Jacek Kriegseisen

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I gioielli etnici polacchi ornati di corallo e la loro “seconda vita”

DOI: 10.7431/RIV10102014

Gli aspetti legati all’uso del corallo nell’artigianato polacco, specialmente per quanto riguarda i gioielli antichi, oggigiorno rimangono ai margini degli interessi degli storici dell’arte e vengono generalmente trattati da etnografi ed etnologi.

Il particolarmente interessante fenomeno dell’uso del corallo nella realizzazione dei monili del XIX secolo nella zona di Cracovia è già stato studiato e descritto molti anni fa1. Anche se, come è noto, le collane di corallo venivano spesso portate in tutta la Polonia (non erano usate soltanto nella parte nord e nord-orientale della Polonia e nel distretto di Cieszyń nella Slesia)2 (Fig. 1) non esistono studi dettagliati per le altre regioni e il loro uso viene solo ricordato in alcuni scritti sintetici3.

Non sappiamo per quali vie il corallo fosse importato in Polonia ma si pensa che la materia prima fosse trasportata direttamente dall’Italia meridionale (da Napoli, piuttosto che da Trapani) oppure dalla Francia (da Marsiglia)4.

Nel territorio della Polonia, certamente come prodotto finito, veniva distribuito attraverso vie diverse – i contadini acquistavano i monili di corallo nei mercati, alle fiere, alle sagre e dai venditori ambulanti mentre i più ricchi li ordinavano nelle botteghe degli orefici nelle vicine città5.

In Polonia, come in altre parti dell’Europa e al di fuori di essa6, i gioielli etnici avevano funzioni diverse: prima di tutto fungevano da ornamento per l’abito della festa ed erano indice di un alto status sociale e quindi, indirettamente, erano un segno della posizione della persona nella comunità contadina. Per quanto riguarda le collane fatte di corallo e ambra7, questo tipo di monile aveva anche la funzione di talismano o gioiello apotropaico. Le croci e le medagliette fissate alle collane, spesso portate da luoghi di pellegrinaggio, non erano soltanto una decorazione ed un souvenir, ma avevano anche una funzione difensiva8. Ai grani di corallo veniva attribuita una forza magica e poteri di difesa contro gli incantesimi e le malattie. Alla base di queste credenze c’era senz’altro la fede nella straordinaria forza del colore rosso. Secondo la tradizione popolare polacca, se il corallo rosso sbiadiva, era segno che la persona che lo portava era ammalata e, al contrario, se il corallo sbiadito cominciava ad assumere una tonalità più intensa, era la prova che la persona stava guarendo. In alcune zone della Polonia la fede nella forza magica del corallo come mezzo per prevenire le malattie degli occhi e della tiroide era talmente grande che le donne non si toglievano le collane nemmeno durante la notte9.

Nelle campagne polacche le collane di corallo erano anche usate come un buon investimento di denaro10.

Tre fili di grani di corallo, appunto questa combinazione era indossata più spesso, potevano avere un valore di 4–5 mucche o uno iugero di terra (circa 0,56 ettari). Quei gioielli avevano un valore così grande che le collane erano incluse nei testamenti, provocavano controversie legate all’eredità ed erano perfino accettate come pegno per prestiti in denaro11. Non è quindi strano che nella maggior parte delle regioni della Polonia le collane di corallo fossero molto spesso un elemento indispensabile della dote. In genere erano acquistate per le ragazze da marito e poi la donna sposata le portava fino a quando non le dava alla figlia. Nel sud della Polonia, fino all’inizio del XX secolo, una ragazza che non possedeva veri coralli non poteva contare di sposarsi con un buon partito12. Nella regione di Podhale (una regione montagnosa a sud di Cracovia) possedere dei coralli era apprezzato più di ogni altra cosa (Fig. 2) e le contadine ricche portavano collane il cui peso poteva arrivare ai 400 g. Questa tradizione è viva ancora oggi13.

In tutta la Polonia i gioielli vengono generalmente ereditati dal ramo femminile della famiglia. Molto spesso le collane di corallo, per il loro grande valore sia materiale che affettivo erano lasciate alle chiese come ex voto14.

Nel territorio della Polonia il corallo di colore intenso, naturalmente senza macchie o difetti, era più apprezzato15. Le collane più pregiate erano quelle con elementi di forma quasi sferica, quelle con elementi di forma ovale erano meno pregiate e le meno costose erano quelle composte da “scarti”, cioè grani a forma cilindrica di diverse dimensioni16 (Fig. 3). In genere veniva indossato un numero dispari di fili di perle, le contadine più ricche potevano averne anche parecchi fili17. Una curiosità, che illustra quanto fossero popolari queste collane fatte di corallo, è che in lingua polacca una collana fatta di elementi uguali, non importa di che materiale e di che colore siano, viene chiamata “coralli”.

Nella zona di Cracovia le collane di corallo erano decorate con croci di diversi tipi e grandezza (Fig. 4). Le più caratteristiche erano le croci greche, in argento, spesso in lega di rame argentata, raramente d’oro (Fig. 5), ornate con incisioni che illustravano gli strumenti della passione di Cristo e decorate con cinque coralli semisferici18 (Fig. 6). Caratteristici per le zone rurali attorno a Cracovia, a parte le collane in corallo, erano anche gli anelli in argento con un corallo incastonato, ma più spesso erano realizzati con una lega di metalli non preziosi che venivano poi argentati. Quelli maschili erano in realtà delle fedi decorate con tre coralli allineati (Fig. 7), mentre in quelli femminili veniva più spesso incastonato un solo corallo (Fig. 8), attorno al quale venivano posti grani di corallo più piccoli oppure granati (Fig. 9). Nello stesso modo venivano decorate anche le spille ferma colletto, usate sia dalle donne che dagli uomini19 (Fig. 10). La moda del gioello di corallo tramontò intorno al 1900 e a Cracovia agli inizi del XX secolo gli ordini per questo tipo di gioiello divennero rari20.

Inaspettatamente però i gioielli di corallo tornarono di moda in Polonia dopo la seconda guerra mondiale21.

All’inizio le manifatture orafe che si occupavano della creazione di gioielli non erano limitate né dal punto di vista della quantità né da quello delle materie prime con cui venivano lavorati. Gli anni del dopoguerra favorirono la rinascita della vita e l’aumento della richiesta per la lavorazione dei gioielli. La loro produzione era sicuramente favorita dalla disponibilità della materia prima, ottenuta dagli oggetti d’argento ritrovati tra le macerie delle città, e, di conseguenza, dai prezzi relativamente bassi. I premi ricevuti già tre anni dopo la fine della guerra nelle mostre negli Stati Uniti, in Francia ed in Belgio sono la prova dell’alto livello raggiunto nella creazione dei gioielli artistici realizzati in quel periodo22.

Negli anni seguenti, quando il governo socialista introdusse un limite nella distribuzione delle materie prime (soprattutto dell’oro), quando venne limitata la partecipazione degli imprenditori privati alla vita economica del paese e quando lo stato monopolizzò quasi completamente la vendita dei gioielli, gli orafi rimasti sul mercato e organizzati in cooperative cominciarono a realizzare gioielli artistici23, molto spesso usando metalli comuni. Questa tappa dello sviluppo dell’arte del gioiello in Polonia non è ancora stata studiata in modo approfondito.

Le citate cooperative e gli artisti che vi lavoravano nei difficili anni 60, 70 e agli inizi degli anni 80 del XX secolo, quando l’economia socialista dominava e rovinava il mercato, contribuirono, appunto, allo sviluppo della progettazione dei gioielli. In quel periodo soprattutto i gioielli d’ambra acquistarono popolarità24.

Grazie alla disponibilità della materia prima (principalmente nel nord della Polonia) e soprattutto al suo prezzo relativamente basso. L’ampia offerta di gioielli più o meno elaborati portò al deprezzamento dell’ambra come materia prima. Si riteneva che i gioielli (collane, braccialetti, ciondoli) realizzati in ambra grezza o levigata fossero meno prestigiosi perchè a buon mercato.

Allo stesso tempo in quel periodo si giunse all’urbanizzazione e alla migrazione della popolazione dalle aree rurali verso le città. Si ritiene che tale processo sia stato un segno di progresso sociale che ha, però, portato alla perdita dell’identità contadina. Un segno di questo fenomeno è attualmente la quasi completa mancanza dell’uso dei costumi tradizionali che oggi è possibile ammirare principalmente nelle piccole città e soltanto in occasione di cerimonie e festeggiamenti religiosi. Soprattutto negli anni 60 e 70 del XX secolo ci furono ingenti svendite di gioielli etnici. Alcuni gioielli, probabilmente gli esemplari migliori, andarono ad arricchire le collezioni dei musei, ma la maggior parte finì nel mercato dell’antiquariato.

Tali fenomeni portarono ad un ritorno dell’uso del corallo nella progettazione e nella creazione dei gioielli. Nella realizzazione di nuovi gioielli venivano usati elementi degli antichi manufatti popolari. In particolare le collane di corallo, che venivano disfate per usare i singoli elementi, erano ideali per questo scopo (Fig. 11). Un grano di corallo o più incastonati nell’argento davano un effetto artistico interessante. Questo dava al corallo una “seconda vita”. Il fatto curioso è che ci si ispirava ai modelli dell’arte popolare, eseguendo lavori che copiavano gli antichi gioielli etnici (anelli – Fig. 12, braccialetti – Fig. 13, collane – Fig. 14, spille – Fig. 15) e che erano una loro libera imitazione artistica (Fig. 16), per staccarsi infine negli ultimi anni, da qualsiasi somiglianza con l’arte etnica25 (spille – Fig. 17, ciondoli – Fig. 18).

  1. T. Seweryn, Krakowskie klejnoty ludowe / Les parures populaires de Cracovie, (Wydawnictwa Muzeum Etnograficznego w Krakowie / Bibliothèque du Musée d’Ethnographie à Cracovie, nr 7), Kraków 1935; E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa w Polsce, (Ocalić od zapomnienia), Warszawa 2008, p. 16. []
  2. E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, p. 5; M. Michalczyk, Hoczki, knefle, orpanty… Bizuteria cieszyńska w zbiorach Muzeum Śląskiego, Katowice 2007. []
  3. E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008; D. Zahel, Biżuteria z korala w zbiorach Muzeum Narodowego Ziemi Przemyskiej, catalogo della mostra (Museo Nazionale di Przemyśl), [Przemyśl 2009]. []
  4. Una risposta a questa domanda potrebbe essere data da una ricerca d’archivio condotta negli archivi italiani o francesi. Cfr. A. Putaturo Murano – A. Perriccioli Saggese, L’arte del corallo. Manifatture di Napoli e Torre del Greco fra Ottocento e Novecento, Napoli 1989, p. 19. Per la tradizione trapanese cfr. A. Daneu, L’arte trapanese del corallo, Milano 1964; L’arte del corallo in Sicilia, catalogo della mostra a cura di C. Maltese e M.C. Di Natale, Palermo 1986; M.C. Di Natale, Oro, argento e corallo tra committenza ecclesiastica e devozione laica, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2001, pp. 22-69; M.C. Di Natale, I maestri corallari trapanesi dal XVI al XIX secolo, in Materiali preziosi dalla terra e dal mare nell’arte trapanese e della Sicilia occidentale tra il XVIII e il XIX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 2003, pp. 23-56; M.C. Di Natale, L’arte del corallo a Trapani, in C. Del Mare – M.C. Di Natale, Mirabilia coralii. Capolavori barocchi in corallo tra maestranze ebraiche e trapanesi, Napoli 2008, pp. 55-87; M.C. Di Natale, Ars corallariorum et sculptorum coralli a Trapani, in Rosso corallo. Arti preziose della Sicilia barocca, catalogo della mostra a cura di C. Arnaldi Di Balme, S. Castronovo, Cinisello Balsamo (MI) 2008, pp. 17-33; M.C. Di Natale, I coralli della Santa Casa di Loreto, in Sicilia ritrovata. Arti decorative dai Musei Vaticani e dalla Santa Casa di Loreto, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale, G. Cornini e U. Utro, Palermo 2012, pp. 109-132; M.C. Di Natale, Ad laborandum curallum, in I grandi capolavori del corallo. I coralli di Trapani del XVII e XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di V.P. Li Vigni, M.C. Di Natale, V. Abbate, Cinisello Balsamo (MI) 2013, pp. 39-55. []
  5. E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, p. 18. []
  6. C. Del Mare – E. Zolla, Il corallo nella gioielleria etnica della Mongolia, (Le vie del corallo, 1), Napoli 1997; C. Del Mare – M. Vidale, Il corallo nel gioiello etnico indiano, (Le vie del corallo, 2), Napoli 1999; C. Del Mare – M. Vidale, Il corallo di Samarcanda. L’ornamento dell’Asia islamica della Tirchia all’Uzbekistan, (Le vie del corallo, 3), Napoli 2001; C. Del Mare – A. De Maigret, Il corallo dal Regno di Saba. Gioielli etnici e costumi tradizionali dello Yemen, (Le vie del corallo, 4), Napoli 2003; C. Del Mare – F. Russo, Il corallo nel gioiello etnico di Marocco a Algeria, (Le vie del corallo, 5), Napoli 2005; C. Del Mare – S.J. Tisdale, Il corallo dei nativi d’America, (Le vie del corallo, 6), Napoli 2007. []
  7. J. Jastrzębski, Bursztynnictwo kurpiowskie, Warszawa 2002, pp. 33–36 []
  8. T. Seweryn, Krakowskie klejnoty…, 1935, p. 9; E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, p. 5, 21. []
  9. T. Seweryn, Krakowskie klejnoty…, 1935, p. 13; E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, pp. 16–17. []
  10. Nel mercato dell’antiquariato compaiono pezzi di peso considerevole (180 g, 230 g). Raggiungono il prezzo (facendo il cambio) di circa 20 euro al grammo. []
  11. E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, pp. 20–21. []
  12. Ibidem, pp. 20–21. []
  13. Ibidem, pp. 20–21. []
  14. Ibidem, pp. 20–21. []
  15. Le perle di corallo con cavità accentuate vengono chiamate “bacate”. []
  16. E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, p. 22. []
  17. Ibidem, p. 22, 25, 94. []
  18. T. Seweryn, Krakowskie klejnoty…, 1935, pp. 25–29;  E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, pp. 94–103. []
  19. T. Seweryn, Krakowskie klejnoty…, 1935, pp. 15–21; E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, pp. 142–149. []
  20. E. Piskorz – Branekova, Biżuteria ludowa…, 2008, p. 22, 25, 94. []
  21. Nonostante la ricchezza di materiali, non abbiamo ancora uno scritto sintetico sulla storia dei gioielli in Polonia negli anni del dopoguerra, zob. I. Huml, Zwierciadło sztuki – Imago Artis. Spółdzielnia Rękodzieła Artystycznego 19471998, Warszawa 1982; Polska biżuteria artystyczna z lat 1945–1950 ze zbiorów Muzeum Narodowego w Warszawie, catalogo della mostra, (Museo di Arte Orafa di Kazimierz Dolny), Warszawa 1999; A. Kasprzak-Miler, Polska biżuteria artystyczna z lat 19451950, [w:] Biżuteria w Polsce, (Rzemiosło artystyczne i wzornictwo w Polsce). Materiały z sesji naukowej zorganizowanej przez Muzeum Okręgowe w Toruniu oraz Toruński Oddział Stowarzyszenia Historyków Sztuki 20–21 kwietnia 2001 roku, pod patronatem Krajowej Izby Gospodarczej Jubilersko-Zegarmistrzowskiej, a cura di K. Kluczwajd, Toruń 2001, pp. 147–159; K. Dunajewski, Stefan Płużański – projektant biżuterii, [w:] Biżuteria w Polsce. Amulet – znak – klejnot, (Rzemiosło artystyczne i wzornictwo w Polsce). Materiały z IV Sesji Naukowej zorganizowanej przez Toruński Oddział Stowarzyszenia Historyków Sztuki oraz Międzynarodowe Targi Gdańskie S.A. w Gdańsku, w dniach 6–7 marca 2003 roku, a cura di K. Kluczwajd, Toruń 2003, pp. 108–113, figg. a pp. 200–202; I. Huml, Imago Artis krakowskie – zwierciadło sztuki. Spółdzielnia Rękodzieła Artystycznego 19471998, [w:] Biżuteria w Polsce. Amulet – znak – klejnot…, 2003, pp. 102–107, figg. a pp. 198–199; Granice srebrnych przestrzeni… Polska biżuteria II połowy XX wieku / Boundaries of silver spacer… Polish jewellery from the secondo half of the 20th century, catalogo della mostra, (Galleria d’Arte di Legnica, Museo dell’Ambra di Danzica), Legnica 2011. []
  22. A. Kasprzak-Miler, Wprowadzenie, in Polska biżuteria…, p. 3. []
  23. I. Huml, Z panoramicznej perspektywy, in Granice srebrnych przestrzeni…, pp. 3–6. []
  24. J. Grabowska, Polski bursztyn, Warszawa 1982, passim; E. Mierzwińska, Dzieje bursztynu, Malbork 1989, passim; E. Mierzwińska, Bursztyn w sztuce, Malbork 1998, passim. []
  25. Cfr. A. Wojciechowski, Elementy sztuki ludowej w polskim przemyśle artystycznym XIX i XX wieku, Wrocław 1953; W. Telakowska, Twórczość ludowa w nowym wzornictwie, Warszawa 1954; W. Telakowska, W kręgu chłopskiej kultury. Inwencja ludowa we współczesnej wytwórczości, Warszawa 1970. []