Salvatore Anselmo

salvatore.anselmo@tiscali.it

Documenti editi e inediti su due argentieri attivi nelle Madonie nel XVIII secolo: Marco Li Puma e Gregorio Balsano (Balsamo)

DOI: 10.7431/RIV10062014

È noto come nel Settecento, a seguito dell’imperante gusto tardo barocco prima e rococò dopo, si sia assistito al rinnovamento stilistico di chiese, conventi, monasteri e palazzi nobiliari di piccoli e grandi centri, con la parziale, ma a volte anche totale, conseguente eliminazione di tutte le opere commissionate nei secoli precedenti. Sono stati, infatti, distrutti polittici, smontate ancone marmoree, rifatte cappelle e tutto quello che ad esse era connesso, come arredi lignei, suppellettili liturgiche e quant’altro servisse alla liturgia nelle chiese o all’arredo nei sontuosi palazzi. Lo dimostrano i diversi artisti e artigiani chiamati nello specifico nei centri delle Madonie per realizzare opere in marmo, tela, legno, stucco, argento, oro, pietre preziose, alabastro, madreperla, corallo e bronzo in sostituzione di precedenti esemplari. Si tratta, come hanno dimostrato i recenti studi sul ricchissimo patrimonio madonita, di artisti che si spostavano dal capoluogo siculo oppure dai centri vicini per stabilire la propria bottega in uno dei tanti paesini per poi soddisfare le numerose commesse di prelati, parroci, nobili, devoti, confraternite e associazioni.

Se ne era accorta già la stessa Maria Accàscina quando, viaggiando negli anni 30-40 del secolo scorso tra i paesi madoniti, scrisse affascinanti parole sul patrimonio artistico del luogo coniando il fortunato epiteto “barocchetto madonita”. In uno dei tanti articoli pubblicati nel Giornale di Sicilia, non a caso dal titolo Nei paesi delle Madonie. Barocchetto Madonita, la studiosa scrive che «Madame de Pompadour “La Marrane du Rococò” sarebbe ben lieta di un viaggetto nelle Madonie, nel ritrovare anche qui, in questi paeselli solitari, quel suo stile leggiadro elegantissimo, che al marmo, al bronzo, all’oro ed al legno impose inchini riverenze. Non vi è qui un’architettura popolare, rusticana, né un’architettura colonica….ma vi è un’architettura borghese e religiosa sovente aristocratica e raffinata, improntata a due stili: il gotico e il barocchetto… il barocchetto penetrò nel 700 con un enorme forza vitale e si propagò dappertutto, nelle chiese, nei collegi, negli oratori, con le sue linee curve, le sue conchigliette, le sue colonnine tortili, fregi e svolazzi. Un barocchetto così fragile, così elegante, e cittadino da far pensare a maestranze palermitana, se la qualità degli oggetti e qualche nome di decoratore indigeno non affermasse l’esistenza di maestranze locali. Erano maestranze abilissime. Bisogna vedere come intagliavano, scolpivano doravano il legno: vedere ad esempio, l’immensa custodia della chiesa di S. Maria della Grazia a Polizzi, prodigio di tecnica, l’altra più piccola ma egualmente bella nella chiesa di Petralia Soprana, il pulpito tutto scoppiettante di frastagli d’oro nella chiesa di San Francesco di Petralia Sottana, gli armadi stupendi delle sagrestie, i seggi, le cassapanche, gli sgabelli, le innumerevoli cornici, sparse ovunque, per ammirare questi umili artieri che isolati tra le montagne nevose sapevano con tanta grazia attendere alla loro modesta arte e sapevano lavorare il legno, questo buon legno che da il fuoco e l’ombra, la casa e la tomba, con tutte le tecniche e tutte le risorse»1. Dopo aver esaminato le varie architetture madonite, come le chiese del Santissimo Salvatore e di Santa Maria di Loreto di Petralia Soprana o del Collegio dei Gesuiti di Polizzi Generosa, l’Accascina conclude «Ma molte cose si attendono, girando in questi paesi, inesplorate miniere di tesoro»2.

È proprio uno di questi inesplorati tesori a fornirci il nome di un oscuro argentiere attivo sia a Petralia Sottana sia a Petralia Soprana, centri delle alte Madonie appartenenti alla Diocesi di Cefalù solamente a partire dal 1884, mentre in precedenza, almeno sino al 1816, rientravano nella giurisdizione del capoluogo peloritano3. Si tratta di Marco (Malco) Li Puma che, da alcuni documenti inediti rintracciati presso l’Archivio Storico Parrocchiale della Chiesa Madre di Petralia Sottana, risulta attivo a partire dal 1748, quando don Gaetano Pinzino, Procuratore e Tesoriere della chiesa di San Marco e Biagio dello stesso centro madonita, gli paga 1 onza e 10 tarì per «averli erogate in indorare il calice e la patena»4. L’argentiere, che le fonti citano anche come orafo, è attestato a Petralia, probabile città natìa5, in diversi anni e nello specifico sino al 1802-1803, quando, secondo un altro inedito documento, don Antonio Mancuso, Procuratore e Tesoriere della Chiesa Madre, gli elargisce 22 tarì e 10 grana per «acconcio della navetta d’argento… due calici giornale»6. L’argentiere, che altre fonti riferiscono documentato nel 1764 e nel 17817, è autore della cassettina della Chiesa Madre di Petralia Soprana (Fig. 1), simile nella struttura a quella realizzata da un anonimo argentiere messinese del 1773 e conservata nel Tesoro di Geraci Siculo8. Al Li Puma, che vi appone la firma “MARCO PUMA PET 1789 FECIT”, va verosimilmente riferita la realizzazione della cassettina, o meglio della struttura, le cui piccole formelle raffigurano una l’Adorazione Eucaristica e l’altra San Pietro con il gallo (Il pentimento di San Pietro ?). La prima è stata realizzata nel 1788 perché reca il punzone del console di Palermo Gioacchino Garraffa, quello della maestranza di Palermo (l’aquila a volo alto con RUP) e l’altro A•L•M, verosimilmente di un discendente dei La Motta, famiglia di argentieri documentata a Palermo dal 1628 al 1713, di cui si conoscono solo due artefici, Antonino e Antonino il minore9. Coeva a questa è la parte laterale che presenta gli stessi marchi seppur non chiaramente leggibili mentre la formella opposta, quella con S. Pietro, sembra aver sostituito quella originale, si vedano i bordi di congiuntura con la cornice e il gallo che sembra essere sovrapposto a quest’ultima. A conferma di ciò si noti pure la presenza dei marchi che, quasi coperti dalla cornice, sono, uno della maestranza palermitana e l’altro probabilmente del console, forse di Antonio Pensallorto che rivestì la più alta carica della maestranza di Palermo dal 21 giugno 1755 al 26 giugno dell’anno successivo, dal momento che sembra vedersi il numero 5510. L’opera, tipico esempio del periodo di transizione tra il rococò e il neoclassicismo, è il prodotto di più argentieri attivi negli anni ottanta del XVIII a Palermo, di cui uno è di certo Marco Li Puma. Questi, secondo altri inediti documenti, è attivo a Petralia Soprana in diversi anni, tra cui nel 1774-1775 quando riceve 1 onza e 10 tarì per aver «acconciato» i vasetti portaoli e ancora nel 1790-1791 2 onze e 8 tarì per «supplemento di arg(en)to e m(aest)ria della cassettina nuova del S(antissim)o Sacr(amen)to e di S. Pietro», da riferirsi a quella citata in precedenza11.

Altra opera certa del Li Puma è l’inedito servizio di cartagloria della Chiesa Madre di Petralia Sottana composto da una cornice grande e da quattro piccole. La suppellettile liturgica, secondo un inedito documento, è da identificarsi, infatti, con quella commissionatagli da don Gaetano Carapezza, Procuratore e Tesoriere dell’altare delle Anime del Purgatorio della Chiesa Madre, il 18 maggio 1758, per l’alta cifra di 49 onze (Figg. 23)12. La cornice grande, a conferma dell’identificazione con quella del documento, presenta, oltre a testine di cherubini alati tipici del periodo barocco e tardo barocco, due dei quali reggono grappoli d’uva e mazzi di spighe, un Crocifisso realizzato a fusione posto sulla parte alta insieme al cuore trafitto da tre dardi e alle Anime purganti tra le fiamme in basso. L’opera, inoltre, reca il marchio della maestranza di Palermo, l’aquila a volo alto con RUP, quello del console Giovanni Costanza in carica negli anni 1757-1758 e il punzone M•P che va riferito al Li Puma13. Non sempre, però, per le dimensioni del marchio, è possibile distinguere il piccolo segno distintivo tra le due lettere. Le condizioni di lettura dei marchi, nota costantemente Maria Concetta Di Natale, «giungono talora poco chiari nei segni distintivi delle sigle degli argentieri, già di minuscole dimensioni… così che le identificazioni di alcuni marchi sono ancora oggi solo delle ipotesi di studio»14. L’argentiere è probabilmente l’autore del presunto restauro della nota e grande croce d’argento del XV secolo della stessa Matrice di Petralia che reca, coma è già stato notato, il marchio di Nunzio Gino, console della maestranza di Palermo nel 1758-1759, e quello M•P15. Il Li Puma avrà sicuramente realizzato diverse opere per il Tesoro della Chiesa Madre di Petralia Sottana16, come la particolare stauroteca del 1754-1755, che presenta sul verso gli Arma Christi, e la croce processionale del 1760-1761, dal probabile Cristo Crocifisso non omogeneo e di più modesta fattura17). Le opere, inedite, recano, infatti, il marchio M•P.

Opera importante, sicuramente notata da Maria Accascina in uno dei suoi viaggi, è il maestoso rivestimento in argento dell’altare del Santissimo Sacramento della Cattedrale di Cefalù, manufatto che, indagato per prima da Claudia Guastella nel 1982 (Fig. 4)18, è stato commissionato dal vescovo Gioacchino Castelli che ha retto la diocesi dal 12 ottobre 1755 al 12 luglio 1788, anno in cui muore presso il convento dei frati Cappuccini di Polizzi Generosa19. Questi, «uomo di grande virtù e di esimia carità»20, dona alla statua marmorea della Madonna di Gibilmanna la sua croce pettorale e l’anello vescovile d’oro, riveste di marmi pregiati gli altari della Cattedrale e rifà ex novo quello maggiore dello stesso edificio, erige nel 1770 il Collegio di Maria a Cefalù, dove si trova il suo cenotafio (Fig. 5), e altri simili strutture chiesastiche in altri centri della Diocesi cefaludense21. Il prelato, di cui si conserva il monumento funebre in Cattedrale scolpito da Leonardo Pennino nel 1790 sotto il patrocinio di Ferdinando III a spese dell’erario (Fig. 6)22, preferisce Polizzi Generosa ai diversi paesi della diocesi tant’è che nella chiesa benedettina di Santa Margherita, nota come Badia Vecchia, si conserva l’altro cenotafio opera di marmorari siciliani del 1779 (Fig. 7)23. Lo studioso polizzano Gioacchino Di Giovanni a riguardo scrive che «dal 1765 incirca per tutto il 1777 fissò la sua permanenza in Polizzi, da dove si ha portato alla Visita della Diocesi, e dopo tale anno, ha dimorato mesi sei in Polizzi, e mesi sei in Cefalù, e mori in Polizzi a 12 Luglio 6 Indizione 1788»24. Il vescovo, sensibile all’arte, devolveva al simulacro della Madonna del Rosario dell’antica chiesa dei Padri Domenicani di Polizzi Generosa un altro anello pastorale, ancora da rintracciare, mentre nel 1771 ordinava, purtroppo, la distruzione della statua di Iside-Minerva che si trovava in Matrice perché si trattava di opera d’arte pagana25. L’anno successivo donava alla chiesa di Sant’Orsola dello stesso centro madonita, forse per mitigare le ire di chi non aveva condiviso la distruzione di quella statua (tra questi l’erudito polizzano, francescano conventuale, Gioacchino Di Giovanni26, «due tonicelli di stoffa fiorata…e  un paio di impolletti» e forse un prezioso ombrello che di recente è stato identificato con quello tuttora esistente nel Tesoro della Matrice (Fig. 8)27. Alla Chiesa Madre madonita riserva invece il «sottocoppa di argento…E più un buccale, ed un palanzone di argento» che risultano inventariati in alcuni documenti resi noti di recente28.

Si tratta, quindi, di un nobile prelato dei Principi di Torremuzza che, sensibile all’arte, vuole arricchire la sua Cattedrale commissionando il rivestimento dell’altare del Santissimo Sacramento così come recita l’iscrizione IOAKINUS CASTELLI EPISCOPUS 1764, rintracciata da Nico Marino, e gli stemmi sulle volute laterali e sulla parte centrale del paliotto (fig. 4)29. Il manufatto, con anima lignea all’interno, è costituito dal paliotto sulla parte frontale sbalzato e cesellato con testine di cherubini alati al centro tra volute e soluzioni conchiliformi speculari tipici del periodo, dall’altare in se composto da tre grandi gradini, interrotti da una struttura simile al tronetto con fastigio terminale, con all’interno il repositorio, dal tabernacolo vero e proprio nel cui sportello si trova l’immagine del Santissimo Salvatore e da due grosse volute che concludono la struttura.

Secondo le ricerche della Guastella l’opera è stata realizzata in due tempi, nel 1774 viene fatto tutto l’ornato costituito dalle due volute laterali e la «sequenza piramidale dei gradini fiancheggianti il tabernacolo e culminante nel tronetto ad otto colonne sormontate da volute: in tutte le lamine si riscontra, oltre alla marcatura di zecca palermitana, la punzonatura consolare DCA74»30, da ricondurre al console don Cosma Amari in carica dal 6 luglio 1774 al 7 luglio 177531. Questa parte, secondo la citata studiosa, è stata eseguita da una anonimo argentiere dal punzone A.M. che si trova sulle volute laterali e sul tabernacolo e da un altro, dal probabile marchio DOR, che oltre a collaborare con il primo nella realizzazione dei gradini, esegue il tronetto32. Cinque anni più tardi, esattamente nel 1779, un altro argentiere, dal probabile punzone GRI, realizza il frontale, ossia il paliotto, vidimato dal console Nunzio Gino che ricopre la più alta carica della maestranza degli argentieri palermitani nel 177933. Il manufatto, sicuramente modificato nel corso dei secoli, non è, secondo la Guastella, opera di «quella fervida collaborazione fra progettisti ed argentieri che nelle botteghe orafe palermitane aveva dato vita in questo secolo ai più scenografici rivestimenti d’altare»34.

Dalle ricerche di Nico Marino è emerso che il 21 gennaio 1773 l’argentiere Gregorio Balsamo (o Balsano) stipula una obbligazione con il Vescovo Castelli. L’artigiano, con contratti datati 1 giugno e 31 dicembre 1767, si era già impegnato nella realizzazione della «custodie argentee» a seguito dei quali era in debito di 201 onze e 20 tarì nei confronti del canonico Benedetto Cassata, Procuratore Generale del Vescovo di Cefalù35. La vicenda, secondo altre fonti, si fa più complessa finché tra i vari fideiussori risulta l’argentiere Vincenzo Russo, anche se purtroppo non abbiamo altre notizie36. Secondo Marino, quindi, l’opera è stata iniziata nel 1767 da Gregorio Balsamo e ultimata da altri argentieri, tra cui quello dalla sigla A.M che identifica in Antonino Marrocco per l’attività di questo artigiano nei medesimi anni (1761-1776) e per essere citato in un documento relativo alla stessa opera37. Il punzone, infatti, è stato rintracciato sul paliotto del 1761 della chiesa di Santa Domenica a Cammarata, in provincia di Agrigento, ed è stato ricondotto proprio a questo argentiere38.

Marino, inoltre, individua sull’ultima alzata dell’altare, dietro la parte superiore del tabernacolo, oltre la già citata iscrizione, due punzoni, quello NG63, da riferire al console Nunzio Gino in carica dal 1 ottobre 1763 al 10 luglio dell’anno successivo39 e quello dell’autore che lo stesso legge in GRO o GBO40. Alla base di una delle colonne della parte superiore dell’altare Marino rintraccia ancora due marchi PG e SCC. Proprio nel 1763, come nota lo studioso cefaludense, dovrebbero essere iniziati i lavori per la realizzazione della superba opera41.

Da altri documenti resi noti sempre da Nico Marino, il primo dei quali del 29 marzo 1777, si viene a conoscenza che gli argentieri Giovanni Rossi e Giuseppe Russo si impegnano a realizzare il paliotto dell’altare «dove si trovava fatta la custodia…. fatta dalli medesimi obbliganti, dovendo essere la corniciame, e pilastri a tenore… del palio fatto nell’Altare maggiore della Chiesa del noviziato dell’aboliti Gesuiti ed il fondo a tenore del disegno esibbito da don Geronimo Cassata» con la fideiussione del già citato Antonino Marrocco42. Forse il riferimento è alla chiesa dei Padri Gesuiti di Palermo dove lo stesso Castelli si laureò in filosofia e teologia43. Tali documenti e la presenza sul manufatto del punzone del console della maestranza palermitana Nunzio Gino, seguito dalle ultime due cifre dell’anno 1779, inducono il Marino ad affermare che l’opera è stata completata nel 1779 da un argentiere dal punzone GRI che lo stesso riferisce sia a Giovanni Rossi sia a Giuseppe Russo, forse parente del già menzionato Vincenzo44.

Di recente, però, Giovanni Mendola ha rintracciato un altro documento secondo il quale il 19 novembre 1777 l’argentiere Pietro Russo viene incaricato di cesellare il paliotto da parte degli argentieri Giovanni Rossi e Giuseppe Russo, quest’ultimo probabile suo parente come pure il già citato Vincenzo45. Lo studioso riferisce, recentemente, il punzone GRI a Giovanni Rossi e quello DOR, malgrado non ci sia una totale corrispondenza tra le lettere del marchio e le iniziali dell’autore, a Giuseppe Russo46. Non è da escludere, però, che ulteriori documenti possano dare ragione a questa ipotesi, così come è successo per l’argentiere Gaspare Cimino il cui marchio è stato individuato in GDC poiché in un documento l’artigiano è citato come Gaspare Dionisio alias Cimino47. Si potrebbe inoltre trattare di un marchio di famiglia utilizzato anche da Giuseppe.

Ulteriori documenti, infine, aggiungono che l’argentiere Gregorio Balsamo, definito abitante a Cefalù, il 14 febbraio 1764 è già pagato dal procuratore del Vescovo per fare «in endumento, seù sepolcro di N(ostro) S(ignore) G(esù) C(risto) e due accoliti» secondo un disegno prestabilito. L’opera dovrà essere consegnata entro il Giovedì Santo. L’artigiano è pagato 1 onza e 2 tarì per ogni libbra di argento lavorata48. Quest’opera potrebbe essere parte dell’altare del Santissimo Sacramento, esattamente quella che reca il punzone NG63, ossia il repositorio con il bel pellicano al centro, che presenta il marchio GBO, quindi quello di Gregorio Balsano. Nel 1767, secondo altri documenti resi noti di recente, il Balsamo, come già detto, si impegna nella realizzazione della «custodia con suoi scalini, e tabernacolo… giusta la forma, ed a tenore del disegno firmato dell’Ill(ustrissi)mo P(rinci)pe di S. Vincenzo». Dal disegno l’argentiere dovrà trarre il modello dell’opera che, una volta ultimata, dovrà essere bollata in ogni sua parte e visionata dal citato principe o da altra persona di sua fiducia49.

In conclusione si può ipotizzare che il rivestimento dell’altare, che reca in ogni sua parte il marchio della maestranza di Palermo costituito dall’aquila a volo alto con la scritta R.U.P. (Regia Urbs Panormi), è stato iniziato da Gregorio Balsamo nel 1764, con quel già citato “Sepolcro”, il repositorio, opera che, forse troppo modesta, venne inglobata in un più grande progetto adatto ad una sontuosa Cattedrale come quella di Cefalù. Queste lamine sono quelle che recano i punzoni del console Nunzio Gino in carica nel 1763-64. Successivamente i lavori proseguirono forse ad opera dello stesso Balsamo che avrebbe dovuto eseguire le altre parti tra il 1764 e il 1773, anche se su una delle due colonne, con la parte inferiore sbalzata e cesellata con soluzioni rococò, si rivela il punzone di un anonimo argentiere dal marchio P.G e quello del console SCC72 da riferire a Simone Chiapparo in carica dall’8 luglio del 1772 al 10 luglio dell’anno successivo50. In questo periodo i lavori dovettero procedere lentamente, e forse anche da parte di altri argentieri, sia per l’assenza del Vescovo Castelli, più volte attestato a Polizzi, sia per le varie questioni sorte, come quelle che hanno visto «l’argento lavorato ritrovarsi non già polito, in bianco, ed adugnato»51. La presenza di altri artigiani in questa complessa vicenda trova conferma nei vari marchi, tra cui quello A.M. individuato in Antonino Marrocco, quello già citato P.G sulla colonna, l’altro GRV con stellina finale, riferibile a Giovanni Russo, completato dal punzone del console Antonino Lo Bianco in carica dal 13 luglio 1776 al 5 luglio 1777 (entrambi impressi sulla parte inferiore del fastigio e forse su altre lamine)52, l’altro DOR che si rivela, insieme a DCA74, sulle basi delle colonne e su altre parti come sui gradini e sulla base del fastigio (in queste ultime lamine insieme a quello del console AB76 e in altre con DCA7553), e ancora Vincenzo Rossi, citato come fideiussore. Nel 1776, la sontuosa opera argentea, secondo quanto asserisce il manoscritto del Genchi (1886 circa), fu esposta al pubblico, senza ovviamente il paliotto54. Nel 1777 iniziava, infatti, la commissione di quest’ultima opera, con altri interventi di sistemazione del grande altare dalla lunga gestazione, ad opera degli argentieri Giovanni Rossi, Giuseppe Russo e Pietro Russo, al primo dei quali, come ha supposto Mendola55, si potrebbe riferire il marchio GRI.

Il sopra citato Balsamo, a prescindere dalla complessa vicenda dell’altare, dovette godere di grande stima tra i vari committenti madoniti. Il 31 ottobre 1763, secondo un altro documento in cui viene definito ancora abitante di Cefalù, è pagato per la stima di oro necessario per la realizzazione di una “sfera” ancora da eseguire56 mentre il 20 aprile 1775 si impegna con il monastero di Santa Margherita di Polizzi Generosa a «saggiare, lavorare, e finire un ostensorio…giusta il disegno, riforma, e direzione da farsi dal Rev. Sac. te Dr. D. Antonio M.a Musso Architetto»57. L’opera doveva essere lavorata a Cefalù, sotto la direzione del citato architetto e utilizzando l’argento vecchio, a conferma di quanto detto all’inizio, ed ogni singolo pezzo doveva  essere bollato dal console di Palermo. La spesa della suppellettile liturgica è di tarì 11 l’oncia58. Il manufatto, ancora da rintracciare, non si può identificare con l’ostensorio del 1775-1776 della Chiesa Madre di Polizzi Generosa, pubblicato di recente, poiché reca il punzone dell’argentiere DOR (Fig. 9)59. A questo punto, quindi, è possibile ipotizzare che la commissione al Balsamo dell’ostensorio madonita sia stata agevolata, se non direttamente voluta, dal prelato Gioacchino Castelli che, legato alla suore benedettine le quali nella loro chiesa conservavano il suo già citato cenotafio, in questi anni dimorava nella cittadina madonita dove la classe nobiliare, proprio nel 1775, si riuniva per stilare la protesta per l’abbattimento della statua di Iside Triforme voluta dallo stesso Vescovo. Sempre nel 1775-1776 venne, infatti, realizzata, forse su commissione dei giurati della Città di Polizzi, come acutamente ha notato Vincenzo Abbate, la mazza con San Gandolfo che reca su una delle tre facce della base proprio la figura della dea pagana (Fig. 10)60. Lo studioso, inoltre, ipotizza che l’autore di quest’ultima opera potrebbe essere lo stesso che aveva eseguito il già citato ostensorio con l’angelo del medesimo centro madonita61.

Al di là delle possibili ipotesi, al Balsamo dovette agevolare pure il rapporto con il sacerdote e architetto Maria Antonio Musso che, autore dell’importante manoscritto62, forse supervisionava e progettava i lavori della bottega dell’argentiere, tra cui probabilmente quello della Cattedrale dove il pittore Geronimo Cassata aveva disegnato il paliotto63. L’altare, quindi, seppur modificato, è forse il risultato di un più ampio progetto coordinato dal Musso la cui lunga e complessa gestazione potrebbe giustificare la non sempre armonica unitarietà delle varie parti che la compongono.

Il Balsamo, infine, nel 1782, insieme al già citato Vincenzo Rosso (sicuramente il già menzionato Russo), si impegna con il convento di San Francesco di Castelbuono nella realizzazione di una cancellata64, motivo che conferma la sua collaborazione nel più volte citato altare della Cattedrale.

  1. M. Accascina, Nei paesi delle Madonie. Barocchetto Madonita, in «Giornale di Sicilia», 25 luglio 1935. Cfr. Maria Accascina e il Giornale di Sicilia. 1934-1937, Cultura tra critica e cronache, a cura di M. C. Di Natale, vol. I, Caltanissetta 2006, pp. 189-190. []
  2. M. Accascina, Nei paesi delle Madonie…, in Maria Accascina…, 2006, p. 192. []
  3. F. Figlia, Presenze religiose nelle Madonie (sec. XIV-XIX), presentazione di A. Prosperi, Palermo 1999, p.48 e A. Mogavero Fina, Le appartenenze diocesane nei paesi delle Madonie, Castelbuono s.d. [1977?], pp. 12-14. []
  4. Archivio Storico Parrocchiale di Petralia Sottana (da ora in poi A.S.P.P.S.T.), F, vol. 7, ff. 443 r-v. []
  5. La provenienza dell’argentiere da Petralia Sottana è indicata anche nel documento del 1774-1775 che si citerà di seguito (cfr. Archivio Storico Parrocchiale di Petralia Soprana, da ora in poi A.S.P.P.S.P., C 3, Volume dei conti della Chiesa Madre dal 1754 al 1778, c.n.n). []
  6. A.S.P.P.S.T., A, vol. 16, ff. 876r-877r. []
  7. P. Bongiorno, L. Mascellino, Storia di una “fabrica”. La Chiesa Madre di Petralia Sottana, prefazione di Mons. C. Valenziano, Palermo 2007, p. 216 e passim. []
  8. M.C. Di Natale, I Tesori nella Contea dei Ventimiglia. Oreficeria a Geraci Siculo, II edizione, Caltanissetta 2006, p. 60. Per la cassettina di Petralia Soprana cfr. S. Anselmo, ad vocem M. Li Puma, in Arti decorative in Sicilia. Dizionario biografico, vol. IV, a cura di M. C. Di Natale, Palermo 2014. []
  9. Per il marchio cfr. S. Barraja, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo, saggio introduttivo di M.C. Di Natale, II edizione, Palermo 2010, p. 81, per gli argentieri Idem, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra (Palermo, Albergo dei Poveri, 10 dicembre 2000-30 aprile 2001) a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001, p. 673. []
  10. S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 77. []
  11. A.S.P.P.S.P., C 3, Volume dei conti della Chiesa Madre dal 1754 al 1778, f. nn e C 4, Volume dei conti della Chiesa Madre dal 1778 al 1798, f.n.n. []
  12. A.S.P.P.S.T, A3, vol. 11, ff. 877 r-v. []
  13. Per il marchio del console cfr. S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 77. Le altre quattro piccole cornici, tutte con lo stesso marchio, recano soluzioni decorative simili all’opera più grande. []
  14. M.C. Di Natale, Il tesoro della Matrice Nuova di Castelbuono nella Contea dei Ventimiglia, “Quaderni di Museologia e Storia del Collezionismo”, collana di studi diretta da M.C. Di Natale, Caltanissetta 2005, p. 65. []
  15. Per la croce si veda V. Abbate, scheda n. 5, in Opere d’arte restaurate dal XII al XVII secolo. Interventi di restauro e acquisizioni culturali, Palermo 1997, pp. 42-45; M.C. Di Natale, Le croci dipinte in Sicilia, introduzione di M. Calvesi, Palermo 1992, p. 38 ed M. C. Di Natale, Il tesoro della Matrice, in Petralia Sottana, “Kalós. Luoghi di Sicilia”, suppl. al n. 4, di “Kalós”, 1996, p. 14. []
  16. Per le opere di Petralia Sottana, cfr. M. C. Di Natale, Il tesoro della Matrice…, 1996, pp. 14-15. []
  17. Le suppellettili liturgiche riportano il marchio della maestranza di Palermo. La stauroteca, poiché composta da più elementi assemblati, reca più punzoni dell’argentiere ed è stata vidimata dal console Agostino Di Filippo nel 1754-1755 mentre la croce da Geronimo Cipolla nel 1760-1761 (cfr. S. Barraja, I marchi…, 2010, pp. 77-78 []
  18. C. Guastella, La suppellettile e l’arredo mobile, in Documenti e testimonianze figurative della Basilica Ruggeriana di Cefalù, catalogo della mostra, Palermo 1982, p. 154. []
  19. G. Misuraca, Serie dei Vescovi di Cefalù, Roma 1960, pp. 59-61. Per il vescovo Castelli cfr. pure V. Abbate, La Venerabile Cappella di San Gandolfo nella Chiesa Madre di Polizzi Generosa, Palermo 2014, pp. 100-101. []
  20. G. Misuraca, Serie dei Vescovi …, 1960, p. 59. []
  21. G. Misuraca, Serie dei Vescovi.., 1960, pp. 59-61. Il cenotafio di Cefalù mi è stato gentilmente segnalato da Sandro Varzi che ringrazio. []
  22. T. Viscuso, Elementi dell’arredo plastico e pittorico delle navate dal 500 in poi, in Documenti e testimonianze…, 1982, p. 140. []
  23. S. Anselmo, Polizzi. Tesori di una città demaniale, Quaderni di Museologia e storia del collezionismo, collana di studi diretta da M. C. Di Natale, n. 4, presentazioni di F. Sgalambro, V. Abbate, M.C. Di Natale, Caltanissetta 2006, p. 16. []
  24. G. Di Giovanni, Chiese di Polizzi, ms. sec. XVIII, (copia trascritta dall’originale), Palermo, Biblioteca privata, f. 261. []
  25. Per le donazioni cfr. S. Anselmo, Polizzi. Tesori…, 2006, pp. 16-17, per la statua di Iside Triforme, e per la vasta bibliografia, si veda A. Gagliardo di Casal Pietra, Protesta dei cittadini di Polizzi Generosa scritta l’anno 1775 dopo la perdita dell’antica statua d’Iside Triforme, Palermo 1880 (ristampa del 1988 a cura dell’Associazione Culturale Naftolia); I. Rampolla Dominici, I Misteri di Iside, in C. Borgese, I. Rampolla Dominici, Polizzi Generosa tra storia e memoria, Palermo 1987, pp. 16-18; S. Mazzarella, Uomini e cose delle Madonie, Palermo 1996, pp. 61-69 e più di recente V. Abbate, Recupero e coscienza civica del passato nel Settecento: la mazza dei giurati di Polizzi Generosa, in Percorsi di conoscenza e tutela. Studi in onore di Michele D’Elia, a cura di F. Abbate, Napoli 2008 pp. 345-357. []
  26. Si veda a riguardo V. Abbate, Recupero e coscienza…, 2008, pp. 345-346. []
  27. S. Anselmo, Polizzi. Tesori..., 2006, pp. 16-17. []
  28. Ibidem. []
  29. N. Marino, L’altare della Cappella del Santissimo Sacramento della Cattedrale di Cefalù, in “La Madonie”, a. LXXVIII, n. 10, 1-15 ottobre 1998 e C. Guastella, La suppellettile e l’arredo…, in Documenti e testimonianze…, 1982, p. 154. Sull’altare Marino ritornerà in Artisti e Maestranze nella Cattedrale di Cefalù, in “Paleokastro. Rivista trimestrale di studi sul territorio del Valdemone”, a. I, n. 3, dicembre 2000, pp. 9-10. []
  30. C. Guastella, La suppellettile e l’arredo…, in Documenti e testimonianze figurative…, 1982, p. 154. []
  31. S. Barraja, I marchi degli argentieri…,  2010, p. 79. []
  32. C. Guastella, La suppellettile e l’arredo…,  in Documenti e testimonianze figurative…, 1982, p. 154. []
  33. Ibidem e S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 80. []
  34. C. Guastella, La suppellettile e l’arredo …, in Documenti e testimonianze…, 1982, p. 154. []
  35. N. Marino, L’altare della Cappella…, 1998. Per l’attività dell’argentiere cfr. pure S. Anselmo, ad vocem G. Balsamo, in Arti decorative...,  2014. []
  36. Ibidem. L’argentiere è documentato dal 1743 al 1763, cfr. P. F. Salvo, in Catalogo dei documenti, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra (Trapani, Museo Regionale A. Pepoli) a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, p. 396 e G. Mendola, Orafi e argentieri a Palermo tra il 1740 e il 1790, in Argenti e Cultura Rococò nella Sicilia Centro-Occidentale 1735-1789, catalogo della mostra (Lubecca, St. Annen-Museum, 21 ottobre 2007-6 gennaio 2008) a cura di S. Grasso e M.C. Gulisano, con la collaborazione di S. Rizzo, Catania 2008, p. 622. []
  37. Ibidem. Per l’attività di Antonio Marrocco (documentato dal 1761 al 1776), G. Mendola, Orafi e argentieri…, in Argenti e Cultura…, 2008, p. 620) cfr. pure S. Barraja, ad vocem A. Marrocco, in Dizionario degli artisti…,  2014. []
  38. G. Travagliato, scheda n. 39, in Argenti e Cultura Rococò…, 2008, p. 347. []
  39. S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 78. []
  40. N. Marino, L’altare della Cappella…, 1998. []
  41. Ibidem. []
  42. Ibidem. Gli argentieri Giovanni Rossi e Giuseppe Russo risultano attivi rispettivamente negli anni 1777-1796 e 1741-1796, cfr.  G. Mendola, Orafi e argentieri..., in Argenti e Cultura…,  2008, p. 622 con precedente bibliografia. []
  43. G. Misuraca, Serie dei Vescovi…, 1960, p. 59. []
  44. N. Marino, L’altare della Cappella…, 1998. []
  45. G. Mendola, Orafi e argentieri a Palermo..., 2008, p. 588. L’argentiere Pietro Russo risulta attivo dal 1763 al 1777, cfr. G. Mendola, Orafi e argentieri..., in Argenti e Cultura…, 2008, p. 622 con precedente bibliografia. []
  46. G. Mendola, Orafi e argentieri a Palermo..., 2008, p. 588. []
  47. S. Anselmo, R.F. Margiotta, ad vocem Gaspare Cimino, in Arti decorative…, 2014. []
  48. S. Anselmo, Documenti inediti sulla produzione dell’argentiere Gregorio Balsamo (Balsano): l’altare del Santissimo Sacramento nella Cattedrale di Cefalù, in Conoscere il territorio: Arte e Storia delle Madonie, studi in memoria di Nico Marino, atti della I edizione (Cefalù, 21-22 ottobre 2011) a cura di G. Marino e R. Termotto, Cefalù 2013, pp. 61-62. A riguardo si veda pure S. Anselmo, ad vocem G. Balsamo, in Arti decorative..., 2014. []
  49. Ibidem e N. Marino, L’altare della Cappella…, 1998. []
  50. S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 79. []
  51. N. Marino, L’altare della Cappella del Santissimo Sacramento…, 1998. []
  52. S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 79. []
  53. Quest’ultimo è punzone del console Don Cosma Amari in carica dal 7 luglio 1775 al 13 luglio del 1776, cfr. S. Barraja, I marchi…, 2010, p. 79. []
  54. Citazione tratta da N. Marino, L’altare della Cappella…, 1998. []
  55. G. Mendola, Orafi e argentieri..., in Argenti e Cultura…, 2008, p. 588. []
  56. S. Anselmo, Documenti inediti..., 2013, pp. 62-63. []
  57. S. Anselmo, Documenti inediti…, 2013, p. 63. []
  58. Ibidem. []
  59. S. Anselmo, Polizzi. Tesori…, 2006, scheda II, 55, pp. 96-98 e V. Abbate, scheda n. 88, in Argenti e Cultura…, 2008, pp. 381-382. []
  60. Per la mazza cfr. S. Anselmo, Polizzi. Tesori…, 2006, scheda II, 56, p. 98 e V. Abbate, Recupero e coscienza…, Percorsi di conoscenza…, 2008, pp. 350-351. []
  61. V. Abbate, Recupero e coscienza…, in Percorsi di conoscenza…, 2008, p. 351. Di recente sempre Vincenzo Abbate ha lanciato l’ipotesi che l’ideazione della mazza, insieme al già citato ostensorio del 1775-1776 e ad una pisside del 1769-1770, sia dell’architetto Gandolfo Felice Bongiorno (La Venerabile Cappella…, 2014, p. 115). []
  62. A. M. Musso, Storia del Vescovado e delle prerogative del Ricchissimo Tempio della vecchia città di Cefalù, ms. 1811. []
  63. Il pittore Cassata nel 1753 risulta relatore dei lavori di restauro dei dipinti del presbiterio di Cefalù, cfr. N. Marino, in I Li Volsi. Cronache d’arte nella Sicilia tra ‘500 e ‘600, Palermo 1997, p. 97. []
  64. E. Magnano di San Lio, Castelbuono. Capitale dei Ventimiglia, Catania 1996, p. 324. []