Cristina Costanzo

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Ettore De Maria Bergler e le Arti Decorative: uno sguardo aggiornato attraverso la scoperta di fonti inedite

DOI: 10.7431/RIV09112014

Il presente articolo è dedicato a Ettore De Maria Bergler, una delle personalità più rappresentative del panorama artistico siciliano, e in particolare alla sua attività nell’ambito della decorazione1. De Maria Bergler, noto per una produzione pittorica di rara eleganza di cui restano preziose testimonianze presso istituzioni museali italiane e straniere, si distinse anche come autore di decorazioni di straordinaria qualità tra cui menzioniamo il ciclo decorativo eseguito a Villa Igiea, da annoverare tra i capolavori dell’Art Nouveau internazionale. Tale contributo intende offrire una riflessione sulle due anime, affini e complementari, della produzione dell’artista siciliano che si cimentò con successo sia con la pittura sia con la decorazione e presentare un più articolato approccio che renda la complessità e la ricchezza di un autore originale in cui riconoscere l’importante testimone di un’epoca e della più generale condizione artistica siciliana tra XIX e XX secolo. È opportuno riconsiderare la passione mostrata da De Maria Bergler per le arti decorative non soltanto attraverso le sue pregevoli opere – come le decorazioni della Sala d’Estate di Villa Whitaker e della Sala del Consiglio della Cassa Centrale di Risparmio, a Palermo, e le decorazioni per il “Secrètaire Liberty”, custodito presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma – ma anche mediante la rilettura critica dell’interessante materiale inedito rintracciato presso l’ASAC (Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia) e un avvenimento tanto significativo quanto misconosciuto: l’acquisto da parte dell’artista siciliano di due panelli decorativi di Frances e Margaret Macdonald, esponenti dell’arte scozzese, presentati alla III Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia (1899). Maria Accascina nel saggio “Ottocento siciliano. Pittura”, lavoro pioneristico e ancora imprescindibile per gli studiosi che si confrontano con l’argomento, descrive il nostro artista in questi termini: «Migliore tra tutti, allievi e non allievi di Francesco Lojacono, fu Ettore De Maria Bergler (1850-1939), che non visse imprigionato in provincia, ma si educò a Napoli e a Firenze, amico di tutti i più grandi pittori contemporanei, presente a tutte le mostre, stimato, onorato come il più grande pittore dell’ultimo Ottocento meridionale2 ». Di capitale importanza per lo studio della figura di De Maria Bergler, il catalogo della mostra antologica sul pittore, a cura di Laura Bica, tenutasi nel 1988 presso la Civica Galleria d’Arte Moderna “E. Restivo” di Palermo, cui si aggiungono i più recenti studi sull’Ottocento siciliano che, pur non concentrandosi esclusivamente sull’artista, hanno restituito alla nostra conoscenza sue opere a lungo ignorate, provenienti da collezioni private. Alle opere citate da M. Accascina e al cospicuo gruppo di dipinti scoperti grazie alla mostra del 1988 si aggiunge così un corpus di lavori – esaminati da studiosi come Ivana Bruno, Anna Maria Ruta, Silvestra Bietoletti e Gioacchino Barbera – comprendente opere, diverse per tipologia e caratteristiche, di notevole interesse come “Algeri” (1883), “Tonnara Bordonaro all’Arenella” (1884), “Tramonto sul mare” (1918), e altre ancora3. Tali fruttuose acquisizioni e precisazioni rispetto alla mostra del 1988 confluiscono nel catalogo dell’artista che si rivela così particolarmente ricco ed eterogeneo. Non mancano gli studi sull’Ottocento siciliano e sulla pittura di paesaggio, temi che si offrono a circuitazioni tra ambiti di ricerca complementari e interessanti a livello nazionale, in quanto includono diverse scuole regionali che da nord a sud esperiscono il proprio sguardo sulla natura. Si inserisce in tale contesto storico-artistico la figura di De Maria Bergler, che opera a cavallo tra due secoli, in un’epoca in cui la Sicilia si rivela uno snodo di cultura e risorse di grande interesse a livello mediterraneo ed europeo, affermandosi come protagonista dei momenti cruciali dell’arte siciliana che si cimentava con la pittura di paesaggio e si apprestava ad accogliere lo stile internazionale noto come Art Nouveau.
Ettore De Maria nasce il 25 dicembre del 1850 a Napoli, durante un soggiorno dei genitori Lorenzo De Maria, palermitano, e Vittoria Bergler, viennese, quasi già destinato dai propri natali all’internazionalità. L’artista gode in vita di grande successo grazie al sostegno delle famiglie dell’alta società siciliana, tra cui i Whitaker e i Florio, e in pochi anni conquista il grande pubblico attraverso le numerose partecipazioni all’Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia. De Maria Bergler poteva vantare la formazione presso le scuole pittoriche di Napoli e Firenze e numerosi soggiorni all’estero ma le radici della sua formazione si trovano a Palermo, in quel vivace ambiente artistico dominato dalla celebre triade composta da Francesco Lojacono, Michele Catti e Antonino Leto. Tra il naturalismo positivista lojaconesco e le atmosfere intimiste di Catti, De Maria Bergler aderisce certamente alle istanze del primo, soprattutto negli anni degli esordi. Tra il 1875 e il 1877 egli è allievo di Lojacono, all’epoca il più grande pittore siciliano vivente, e ben presto trova il suo primo mecenate nel colto e raffinato Giovanni Riso barone di Colobria, esponente di larghe vedute dell’aristocrazia siciliana4. Emblematici di tale fase i lavori “Finestre al sole” (1875-77), oggi presso la Fondazione Sicilia, e “Paesaggio con ulivi” (1876), presso la Galleria d’Arte Moderna di Palermo. L’esordio di De Maria Bergler è segnato dalla realizzazione di vedute e paesaggi dotati di grazia e profusi di un sentimento profondo ed autentico capace di porre al centro della ricerca dell’artista il rapporto tra uomo e natura. Sin dai primi momenti espositivi ufficiali l’artista conquista la critica5, già nel 1875 si pongono le basi per la longeva e fortunata carriera di De Maria Bergler che, dal ’77 in poi, trascorre proficui soggiorni di studio in centri artistici all’avanguardia. Grazie alla generosità del barone Giovanni Riso di Colobria, De Maria Bergler compie frequenti viaggi a Napoli, Roma e Firenze, ed entra in contatto con importanti personalità dell’epoca come Filippo Palizzi e i Macchiaioli. Lojacono e la Sicilia, quindi, non costituiscono per De Maria Bergler un polo di riferimento esclusivo in quanto ben presto ad essi si accostano la scuola napoletana e quella toscana. Notevoli le opere della metà degli anni ’70 che dichiarano l’influenza delle due maniere, come “Marina di Torre del Greco” (1877) e “Studio fiorentino” (1878); altri dipinti degli stessi anni, come “Paesaggio con fiume” (1877), si inseriscono invece nel solco della migliore pittura di paesaggio siciliana. È particolarmente significativa per la biografia e l’attività del pittore la fruttuosa collaborazione con la Galleria Pisani, centro artistico all’avanguardia nell’Italia di fine Ottocento intorno al quale si raccoglievano personalità artistiche del calibro di E. Dalbono, G. Casciaro, G. Signorini, G. Boldini, G. De Nittis, E. Tito, F. P. Michetti, G. Segantini, G. Fattori, F. Palizzi6. Per la galleria fiorentina l’artista esegue scene di genere e paesaggi ispirati alla Sicilia, «in cui la lezione di Lojacono si piegava a esiti più decorativi, con una pennellata morbida e luminosa, unita a ricercatezze cromatiche di marca dalboniana7 ». Tali opere sono caratterizzate da un’originale rivisitazione del paesaggismo di Lojacono alla luce delle esperienze di Napoli e Firenze. Probabilmente la combinazione ben riuscita di queste molteplici influenze gli garantisce fino al 1885 un rapporto privilegiato con la rinomata Galleria Pisani, depositaria del diritto di priorità d’acquisto su tutta la sua produzione. Il 1885 segna anche l’inizio dell’attività di ritrattista; dopo essersi cimentato con il ritratto dello scultore Carnielo, De Maria Bergler si dedica a un gruppo di ritratti di familiari per poi unire le proprie sorti alla dinastia Florio di cui diviene ritrattista ufficiale. Una prova tangibile dell’inserimento dell’artista nella società palermitana si trova nel gran numero di ritratti eseguiti per esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia quali le famiglie Whitaker, Lanza, Trabia, Cutò, Ziino, Lecerf, Fassini, Ducrot e Basile. Parallelamente al proficuo rapporto professionale con la Galleria Pisani, De Maria Bergler si distingue in importanti manifestazioni artistiche, di cui purtroppo ancora oggi non è possibile fornire una ricostruzione dettagliata. M. Accascina scrive che egli «partecipò a quasi tutte le mostre in Italia e all’estero8 » e successivamente G. Barbera aggiunge: «si può dire che dal 1875 prese parte a quasi tutte le mostre regionali e nazionali, ed anche ad alcune esposizioni all’estero di cui è impossibile però dare conto dettagliatamente9». Degna di nota, a dimostrazione della stima riconosciutagli unanimemente dalla comunità artistica e intellettuale del tempo, la presenza dell’artista in commissioni ufficiali, come nel caso dell’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891/92, dell’Esposizione Internazionale di Arti Decorative tenutasi a Torino nel 1902 e della VI e VII Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia (1905-1907).
Dopo l’esordio siciliano, De Maria Bergler prende parte all’Esposizione Nazionale di Belle Arti, tenutasi a Napoli nel 1877, dove espone “La grotta di Denisinni presso Palermo”10, di cui non resta traccia e oggi presumibilmente in collezione privata. Nell’autunno dello stesso anno espone alla Mostra della Società d’Incoraggiamento di Belle Arti di Firenze ben sette opere: la già citata “Marina di Torre del Greco”, ad oggi l’unica rintracciata tra quelle esposte, “L’Isola di Capri”, “La via Palazzuolo di Firenze”, “Marina di Napoli”, “L’Arno”, “La piazza dell’Indipendenza”, “Lungo il Mugnone”11. Nel 1880 l’artista prende parte alla Promotrice di Napoli, in occasione della quale espone il quadro di genere, oggi presso il Museo di Capodimonte a Napoli, “In cortile”, acquistato dalla Real Casa che in più occasioni mostra di apprezzare il lavoro dell’artista siciliano. Tra il 1880 e il 1885 De Maria Bergler è a Roma e a Firenze. Nel 1883 partecipa all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Roma con il dipinto “Bassa Marea” e alla “Promotrice di Napoli” con l’opera “Bambina delle arance assalita dall’oca”, acquistato dalla Regina Margherita di Savoia, da annoverare tra i collezionisti di alto profilo delle opere del pittore siciliano. Seguono altri importanti inviti come quello a partecipare nel 1884 alla Mostra di Belle Arti di Torino con le opere “Spiaggia di Valdesi in Sicilia”, “Nella piazza del Duomo”, “Vigantie”, “La domenica delle Palme”. Quest’ultima, acquistata dal governo russo e destinata alla Galleria d’Arte di San Pietroburgo, costituisce un esempio della produzione di stampo verista di De Maria Bergler. È documentato anche il dipinto “Spiaggia di Valdesi”, intensa veduta di una spiaggia siciliana, che manifesta una completa padronanza dello strumento pittorico, nella resa della spiaggia e del mare con la barchetta in lontananza, e del linguaggio decorativo espresso delicatamente nell’aggraziata resa coloristica delle nuvole. Lo stesso anno espone a Milano “Al Sole”, di cui non resta traccia, e il 28 novembre riceve il titolo di Cavaliere della Corona d’Italia. Nel 1887 è la volta di Venezia, dove alla V Esposizione Nazionale di Belle Arti espone “Ai Bagni”12. L’opera sino ad ora sconosciuta, presumibilmente perché entrata a far parte di una collezione privata, viene restituita alla nostra conoscenza grazie all’incisione eseguita da Sabattini, rintracciata consultando “L’Illustrazione Italiana”, rivista che dedica ampio spazio ai maggiori eventi artistici dell’epoca senza tralasciare i talenti siciliani13. L’opera costituisce uno spaccato fresco e vivace della quotidianità siciliana cara a De Maria Bergler: sullo sfondo di un’abitazione, una fanciulla in primo piano si immerge nelle placide acque del mare siciliano richiamando a gran voce l’amica che la attende a riva in compagnia di un cagnolino mentre altri bagnanti nuotano allegri.
Nel 1887 De Maria Bergler si cimenta anche con la sua prima prova decorativa realizzando per Villa Whitaker – dimora di Joseph Isaac Whitaker e famiglia, sita a Malfitano, luogo privilegiato per l’edilizia signorile del tempo – la “Sala d’Estate” che inaugura un filone di ricerca sino ad allora inedito per l’artista ovvero quello delle arti decorative e dell’integrazione tra pittura e decorazione14. Il caso della committenza dei Whitaker è emblematico della cultura figurativa palermitana di fine ’800 come terreno fertile di contaminazioni culturali e sperimentazioni artistiche15. A Villa Whitaker a Malfitano, nota anche come Villa Malfitano, De Maria Bergler realizza la «stanza floreale, una delle più belle della casa, con le sue pitture murali di ghirlande intrecciare grigio azzurre16». L’avvicinamento alla famiglia Whitaker17, imprenditori di successo nonché committenti raffinati, da un lato contribuisce a mettere in luce le molteplici sfaccettature riscontrabili nella formazione di De Maria Bergler e dall’altro ne sottolinea la vocazione all’internazionalità, che proprio da questo momento si afferma con grande consapevolezza. Per i Whitaker De Maria Bergler realizza “Bambine” (1888), ritratto di Norina e Delia Whitaker, e le decorazioni del soffitto del salotto Luigi XV raffiguranti “Amore e Psiche”, uniti in un dolce abbraccio e circondati da puttini e fasci di rose (1890 circa), di cui esiste anche un bozzetto in collezione privata, ma è nella “Sala d’Estate” che si compie uno degli esiti più felici della sua produzione. Per questo raffinato ambiente l’artista elabora una sorta di gazebo immerso nella natura, un giardino d’inverno che si sviluppa intorno ad una serra creando un effetto di continuità con il parco della dimora stessa e trova ampio respiro nel cielo azzurro sul soffitto. L’artista vi raffigura piante rampicanti, tralci di edera, rami fioriti e piante mediterranee che si intrecciano avvolgendosi su se stesse ed intorno alla serra i cui particolari architettonici richiamano gli elementi floreali stessi. Ricevendo tale incarico, De Maria Bergler diviene – insieme a Rocco Lentini, Luigi Di Giovanni, Enrico Cavallaro, Michele Corteggiani, Carmelo Giarrizzo, Giuseppe Padovano, Giuseppe Enea, Salvatore Gregorietti – uno dei protagonisti del rinnovamento artistico siciliano della seconda metà dell’Ottocento. La “Sala d’Estate”, come scrive I. Bruno, «è considerata dagli studiosi moderni una delle esperienze fondamentali che orientarono il corso della pittura palermitana verso l’Art Nouveau18». È interessante la composizione del gruppo di artisti attivi a Villa Whitaker, un’équipe costituita dal nostro artista, Rocco Lentini, Francesco Padovano e Giuseppe Enea che, a distanza di pochi anni, sarebbero tornati a collaborare alla realizzazione di uno dei simboli della città nuova: il Teatro Massimo. De Maria Bergler, grazie all’influenza di Pip Whitaker rivela una personalità autonoma caratterizzata dal vivo interesse per la cultura britannica, da lui amata, assimilata e diffusa attraverso la “Sala d’Estate”, testimonianza diretta dall’influenza tra Sicilia e Inghilterra. Inoltre, è plausibile che, grazie alla frequentazione della biblioteca di Villa Whitaker, l’artista siciliano fosse entrato in contatto non solo con le novità che si affermavano a Londra, centro nevralgico per le idee di William Morris e delle Arts and Crafts, ma anche con le maggiori esperienze europee che in Gran Bretagna trovano diffusione e sviluppo. Dopo questa prova De Maria Bergler si dedica a vedute, paesaggi e ritratti ma anche a decorazioni in grado di caratterizzare un’epoca. A Villa Whitaker De Maria Bergler coniuga motivo decorativo, architettura e ambiente introducendo nella cultura artistica palermitana alcuni elementi caratteristici della produzione Art Nouveau. L’intervento a Villa Whitaker orienta la ricerca dell’artista verso la decorazione e rappresenta l’inizio di una nuova avventura artistica: il superamento della pittura di paesaggio in favore del nuovo stile che, affondando le proprie radici in Inghilterra, patria stessa dei Whitaker, si afferma con forza in Europa e oltre i confini europei giungendo in Sicilia prima che nel resto d’Italia anche grazie a De Maria Bergler, invitato dal grande architetto Ernesto Basile a decorare il Teatro Massimo e Villa Igiea.
A Villa Whitaker seguono importanti appuntamenti espositivi che confermano il successo di De Maria Bergler. L’artista partecipa alla II Esposizione della Promotrice di Belle Arti, tenutasi a Palermo nel 188919 con “Costume del direttorio”, “Ritratto” e “Contadina di Piana dei Greci”, opere non rintracciate, e “All’acqua”, maestosa tela monumentale, oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo, avente per soggetto una figura femminile che avanza reggendo sulla spalla un’anfora. Quest’ultimo dipinto è rappresentativo di una copiosa produzione di fanciulle tratte dal mondo rurale e colte in scorci caratteristici di vie siciliane come “Scalinata di antico palazzo con figura femminile” (1899), “Venditrice d’acqua” (1906), “Ritratto di contadina” (1915 circa). È rappresentativa dell’eclettismo di De Maria Bergler l’opera esposta a un evento collaterale della stessa manifestazione, oggi presso la collezione del Circolo Artistico di Palermo, “Una carovana di artisti nel deserto” eseguita nel 1889 con Paolo Vetri20. La tempera su carta è firmata in basso a sinistra “Don Paolo River “ e sotto “Don Tereto De Riama”, anagrammi dei nomi degli autori, e raffigura un animato corteo allegorico i cui protagonisti sono i soci del circolo, esponenti del mondo dell’arte del tempo. Nel 1891 De Maria Bergler è invitato alla IV Esposizione Nazionale, tenutasi a Palermo dal 15 novembre 1891 al 5 giugno del 1892, nel corso della quale viene soprannominato il «pittore gentiluomo21». L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891/9222, seguiva a quelle di Firenze (1861), Milano (1881) e Torino (1884) e, ispirandosi ad eventi internazionali come la Great Exhibition di Londra (1851), si basava sull’inedito connubio tra arte e industria per agevolare l’affermazione di una nuova compagine di mecenati borghesi affiancatisi alla più antica aristocrazia. L’architetto Ernesto Basile, con la collaborazione degli ingegneri Ernesto Armò, Lodovico Biondi e Alfredo Raimondi, è incaricato dei lavori di progettazione e costruzione dei padiglioni e degli spazi espositivi23. Particolarmente importante il Palazzo delle Belle Arti, prospicente su via Libertà e, al contrario degli altri padiglioni realizzati prevalentemente in stile arabo-normanno, ispirato allo stile rinascimentale. La mostra d’arte contemporanea ospitava 720 dipinti e 301 sculture, opere di artisti come F. Lojacono, N. Attanasio, B. Civiletti, E. Ximenes, M. Rutelli, G. Segantini, G. Pellizza Da Volpedo, P. Nomellini, E. Eroli e naturalmente E. De Maria Bergler24. Quest’ultimo prende parte alla manifestazione in una duplice veste, come membro della “Commissione Ordinatrice palermitana” e della “Commissione dei Festeggiamenti”25 e come artista presentando “Strada presso Palermo”, “Studio di testa”, sei “Studi Ricordi della Sicilia”, “I Chierici rossi” e “I Cavalli alla foce” nella sezione Arte Contemporanea e partecipando alla Mostra Speciale “Sicilia Monumentale” con “Siracusa – Avanzi del Tempio di Giove Olimpico”. Dall’analisi delle opere emerge il gusto fine e delicato che contraddistingue l’intera produzione del pittore; i cronisti del tempo ne colgono la nota personale e ne apprezzano «la disinvoltura elegante e nel tempo stesso sicura, propria dei maestri provetti26». Sono noti i dipinti “I Chierici rossi” (1891), dotato di un grande realismo derivante dalla presenza genuina di due giovani chierichetti, e “I Cavalli alla foce” (1891), raffigurante due cavalli nell’atto di abbeverarsi alla foce del fiume Oreto. Non è stato possibile trovare notizie circa “Strada presso Palermo” e “Studio di testa”, al contrario, il volume edito da Treves a Milano nel 1892 “Palermo e l’Esposizione Nazionale del 1891-92. Cronaca illustrata”, con l’articolo “Il Primo Fiore. Quadro di E. De Maria”, ci restituisce una descrizione dell’omonimo studio, accompagnata da un’incisione eseguita dall’incisore e xilografo milanese Ernesto Mancastroppa che riproduce l’opera di De Maria Bergler27. L’articolo mette in luce l’entusiasmo con cui fu accolta l’opera e, considerata l’attendibilità della fonte, è da ritenersi un utile strumento di lettura. “Il primo fiore”, descritto come uno “studio della vita dei campi in Sicilia”, non compare nel catalogo generale tra le opere esposte da De Maria Bergler28 ed è possibile ipotizzare che facesse parte dei sei studi presentati da De Maria Bergler con il titolo “Ricordi di Sicilia”, è altresì plausibile che il titolo sia stato attribuito dalla stampa dell’epoca e in particolare dal cronista che scrive: «Questo studio della vita dei campi in Sicilia, che intitoliamo Il primo fiore, è uno de’ suoi più geniali29». La riproduzione dell’opera si offre al confronto con un’altra opera presentata dal pittore nella medesima occasione, “Siracusa – Avanzi del Tempio di Giove Olimpico”, in particolare nel dettaglio delle due giovinette raffigurate in basso a destra. Sia ne “Il primo fiore” sia in “Siracusa – Avanzi del Tempio di Giove Olimpico” sono presenti due figure femminili, due fanciulle in abiti contadini che nella quiete della natura si soffermano a raccogliere un fiore. Il soggetto, centrale nello studio “Il primo fiore” diviene un dettaglio del dipinto “Siracusa – Avanzi del Tempio di Giove Olimpico”. È possibile ipotizzare che a partire dallo studio “Il primo fiore” De Maria Bergler abbia sviluppato il dettaglio che contribuisce a rendere così umano il paesaggio siracusano. Le figure femminili in questione sono frequentemente presenti nella produzione di De Maria Bergler che le trae dalla tradizione napoletana e da Filippo Palizzi. L’Esposizione di Palermo del 1891-92 raccolse uomini d’ingegno e grandi artisti, tuttavia, essa non ebbe gli effetti sperati sull’economia siciliana, le cui sorti erano legate alle vicende economiche, politiche e sociali dell’intera nazione30. È comunque importante sottolineare che la partecipazione di De Maria Bergler all’Esposizione contribuì considerevolmente alla sua affermazione artistica. Occorre inoltre ricordare che al volger del secolo, la volontà di istituire una Galleria d’Arte Moderna, dove oggi si trova un importante nucleo di opere pittoriche di De Maria Bergler, matura proprio in seguito alle numerose acquisizioni pubbliche condotte in occasione dell’Esposizione. Negli stessi anni l’artista realizza opere di grande finezza stilistica tra cui citiamo “Estasi”, acquistata da Ignazio Florio Jr. per lo Yacht Sultana, che anticipa il raffinato linearismo e le ricercatezza cromatica di Villa Igiea, dove è custodita, e “Ritratto di Franca Florio”, entrambi del 1893 ed eseguiti con la tecnica che valse a De Maria Bergler il titolo di «gran signore del pastello31». Tra i suoi capolavori vi è il tondo raffigurante Franca Florio32, moglie di Ignazio ed esponente di una delle famiglie italiane più in vista dell’epoca nonché mecenate ed amica dell’artista, come testimoniato dalla fotografia del 1894 con dedica autografa “Al simpatico amico Ettore De Maria. Affettuosamente, Franca33”. Con il “Ritratto di Franca Florio” De Maria Bergler, definito da A. Purpura una «sorta di Boldini locale34», rende omaggio non soltanto alla straordinaria bellezza e al carisma di Franca Jacona di San Giuliano ma anche a un’epoca in cui la Sicilia, come la donna ritratta, era fulgida di meraviglia. Tale opera testimonia l’affetto che legava il pittore ai Florio, suoi mecenati e sostenitori come dimostrato dall’alto profilo delle opere commissionategli per la loro collezione ma anche dal loro impegno volto a garantire alla pubblica fruizione le opere dell’artista acquistate per la Galleria d’Arte di Palermo, a imperitura memoria del talento di De Maria Bergler.
Risale al 1893 anche la genesi della «unione felicissima35» con Ernesto Basile compiutasi grazie a un’opera fondamentale per l’arte e l’architettura siciliana che assume grande importanza anche nell’attività del nostro artista: il Teatro Massimo di Palermo, intitolato a Vittorio Emanuele II36. Il Teatro Massimo si collocava in una posizione strategica della città, nella stessa zona d’interesse dell’Esposizione Nazionale del 1891/1892, essendo destinato a un progetto grandioso, ispirato ai modelli parigini e viennesi37. Il nuovo teatro non delude gli amanti del genere imponendosi come edificio laico di grande valore simbolico, rappresentativo di una stagione culturale particolarmente vivace per Palermo, e inserendosi in una tradizione artistica che in Sicilia affondava le proprie radici lontano nel tempo. Costruito su progetto dell’architetto Gian Battista Filippo Basile, vincitore del concorso indetto dal Municipio di Palermo il 10 settembre 1864, il Teatro Massimo fu completato da Ernesto Basile, succeduto nella direzione dei lavori dopo la scomparsa del padre avvenuta il 16 giugno 1891. Nel nuovo teatro palermitano G.B.F. Basile «opera la reale stratificazione della storia architettonica italiana e insulare e applica la sua teoria del rapporto tra musica e architettura … Partendo dalla geometria e dalla teoria delle generatrici, Basile attinge alla fonte dell’espressione musicale come reale espressione di un sentimento che si concretizza nell’architettura. La sezione aurea di memoria palladiana e la generatrice delle architetture “sicule” generano, nella loro intima fusione, un “organismo” che al pari di quello vivente, si struttura attraverso il rapporto di interdipendenza tra gli organi primari e gli organi secondari. Analogia che consente a Basile di far dialogare i volumi esterni con quelli interni e di stabilire gerarchie precise negli spazi – dominati dal grande rettangolo aureo di partenza – nei principali pezzi della composizione e nell’epidermide della decorazione38». L’intervento di E. Basile era in sintonia con il progetto paterno, sviluppato secondo lo sperimentalismo stilistico che intorno al 1895 poneva le basi per la diffusione dell’Art Nouveau in Sicilia e la nascita di una scuola caratterizzata da uno scambio proficuo tra artisti e architetti, palese nel teatro palermitano. In questa occasione, sottolinea E. Sessa, Basile «sperimenta il principio del “pareggiamento delle arti” e della “regia unitaria” secondo i precetti della recente rivoluzione estetica che porta all’Art Nouveau39». Basile non tralasciò il programma decorativo sviluppato all’interno del Teatro Massimo, un vero e proprio cantiere che vede all’opera i maggiori artisti del tempo come E. De Maria Bergler, S. Valenti, F. Padovano, R. Lentini, M. Cortegiani, G. Di Giovanni, G. Enea, E. Cavallaro, G. Geraci, A. Ugo e le ditte Golia (poi Ducrot), Spoto, Cannella, Romeo, Cohen, Dagnino. All’interno del teatro l’effetto è aulico ma non severo, basato sull’alternarsi dei toni del rosso e dell’oro che esaltano la struttura della Sala, in cui si dispiegano sulla volta le decorazioni di Lentini, De Maria Bergler, Cortegiani e Di Giovanni. Concepito come un nuovo Pantheon, il teatro palermitano spiccava per ampiezza e fasto e assumeva la fisionomia di un tempio dell’arte destinato alle classi in ascesa, protagoniste di una città proiettata verso il futuro. Per tali ragioni il Teatro Massimo ha sollecitato la formulazione di letture simboliche in sintonia con la fioritura decorativa all’interno dell’edificio. Si deve a G. Pirrone lo studio della dimensione nascosta del processo decorativo attuato da Basile in un sistema di compenetrazioni tra volumi del teatro che darebbe atto alla «divina armonia di Pitagora40». Non entrando nel merito di tale articolata quanto suggestiva lettura, ai fini della nostra ricerca si rivela opportuno finalizzare tale linea interpretativa nella più ampia analisi stilistica del monumento. Nelle decorazioni del Teatro Massimo è possibile individuare il tema della fioritura della natura, sviluppato con sobria eleganza, da intendersi come specchio della cultura e della fortuna della Sicilia. Si riconoscono festoni di fiori e di frutta, motivi legati alla prosperità e alla fertilità, in diversi elementi disseminati negli ambienti del teatro e nell’intero programma decorativo che si snoda tra la Sala degli Spettacoli, il Foyer, il Palco Reale, il Salone del Sovrano e la Sala Pompeiana, dove si intrecciano complesse allegorie e simbolismi. Il lavoro di De Maria Bergler si concentra all’interno del Teatro Massimo, nello specifico negli ambienti del salone e della loggia del Palco Reale, nella Sala degli Spettacoli e nella Rotonda del Mezzogiorno sviluppando, d’accordo con l’architetto e gli altri artisti coinvolti, un partito decorativo che si offre come omaggio alla potenza fertile della natura germinale resa con forme e colori che si fondono in una danza gioiosa. Tale intervento si rivela di fondamentale importanza non soltanto per la qualità delle opere prodotte ma anche perché, ponendosi in continuità con le decorazioni di Villa Whitaker, orienta l’attività di De Maria Bergler sia alla pittura sia alla decorazione e all’integrazione tra le due, offrendosi come preambolo alle esperienze significative di Villa Igiea e delle Esposizioni di Torino e Venezia, esito del rapporto privilegiato tra l’artista ed Ernesto Basile. Come scriveva M. Accascina nel 1939 «Ettore De Maria fu il pittore chiamato spesse volte dal Basile per le decorazioni ambientali: si rinnovava quell’unione felicissima tra un architetto e un pittore, come si era già avuto proprio all’inizio dell’800 con Venanzio Marvuglia e Giuseppe Velasco41». Al Teatro Massimo il rapporto tra Basile e De Maria Bergler, sottolinea U. Mirabelli, è «congeniale confluenza di interessi, di scelte e di orientamenti espressivi42». La Sala degli Spettacoli costituisce la più alta testimonianza della collaborazione che si manifesta nella decorazione del teatro palermitano ma che al contempo si ricongiunge all’esperienza di Villa Whitaker e agli esiti di opere pittoriche come “Spiaggia di Valdesi”. Al di là delle interpretazioni in chiave di simbolismo pitagorico, è possibile affermare che il programma decorativo del Teatro Massimo raggiunge una punta massima nel soffitto della Sala degli Spettacoli, dove si sviluppa una decorazione che Basile volle «con festoni di frutta e fiori, fogliami, fettucce, medaglie, con busti, modanature architettoniche, con decorazione o senza, puttini, ceste con frutta e fiori, volatili, mensole ed altro simile eseguita con tutta la perfezione ed esattezza che l’arte suggerisce, e secondo le norme che darà il direttore dei lavori43». Si manifesta un anelito di vita, un pulsante sospiro vitale che ambisce all’armonia in un tempio dedicato all’arte e alla musica, e ricompare il soffice linearismo di “Amore e Psiche”, bozzetto del 1890, nel tondo centrale con “Il trionfo della Musica”; dove emerge il contrasto dei toni del celeste e del rosso. Notevoli i singoli inserti trapezoidali in cui la sensuale fisicità delle figure femminili, allegorie della musica e dell’arte, si stagliano su un fondo dalle cromie vivaci. Il risultato della collaborazione tra gli artisti De Maria, Cortegiani e Di Giovanni è particolarmente intenso. Le figure di De Maria Bergler sono emblematiche dell’eclettismo del suo stile, in particolare la fanciulla che suona i piatti, colta in una posa quasi estatica, è quella che maggiormente si avvicina alle protagoniste di Villa Igiea ed evoca le tonalità soffuse di pastelli come “Estasi”. Nelle decorazioni del Teatro Massimo (1893-97) l’artista recupera la linea stilistica inaugurata a Villa Malfitano e, coerentemente con la scelta di Basile volta ad identificare l’architettura con le arti decorative, realizza quella straordinaria compenetrazione tra significato simbolico, specifico architettonico e decorazione che ancora oggi è possibile ammirare. Tale esperienza è estremamente importante per l’attività di De Maria Bergler decoratore e presenta in nuce alcune tendenze predominanti nel suo capolavoro: le decorazioni di Villa Igiea. Sul finire del secolo Palermo, meta di viaggi e di soggiorni di aristocratici ed intellettuali, si appresta a diventare una delle capitali dell’Art Nouveau anche grazie all’apporto del nostro artista. In questo periodo si diffonde in Europa il gusto della nascente borghesia industriale che in Sicilia trova la sua più alta espressione nella famiglia Florio. Alla fine dell’Ottocento De Maria Bergler partecipa alla straordinaria fioritura della città nel campo delle arti decorative, sostenuta da realtà quali il Mobilificio Ducrot, la Fonderia Oretea, la Ceramica Florio, la Vetreria di Pietro Bevilacqua. Tale fermento, incoraggiato da una borghesia imprenditoriale di alto livello, caratterizza la stagione culturale in cui si affermano a Palermo le nuove tendenze artistiche, già diffusesi in altri Paesi europei, capaci di rendere la città una capitale dell’Art Nouveau. È opportuno, pertanto, esaminare la cultura figurativa palermitana in relazione al più vasto contesto europeo; si pensi, per esempio, al rapporto tra i Florio e gli artisti siciliani e a come tale corrispondenza di intenti tra élite intellettuale ed élite borghese sia riscontrabile in altri felici incontri artistici coevi come nei casi di Gaudì ed Eusebio Güell in Spagna e di Victor Horta ed Ernest Solvay in Belgio, in virtù di un «audace rispecchiamento critico44» tra Art Nouveau ed élite intellettuale.
Nel 1896 De Maria Bergler prende parte all’Esposizione artistica sarda di Sassari e nel 1900 all’Esposizione Siciliana e calabrese di Arte e fiori di Messina, dove riceve la medaglia d’oro, ma la sua consacrazione avviene tra il 1899 e il 1901 grazie alle decorazioni di Villa Igiea e alla partecipazione all’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, di cui è protagonista con continuità dal 1901 al 1912.
Tra il 1899 e il 1900 si manifesta in uno dei più felici risultati del Liberty la collaborazione tra l’architetto Ernesto Basile e l’artista De Maria Bergler, riunitisi grazie ai Florio presso il sanatorio Villa Igiea, convertito in corso d’opera in Grand Hotel Villa Igiea. La Sala degli Specchi, nota anche come Sala Basile o Sala Liberty, sviluppa un ciclo decorativo di alto livello qualitativo e grande originalità artistica, realizzato da De Maria Bergler con la collaborazione di Luigi Di Giovanni e Michele Cortegiani e dedicato al tema della rigenerazione. Le decorazioni si dispiegano su campi pittorici corrispondenti ad altrettanti momenti della giornata e delle stagioni, allegoria del ciclo della vita che con circolarità va dalla nascita alla morte e viceversa, in una sintesi stilistica che abbraccia decorazione e architettura (capriate, colonnato, cornici, specchiature, porte, stipiti e cimase) all’interno di un’unità compositiva magistrale che, non tralasciando implicazioni cabalistiche e calcoli di tipo metafisico, suggerisce l’idea di un luogo di meditazione. Unità delle arti in favore del superamento della distinzione tra arti maggiori e arti minori, tendenza all’opera d’arte integrata, trionfo delle arti decorative e sconfinamento tra diversi ambiti: questi i tratti peculiari dell’Art Nouveau internazionale ai quali è possibile ricondurre anche l’esperienza italiana del Liberty e di Villa Igiea. Tale intervento si ricongiunge ad altre opere di De Maria Bergler come le decorazioni della Sala d’Estate di Villa Whitaker dove si attua, analogamente a quanto avviene tra il Salone e il giardino di Villa Igiea, un raffinato gioco di rimandi tra l’interno e l’esterno. È anche il caso del Teatro Massimo da menzionare per il mito della fertilità che caratterizza tanto l’apparato ornamentale di Villa Igiea quanto quello del teatro palermitano e per il modus operandi di Basile, volto a impiegare le molteplici capacità professionali nell’ambito del processo creativo. Il ciclo decorativo elaborato per Villa Igiea si rivela di preziosa eleganza e contribuisce a rendere Palermo un centro di rilievo dell’Art Nouveau internazionale collocando al tempo stesso la produzione di De Maria Bergler nell’alveo delle avanguardie artistiche europee di fine secolo. Numerose le affinità stilistiche con altre pregevoli opere dell’epoca; si pensi ai punti di contatto con la cultura britannica come riassunto perfettamente dal ricorso alla figura del pavone, uno degli elementi caratteristici di correnti quali le Arts and Crafts, l’Aesthetic Movement e i Preraffaelliti che, ispirandosi alla tradizione orientale, lo raffiguravano frequentemente. Il pavone contraddistingue opere di vario tipo come “The Peacock Skirt” (1893) di A. Beardsley per la Salomè di O. Wilde, la carta da parati “Fig and Peacock” (1895) disegnata da W. Crane e lo specchio con una coppia di pavoni stilizzati (1895) delle sorelle Macdonald e J. H. MacNair. Ricordiamo anche la piuma di pavone, disegnata nel 1887 da A. Silver, divenuta uno dei simboli di Liberty, department store londinese fondamentale per la diffusione delle nuove tendenze, dal quale è tratto il termine in lingua inglese impiegato per descrivere la variante italiana dell’Art Nouveau. La rappresentazione del pavone in ambito artistico caratterizza anche altri paesi europei e conquista il gusto americano; citiamo “La Fée Paon”, lampada elettrica presentata da P. Wolfers all’Esposizione d’Arte Decorativa di Torino nel 1902; il dipinto di E. Aman-Jean “Giovane donna con pavone” (1895); i gioielli a forma di pavone realizzati da Lalique e i vasi che ne riproducono la coda disegnati da L. C. Tiffany e prodotti dalla Tiffany Glass and Decorating Company (1900 c.). Né probabilmente sfuggivano a De Maria Bergler, così come a Basile e Ducrot, la “Peacock Room” di J. Mcneill Whistler (1877), ambiente realizzato per una casa privata londinese e oggi riprodotto presso la Freer Gallery of Art di Washington, in cui si fondono architettura e decorazione, quest’ultima affidata alla presenza di maestosi pavoni, e “La stanza di Dijsselhof” (1890-1902), realizzata ad Amsterdam da G. Willem Dijsselhof e dominata dalla raffigurazione di un pavone a coda aperta. Villa Igiea è il risultato di un profondo aggiornamento sulle tendenze artistiche del tempo che includono l’arte britannica, evocando uno dei capolavori di E. Burne -Jones come “La scala d’oro” (1880) e palesemente dichiarando di conoscere anche A. Mucha, in particolare opere come “Lo smeraldo” (1900), “Job” (1898), “Byzantine Heads” (1897), “Champenois”, “The Flowers” (1898). Il linearismo flessuoso, la finezza stilistica, l’elegante cromatismo, l’aggiornamento culturale in senso internazionale, la capacità di ispirarsi all’Art Nouveau in anticipo rispetto al resto d’Italia e l’integrazione tra pittura e decorazione concorrono a rendere Villa Igiea un capolavoro del Liberty.
Negli stessi anni in cui De Maria Bergler è attivo a Villa Igiea si registra un avvenimento in cui trova conferma lo specifico tema della portata europea della sua ricerca artistica. L’aggiornamento di De Maria Bergler sulle maggiori novità artistiche dell’epoca viene confermato dall’acquisto di una coppia di pannelli decorativi realizzati da Frances e Margaret Macdonald (figg. 12), vicenda a lungo ignorata e meritevole di entrare tra i fatti più significativi della sua biografia. Dallo spoglio del materiale conservato presso l’ASAC si evince che nel 1899, in occasione della III Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, il nostro artista rimase così affascinato dalle opere di Frances e Margaret Macdonald – rispettivamente cognata e moglie del grandissimo architetto Charles Rennie Mackintosh, innovatore del design britannico – da decidere di acquistare due opere delle importanti artiste scozzesi che in quegli anni rappresentavano un’avanguardia artistica in Europa. La notizia rintracciata nel corso delle ricerche presso l’ASAC non può considerarsi inedita in quanto già riportata, seppur in modo parziale, da P. Robertson e G. Romanelli45. Il catalogo del 2006 “Doves and Dreams. The Art of Frances Macdonald and James Herbert McNair” riporta l’informazione che “The Annunciation” e “The Star of Bethlehem” furono acquistate nel 1899 da Ettore De Maria Bergler46; inoltre, già nel 1995, nel catalogo “Venezia e la Biennale. I percorsi del gusto”, F. Scotton considerava «singolare e rimarchevole47» tale acquisto. È opportuno approfondire questa vicenda, ancora oggi sottovalutata ma estremamente utile per considerare sotto la giusta luce la vocazione internazionale dell’artista siciliano, attraverso la lettura dei documenti custoditi presso l’ASAC che consente di risalire allo scambio epistolare relativo all’acquisto effettuato tra il 1899 e il 1900 da De Maria Bergler48. La lettera inviata il 29 ottobre 1899 da Antonio Fradeletto, Segretario Generale dell’Esposizione, a De Maria Bergler rende noti due fatti rilevanti. Il primo è la permanenza a Parigi del pittore siciliano, che Fradeletto ringrazia «della sua gentile lettera da Parigi49»; il secondo riguarda invece il desiderio di De Maria Bergler di acquistare una coppia di pannelli decorativi delle sorelle Macdonald. Fradeletto scrive: «le sorelle Macdonald […] ci hanno telegrafato che l’ultimo prezzo al quale intendono cedere i due pannelli decorativi di stile nuovo è di 25 lire sterline50». Si rivelano preziose anche due lettere, custodite nella collezione “Autografi” del Fondo Storico dell’ASAC, inviate da De Maria Bergler a Fradeletto. La prima, datata 20 ottobre 1899, dimostra l’interesse dell’artista per le opere in questione e ne conferma la presenza a Parigi, come testimoniato dalla carta da lettere in cui si legge l’intestazione dell’Hotel Ritz di Place Vendôme presso cui alloggiava a Parigi51. La seconda lettera, datata 9 novembre 1899, viene inviata dall’artista a Fradeletto con l’offerta di 600 lire «per i due pannelli decorativi a bassorilievo52» delle artiste scozzesi. Il 9 novembre 1899 Fradeletto scrive alle sorelle Macdonald per comunicare l’offerta53 e, dalla lettera inviata il 19 novembre dall’Ufficio Vendite a De Maria Bergler, si apprende che le artiste scozzesi avevano accettato la cifra e che le opere acquistate sarebbero state prontamente inviate secondo il Regolamento dell’Esposizione54. Nella lettera inviata dall’Ufficio Vendite alle sorelle Macdonald vengono specificati i nomi delle artiste, l’indirizzo del loro studio sito al numero 128 di Hope Street a Glasgow, l’entità della somma versata e il nome dell’acquirente palermitano. Tale importante documento conferma l’avvenuto acquisto dei due pannelli decorativi “caratteristici” e “di stile nuovo” da parte del nostro artista55. Dal Registro Vendite della III Esposizione Internazionale d’Arte del 1899 si evince che De Maria Bergler acquistò per 600 lire le opere “La Stella di Betlemme” di Frances E. Macdonald e “L’Annunciazione” di Margaret E. Macdonald56, indicati come pannelli in alluminio battuto57. Concepiti en pendant come dittico, i pannelli decorativi sviluppano un interessante programma iconografico, dall’originale componente simbolica. Ne “L’Annunciazione” l’episodio biblico viene rappresentato attraverso l’immagine dell’Angelo Gabriele nell’atto di porgere il Bambino, all’interno di un globo d’oro, alla Vergine inginocchiata. Il motivo tradizionale del giglio, simbolo di purezza, viene ripreso anche da “La Stella di Betlemme”, contraddistinta dalla presenza inconfondibile della stella sostenuta dall’Angelo al di sopra della Vergine e il Bambino per mostrare ai pastori la via per Betlemme; su di loro veglia la colomba, simbolo dello Spirito Santo.
Nei primi mesi del 1900, quindi, giungono a Palermo direttamente dall’Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia due pannelli decorativi delle sorelle Macdonald, esposti all’Arts and Crafts Exhibition tenutasi a Londra nel 1896 e pubblicati dalla celebre rivista “The Studio”. G. White, recensendo su “The Studio” la mostra londinese del 1896, dedicò molta attenzione alle due opere soffermandosi sull’eccentricità delle sorelle Macdonald ed apprezzandone il senso raffinato per la decorazione. Entrambi i pannelli furono pubblicati con la recensione e ciò dovette contribuire notevolmente alla fama delle artiste58. Inoltre, tra il 1895 e il 1896 le sorelle Macdonald, incaricate di eseguire le illustrazioni per “The Christmas Story”, realizzarono due versioni di “La Stella di Betlemme” e “L’Annunciazione” a tecnica mista (matita, acquerello e pittura d’oro su pergamena con cuciture in filo d’oro)59. Sebbene il prezioso volume, consultato presso la Hunterian Art Gallery di Glasgow, non sia mai stato pubblicato le opere “La Stella di Betlemme” e “L’Annunciazione” circolarono prima che venissero trasposti in pannelli decorativi; nella primavera del 1896 vennero infatti pubblicati nel quarto numero della rivista “The Magazine” insieme a una serie di cinque lavori di Mackintosh.
Grazie a De Maria Bergler giungeva dunque a Palermo una testimonianza particolarmente significativa della riforma del design che si affermava in Gran Bretagna. La scelta di orientare il proprio acquisto verso due pannelli decorativi “in stile nuovo” è in sintonia con l’accostamento alle arti decorative che in quegli anni caratterizza la sua produzione, ma non solo, è infatti possibile riscontrare alcuni interessanti punti di contatto tra la ricerca dell’artista siciliano e il milieu artistico scozzese. È il caso del pannello “The Dew” di M. Macdonald, sviluppato dall’Annunciazione del 189560, raffigurante due eleganti figure femminili circondate dalle rose tipiche di molti lavori di Margaret e C. R. Mackintosh. Esso fu eseguito in pendant con il pannello del 1901 “The Vassels” di Mackintosh per la Ladies’ Lancheon Room della celebre Tea Room di Ingram Street a Glasgow, commissionata da Miss Cranstone, in cui sono presenti alcuni motivi affini alle decorazioni di Villa Igiea come il raffinato cromatismo, il flessuoso linearismo e la presenza di sinuose e aggraziate figure femminili. Puntuale appare il confronto con altre opere degli stessi anni. Nel 1899 Margaret e Frances Macdonald presero parte alla seconda edizione della “International Society of Sculptors, Painters and Gravers (ISSPG)”, mostra londinese dal carattere secessionista in aperta contrapposizione alle proposte accademiche, esponendo rispettivamente gli acquarelli “Summer” e “Spring”, tratte da una serie dedicata alle stagioni: “La Primavera”, circondata da un fregio in metallo che incorniciava l’acquarello con motivi floreali e faunistici stilizzati, presentava due figure femminili enigmaticamente immerse nella natura, e “L’Estate” presentava una figura femminile circondata da putti; entrambe le opere si ponevano come celebrazione della fertilità e non si può fare a meno di evidenziare che il tema della prosperità unito al mito della rinascita accomuna le decorazioni del Teatro Massimo e quelle di Villa Igiea. Acquistando le opere delle sorelle Macdonald De Maria Bergler seppe cogliere una serie di elementi rappresentativi della loro ricerca, presumibilmente l’artista siciliano era al corrente che “La Stella di Betlemme” e “L’Annunciazione” fossero state presentate a Londra alla V mostra della “Arts and Crafts Exhibition” e non è da escludere che egli fosse informato sul dibattito del tempo relativo alle novità prodotte a Londra e a Glasgow. Con la scelta di acquistare tali opere De Maria Bergler dimostra una notevole capacità di giudizio critico ed è plausibile che, essendosi appassionato al dibattito del tempo, egli decise di acquistare “L’Annunciazione” e “La stella di Betlemme” per schierarsi con quanti intuirono sin da subito la portata della riforma condotta in campo artistico dai Quattro di Glasgow e nello specifico da Frances e Margaret Macdonald. Apprezzando le loro opere De Maria Bergler riconobbe alla ricerca delle sorelle Macdonald il giusto valore e ne comprese appieno l’importanza e la carica innovativa. Come sottolinea F. Scotton, la scelta di acquistare le opere di Frances e Margaret Macdonald «merita di essere conosciuta perché attesta il tempestivo e motivato – ed eccezionale per l’Italia – aggiornamento da parte dei siciliani, tanto più che i due pannelli costituivano esempi indubitabili del nuovo stile61».
Non entrando nel merito dell’importante esperienza veneziana squisitamente pittorica in cui De Maria Bergler si distinse come il più grande pittore dell’Italia meridionale partecipando alla mostra nel 1901, 1903, 1905, 1907, 1909, 1910 e 1912 ed esponendo opere apprezzate dalla critica e dal pubblico, acquistate da personaggi illustri al fine di destinarle ad importanti raccolte pubbliche e collezioni private, non è possibile concludere questo approfondimento sull’impegno dell’artista siciliano nell’ambito delle arti decorative senza far riferimento almeno ad altri due episodi significativi in tal senso. Nel 1902 si tiene a Torino, presso il Parco del Valentino, l’Esposizione Internazionale di Arte Decorativa, in cui convergevano molteplici obiettivi, da quello di «fondare un linguaggio comune alla cultura moderna europea, anche appunto la cultura dell’arredo e dei modi di vita62» a quello economico finalizzato a «consolidare un mercato che si rivolgeva alla borghesia, in crescita non solo di potere ma di coscienza di sé63». All’Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa del 1902 ricevono gli ambiti diplomi d’onore Giacomo Cometti, Galileo Chini e la ditta Ducrot, guidata da Basile, che emergono per coerenza ed originalità mentre a livello internazionale si distinguono W. Morris e la sezione inglese, C. R. Mackintosh e la sezione scozzese, L’Art Nouveau di Bing e La Maison Modern di J. Meier Graefe, solo per citarne alcuni. Come si evince dal Regolamento Generale della manifestazione, De Maria Bergler partecipa all’Esposizione torinese del 1902 in qualità di “delegato nominato per la commissione generale”, incarico che conferisce autorevolezza all’artista siciliano capace di affermarsi come personalità di rilievo in occasione dell’edizione del 1901 dell’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, durante la quale conosce Vittorio Pica, al quale rimane legato da una profonda e sincera amicizia. Partecipa al grande evento torinese in qualità di espositori la Ditta Ducrot, guidata da Ernesto Basile, che raccoglie molti consensi in virtù della «novità delle sue proposte dove traspare una continua ricerca di funzionalità e semplicità64». Particolarmente interessante il giudizio di V. Pica che ne “L’arte decorativa dell’Esposizione di Torino del 1902” scrive: «mi sono riserbato di parlare all’ultimo di due siciliani, i quali rappresentano da soli o quasi da soli l’Italia meridionale alla mostra torinese, ma la rappresentano, diciamolo pure ad onore del vero, in modo molto degno. Essi sono Ernesto Basile, l’architetto valentissimo, che ha rinunciato d’un tratto a coltivare lo stile greco-romano, in cui era riuscito dietro l’esempio del glorioso padre suo, eccellente, per consacrarsi allo stil nuovo, che ha mostrato di comprendere, pur mantenendosi fedele ai peculiari caratteri della razza italiana, come forse niun’altro ancora nel nostro paese, e Vittorio Ducrot, che ha rinnovato la fabbricazione della Ditta Golia, da cui è rimasto da poco unico proprietario, con criteri affatto moderni e con buon gusto oltremodo sagace. L’unione di queste due forze in comune lavoro dimostra quale possa essere il vero modo di fare scomparire quella certa inferiorità, da me accertata più di una volta nelle opere esposte a Torino, dell’architetto, dello scultore o del pittore, che soltanto disegna il mobile, in confronto dell’ebanista, che lo concepisce e lo esegue egli stesso. L’unico modo, dunque, per far scomparire tale inferiorità e per ottenere risultati oltremodo soddisfacenti, riunendo la bellezza alla praticità ed all’adatto impiego della materia adoperata, è che, come accade proprio nel caso attuale, l’artiere non sia soltanto l’esecutore materiale delle concezioni dell’artista, ma ne sia spesso e volentieri l’intelligente collaboratore65».
Nel 1903 De Maria Bergler partecipa alla V Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia, caratterizzata da un’inedita apertura alle arti decorative. Il catalogo della manifestazione descrive così la “Sala del Mezzogiorno”: «la Commissione composta dai Signori Ernesto Basile, Ettore De Maria Bergler, Giuseppe De Sanctis, Giovanni Tesorone si valse del concorso generoso e dell’opera intelligente dei seguenti artisti e Ditte Industriali. Per la Sicilia: La Ditta Ducrot ha curato tutto l’organamento costruttivo delle due sale sotto la direzione del Basile ed a norma dei suoi disegni ha apprestato tutto il mobilio e suoi accessori. Lo scultore Ugo ha lavorato alla parte ornamentale plastica. De Maria Bergler, l’Enea, il Gregorietti e il Lentini hanno curato la parte pittorica66». Il nostro artista partecipa con il dipinto “Luci Vespertine”, veduta ambientata in un ampio porto che risente delle suggestioni del viaggio compiuto in Africa con i Florio, e le decorazioni della scrivania in mogano nota come “Secrètaire Liberty”. Il mobile disegnato da E. Basile e realizzato dalla ditta Ducrot con decorazioni interne di De Maria Bergler e figurine esterne in bronzo di A. Ugo può essere considerato la summa delle maggiori riflessioni sul Liberty in Sicilia e viene ricordato da Vittorio Pica come la prima opera d’arte decorativa entrata a far parte della Galleria d’Arte Moderna di Roma67. Particolarmente interessante, infine, per far luce sulla passione con cui i grandi intellettuali dell’epoca affrontavano il rapporto tra arti figurative e decorative, emancipando queste ultime dal rango di inferiorità, una lettera del 4 luglio 1902 inviata da A. Fradeletto a E. De Maria Bergler in cui si legge: «fin qui Venezia ha tenuto una serie di Esposizioni internazionali di Arte pura. Oggi Torino tiene fortunatamente una grande Esposizione internazionale d’arte applicata. Ebbene, io vorrei, per la prossima Mostra veneziana, fare un altro passo: vorrei, cioè, tentare l’accordo fra le due forme: vorrei ricostituire, almeno parzialmente, l’antica unità della bellezza nelle sue manifestazioni: ideali e pratiche68». Degno di nota anche un altro documento rintracciato presso l’ASAC in cui Fradeletto scrive a De Maria Bergler: «Egregio amico […] La vostra idea di dare anche all’arte decorativa degli affidamenti di soddisfazione morale fu pienamente approvata, come logica ed equa. Fui a Torino […] Perchè questo artificioso divorzio tra le forme pratiche e le forme ideali della bellezza? Noi aspiriamo invece: all’unità organica – alla compostezza – alla scelta severa – all’originalità che non offende la tradizione propria ma vi si ricollega liberamente69». Fradeletto fa riferimento alla proposta dell’artista di far rientrare anche gli esponenti delle arti decorative nella competizione, riconoscendo loro una sorta di compenso morale al pari degli altri artisti partecipanti70 e condivide con De Maria Bergler il desiderio di puntare sull’unità tra forme pratiche ed ideali dell’arte. Lo stesso ideale viene ribadito con entusiasmo dal Segretario generale dell’Esposizione in una lettera inviata ad Ernesto Basile il 10 settembre 1902: «Dopo aver visitato con attenzione la Mostra anzi le Due Mostre di Torino, mi faccio sempre più convinto della bontà della nostra iniziativa. Togliere l’artificiosa separazione tra le forme maggiori e le forme minori dell’arte; riaccostarle e fonderle in vivente unità; aggiungendo al nuovo, ma senza violare le tradizioni vostre e senza offendere deliberatamente la grammatica e la logica dell’estetica e della statica, ecco il mio fervido ideale […]71». Il risultato della circolazione d’idee, che ha origine proprio in questo scambio epistolare, tra Fradeletto e personalità dell’arte siciliana come Basile, Ducrot, Ugo e De Maria anticipa quel trionfo del connubio tra pittura e decorazione che verrà espresso da “Bellezze di Sicilia”, sala ideata e realizzata nel 1909 da De Maria Bergler, Basile e Ducrot per l’VIII Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia. Il ruolo cruciale rivestito da De Maria Bergler nell’arte siciliana, non soltanto nell’ambito della pittura ma anche in quello delle arti decorative, sui cui si concentra il presente contributo, non sfugge neanche alla stampa internazionale. Nel corso delle mie ricerche ho constatato che l’attività artistica di De Maria Bergler era ben nota anche all’estero. Dalla consultazione di archivi e biblioteche si evince che l’arte siciliana tra Otto e Novecento era apprezzata all’estero e De Maria Bergler noto a livello internazionale attraverso riviste di alto profilo. È il caso della celebre rivista “The Studio. An Illustrated Magazine of Fine and Applied Art” che si dedica al nostro artista e alla scuola siciliana con un articolo che sintetizza in modo efficace i tratti peculiari dell’arte siciliana tra XIX e XX secolo: «Leader e figura centrale del movimento artistico in Sicilia è Ernesto Basile, architetto di grande cultura e gusto, essenzialmente moderno, inesauribilmente inventivo, poliedrico ma accurato. In architettura da tempo egli ha rotto con la tradizione accademica, traducendo tendenze medievali siciliane in forme adatte alle esigenze moderne. Le stesse finalità della ditta Ducrot relative alla creazione degli arredi gli hanno permesso di realizzare le sue idee in modo dettagliato. La collaborazione di due pittori – De Maria Bergler e Enea – e di uno scultore Ugo A. … hanno fatto di questa azienda un perfetto centro di arte applicata. … Tra le ditte che hanno esposto a Torino merita particolare attenzione la Ducrot di Palermo … Dopo la sua prima timida apparizione a Torino, la Sicilia ha offerto uno spettacolo migliore all’Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia nella decorazione delle sale dedicate alle opere di pittori e scultori del Sud Italia. I progressi compiuti erano inconfondibili. Il consiglio di amministrazione si era avventurato in un’innovazione felice; essi unirono l’esposizione di opere d’arte con quella delle arti applicate, affidando a ciascun paese o provincia la decorazione di una galleria d’arte. La sequenza monotona delle sezioni della mostra si è così trasformata in una serie di belle camere moderne, dove quadri e statue sono stati collocati in un ambiente decorativo. Il compito non era facile e, con il consenso generale, il maggior successo è stato raggiunto dalla galleria del Sud d’Italia decorata da artigiani siciliani, con tende tessute a Napoli72». L’articolo conferma come solo apparentemente l’edizione del 1903 sia meno importante delle altre, infatti, nonostante De Maria Bergler presentasse una sola opera pittorica, l’impegno dell’artista siciliano è da contestualizzare nella realizzazione, in senso lato, delle Sale del Mezzogiorno da leggere come risultato del continuo confronto con gli amici E. Basile e V. Ducrot, emblematicamente rappresentato dalla scrivania in mogano, cui partecipa anche lo scultore A. Ugo, oggi presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. In questi anni cruciali della sua attività De Maria Bergler si dedica con dedizione alle arti decorative realizzando i bozzetti (1903 circa), oggi in collezione privata, per decorazioni non ancora identificate con aggraziate figure femminili e motivi floreali riconducibili allo stile liberty; la decorazione policroma (1903) dell’anta in vetro del medagliere prodotto dalla Ditta Ducrot e appartenuto a Basile; le decorazioni (1903-10), di cui restano in collezione privata i bozzetti dallo stile ispirato a Gianbattista Tiepolo, dei plafonds dei piroscafi “Giulio Cesare”, “Dux”, “Roma” e “Caio Duilio” della Flotta Florio, finemente arredati dalla Ditta Ducrot.
Le successive partecipazioni all’Esposizione veneziana sono all’insegna della pittura, ma nel 1912 De Maria Bergler è nuovamente attivo insieme a Basile per la decorazione con scene allegoriche delle sovraporte della Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio di Palermo, oggetto di un recente restauro e riaperta al pubblico nel 2005. Come già avvenuto per Villa Whitaker, il Teatro Massimo e Villa Igiea, De Maria Bergler interviene all’interno di un edificio dal forte valore simbolico per i suoi committenti, tuttavia, l’insieme si rivela meno complesso, più ordinato e classico. L’artista abbandona l’ambientazione lussureggiante, le forme flessuose e il decorativismo liberty per ricomporsi nella forma geometrica del tondo, posto all’interno di una cornice lignea di grande finezza stilistica. Il tratto del pittore è fermo e deciso, capace di dare ai sei dipinti allegorici vivacità cromatica, unità di stile ed eleganza formale. L’intervento nella Sala del Consiglio della Cassa di Risparmio Vittorio Emanuele di Palermo è di grande importanza ed intensità ma pur essendo una felice prova della maturità dell’artista costituisce un momento isolato nell’attività di De Maria Bergler, una nuova “variazione” per dirla come U. Mirabelli73. Fino a pochi anni prima della morte l’artista realizza opere di grande intensità come “Rinaldo e Armida” (1912) e “Donna in costume di piana degli Albanesi”, alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo. De Maria Bergler non abbandona il ritratto e torna a misurarsi con la natura nelle sue molteplici rappresentazioni muovendosi tra l’eclettismo e l’eleganza formale, caratteristici della sua affascinante produzione artistica, e interpretando la tradizione pittorica siciliana come una sempre presente fonte di ispirazione. Le contraddizioni che hanno segnato la storia della Sicilia nel XIX e XX secolo spesso si trovano nella parabola di De Maria Bergler che, seppur in un continuo guardare avanti per poi voltarsi indietro tra l’antico e il moderno, è stato protagonista della scena artistica non solo siciliana ma anche nazionale ed internazionale distinguendosi come figura emblematica di un’epoca straordinaria per Palermo e per la Sicilia.

  1. Il presente contributo è il frutto di un più ampio studio condotto nell’ambito del Dottorato di Ricerca in “Storia dell’Arte Medievale, Moderna e Contemporanea in Sicilia” dell’Università degli Studi di Palermo, confluito nella tesi dottorale “Ettore De Maria Bergler maestro delle Arti Decorative in Sicilia e ‘grande pittore dell’Italia meridionale’ all’Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia”. []
  2. M. ACCASCINA, Ottocento siciliano. Pittura, Roma 1939, p. 103. []
  3. Vedasi Ottocento siciliano. Dipinti di collezioni private agrigentine, catalogo della mostra a cura di G. BARBERA, Napoli 2001; La pittura dell’Ottocento in Sicilia tra committenza, critica d’arte e collezionismo, a cura di M. C. DI NATALE, Palermo 2005; Poliorama pittoresco. Dipinti e disegni dell’Ottocento siciliano, catalogo della mostra a cura di G. BARBERA, Cinisello Balsamo (Milano) 2007. []
  4. Vedasi R. TREVELYAN, Principi sotto il vulcano. Storia e leggenda di una dinastia di Gattopardi anglosiciliani dai Borboni a Mussolini, ed. italiana a cura di F. SABA SARDI, Milano 1977. (I ed. R. TREVELYAN, Princes under the Volcano, Londra 1972). []
  5. Nel commento all’Esposizione Artistica di Palermo del 1875 de “L’amico del popolo” De Maria Bergler viene definito: «l’unico forse degli scolari del professore Lojacono che sia nato a sollevarsi dalla sfera del mondo piccino e a respirare l’aria elevata del mondo dell’arte ». Vedasi Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Catalogo delle opere, a cura di F. MAZZOCCA, G. BARBERA, A. PURPURA, Cinisello Balsamo (Milano) 2007, p. 193. []
  6. Sulla Galleria Pisani vedasi The Pisani Gallery in Florence, I. Red Room, introduction by V. PICA, Bergamo 1908; La Galeria Pisani de Florence, prèmiere partie, Milan 1914. []
  7. Poliorama pittoresco…, 2007, p. 198. []
  8. M. ACCASCINA, Ottocento…, 1939, p. 121. []
  9. G. BARBERA, Ettore De Maria Bergler, ad vocem, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 38, Roma 1990. []
  10. La notizia, riportata in G. BARBERA, Ettore De Maria Bergler…, 1990, trova conferma nel catalogo dell’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Napoli del 1877, dalla cui consultazione si evince che l’artista siciliano, indicato come “Maria (de) Bergler Ettore Antonio, di Napoli”, espose nella sala X, sezione Pittura, l’opera “La grotta di Denisinni presso Palermo”. Cfr Catalogo dell’Esposizione Nazionale di Belle Arti del 1877 in Napoli, Napoli 1877, p. 49. []
  11. Cfr. Catalogo delle opere ammesse all’esposizione solenne della Società d’Incoraggiamento delle Belle Arti in Firenze nell’anno 1877, Firenze 1877. []
  12. Nel catalogo della manifestazione si legge che il pittore siciliano espose l’opera “Ai bagni” nella Sala XVII. Questi è riportato anche nell’indice alfabetico degli artisti ed espositori, domiciliato a Palermo, corso V. Emanuele Palazzo Riso. Cfr. Esposizione nazionale artistica Venezia 1887. Catalogo ufficiale, Venezia 1887. []
  13. Cfr. A. CENTELLI, in L’Illustrazione Italiana, anno XIV, n. 28, 3 Luglio 1887, pp. 3, 5. La didascalia riportata in calce all’opera è «“Ai Bagni”. Quadro di Ettore De Maria Bergler (incisione di Sabattini da una fotografia di G. B. Brusa di Venezia)». La riproduzione dell’opera, a lungo dimenticata, è seguita dal giudizio critico del cronista A. Centelli: «[…] Il signor Ettore De Maria Bergler, che è un giovane e valente pittore siciliano, non ci ha ritratto uno stabilimento di bagni in legno dipinto e gli usci allineati. Le belle signore del suo quadro han trovato un tratto di costa libera, dove si può nuotare i poco o molto fondo, come meglio conviene. […] Ivi il pittore ha trovato il suo quadro bell’e fatto sul vero. Nessun tipo convenzionale accademico o ricercato, ma due signore simpatiche, sane, giovani, d’umor lieto. Più in là altre nuotatrici delle quali le teste che sporgono dall’acqua fanno contrasto di valore e di colore coll’azzurro intenso dell’estrema linea del mare che scorciando bassa rende più scuro il colore del cielo d’oltremare. Il quadro non ha tendenze allo straordinario né altra pretesa che la naturalezza e l’animazione, due caratteri perfettamente raggiunti, se non per potenza d’impasto e di grande solidità, con una scioltezza geniale di tocco e una vivacità amabile di tavolozza». []
  14. Villa Whitaker costò circa 500.000 lire e fu edificata tra il 1886 e il 1889 nel parco detto degli Amalfitani, nei terreni al limite dell’Olivuzza di proprietà del cavaliere Giuseppe Luigi Beneventano, acquistati tra il 1885 e il 1886 da Joseph Whitaker. I lavori furono affidati all’architetto ingegnere capo onorario del Genio Civile cav. I. Greco, coadiuvato dal capomastro G. Casano, e si ispiravano alla villa fiorentina di stile neoclassico della baronessa Favard de L’Anglade, realizzata nel 1857 dall’architetto G. Poggi. Vedasi R. GIUFFRIDA, Gli Ingham-Whitaker di Palermo e la Villa a Malfitano, Palermo 1990. []
  15. Sull’argomento vedasi La pittura dell’Ottocento in Sicilia tra committenza, critica d’arte e collezionismo…, 2005. []
  16. R. TREVELYAN, Principi sotto il vulcano…, 1977, p. 399. []
  17. I Whitaker furono tra i più celebri inglesi attivi in Sicilia per interessi commerciali. Il loro insediamento in Sicilia si deve allo zio Benjamin Ingham, uomo d’affari dotato di grande intelletto che nel 1806 giunse in Sicilia dallo Yorkshire per rappresentare l’azienda familiare e divenne uno degli uomini più ricchi dell’Isola. Palermo conserva testimonianze notevoli del passaggio dei Whitaker: pregevoli opere architettoniche come la Chiesa Anglicana Holy Cross, il Palco della Musica e Villa Sofia e opere d’arte come “L’Annunciazione”, capolavoro in corallo della fine del XVII secolo. Vedasi R. TREVELYAN, Principi sotto il vulcano…, 1977; R. TREVELYAN con saggi di R. LENTINI E V. TUSA e nota di R. CAMERATA SCOVAZZO, La storia dei Whitaker, Palermo 1988; E. SESSA, E. MAURO, S. LO GIUDICE, I luoghi dei Whitaker, Palermo 2008. []
  18. I. BRUNO, La Camera Picta. Dalla decorazione pittorica alla carta e tessuto da parati in ville e palazzi palermitani dall’Ottocento al primo Novecento, Caltanissetta-Roma 2010, pp. 112-113. []
  19. L’Esposizione, inaugurata il 22 aprile 1889, fu ospitata all’interno di un padiglione in legno, collocato a Piazza Marina, progettato dall’ingegnere Nicolò Mineo e decorato all’esterno dal pittore E. Cavallaro. Fu salutata con successo dalle cronache che ne lodarono il gran numero di opere di alta qualità tra cui “Acqua Santa” e “Monte San Giuliano” di F. Lojacono, “Dante giovinetto” e “Cesare” di B. Civiletti. Interessante sull’argomento F. GRASSO, I. BRUNO, Nel segno delle muse. Il Circolo Artistico di Palermo, Palermo 1998. []
  20. Sull’artista vedasi M. C. DI NATALE, Paolo Vetri, Centro Studi Nino Savarese, Enna 1990. []
  21. S. BIETOLETTI, Ettore De Maria Bergler e il naturalismo lirico di fine secolo, in Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Catalogo delle opere…, 2007, p. 189. []
  22. La proposta, avanzata nel 1887 dallo scultore Ettore Ximenes, di promuovere una mostra a carattere nazionale con sede a Palermo incontra il favore degli esponenti del Circolo Artistico di Palermo. Tale istituzione, fondata nel 1882 al fine di incoraggiare le Belle Arti attraverso esposizioni, premi e conferenze, incise fortemente nella vita culturale siciliana prendendo parte ai maggiori dibattiti internazionali. Vedasi AA. VV., L’Esposizione Nazionale 1891-92, suppl. al n. 2, anno III, di Kalós, marzo-aprile 1991, p. 16; F. GRASSO, I. BRUNO, Nel segno delle muse…, 1998, p. 37. []
  23. Su E. Basile si consultino Ernesto Basile architetto, catalogo della mostra a cura di A. DE BONIS, G. V. GRILLI, S. LO NARDO, Venezia 1980; Ernesto Basile e il Liberty a Palermo, a cura di A. M. INGRIA, Palermo 1987; E. SESSA, Ernesto Basile. Dall’eclettismo classicista al modernismo, Palermo 2002; E. SESSA, Ernesto Basile, 1857-1932: fra accademismo e moderno, un’architettura della qualità, Palermo 2010. []
  24. La mostra vantava la presenza di autentici capolavori, talvolta ignorati dai critici del tempo ma rivalutati dalla storia, tra cui citiamo almeno il caso di G. Segantini, presente con il pastello “Effetto di luna (Ritorno all’ovile)” e l’opera “Le due madri”, oggi alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, di fondamentale importanza per gli sviluppi futuri del Divisionismo. Sulle arti figurative all’Esposizione vedasi U. DI CRISTINA, B. LI VIGNI, L’Esposizione Nazionale, Palermo 1989; S. TROSI, L’esposizione di Belle Arti: realismo, eclettismo, nazionalismo, in “Nuove Effemeridi”, anno IV, n. 16, Palermo 1991, pp. 86-91; F. GRASSO, Le arti figurative all’Esposizione Nazionale di Palermo 1891-92, in Dall’artigianato all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, a cura di M. GANCI e M. GIUFFRÈ, Palermo 1994, pp. 87-93. []
  25. Come riportato nel catalogo ufficiale, De Maria Bergler, indicato con il titolo di cavaliere, faceva parte della commissione della “Divisione XII, classe 62°, Arte Contemporanea”, presieduta da Lucio Tasca Mastrogiovanni Conte di Almerita, insieme a personaggi di spicco del mondo artistico come il pittore catanese Natale Attanasio, il pittore palermitano Francesco Lojacono, gli scultori palermitani Benedetto Civiletti, Ettore Ximenes e Mario Rutelli e l’architetto Ernesto Basile, indicato come commendatore. Vedasi Esposizione Nazionale. Palermo. 1891-1892. Catalogo Generale, con presentazione di G. LA GRUTTA e introduzione di R. GIUFFRIDA, Palermo 1991, pp. 467, 549. []
  26. S. TROSI, in “Nuove Effemeridi”, anno IV, n. 16, Palermo 1991, p. 87. []
  27. Si legge: «Di Ettore De Maria Bergler, di Palermo, che all’Esposizione Nazionale pose varii bellissimi studii e varii quadri, abbiamo già riprodotto alla pag. 288 I cavalli alla foce. Questo studio della vita dei campi in Sicilia, che intitoliamo Il primo fiore, è uno de’ suoi più geniali. Due contadine, avviandosi al lavoro, sostano un momento per raccogliere un fiore nascosto fra le erbe cresciute come Dio vuole, come quelle delle vigna di Renzo. È il primo fiore della stagione rinata; è bello, è imperlato di rugiada. L’una o l’altra se ne adornerà i capelli, e ne farà pegno d’amore». Vedasi Palermo e l’Esposizione Nazionale del 1891-92. Cronaca illustrata, n. 36, Treves, Milano 1892, p. 281. []
  28. Nel catalogo generale della manifestazione si leggono i seguenti titoli: “Strada presso Palermo”, “Studio di testa”, sei “Studi Ricordi della Sicilia”, “I Chierici rossi” e “I Cavalli alla foce”. Vedasi Esposizione Nazionale. Palermo. 1891-1892. Catalogo Generale…, 1991, p. 470. []
  29. Cfr. Palermo e l’Esposizione Nazionale del 1891-92. Cronaca illustrata, n. 36, Treves, Milano 1892, p. 281. []
  30. È opportuno chiedersi se l’Esposizione Nazionale di Palermo sia riuscita a soddisfare le aspettative dei diversi ceti sociali interessati al coinvolgimento della Sicilia nella rinascita economica dell’Italia postunitaria e, in particolare, se la Mostra di Belle Arti abbia avuto il merito di offrire un’importante ricognizione del panorama dell’arte del tempo. In occasione del primo centenario dell’Esposizione Nazionale, la comunità intellettuale siciliana ha promosso un attento riesame della manifestazione facendo il punto degli studi sull’argomento secondo una prospettiva storica, economica, sociale ed artistica. Vedasi Dall’artigianato all’industria…, Palermo 1994. []
  31. Maria Accascina e Il Giornale di Sicilia. 1938-42, a cura di M. C. DI NATALE, Caltanissetta-Roma 2007, p. 280. []
  32. Tra Otto e Novecento la famiglia Florio riveste un ruolo di primo piano non soltanto nella vita politica ed economica della Sicilia ma anche in quella culturale. Essi furono mecenati di grandi talenti e diedero voce al fermento culturale fin de siècle sostenendo la realizzazione di eventi artistici e la nascita di istituzioni culturali. Molto vasta la bibliografia, in particolare su Franca Florio vedasi: P. NICOLOSI, Palermo fin de siècle, Milano 1979; R. GIUFFRIDA, R. LENTINI, L’Età dei Florio, Palermo 1985; A. POMAR, Franca Florio, Palermo 2006; D. ANSELMO, G. PURPURA, Regine Ritratti di nobildonne siciliane (1905-1915), Palermo 2010. []
  33. La fotografia è pubblicata in Ettore De Maria Bergler, catalogo della mostra a cura di L. BICA, Palermo 1988, p. 36. È nota anche la lettera, relativa al ritratto di Franca Florio eseguito da G. Boldini, inviata da De Maria Bergler a F. Florio e pubblicata in A. POMAR, Franca Florio…, 2006, pp. 100-102. Vedasi anche R. GIUFFRIDA, R. LENTINI, L’Età dei Florio…, 1985. []
  34. Ettore De Maria Bergler…, 1988, p. 4. []
  35. M. ACCASCINA, Ottocento…, 1939, p. 105. []
  36. Vedasi G. B. F. BASILE, Sulla costruzione del Teatro Massimo Vittorio Emanuele, Palermo 1890; A. M. FUNDARÒ, Il concorso per il Teatro Massimo di Palermo. Storia e progettazione, Palermo 1974; G. PIRRONE, Il Teatro Massimo di G. B. Basile a Palermo. 1867/97, Roma 1984; L. MANISCALCO BASILE, Storia del Teatro Massimo di Palermo, Firenze 1984. G. LEONE, L’opera a Palermo dal 1653 al 1987; L’opera al Teatro Massimo dalle origini (1897) al 1987, Vol. II, Palermo 1988. []
  37. Il Teatro era capace di soddisfare i più esigenti appassionati di lirica e di contenere un pubblico di 3.000 spettatori. Dotato di uno tra i più ampi palcoscenici europei e di una Sala degli Spettacoli di 450 mq, con una superfice di 6.000 mq, larghezza di 89 metri e lunghezza di 129 metri, si imponeva come il terzo teatro più grande d’Europa, dopo la Nouvel Opéra di Parigi e la Hof Opernhaus di Vienna. []
  38. A. SAMONÀ, G. LIUZZO, Basile, suppl. n. 6 (anno II) di Kalós, gennaio, Palermo 1991, pp. 14-15. []
  39. E. SESSA, Ernesto Basile…, 2010, p. 34. []
  40. G. PIRRONE, Il Teatro Massimo…, Roma 1984, p. 105 []
  41. M. ACCASCINA, Ottocento…, 1939, p. 105. []
  42. Ettore De Maria Bergler…, 1988, p. 18. []
  43. Ibidem. []
  44. G. MASSOBRIO, P. PORTOGHESI, Album del Liberty, Roma-Bari 1975, p. 24. []
  45. Vedasi Venezia e la Biennale. I percorsi del gusto, catalogo a cura di G. ROMANELLI, Milano 1995, p. 124; Doves and Dreams. The Art of Frances Macdonald and James Herbert McNair, catalogo della mostra a cura di P. ROBERTSON, Aldershot 2006, p. 108. []
  46. Doves and Dreams…, 2006, p. 108. []
  47. F. SCOTTON, Arti applicate: dalla fondazione al Padiglione Venezia, in Venezia e la Biennale…, 1995, p. 124. []
  48. Mi sono occupata di ricostruire tale interessante vicenda nel saggio C. COSTANZO, L’Art Nouveau. Un fenomeno internazionale da Villa Igiea all’Europa, Trapani 2014. []
  49. Vedasi ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 10, fogli n. 61-62. []
  50. Ibidem. []
  51. ASAC, Fondo Storico, Serie Autografi, Fascicolo Ettore De Maria Bergler (lettera del 20.10.1899). Nell’ambito delle ricerche condotte su De Maria Bergler ho trovato le prove concrete di altri due soggiorni parigini dell’artista. Sull’argomento rinvio alla lettura di C. COSTANZO, L’Art Nouveau. Un fenomeno internazionale…, Trapani 2014. []
  52. ASAC, Fondo Storico, Serie Autografi, Fascicolo Ettore De Maria Bergler (lettera del 9.11.1899). []
  53. ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 10, foglio n. 126. []
  54. ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 10, foglio n. 186. []
  55. ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 10, foglio n. 392. []
  56. ASAC, Fondo Storico, Serie Ufficio Vendite, Registri 1900, p. 35. []
  57. Catalogo della III Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia, Venezia 1899, p. 60. []
  58. “The Annunciation” e “The Star of Bethlehem” furono pubblicate in The Studio, IX, 1896, p. 203. []
  59. Le miniature e gli acquarelli realizzati per “The Christmas Story” appartenevano a John Lane, editore della rivista londinese d’avanguardia “The Yellow Book” che aveva dato spazio, contribuendo alla loro affermazione fuori dalla Scozia, ai Quattro di Glasgow, epiteto con cui si indicavano frequentemente C. R. Mackintosh, M. Macdonald, F. Macdonald e H. McNair. []
  60. Margaret Macdonald Mackintosh 1864-1933, catalogo della mostra a cura di P. REEKIE ROBERTSON, Glasgow 1983, p. 32. []
  61. F. SCOTTON, Arti applicate…, 1995, p. 124. []
  62. Torino 1902. Le arti decorative internazionali del nuovo secolo, catalogo della mostra a cura di R. BOSSAGLIA, E. GODOLI, M. ROSCI, Milano 1994, p. 411. []
  63. Ibidem. []
  64. Torino 1902…, 1994, p. 443. []
  65. V. PICA, L’arte decorativa dell’Esposizione di Torino del 1902, fasc. IV-9, Bergamo 1903, pp. 373-374. []
  66. Catalogo della V Esposizione…, 1903, p. 115. []
  67. V. PICA, L’Arte Mondiale a Venezia nel 1903, Istituto d’Arti Grafiche, Bergamo 1903, p. 47. []
  68. ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 23, fogli n. 387-389. []
  69. ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 24, fogli n. 46-47. []
  70. Tale passaggio è reso più esplicito dalla lettera che Romolo Bazzoni invia a De Maria Bergler il 10 aprile 1902. Vedasi ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 23, foglio n. 469. []
  71. ASAC, Fondo Storico, Serie Copialettere, volume n. 24, fogli n. 48-49. []
  72. A. W. R. S., Sicily, in “The Studio”, 30, n. 127, ottobre 1903, pp. 76-78. []
  73. U. MIRABELLI, in Ettore De Maria Bergler…, 1988, pp. 9-30. []