Laura Leonardi

leonardilaura12@gmail.com

Argenti sacri della Chiesa di San Giuseppe dei Teatini a Palermo

DOI: 10.7431/RIV10042014

I teatini giungono a Palermo da Napoli nel 16021 e si stabiliscono in un primo momento nell’ edificio annesso alla Chiesa di Santa Maria della Catena2, nei pressi del porto della città. Appena un anno dopo acquistano per 200.000 ducati3la casa di San Giuseppe dei Falegnami, oggi sede della Facoltà di Giurisprudenza in via Maqueda dove, grazie all’appoggio del vicerè Pietro Giron duca di Ossuna4, iniziano la costruzione di un grande complesso. La prima pietra della Chiesa di San Giuseppe dei Teatini, situata in uno dei cantoni di Piazza Vigliena, i Quattro Canti, fu posta il 6 Gennaio 1612 e il cantiere fu affidato all’architetto teatino Giacomo Besio, originario di Savona5.
L’edificio fu aperto al culto soltanto nel 16456 (Fig. 1).
Grazie alla committenza dei devoti, accentuata dal culto della fontana miracolosa scoperta sotto l’altare maggiore nel 1668 da padre Francesco Maria Maggio7, la Chiesa vanta opere e suppellettili d’argento di grande pregio artistico.
Si conservano manufatti dal carattere sacro fra gli esempi più emblematici e significativi di botteghe e maestranze dell’arte dell’argenteria di Palermo, fondata per volere di Alfonso il Magnanimo nel 14478 per proteggere i compratori dalle frodi e garantire che la lega dell’oro e dell’argento lavorato fosse quella stabilita per la città. Presso la Biblioteca Comunale di Palermo si conserva il manoscritto Capitoli della professione degli orefici e argentieri di questa felice e fidelissima città di Palermo9 individuato dalla studiosa Maria Accascina10, dove nei primi venti capitoli risultano numerose disposizioni mai avute prima di allora. Così, ad esempio, gli orafi e gli argentieri non possono usare pietre false per impreziosire oggetti d’oro e d’argento, non possono far lavorare i manufatti sacri a schiavi ed ebrei e devono obbedire alle disposizioni dei Consoli11.
Prima di questa nuova regolamentazione del 1447 non si hanno notizie relative alla costituzioni di una Maestranza o di corporazioni di orafi e argentieri12.
Il nucleo di suppellettili liturgiche d’argento che costituisce il Tesoro della Chiesa, preso in esame nel presente studio, è totalmente inedito e si trova conservato nella sacrestia e negli appartamenti dei Padri Teatini. Non è possibile visionare tali oggetti se non durante la liturgia quando, per alcuni di essi, ne è richiesto l’uso.
Malgrado le numerose sostituzioni e modifiche dettate dalla moda nei secoli, dai principi della riforma tridentina o alterazioni dovute a interventi di restauro non idonei, molti esemplari sono giunti fino ad oggi in discreto stato di conservazione e si inseriscono nell’arco di tempo che va dalla prima metà del XVII secolo fino al XIX secolo.
Per quasi tutte le suppellettili prese in esame è stato possibile identificare il console garante della qualità dell’argento, non si può dire lo stesso per gli argentieri per i quali, in mancanza di documenti, in alcuni casi si è dovuto operare per ipotesi e confronti.
Fondamentale è la necessità di analizzare i manufatti artistici sotto il profilo stilistico congiuntamente a quello iconografico, “non bisogna trascurar nessun segno [sebbene molte volte tali indizi possono traviare il ricercatore, anche quando appaiono come prove sicure] che valga a dar luce sulle origini delle opere d’arte, ma specialmente è da considerare quello che le opere hanno di più intrinseco, e perciò sicuro: il loro stile. L’osservazione dello stile fu sempre adoperata da coloro che meglio affrontarono quei problemi e indagarono la storia dell’arte nel suo intimo essere…”13.
Fra le argenterie più antiche si rilevano tre calici la cui semplicità e linearità ne denotano l’uso per messe giornaliere e non per le solennità e un cestino.

Il calice, con l’istituzione del Sacramento dell’eucarestia, è elemento fondamentale dell’Ultima Cena di Cristo come cita il Vangelo di Marco: “Poi prese il calice e rese grazie, lo diede Loro e ne bevvero tutti”14. L’immagine del calice ricorre anche nell’Antico Testamento quando un Angelo lo utilizza per confortare con vino e acqua il profeta Elia, in quanto simbolo di Redenzione e fede cristiana15. Lo si trova ancora rappresentato, con semplici cenni, in alcune scene di refrigerium nelle pitture catacombali16 e in alcuni manoscritti miniati17.
Il primo calice della Chiesa di San Giuseppe (Fig. 2) presenta sotto la base le iniziali FRC del console Francesco Raguseo documentato nel 1623 e nel 163218 con l’aquila di Palermo a volo basso sovrastante la sigla RUP (Regia Urbs Panormi). Le iniziali GR sono da riferire all’argentiere che resta non identificato. È totalmente privo di ornamenti tranne per la coppa parzialmente dorata e le modanature che segnano la base sagomata e lievemente bombata. L’opera è in discreto stato di conservazione.

Il secondo calice (Fig. 3), datato 1666, presenta sulla coppa le iniziali MC66 del console Merchiorre Curiale 19 con l’aquila a volo basso con la sigla RUP e le iniziali dell’argentiere DC che potrebbe riferirsi a Domenico Cipolla20.
La semplice opera è lavorata a specchio e sul calice è ancora visibile la scagliatura, piccolo solco a spirale lasciato dal console per verificare la qualità dell’argento. L’opera è in discreto stato di conservazione e trova confronto con un calice conservato nella Chiesa di San Francesco d’Assisi a Ciminna realizzato nello stesso anno dall’argentiere Antonino La Motta21 documentato attivo dal 1631 al 168022.

Il cestino in argento cesellato e intrecciato (Fig. 4) si trovava un tempo nella mano destra della statua del Bambino Gesù situata alla destra dell’altare maggiore23. È decorato da piccoli campanelli ovoidali, alcuni dei quali oggi perduti. Il fondo reca il marchio della città di Palermo, l’aquila a volo basso con la sigla RUP e le iniziali del console GLC93 da riferirsi a Geronimo De Liuni che ricoprì la carica dal 3 Luglio 1693 al 25 Giugno 169424. Completamente abrase appaiono le iniziali dell’argentiere. L’opera è in discreto stato di conservazione. Nella scultura lignea spesso il Bambino Gesù reca un cestino dalle simili caratteristiche nella mano destra (Fig. 5), come ad esempio quello in legno intagliato e dipinto realizzato nel 1680 circa da Francesco Reina e Vincenzo Di Giovanni per la Chiesa di San Giuseppe a Gratteri25.
La committenza nobiliare è visibilmente testimoniata dall’iscrizione26 incisa a giro alla base di un calice semplice ed elegante (Fig. 6) custodito presso gli appartamenti dei Padri Teatini, da cui si rilevano i nomi dei nobili donatori. Don Giuseppe Strozzi fu pretore della città di Palermo dal 1683 al 1684 e dal 1686 al 1687, principe del feudo di Sant’Anna, marchese Flores e governatore nel 1644 per nomina di Filippo IV di Spagna27. Il nobile Don Giacomo Ebano fu senatore della città dal 1681 al 1684 mentre Don Pietro Vincenzo Massa fu senatore di Palermo dal 1683 al 168428). Non si ha una data certa della realizzazione del calice, tuttavia la presenza dell’aquila a volo basso ci consente di inserirlo tra la fine XVII secolo e l’inizio del XVIII, prima del 1713, anno in cui il simbolo della città fu modificato per influenza dello stemma di Vittorio Amedeo Savoia29. Non è possibile identificare né il console né l’argentiere, poiché le iniziali non sono più chiaramente visibili. L’opera è in buono stato di conservazione.

Lo studio delle opere settecentesche si apre con una pisside decorata da elementi fitomorfi e conchiglie (Fig. 7). Realizzata in argento sbalzato, cesellato e dorato, se omogenea, è tipica del periodo. Presenta affinità tipologiche con una pisside della Chiesa di San Francesco d’Assisi a Ciminna30, ma non vi sono marchi che consentono l’esatta datazione. La base gradinata è divisa da volute fitomorfe in tre settori, il fusto ha un raffinato nodo ad anfora e il coperchio è ornato da foglie d’acanto e sormontato da una croce. Una ghirlanda argentea divide la decorazione in argento da quella dorata. L’opera è in discreto stato di conservazione.

Fra le opere tutt’oggi visibili all’interno della Chiesa sono il bastone di San Giuseppe e uno splendido paliotto d’altare.
Il bastone (Fig. 8) si trova esposto al culmine della navata laterale di sinistra tenuta in mano dalla statua lignea di San Giuseppe. È in argento cavo con anima in legno, interamente ornato da ghirlande fogliacee bombate. All’estremità superiore reca un mazzetto argenteo di fiori di zagara, tipici della Sicilia, che potrebbero essere stati aggiunti successivamente, anche se non è raro trovare altri esempi simili. Nel Tesoro della Chiesa Madre di Erice, nella cappella di fondazione chiaromontana risalente al XIV secolo un tempo dedicata a San Nicola31, il bastone argenteo della statua di San Giuseppe che tiene per mano il Bambino Gesù32, culmina con un mazzo di gigli; così come i bastoni in argento delle settecentesche statue lignee attribuite a Filippo Quattrocchi nella Chiesa di San Giuseppe a Caltavuturo33 e nell’Oratorio del SS. Sacramento a Cefalù34. Il fusto reca il marchio di Palermo, aquila a volo alto, con le iniziali quasi completamente abrase GP che si possono riferire a Giuseppe Palumbo console nel 171735. Non identificabile resta invece l’argentiere. L’opera è in buono stato di conservazione, nonostante la secolare esposizione ai fedeli.

Esempio emblematico dell’influenza architettonica che pervade le argenterie del settecento siciliano è il sontuoso paliotto in argento che splende al culmine della navata centrale. L’opera (Fig. 9) è suddivisa da tre arcate a tutto tondo impreziosite da busti e anfore ricolme di fiori. Gli archi sono sostenuti da colonne scanalate con capitelli corinzi e decorate alla base da ghirlande. Il pavimento in prospettiva dà corpo e risalto alle immagini della Madonna con Bambino al centro e ai Santi ai lati. Le figure sono messe ulteriormente in risalto dai piani tondeggianti e ricchi d’intenso pittoricismo dell’antica maestranza palermitana. Risulta marchiato in più parti con l’aquila a volo alto con la sigla RUP e le iniziali del console SG734 da riferirsi ad Antonino Gullotta che ricoprì la carica dall’8 Luglio 1734 al 25 Giugno 173536. Nonostante la mancanza di marchi, Giovanni Battista Mattone attribuisce la realizzazione agli argentieri Giuseppe Ruvolo e Pasquale Cipolla37, ipotesi che sembra trovare riscontro nel raffronto con il paliotto conservato presso il Museo Diocesano di Palermo (Fig. 10) dedicato ai Santi Cosma e Damiano e realizzato dall’architetto Nicolò Palma e dall’argentiere Pasquale Cipolla38. L’architetto Palma nel 1725, insieme agli architetti Quequelar, Ferrigno e Milleri, si occupa del rivestimento in marmo della Chiesa di San Giuseppe dei Teatini39. È possibile dunque che insieme ai due argentieri citati da Mattoni abbia collaborato alla realizzazione dell’argenteo paliotto d’altare dei Teatini.

L’aureo ostensorio (Fig. 11) che documenta una tipologia che lascerà il posto alla novità rococò dopo il primo ventennio del XVIII secolo, si trova conservato dentro un armadio presso gli appartamenti della confraternita. La suppellettile presenta una base circolare a tre ripiani impreziosito da foglie d’acanto, elementi fitomorfi e testine di cherubini alati con aureola. Il fusto si sviluppa in più nodi e riprende il motivo dei cherubini, tipici dell’arte tardo barocca, culminando con un angelo che sostiene la raggiera. La teca è tutta ornata da una cornice decorata con nuvole e testine di cherubini dalla quale si dipartono una serie di raggi disuguali e lance. L’opera culmina con una crocetta dai capicroce trilobati. Nella raggiera si rileva il marchio SPC18 da riferire al console Salvatore Pipi documentato nel 1718, stesso marchio che si ritrova su un calice nel Museo Diocesano di Mazzara del Vallo. L’opera è in buono stato di conservazione e trova riscontro stilistico con un ostensorio realizzato nella bottega trapanese dei Lotta della prima metà del XVIII secolo, proveniente dalla Chiesa di Sant’Antonio Abate ed oggi nel Tesoro della Chiesa Madre di Erice40.
Il calice non omogeneo in argento dorato e cesellato (Fig. 12), si caratterizza per una lavorazione a specchio. La coppa presenta il marchio di Palermo, l’aquila a volo alto con la sigla RUP e le iniziali BLGS del documentato console Bartolomeo La Grua che coprì la carica nel 1732 e nel 174441. Illeggibili sono le iniziali dell’argentiere. L’opera è in buono stato di conservazione.
Custodito gelosamente dentro una borsa in velluto è un altro calice in argento sbalzato, cesellato e bulinato (Fig. 13). Il bulino è uno strumento tagliente e appuntito che produce sottili e precisi tratti sull’argento. La tecnica del bulino, originariamente legata alla lavorazione dell’ oreficeria, nel XVI secolo diviene una delle tecniche principali della stampa in cavo42. La base del calice è fittamente decorata e ornata da un contorno esagonale modanato e smerlato. Le grandi volute che partono dal fusto, dividono la base in tre sezioni dentro le quali si trovano i simboli del sacrificio eucaristico come spighe di grano e grappoli di uva. Il nodo piriforme, impreziosito da elementi fogliacei e testine di cherubini alati, si eleva e culmina con delle eleganti volute. La base della coppa è anch’essa decorata con elementi fitomorfi e testine d’angelo. Il marchio di Palermo, aquila a volo alto con la sigla RUP, è ancora facilmente leggibile e le iniziali del console SP37 sono da riferire a Salvatore Pipi documentato nel 1737-3843 che marchiò anche il calice nella Chiesa Madre di Santa Maria Maddalena a Ciminna44. Le iniziali dell’argentiere FND non sono identificabili. Alla base vi è un’iscrizione45 che potrebbe riferirsi alle iniziali del devoto (Fig. 14). L’opera è in buono stato di conservazione. Tali peculiarità trovano raffronto con un calice della metà del XVIII secolo custodito nel Museo della Basilica di Santa Maria Assunta ad Alcamo46; con un calice datato 1745- 1746 esposto al Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono47; e con un calice datato 1749 conservato nel Museo della Cattedrale di Agrigento48.
Nella sala da pranzo dei padri Teatini, troneggia in bella vista una splendente cornice ornata da fiori con caratteristiche stilistiche tipiche del XVIII secolo (Fig. 15). In Sicilia molti sono gli esempi di questo tipo di cornice spesso collegati all’immagine di Santa Rosalia, patrona della città, come testimoniato da numerose opere conservate in collezioni private datati 1738- 174049; si ricorda ad esempio quella della collezione Antonio Virga (Fig. 16) che conserva al suo interno un preziosissimo presepino in avorio di verosimile fattura trapanese datato 173950. I fiori e le foglie in argento della cornice della Chiesa dei Teatini, abbracciano l’immagine della Madonna con le mani incrociate sopra il cuore e la testa coperta dal tipico copricapo ebreo che spesso ritroviamo nella scultura lignea di Filippo Quattrocchi51. Il piccolo dipinto in olio su tela potrebbe tuttavia essere più tardo così come fa supporre anche la raggiera dorata che lo cinge esaltandone il misticismo. Tra le foglie spicca il tipico marchio della città, l’aquila a volo alto con la sigla RUP, e le iniziali del console DCA74, da riferire a Don Cosma Amari documentato dal 10 Luglio 1773 al 6 Luglio 1774. Questi fu nominato console dell’argento altre due volte dal 6 Luglio 1774 al 7 Luglio 1775 e dal 7 Luglio 1775 al 5 Luglio 177752. L’argentiere rimane non identificabile.
Si rileva, inoltre, la presenza di due orecchini ottocenteschi con decorazione tubolare a mò di legno e granati (Fig. 17), posti uno alla destra e l’altro alla sinistra dell’immagine della Vergine. Si tratta di un ex voto da parte di qualche nobildonna che trova raffronto con degli orecchini datati in un periodo compreso tra il 1823 e il 1872 del Tesoro della Madonna dei Miracoli di Mussomeli53; con un paio di orecchini datati seconda metà del XIX (ante 1872) conservati presso il Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono54; e con la serie di anelli ottocenteschi in oro e granati custoditi nel Museo della Basilica di Santa Maria ad Alcamo55. Le opere sono in buono stato di conservazione.

Un’altra cornice con fiori (Fig. 18) è esposta nella sala da pranzo del convento, splendida come la prima, tuttavia priva di marchi. Al centro l’immagine del Bambino Gesù in smalto su una sottilissima lastra di rame ovoidale, splende circondata dall’azzurro intenso e dall’oro dell’aureola. Non è possibile indicare alcuna data precisa sulla sua realizzazione ma si può inserirla nella seconda metà del XVIII secolo.

La superba decorazione a rami fioriti che caratterizza i ricchi vasi con frasche dell’altare maggiore della Chiesa di San Giuseppe dei Teatini che Maria Concetta Di Natale riferisce all’argentiere Giovanni Duro, trova raffronto in diversi similari vasi e alcuni reliquiari del tesoro della Cappella Palatina56. Il reliquario (Fig. 19) conservato nel piccolo tesoro della Chiesa di San Giuseppe presenta una base lineare decorata a specchio con fusto arricchito da tre nodi piriformi, non pertinente alla parte superiore. Il nucleo fondamentale dell’opera consiste in una piccola teca, contente la reliquia della Santa Croce, sovrastata da una raggiera con immagine a rilievo dello Spirito Santo simboleggiato da una colomba in volo e contornata da un cerchio di nuvole. La teca è retta da un puttino con braccia aperte come a voler proteggere l’armonioso sviluppo di foglie e fiori che ornano la suppellettile. Sulle foglie è possibile trovare il marchio di due consoli; il primo SM66 è da riferire a Salvatore Mercurio documentato nel 176657, anche se le recenti ricerche archivistiche lo documenterebbero in tale carica l’anno successivo, ovvero nel 176758. Il secondo marchio GM80 è da riferire a Giuseppe Morgana, documentato console nel 178059. Il marchio dell’argentiere AD non è stato identificato, tuttavia potrebbero riferirsi ad un’esponente della famiglia Duro, considerando che Giovanni Duro era esperto nella lavorazione di raffinati vasi con frasche per gli altari come quelle del Tesoro della Cappella Palatina60, della stessa Chiesa di San Giuseppe dei Teatini e del vicino Oratorio delle Dame al Ponticello61. Su più foglie del reliquiario del 1766 è presente inoltre la testa di Cerere con numero 8 che determina i millesimi dell’argento, obbligatorio dal 182662 dichiarando interventi di restauro che dopo la data di realizzazione hanno sostituito alcune foglie mancanti. L’opera è in discreto stato di conservazione.

La sacrestia conserva e nasconde altri due preziosi rami fioriti (Figg. 2021), forse un tempo esposti all’interno della Chiesa di San Giuseppe insieme a quelli ancora oggi visibili al culmine della navata centrale nei vasi dell’altare maggiore. Di fattura più semplice e dimensione più contenuta, forse solo in parte sopravvissuta, sono impreziositi da una grande varietà di fiori e foglie: si nota la rosa, generalmente associata all’immagine della Maria Vergine, o per i palermitani, a Santa Rosalia, patrona della città; fiori di melograno, i quali frutti hanno ispirato la raffigurazione allegorica della Chiesa capace di unire popoli e culture in un’unica fede; il garofano e le foglie di cardo, simbolo della Passione di Gesù63. Non sono stati rilevati marchi chiaramente leggibili a causa del loro cattivo stato di conservazione, tuttavia, la cifra stilistica consente di datarli entro la seconda metà XVIII secolo. Nel secondo ramo fiorito, inciso nel retro del fusto si legge l’iscrizione: F.RAVAGLIOLI. N3-P-N//>=2=15 (o 75), che potrebbe riferirsi al donatore o committente mentre i numeri potrebbero rimandare ad un inventario.
La raffinata ornamentazione delle suppellettili spesso proveniva da un modello stilistico ben conosciuto e diffuso. Alla fine del XVIII secolo lavora ad esempio il designatore di argenterie siciliane Vito Coppolino che si occupa di disegnare l’ostensorio realizzato dall’argentiere Alessandro Birritella “panormitanus” della Chiesa Santa Maria Assunta a Gela nel 179564. La stessa cifra stilistica si può ammirare in un ostensorio (Fig. 22) conservato nella sacrestia della chiesa dei Teatini. L’opera, dalla tipica base mistilinea tripartita da tre doppi festoni, presenta un fusto articolato in più nodi che culmina con un raccordo figurativo costituito da un angelo poggiato con la gamba sinistra su una nuvola mentre regge la raggiera con il capo. Questa cifra stilistica che vede l’Angelo poggiato su una nuvola in posizione quasi estatica, lo ritroviamo nella scultura lignea attribuita a Gioacchino Grampini nella Chiesa di San Francesco a Foligno (Figg. 2324) datata all’inizio del XVIII secolo65. La teca dell’ostensorio è incorniciata da bottoni in argento dorato a forma di fiore e raggi disuguali. I marchi presenti sull’ostensorio mostrano chiaramente l’aquila a volo alto con l’usuale sigla RUP e altri due marchi molto abrasi: C90 che potrebbe riferirsi al 1790 e pertanto al console Don Simone Chiapparo in carica in quell’anno66. Le altre iniziali ritrovate sulla base VA potrebbero essere invece quelle dell’argentiere non identificato. La suppellettile aderisce al neoclassicismo che si fa largo in Sicilia nell’ultima decade del XVIII secolo67. I migliori risultati si registrano a Palermo quando gli argentieri seppero “fermare la mano in tempo per non sovraccaricare di ornamenti le superfici con il risultato di far diventare barocco anche il neoclassicismo”68. L’opera è in buono stato di conservazione.

Conservata nello splendido armadio ligneo in noce che impreziosisce la sacrestia è una croce astile (Fig. 25) in argento sbalzato, cesellato e con parti fuse. La croce con il Cristo doloroso e i quattro capicroce con fregi a traforo e volti di cherubini alati, potrebbe essere più tarda rispetto all’asta. Un raffinato nodo, decorato con testine di cherubini alati e Santi, collega la croce all’asta anch’essa finemente decorata e punzonata. Non sono stati rinvenuti marchi che potessero aiutare nella datazione, anche se il loro stile consente di inserire l’asta nel pieno del XVIII secolo e la croce nel primo quarto del XIX secolo. L’opera trova raffronto con una croce astile custodita nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono datata ante 165069 e con un’altra croce astile conservata presso il Museo della Cattedrale di Agrigento datata 1653-5470. Per quanto riguarda il nodo vi è una straordinaria similitudine con una mazza presente in un disegno (Fig. 26) conservato alla Biblioteca centrale della Regione Siciliana Alberto Bombace di Palermo71. Si tratta di uno schizzo realizzato dal teatino Cristoforo Castelli, nato a Genova nel 1600 e cresciuto a Palermo dove morì nel 165972), autore di un importante manoscritto con mappe e disegni sugli usi e costumi del popolo georgiano, opera di fondamentale importanza storica e culturale.

Altra suppellettile liturgica non omogenea è la raffinata pisside (Fig. 27) in argento sbalzato e cesellato, con lavorazione a bulino nel nodo e nella base. La coppa è decorata con foglie e cherubini, il coperchio è semplice e lineare e termina con un globo dal quale si erge una piccola croce con capicroce gigliati. Non si rilevano marchi tuttavia l’opera trova confronto con la pisside della chiesa di San Giovanni Battista a Ciminna73 e si può inserire nel primo quarto del XIX secolo. La pisside è in buono stato di conservazione.

L’ultimo calice (Fig. 28) della chiesa dei Teatini di Palermo preso in considerazione in questo studio è datato 1812 grazie al marchio del console VB12 da riferire a Vincenzo Lo Bianco74 che ricoprì le ultime cariche della maestranza dal 1822 al 182875; insieme all’ aquila a volo alto con la sigla RUP. L’argentiere non è identificabile. L’opera si presenta semplice e lineare; l’argento splendente è lavorato a specchio, sbalzato e cesellato.

Conclude questa rassegna di argenti un ostensorio (Fig. 29) in argento dorato sbalzato e cesellato con parti fuse. L’ostensorio presenta una base mistilinea la cui prima fascia è ornata da foglie d’acanto e tre doppi festoni. Il fusto si articola in più nodi decorati da festoni e termina con un angelo che sorregge la raggiera. La piccola teca è circondata da pietre rosse e blu e da bottoni a fiore da cui dipartono una serie di raggi disuguali. L’opera presenta il marchio di Palermo, l’aquila a volo alto con RUP, con le iniziali del console e le ultime cifre dell’anno 1813, PF13, relative al console Pietro Fenoaltea76. Non identificabile resta l’argentiere. La stessa cifra stilistica, ispirata dalle ricerche archeologiche promosse dai Borboni77 e saggiata dallo stesso console Pietro Fenoaltea, si nota in due ostensori: il primo visibile all’ interno del Museo della Basilica di Santa Maria ad Alcamo78 e il secondo custodito presso la Chiesa di San Giovanni Battista a Ciminna79, datati entrambi 1813.

Grazie all’amore per l’arte dell’importante Ordine religioso dei Teatini che ha permesso la salvaguardia di queste importanti testimonianze, oggi la storia dell’oreficeria siciliana acquista un piccolo ulteriore contributo alla conoscenza storica – artistica della nostra terra.

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  37. G.B.Mattoni, La Madonna…, 1987, p. 61. []
  38. R. Tricolori, Il teatro e l’altare, Palermo 1992. []
  39. E. Di Cristina, E. Palazzotto, S. Piazza, Le chiese di Palermo.., 1998, p. 64. []
  40. M. Vitella, Il Tesoro della Chiesa Madre, 2004, p.103. []
  41. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, 2010, p.74. []
  42. A.Fuga (a cura di), Tecniche e materiali delle arti, in Dizionari dell’Arte, Milano 2008, p. 62. []
  43. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, 2010, p.75. []
  44. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, 2010, p.75. []
  45. Iscrizione: S.M.O.P.M.L.D.F. []
  46. S. Serio, IV.19, in Il Museo d’arte sacra della Basilica Santa Maria Assunta, M. Vitella (a cura di), Trapani 2011, p. 155. []
  47. M.C. Di Natale, Il Tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, in Il Tesoro di Sant’Anna nel Museo del Castello dei Ventimiglia a Castelbuono, Palermo 2010, p. 40. []
  48. G. Cipolla, Il Tesoro della Cattedrale di Agrigento, in Museo della Cattedrale di Agrigento. Storia e recupero delle collezioni dall’istituzione storica al museo diocesano, G. Costantino (a cura di), 2009, p.90. []
  49. M.C. Di Natale , Ori e Argenti…, II.161- 163 a, 1989, p. 296. []
  50. S. Rizzo (a cura di), Il Tesoro dell’Isola, capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, Praga 2004. Un prima citazione anche nella catalogo della mostra Ori e Argenti di Sicilia, M.C. Di Natale (a cura di), schede II. 162 a,b,c. []
  51. S. Anselmo, Pietro Bencivinni …, 2009, p. 149. []
  52. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, 2010, p.79. []
  53. I. Barcellona, Ori, Argenti e Stoffe di Maria SS dei Miracoli. Mussomeli tra culto e arte, Mussomeli 2000, pp. 40-53. []
  54. M.C. Di Natale, Il Tesoro di Sant’Anna …, 2010, p. 73. []
  55. M. Vitella, Il Museo d’Arte Sacra della Basilica di Santa Maria Assunta, Trapani 2011, p. 124. []
  56. M.C. Di Natale Il Tesoro della Cappella Palatina di Palermo. Gli argenti tra maestri e commitenti, in M.C. Di Natale, M. Vitella Lo scrigno di Palermo. Argenti, avori, tessuti, pergamene della Cappella Palatina, Palermo 2014. []
  57. S. Barraja, I marchi degli argentieri…, 2010, p.78. []
  58. G. Cusimano, Argenteria…, 2004, p.60. []
  59. S. Barraja, I marchi degli argentieri …,, II ed., 2010, p.80. []
  60. M.C. Di Natale, Storia e ricognizione delle collezioni di opere d’arte decorative del Tesoro della Cappella Palatina di Palermo in M.C. Di Natale, M. Vitella (a cura di), Lo scrigno di Palermo. Argenti, avori, tessuti, pergamene della Cappella Palatina, Palermo 2014, p. 38. []
  61. M.C. Di Natale, Committenza nobiliare per le opere d’arte decorativa dell’oratorio delle Dame: dal legno all’argento in R. Riva Sanseverino, A. Zalapí, Oratorio delle Dame al Giardinello, 2007, p.97. []
  62. U. Donati, I marchi dell’argenteria italiana. Oltre 1000 marchi territoriali e di garanzia dal XIII secolo a oggi, Novara, 1993, p. 15. []
  63. L. Impelluso (a cura di), La Natura e i suoi Simboli. Piante, fiori e animali, Dizionari dell’Arte, Milano 2003. []
  64. S. Rizzo (a cura di), Il Tesoro dell’Isola…, 2004. []
  65. G. Metelli, Scultori in legno attivi a Foligno in età moderna, in L’Arte del legno tra Umbria e Marche, atti del convegno C. Galassi (a cura di), Foligno 2000, p. 190-191. []
  66. E quindi il marchio quasi totalmente abraso potrebbe essere DSC90. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, 2010, p.81. []
  67. M. Vitella, Il Museo d’Arte Sacra…, 2011, p. 168-169. []
  68. M. Accascina, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, p.418. []
  69. M.C. Di Natale, Il Tesoro di Sant’Anna …, in Il Tesoro di Sant’Anna…, Palermo 2010, p. 37. []
  70. G. Cipolla, Il Tesoro della Cattedrale…, in Museo della Cattedrale di Agrigento. Storia e recupero…, G. Costantino (a cura di), 2009, p.77. []
  71. Il disegno in questione è stato tratto dalla riproduzione anastatica del manoscritto originale di Cristoforo Castelli: S. Pedone (a cura di), Cristoforo Castelli da Palermo alla Georgia, Palermo 1987,p.86. []
  72. M. Chikhladze, Cristoforo Castelli’s narration: between the word and image, 2013. Consultabile sul web (https://library.ifla.org/53/1/095-chikhladze-en.pdf []
  73. G. Cusimano, Argenteria sacra…, 2004, p.88. []
  74. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, II ed., 2010, p.84. []
  75. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, II ed., 2010, p.85. []
  76. S. Barraja, I marchi degli argentieri …, II ed., 2010, p.84. []
  77. P. Palazzotto, Cronache d’Arte ne “La Cerere” di Palermo (1823-1847), in Accademia.edu (https://www.academia.edu/6586868/Cronache_d_Arte_ne_La_Cerere_di_Palermo_1823-1847_), 2007. []
  78. M. Vitella, il Museo d’Arte Sacra…, 2011, p. 168-169. []
  79. G. Cusimano, Argenteria sacra…, 2004, p.82-83. []