosimile che, vista la partecipazione del complesso dei Los Venerables con le celebri statua lignee di San Pietro e San Fernando realizzate da Roldán esposte nella sala 10 (Figg. 11 e 12), fossero presenti ed esposti, in una di queste affollate vetrine, anche i tre trionfi in corallo18, oggi esposti nella chiesa dello stesso complesso, proprietà della fondazione Focus- Abengoa. E’ possibile, quindi, che fossero presenti opere di manifattura italiana, ma soprattutto del sud Italia, colonia privilegiata spagnola, che però non vennero identificate come tali dai collezionisti e dai curatori museali dell’ epoca. Questo lascia interessanti spunti di ricerca soprattutto nel campo delle arti decorative siciliane, visto che l’isola italiana era una fucina grandemente produttiva di opulente opere di oreficeria, molto apprezzate e ricercate dai nobili e i prelati iberici che venivano per lunghi o brevi soggiorni nel vice-regno spagnolo, portando via con se preziosi souvenirs in oro, smalti, argento e corallo che avrebbero stupito e attirato l’ammirazione delle corti europee.
L’ esposizione Ibero- americana svoltasi nel 1929 a Siviglia, fu un evento epocale per la città ma sopratutto per l’identità e l’orgoglio spagnolo, ancora oggi visitando i palazzi superstiti è possibile percepire l’ambizione con la quale era stato pensato l’intero progetto. La mostra di Arte Antiguo, allestita tra i tre meravigliosi e imponenti palazzi ospitati a Plaza de America, s’inserisce in pieno nell’idea del progetto. Nonostante il metodo espositivo che venne adottato sia lontano dai canoni moderni, l’idea di valorizzare le arti decorative con i suoi diversi materiali, mostrando la perizia e il talento degli artigiani, desiderando incidere nella memoria dei visitatori un’ esperienza estetica indimenticabile, mostra un sentimento moderno nell’apprezzamento dell’arte decorativa di pregio.

  1. E. Rodriguez Bernal, La exposición ibero-americana de Sevilla de 1929 a traves de la prensa local. Su genesis y primeras manifestaciones (1905-1914), Sevilla 1981, pagg. 43-45. []
  2. La Comisión iniciadora era formata oltre che da Rodríguez Caso, anche da Francisco Pacheco e Nuñez de Prado, marchese di Gradul, l’avvocato Manuel Rojas Marcos, Manuel Corbato García proprietario di una fabbrica di ceramica, Fernando Silva dell’industria militare, Miguel Quesada Denis amministratore de La Fábrica de Tabacos e Narciso Ciaurriz Rodríguez politico. []
  3. Sulla Esposizione Ibero-Americana del 1929 si veda anche N. Ciaurriz, Origen y primeros trabajos de la Exposición Ibero – Americana, Sevilla 1929; Exposición Ibero-Americana 1929-1930, Catalogo de la Seccion de Arte Antiguo : Palácio Mudéjar, Sevilla 1929. Per la consultazione di questi libri rari e preziosi ringrazio Ana D. Navarro Ortega direttrice del Museo Arqueólogico de Sevilla, Rosario del Valle e Isabel Vera Lozano. []
  4. Cfr. E. Rodriguez Bernal, La exposición….,1981, pag. 49.) mirate a incoraggiare il turismo, già stimolato da eventi come la Feria de Abril e dalla Settimana Santa, promuovendo l’artigianato e i prodotti locali (Cfr.E. Rodriguez Bernal, La exposición….,1981, pagg. 40-43 []
  5. Le azulejos sono delle ceramiche smaltate, tradizionalmente di colore azzurro o policrome retaggio della dominazione araba nella Penisola Iberica. []
  6. Il Pavellion Real oggi ospita degli uffici municipali, ma è già partito un progetto che a breve lo trasformerà in museo per ospitare la collezione artistica che Mariano Bellver ha voluto donare alla città di Siviglia. []
  7. C. Sánchez Pineda, Catalogo del Palacio de Bellas Artes sección de arte antiguo, Sevilla 1930, p. I. []
  8. C. Sánchez Pineda, Catalogo …, 1930, p. III []
  9. C. Sánchez Pineda, Catalogo …, 1930, p.IV []
  10. B. Navarrete Prieto, Francisco Murillo Herrera y Diego angulo en la Exposición de Arte Antiguo, in Arte Antiguo en la exposición iberoamericana de 1929, catalogo della mostra a cura di B. Navarrete Prieto, Sevilla 2014, pag. 78. []
  11. Arte Antiguo en la exposición iberoamericana de 1929, catalogo della mostra a cura di B. Navarrete Prieto, Sevilla 2014, p.9. []
  12. Cfr. L. Méndez, La Ciencia del Arte y la Fotografia, in Arte Antiguo …, Sevilla 2014, pagg. 43-44. []
  13. L. Méndez, La Ciencia del Arte y la Fotografia, in Arte Antiguo …, Sevilla 2014, pag. 51. []
  14. M.C. Di Natale, Gioielli di Sicilia, Palermo 2000, II ed. 2008, pp. 29-46. []
  15. M.C. Di Natale, Gioielli …, Palermo 2000, II ed. 2008, p. 129. []
  16. M.C. Di Natale, Gioielli …, Palermo 2000, II ed. 2008, pp. 105-128. []
  17. B. Navarrete Prieto, Arte Antiguo…, 2014, pp. 85,86. []
  18. G. Lo Cicero, Corallo per Santa Rosalia tra Sicilia e Spagna, in Digitalia Rara, ‘’ collana di ebook a cura di M. C. Di Natale’’, 2013, https://www.unipa.it/oadi/digitalia/03_lo_cicero.pdf. []