Francesca Rapposelli

rapposelli.fra@gmail.com

Argenti della Cattedrale di Parma

DOI: 10.7431/RIV09092014

Il tesoro delle Chiese, sia esso composto da sacre Reliquie o da suppellettili, non ha mai avuto lo scopo di ostentare ricchezze, ma riassume e sedimenta la profonda pietà di ciascun ordine sociale. È quindi la peculiarità di questi oggetti, unitamente all’alta esecuzione tecnica, a rendere i tesori delle Cattedrali importanti collezioni di oreficeria sacra.

Il materiale impiegato fu l’oro o l’argento per la preziosità intrinseca di questi metalli offerti spesso in segno di devozione al culto della religione, e il luogo deputato a custodire e proteggere i preziosi arredi delle chiese fu la sagrestia1. I principi della riforma tridentina comportarono, anche a Parma, profonde e sensibili trasformazioni che naturalmente coinvolsero l’apparato devozionale. Al fine di rendere attuativi i decreti conciliari si rese necessario prendere atto della situazione reale delle chiese. Fu con questi propositi che nel 1578 Mons. Giovanni Battista Castelli venne designato quale Visitatore Apostolico nella diocesi di Parma.

Nella celebrazione della liturgia si doveva badare anche all’aspetto esteriore delle celebrazioni sacre e quindi era compito dei fabbricieri e sagristi occuparsi della manutenzione non solo della struttura architettonica, ma anche delle suppellettili. La differenziazione d’uso degli oggetti e le ulteriori modifiche post-tridentine avrebbero ricevuto una stringente regolamentazione da parte del cardinale Carlo Borromeo che promulgò precise Instructiones Fabricae et supellectilis ecclesiasticae 2. Arredi caricati da profondi significati teologici, che nacquero sempre dall’abilità di artisti e artigiani parimenti coinvolti nell’esaltazione del Sacro per corrispondere alle finalità della Liturgia della Chiesa Cattolica. Purtroppo le grandi calamità pubbliche, furti, perdite, rotture e mutamenti sanciti e ampliati dai dettati del Concilio Vaticano II, hanno sensibilmente ridotto la presenza di queste opere nella Cattedrale. Riguardo alle  maestranze artigiane che dotarono questo luogo di culto di una congrua suppellettile, la consultazione delle fonti d’archivio ha potuto far luce su alcune interessanti vicende.

Di grandissima importanza è stato l’archivio della Fabbriceria, dove sono conservati documenti sulla vita religiosa e civile di Parma, carteggi relativi a molti oggetti donati alla cattedrale e numerose ricevute di pagamento concernenti artigiani che si occuparono dell’esecuzione delle opere o dei loro restauri. La curiosità rivolta agli artefici di questo tesoro, è dovuta anche al fattore di identificazione di marchi o punzoni che appaiono, secondo le prescrizioni legislative, sugli argenti pervenutici3.

La lavorazione dei metalli preziosi, sin dal Medio Evo, era regolamentata da leggi e sorvegliata da appositi funzionari della zecca che garantivano il “titolo” dell’argento ovvero la percentuale di metallo prezioso presente nella lega impiegata, mediante l’impressione di marchi o bolli, tramite punzoni, sull’oggetto finito.

A Parma, gli statuti dell’Arte degli Orefici più antichi fin ora noti, uscirono nel 15094 col titolo: Ordini del Arte delli Orefici della Magnifica città di Parma, tanto in fare li ufficiali, quanto alli ordini del lavorare. Essi contengono disposizioni riguardanti l’organizzazione del lavoro all’interno della corporazione e delle stesse botteghe.  Di particolare interesse storico sono gli ordini relativi alla lavorazione del metallo prezioso, poiché sin dal primo articolo si precisa “che tutti del arte delli orefici habbiano li marchi del oncia tutti giustati al peso ordinario della zecha nostra giustati per il consule di detta arte e bolato d’uno bolo commune quale tenerà appresso di lui quello che sarà consule (…)”5.

Non sappiamo se l’obbligo della bollatura fosse una nuova prescrizione o se riprendesse un’antica delibera, ma in ogni caso gli Statuti del 1509 qualificarono la produzione orafa parmense del XVI secolo col sistema monopunzonale, ovvero, un unico simbolo in grado di garantire sia il titolo del metallo, sia il territorio di ubicazione dell’ufficio preposto. Nessun accenno emerge circa l’obbligo dell’orefice di possedere un simbolo personale che accertava la paternità del manufatto. Questo secondo marchio, spesso conforme all’insegna della negozio, venne prescritto negli statuti del 1627-28 che decretarono quindi un sistema bipunzonale, largamente impiegato sia in Italia che in Europa. Il primo bollo, detto tecnicamente “territoriale” e di “titolo”, precisava l’area di produzione e il titolo legale adottato dalla città, e il secondo bollo identificava la bottega che aveva prodotto l’oggetto6.

L’iconografia del bollo della città di Parma, in questi Statuti definito “sigillo della communità”, non è descritta, ma viene svelata in un’ordinanza ducale di Ranuccio Farnese datata 16717 che lo descrive come un torello rampante, in analogia con lo stemma civico di Parma8.

La Cattedrale di Parma, come gran parte delle ricche Cattedrali del medioevo italico, nello scorrere dei secoli fu più volte depredata delle sue ricchezze. Fra le oreficerie più antiche menzionate nelle fonti si ricorda l’offerta votiva commissionata dalle donne della città agli orafi locali, in seguito all’assedio di Parma nel 1247 da parte di Federico I9. L’opera riproduceva in argento la città di Parma ed era collocata sull’altare di Maria Vergine in Cattedrale.  Inoltre, come ulteriore ornamento dell’altare maggiore, era stato offerto dalla città un paliotto in argento dorato nel quale erano rappresentati i quindici misteri della vita di Maria Vergine, i dodici apostoli ed altre figure modellate in alto rilievo10. Per questa ultima opera la comunità di Parma si era impegnata a pagare una tassa alla Congregazione della Fabbrica in occasione della festa dell’Assunzione di Maria Vergine11, ma nonostante la venerazione e la cura riservata a tali celebrazioni, il 19 maggio 1805, il paliotto fu acquistato e pagato dall’orefice Francesco Capitassi che ne smembrò le parti facilitandone la dispersione12.

Lo sviluppo raggiunto dagli orefici di Parma è confermato anche dai maestri parmensi che nel XIV secolo offrirono la loro opera in altre città o ricoprirono mandati importanti come Moysinus de Blanchis de Parma, nominato Canevarius13 nell’anno MCCCLVIIII della Scuola di Sant’Eligio a Milano, paragonabile ad una vera e propria università orafa fondata nel 131114. Alla testa della Scuola stavano un abate, tre consoli e un tesoriere detto canevario e condizione prima per l’eleggibilità era quella di essere già da anni membri della corporazione.

La ricchezza del tesoro della Cattedrale è attestata anche dagli inventari degli argenti conservati in sagrestia, il primo dei quali noto fu stilato nel 159115. Il numero e la complessità stessa delle oreficerie elencate in questi documenti confermano come da parte della cattedrale dovessero intercorrere frequenti rapporti sia con le valenti botteghe orafe della città, sia con altri centri di produzione, poiché, in analogia a quanto accadeva in altre città vicine16, in questo elenco il sagrista Gabriele Maseri descrive diversi calici d’argento specificandone la manifattura milanese o mantovana.

La scomparsa di questi oggetti non può far dimenticare i loro ideatori e, ancora oggi, i più celebri maestri orafi parmensi sono documentati nelle Memorie e documenti di belle arti parmigiane di Enrico Scarabelli-Zunti17. Quest’opera continua a rappresentare un fondamentale punto di riferimento per la ricerca storico-artistica parmense ed emiliana in generale. Trattasi di artisti poco noti e spesso tramandati con nomi sbagliati anche da autorevoli fonti come l’Allodi18. Mi riferisco all’autore del reliquiario di San Bernardo, il mezzobusto del santo con la testa aureolata e gli occhi rivolti al cielo, da  ricollegare all’attività dell’orafo Giovanni Semitti19 che, a conferma di quanto scrisse Enrico Scarabelli-Zunti, nell’anno 1607 rilasciò una ricevuta di pagamento per questa ed altre opere in argento, ai fabbricieri della cattedrale di Parma20, anche se il disegno del reliquiario era stato richiesto al più conosciuto Cristoforo Semitti (fig. 1)21.

I Semitti erano una famiglia di orafi molto importanti a Parma. Michele Semitti spesso si occupò di restauri alle preziose oreficerie liturgiche22, e tra i lavori più delicati vi fu la riparazione della Rosa d’oro, il dono sacro favorito alla cattedrale dal pontefice Paolo III Farnese quale segno di particolare apprezzamento e gratitudine della Santa Sede23.

Molti documenti conservati nell’archivio della Fabbriceria includono non pochi lavori modesti alle oreficerie della Cattedrale, come rifacimenti, restauri e riparazioni. Per esempio, il 27 aprile 1656, il tesoriere Camillo Palmia paga l’orefice Francesco Rainei lire quarantaquattro per aver accomodato alcuni candelieri d’argento24, e il 30 aprile 1676 il priore Francesco Giunti presenta una fattura a Teodoro Vanderstorck per aver accomodato un candeliere d’argento25. E ancora l’11 giugno 1677  il tesoriere e canonico della Fabbrica Flaminio Castellina paga l’argentiere Gio Giorgio Frittel per ordine dei fabbricieri della cattedrale per aver riparato “una foglia della croce grande” e la Testa d’argento di san Bernardo. Ma altrettanto cospicue si rivelano le commissioni di manufatti originali. Frequenti sono quelle rivolte al tedesco Pancrazio Abfolter che il 16 gennaio 1659 venne pagato dalla Compagnia del Santissimo Sacramento per la fattura di una tavoletta d’argento e per l’esecuzione di una lampada d’argento riconducibile a quella appositamente voluta per la volta centrale della cappella del Santissimo Sacramento in cattedrale e poi offerta all’altare di San Bernardo e Sant’Agata dal conte Bartolomeo Tarasconi, altre volte canonico del capitolo. Il corpo  della lampada pensile è decorato a giorno con volute e con tre scudi che contengono le figure di Sant’Agata con la palma del martirio, di San Bernardo degli Uberti con il pastorale26 e dell’arma coronata del conte Bartolomeo Tarasconi, il quale nel proprio testamento destinò questa lampada all’altare di San Bernardo e Sant’Agata (fig. 2)27.

Non ancora noto è l’autore del grande bacile d’argento appartenuto a Giuseppe Olgiati di Como, vescovo di Parma dal 1694 al 1711.  Il piatto d’argento, sbalzato e cesellato, è decorato a sbalzo con le allegorie delle “quattro stagioni” in figura di putti con frutta e fogliami, e nella parte centrale è inciso lo stemma vescovile di Giuseppe Olgiati28 con il motto  “Auxilium meum a Domino” (fig. 3).

Nella parte posteriore sono presenti quattro marchi, dei quali solamente uno è stato riconosciuto come “torello rampante”, antico simbolo della città di Parma  (fig. 4).

Il nucleo più cospicuo di argenterie conservate in cattedrale, giunto nonostante le varie vicissitudini storiche, è Settecentesco. Fra le opere più scenografiche conservate in sagrestia spicca per grandiosità il baldacchino d’argento realizzato dall’orafo milanese Gasparo Mantelli nel 1714, come si riscontra in numerose ricevute di pagamento conservate nell’archivio della fabbriceria (figg. 56)29.

La commissione del baldacchino d’argento fu quindi iniziativa della congregazione della Fabbrica e venne registrata dal cancelliere Gio Coradi l’11 luglio 1711. Nel 1714 sono molti i pagamenti mandati dal prevosto Aquilante Castellina al marchese Pier Giorgio Zampugnani di Milano, come fatture del lavoro svolto dall’orefice milanese Gasparo Mantelli30.

Nel 1714, la cattedrale di Parma accresce il proprio tesoro anche attraverso la donazione di una seconda Rosa d’oro, ornata da uno zaffiro, del peso straordinario di 94 oncie. Il 16 settembre 1714, in occasione del matrimonio di Elisabetta Farnese con Filippo V Re delle Spagne, papa Clemente XI fece mandare la rosa dal cardinale Ulisse Gozadini in qualità di nunzio apostolico e la sovrana ne fece dono alla cattedrale prima della sua partenza per le Spagne.

La preziosità di tale opera ne pregiudicò la conservazione poiché nel 1796 il piede della rosa fu alienato in occasione dell’armistizio con la repubblica francese. Nel 1809 il vicario generale della diocesi di Parma Conte Loschi, chiese che la rosa d’oro venisse rimessa nello stesso stato e forma d’origine e ne fece rimettere il piede, dello stesso peso e forma, dall’orafo Luigi Vernazzi31.

Alcune oreficerie della cattedrale, compresa la Rosa d’oro, furono prelevate nella primavera del 1943 per ordine di sua eccellenza Mons. Vescovo che “convocò nel suo studio il Rev.mo Capitolo e fece presente ad esso la necessità di mettere in salvo gli oggetti preziosi di proprietà della cattedrale per il timore di bombardamenti ed altri pericoli (…)”32. Il 26 luglio 1946, quando le casse in cui le suppellettili erano state custodite furono aperte, venne denunciato alla questura di Parma il furto di alcuni argenti:

“denuncio che nella Basilica Cattedrale di Parma sono venuti a mancare i seguenti oggetti preziosi : a) quattro candelieri d’argento che erano racchiusi in una cassa segnata col. N. 4-b, b) quattro candelieri d’argento racchiusi in una cassa segnata con il n. 7; c) un candeliere d’argento (dell’altare di San Bernardo) racchiuso in una cassa segnata dal n. 5; d) due candelieri grossi d’argento racchiusi in una cassa segnata dal n. 8; e) e una “rosa d’Oro”racchiusa in una cassa segnata dal n. 10”33.

Dai documenti della tesoreria papale e dalle cedole di pagamento, risulta che l’esecuzione della rosa d’oro veniva affidata agli orafi ufficiali della corte pontificia34 e, quindi, non parrebbe troppo azzardata l’attribuzione all’orafo Giovanni Giardini della Rosa donata a Elisabetta Farnese dal papa Clemente XI che,  proprio in questi stessi anni, affidò numerosi incarichi al Giardini35.

Tra le assenze di oreficeria settecentesca più rilevanti segnalo quella di un calice, rubato nel 1986, con la medaglia di Maria Amalia incastonata sotto la base. L’opera era stata prodotta nella bottega dell’orafo Giovanni Froni nel 1772, e la medaglia era stata coniata a Vienna nel 1769 dal Widemann in occasione delle nozze fra Don Ferdinando e Maria Amalia36. Del medesimo orafo rimane in cattedrale un pregevole ostensorio raggiato di tipo romano nel quale l’ostia è accolta in una teca circolare di cristallo inclusa in una cornice di nubi e teste di cherubini da cui si dipartono gruppi di raggi lanceolati di varia lunghezza. Sul gradino della base che segue un profilo mistilineo, il punzone con le lettere G.F, identifica la bottega di provenienza (figg. 78)37.

Notevole per la qualità della fattura, e conservato nella sagrestia, è il calice donato alla Cattedrale da Alessandro Pisani, nominato vescovo di Piacenza nel 1766.

Lo stemma Pisani con il leone rampante è inciso sotto la base, e accompagna la dedica: “Alexander Pisani placentiae Episcopus olim praepositus dono dedit”.

Il calice in argento, in parte dorato, mostra sulla base mistilinea i simboli della passione di Cristo entro ovati alternati a putti a tutto tondo. I simboli della passione si ripetono anche nel nodo e nella coppa, pure alternati a cherubini (fig. 9). La presenza del punzone con le lettere AB, attribuisce la fattura del calice all’opera dell’orafo Alessandro Bonani38.

Artigiano di grande valore attivo per la cattedrale nella prima metà del Settecento fu Stefano Barbieri,39 ricordato anche per importanti incarichi da parte dei Gesuiti di Borgo San Donnino40. Negli anni venti del Settecento sono molte le opere ed i restauri compiuti alle suppellettili che eseguì per ordine dei fabbricieri della cattedrale di Parma41. Fra i documenti più interessanti, una dichiarazione di Stefano Barbieri datata 4 agosto 1725 dove attesta di aver ricevuto lire 20 per aver fatto una chiave per il tabernacolo di S. Agata e saldato due teste di turiboli in argento42. Il 16 agosto 1725 è richiesto un pagamento al Canonico Paolo Emilio Garimberti, tesoriere della fabbrica della Cattedrale, di £ 21 a favore di Stefano Barbieri per l’argento e la fattura di due turiboli commissionati dai fabbricieri. Uno di essi, ancora conservato in sagrestia, mostra impresso il marchio di Barbieri raffigurante un cavallino da corsa iscritto in un cerchietto, visibile sotto l’attacco superiore del coperchio (figg. 1011).

Al di là dell’uso principale che è quello di un braciere, ove i grani dell’incenso sprigionano per combustione il fumo dell’intenso tipico profumo, peraltro inizialmente riservato alle cerimonie funebri e poi rigidamente regolamentato, il turibolo riveste significati più riposti e simbolici: il corpo vero e proprio allude al corpo di Cristo, il fuoco è evidente richiamo allo spirito santo, il fumo rappresenta le preghiere che salgono fino a Dio.

Anche Domenico Barbieri43, figlio di Stefano, per la quantità dei lavori a lui ascrivibili, può essere considerato una delle figure maggiormente rappresentative del gusto del pieno settecento parmigiano. Nelle chiese di Parma  si conservano molte sue opere contrassegnate dal marchio di bottega del padre col cavallino in corsa, al quale aggiunse le iniziale del suo nome DB. Un raffinato esempio della sua produzione per le funzioni liturgiche della Cattedrale è il servizio da lavabo, del quale sia il bacile che il piatto presentano i contrassegni sopra indicati (figg. 1213).

Molte altre sono poi le commissioni affidate a Domenico Barbieri44, tra le quali è possibile annoverare anche il reliquiario di san’Agata eseguito nel 176045 custode di un frammento di osso della santa, e la grande croce d’argento consegnata dall’orafo al conte canonico fabbriciere Francesco Pettorelli il 17 Giugno 1761 (figg. 14151617)46.

In questi casi, non è stato rinvenuto sull’argento nessun contrassegno, ma grazie al rinvenimento della documentazione conservata negli archivi è stato possibile attribuire queste opere.

Bisognerà arrivare al 1811 per avere una regolamentazione più severa sull’uso del bollo, ed un preciso riscontro tra nome dell’orafo e simbolo del  punzone di bottega. Questo si può vedere nel Tableau des Orfèvres – frabricants faisant de commerce des matieres et ouvranges d’or et d’argent qui se sont conformés aux dispositions de Particle 72, de la loi du 19 Brumaire an 6, dans l’arrondissement du Bureau de garantie établi à Parme 47, dove sono registrati gli orefici della città con i rispettivi contrassegni.

Tra questi, Ferdinando Pelizza, all’insegna della colomba, produsse per la Cattedrale un secchiello con aspersorio per l’acqua benedetta decorato con fogliame a sbalzo (figg. 1819).

L’opera oltre a recare i due contrassegni dell’orafo che al simbolo della colomba accosta le iniziali del proprio nome inserite in campo rettangolare, riporta ben leggibili anche i contrassegni pubblici di Parma: la lettera A  e un’aquila bicipite imperiale48.

Luigi Vernazzi (Parma 1771-1836) fu l’orafo  più operoso a Parma nella prima metà dell’Ottocento. Nel 1816 gli venne commissionato un reliquiario ad urna per conservare la reliquia di S. Ilario di Poitiers, patrono di Parma: una porzione dell’omero del Santo, donata al Duomo dalla dama orsolina Antonia di Borbone (1775-1841) figlia di don Ferdinando e Maria Amalia. L’opera venne presentata al capitolo della cattedrale il 7 gennaio 1817 dal regio cappellano don Carlo Lorenzeli e costò, secondo il Gabbi, ottomila lire di Parma. In quest’opera Vernazzi manifesta un’aperta adesione allo stile impero49. Altre furono le opere eseguite da Vernazzi per la Cattedrale, come due vasi per gli oli sacri. Il piede rotondo è segnato da una cornice modanata. Sul corpo liscio sono incise le scritte qualificanti l’olio sacro destinato ai catecumeni e al sacro crisma. L’iscrizione sotto la base 1818 ci fornisce la datazione dell’opera e il punzone, con le iniziali del nome L.V sottostanti al simbolo del caduceo di mercurio, ci trasmette l’autore (figg. 2021).

Altri calici feriali, difficilmente attribuibili a Vernazzi se mancasse tale contrassegno, arricchiscono questo tesoro, mentre è solo attraverso i documenti archivistici che si conoscono i lavori di restauro alle oreficerie della cattedrale, fra cui il più importante  fu sicuramente il rifacimento del piedistallo della rosa d’oro.

Verso la metà del secolo XIX emerge la figura di Gaetano Sanini, (Parma 1782/ notizie fino al 1866) autore di suppellettile liturgica per varie chiese della provincia di Parma. Suo è, per esempio, il ricco paliotto raffigurante il martirio di san Donnino, donato dalla cattedrale di Fidenza dal vescovo di quella diocesi50. Nel Duomo di Parma sono di Sanini quattro piatti d’argento caratterizzati da una semplice decorazione lineare in prossimità dell’orlo e dalla presenza  del marchio dell’orafo che inserisce le iniziali del nome GS in una losanga51.

Nel 1845 venne offerto alla Cattedrale un vaso d’altare opera dell’orafo Francesco Tomba che lo eseguì a Faenza nel 1840 e lo punzonò col marchio di bottega e con il bollo “camerale” di Gregorio XVI (figg. 222324)52. La donazione fu annunciata alla città con una pubblicazione sulla Gazzetta di Parma 53

Del 1872 è invece un servizio da lavabo, composto di brocca e bacile utilizzati per la cerimonia dell’abluzione liturgica solitamente riservata alle funzioni pontificali (figg. 2526).

La brocca ha un piede a base circolare sul bordo del quale si trova incisa la firma dell’orafo Giacchè Antonio di Milano54. La lavorazione a sbalzo con decorazioni floreali, motivi a ghiande e foglie di quercia, si ripete anche sul corpo dell’anfora e sul vassoio sotto il quale è presente il punzone di questa bottega caratterizzato da uno scudo sabaudo fra le lettere iniziali GG, probabilmente appartenute al capo bottega.

Anche nel Novecento, epoca di avanguardie, si registrano interventi meritevoli di entrare a far parte d’un avvertito confronto col “vissuto” dell’edificio sacro55. La testimonianza più illustre della produzione Novecentesca nella Cattedrale di Parma56, fu un’intera suppellettile per altare eseguita da Renato Brozzi. (1885-1963)57.

Si tratta infatti di un ricco corredo liturgico in argento cesellato e sbalzato che Brozzi aveva realizzato nel 1937-38, per la cappella funeraria di una famiglia gentilizia genovese. Sono esemplari di alta qualità per la fusione il cesello e la doratura ove la sicura conoscenza tecnica si unisce ad un aggiornato linguaggio formale58. Modellò la base di una croce e plasmò 4 candelabri maggiori, 2 minori 3 carteglorie e due angeli oranti inginocchiati ad ali spiegate, sorreggenti ciascuno un torcere a quattro fiamme. Sono 11 pezzi del peso complessivo di 30 chili d’argento. Le basi sono figurate con la rappresentazione del genio del bene che scaccia il male59: le virtù teologali, Fede, Speranza, Carità, intercalate a stemmi gentilizi coronati, difendono il simbolo del supremo sacrificio dagli agguati dei 3 gattoni gotici alludenti al male, che tentano le vergini torcendosi all’indietro60. La passione per l’interpretazione degli animali61, fece emergere l’aspetto mistico della sua poetica, e a tal proposito, fu definito “animaliere” prediletto, dal poeta Gabriele d’Annunzio col quale strinse un proficuo rapporto umano testimoniato da una fitta corrispondenza e dalle commissioni a Brozzi di molti oggetti d’arredo in argento per il Vittoriale62.

Quest’opera fu esposta per la prima volta a Roma nel 193863 alla mostra autarchica del minerale italiano. Non fu poi ritirato dal committente essendo intervenuta una disputa con l’artista riguardo al compenso e giacque inutilizzato nello studio di villa Strohl- Fern a Roma, e poi in quello di Traversetolo fino alla morte di Brozzi. Il 17 ottobre del 197064 la sorella Graziella ne fece generoso dono alla Cattedrale di Parma, incrementando così, con nuove testimonianze d’arte, il tesoro degli argenti.

  1. L. Fornari Schianchi, La “Camera Sancta” ovvero “Nobile Sagrestia”, in “Per uso del santificare et adornare”. Gli arredi di Santa Maria della Steccata. Argenti / Tessuti, a cura di L. Fornari Schianchi, Parma 1991, pp. 32-32 []
  2. Instructiones Fabricae et supellectilis ecclesiasticae libri duo (1577), in Trattati d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, V, III, Bari 1962, p. 125. []
  3. P. Pazzi, Il tesoro della cattedrale di San Pietro in Treviso, Monastero di San Lazzaro degli Armeni, Venezia 1988, p. 14, “Alla identificazione dei marchi possiamo indirettamente risalire mediante lo spoglio di inventari di argenterie quando a volte vi sono menzionati alcuni dati relativi a qualche oggetto. Per l’età a noi più vicina è indispensabile la consultazione degli archivi parrocchiali, resi obbligatori durante il concilio di Trento e nei quali dal 1550 in poi possiamo apprendere moltissime nozioni” []
  4. Archivio di Stato di Parma, d’ora in poi ASPr., Statuti, n. 174, a. 1509. Cfr. A. Mordacci, Orafi e Argentieri, in Arti e mestieri a Parma dal Medioevo al XX secolo, Parma 1987, p. 55. []
  5. ASPr., Statuti n. 174 a. 1509. []
  6. ASPr., Statuti n. 237 a. 1627. []
  7. A. Mordacci Cobianchi, Oreficeria e argenteria a Parma tra il secolo XV e il secolo XX, in Contributi per la storia dell’oreficeria, argenteria e gioielleria, a cura di P. Pazzi, Venezia 1996, p. 207, “Non è ancor ben chiaro se il contrassegno di cui trattasi (realizzato dall’addetto ducale alla fabbricazione dei marchi delle monete, Giovanni Gualtieri, e raffigurante l’arma del Torello, simbolo araldico della città di Parma), sia stato prontamente adottato e in quale misura.” []
  8. A. Mordacci Cobianchi, Oreficeria e argenteria…, 1996, pp. 207-214. Nel 1678 gli orafi e gli argentieri lamentarono l’obbligo di lavorare alla bontà di Milano, mentre nelle città vicine (Mantova, Reggio, Cremona, Bologna) si lavorava l’oro alla bontà di 20 carati solamente e l’argento alla bontà di Venezia cioè di once 10 e denari 16 per libbra. []
  9. A. Pezzana, Storia della città di Parma, vol. I, Bologna MDCCCXXXVII, ris. an., Bologna 1971, p. 46 dell’appendice. []
  10. ASPr., Raccolta Storica, mazzo 12, fasc. 6, “Chiese di Parma”, Cattedrale di Parma, documento non datato. []
  11. Archivio della Fabbriceria della Basilica Cattedrale di Parma, d’ora in poi AFCPr., Capsula 2, n. 54 a. 1623, “Memorie semplici e sconcatenate relative alla solita obblazione del Palio d’oro per ornamento dell’altare di detta cattedrale per cui la comunità di Parma deve alla congregazione della fabbrica £ 80 nella festa dell’assunzione di Maria Vergine come vedesi negli statuti di questa città al libro primo pag. 36. Dall’anno 1555. Tutto li 7 settembre 1623” []
  12. A. Pezzana, Storia della città …, 1971, pp. 20 e 46 dell’appendice. L’orefice Francesco Capitassi pagò per once 408 e den. 18 d’argento, lire vecchie 8478,15. I dodici apostoli che facevano parte del pallio passarono nelle mani del can. Gaetano Volpi che li pose in altrettante cornici; ma quando egli morì non si trovarono nella sua eredità. []
  13. Le matricole degli orefici di Milano. Per la storia della Scuola di S. Eligio dal 1311 al 1773, a cura di D. Romagnoli Milano 1977, p. 15. Il canevario era il responsabile della gestione finanziaria della corporazione. []
  14. Le matricole degli orefici …,  1977, p. XI. []
  15. AFCPr., Capsula 1, n. 103, anno 1591. []
  16. Cfr. D’Oro e d’Argento. Giovanni Bellavite e gli argentieri mantovani del Settecento, a cura di F. Rapposelli, Castel Goffredo 2006; G. Rodella, La grande Croce. Un percorso nella cultura artistica padana del Quattrocento, in La grande Croce del Duomo di Cremona, a cura di L. Dolcini, Firenze 1994. Anche a Cremona, la “Grande Croce” compiuta nel 1478 venne firmata, lungo la base del fusto, dagli orafi Ambrogio Pozzi e Agostino Sacchi che si dichiarano “ambo mediolanenses”. []
  17. F. Dallasta, Indici di “Memorie e documenti di belle arti parmigiane” di Enrico Scarabelli-Zunti, “coltissimo archivista parmense”, in “Aurea Parma”, LXXVI, a. 1992, p. 230-247. Scarabelli-Zunti nasce a Parma nel 1808, fu archivista attivo all’archivio notarile della città dal 1841, all’archivio di stato dal 1848 e all’archivio del Comune in qualità di direttore a partire dal 1876. []
  18. M. Allodi, Serie cronologica dei vescovi di Parma del canonico Dott. D. Gio. M. Allodi, Parma 1856; ris. an. a cura di G. Callisto Menta, San Giovanni in Persiceto (Bologna) 1981, vol. II p. 372. Allodi riporta l’esecuzione della testa di San Bernardo all’anno 1606, ordinata dalla Fabbrica a Messer Cristoforo Smith al quale vennero pagati 40 ducatoni. Allodi poi aggiunge che il 29 novembre 1753, a rogito del notaio cancelliere della curia vescovile Antonio Campagna, i canonici fecero aprire il reliquiario dall’orefice Francesco Barbieri per pulirlo con l’assistenza di due canonici delegati dal vescovo conte Giacomo Bajardi e dal marchese Giuseppe Manara. []
  19. Cfr. A. Bianchi – M. Mazza, Basilica Cattedrale di Parma. Novecento anni di arte, storia, fede. Album iconografico a cura di F. M. Ricci, Parma 2005, p. 4. []
  20. AFCPr., Capsula 2, n. 16, a. 1607, “Memoria del peso della testa d’argento di San Bernardo, che fu fatta da Giovanni Semiti Orefice, che pesa oncie cento dodici, denari uno qual argento essendo Reale di Spagna fu considerato di lire sette l’oncia che in tutto importa lire 784, soldi 8 e per fattura ducatoni numero 48 che sono £ 360. Sotto il giorno 16 aprile 1607”. []
  21. AFCPr., Capsula 4, n. 22, a. 1672,  “Indice di alcune memorie di qualche riflessione estratte dallo spoglio del libro delle ordinazioni della fabbrica di questa cattedrale quale incomincia dall’anno 1631 a tutto l’anno 1672”. In questo estratto si ricorda che il 6 marzo 1606 la fabbrica commissionò l’esecuzione del reliquiario d’argento di san Bernardo conforme al disegno presentato da Cristoforo Semitti. Lo stesso Cristoforo verrà contattato nel 1611 per riparare un pastorale d’argento (Cfr. capsula 3, ricevuta datata 14 gennaio 1611). []
  22. AFCPr., Capsula 3,  ricevuta datata 18 gennaio 1604, “La fabbrica del Duomo di Parma deve a Michele Semitti orefice lire 46 per avergli accomodato due croci d’argento”. []
  23. AFCPr., Capsula 2, n. 12, a. 1605, “Attestato fatto da Michele Simitti argentiere qualmente accomodando alcune rotture della rosa d’oro di ragione del duomo di Parma ritrovò nei rami e nel piede del piombo dei bastoncelli di questi levati la detta rosa risultò di minor peso. Sotto il 13 dicembre 1605”. []
  24. AFCPr., Mandati, f. n. 645. []
  25. AFCPr., Mandati, f. n. 281. []
  26. A. Santangelo, Inventario degli oggetti d’arte d’Italia. Provincia di Parma, Roma 1934, p. 31. []
  27. AFCPr., Capsula 7 n. 11, a. 1729. []
  28. A. Santangelo, Inventario degli oggetti d’arte…, 1934, p. 33. Il bacile venne restituito alla cattedrale nel 1738 dagli eredi di monsignor Olgiati. []
  29. AFCPr., CAS. 11, paralip. p. c. 22, 6 febbraio 1714 : ricevuta n. 131. Nei documenti risulta che il canonico Aquilante Castellina, tesoriere della fabbrica della chiesa Cattedrale di Parma, procede ai pagamenti verso Gasparo Mantelli orefice, per  il baldacchino d’argento della cattedrale di Parma. []
  30. idem,  ricevuta n. 132, 141 e 146. Il baldacchino fu pagato dal canonico e prevosto Aquilante Castellina tesoriere della fabbrica della chiesa cattedrale di Parma, il 31 maggio 1714, “a Filippi n° 347 che sono lire di Milano 2429 e più lire una indi 5 denari di Milano che raguagliando il Filippo a 716: 10 di Parma sono di Parma 5728:10 per suo rimborso d’altri saldi mandati a Milano all’illustrissimo sig. Marchese Residente Pier Giorgio Zanpugnani (o Lanpugnani?) da pagarsi al Signore Gasparo Mantelli Orefice in Milano per saldo d’argento e fattura, del baldacchino d’argento terminato per la Cattedrale di Parma come da ordini dell’Illustrissima congregazione della fabbrica di detta cattedrale sotto li 11 luglio 1711, e marzo 1714”. []
  31. AFCPr., capsula 12, n. 69, a. 1809, capsula 71-72, a. 1810. []
  32. Archivio Capitolare della Cattedrale di Parma, Arc. D, Cap. 69, n. 22, a. 1946. []
  33. Ibidem. []
  34. S. Vasco Rocca, Gli oggetti devozionali, in B. Montevecchi- S. Vasco Rocca, Suppellettile ecclesiastica, Firenze 1987,  p. 412. []
  35. A. González-Palacios, Arredi e ornamenti alla corte di Roma 1560-1795, Milano 2004, p. 140. []
  36. L. Fornari Schianchi, Tessuti e Argenti: ricerca fra i “dessinateurs” dell’arte ecclesiastica settecentesca, in l’arte a Parma dai Farnese ai Borbone, Bologna 1979, p. 460. []
  37. Cfr. A. Mordacci, Argenti e argentieri a Parma tra ‘700 e ‘800, Parma 1997. []
  38. L. Fornari Schianchi, Tessuti e Argenti …, 1979, p. 458-59. []
  39. AFCPr., CAS. 12, documento numerato 125, datato 3 aprile 1720 e firmato dall’orefice Stefano Barbieri. “Fatture fatte da me sottoscritto per servizio della congregazione della fabbrica della Cattedrale di  Parma. Per due croci d’argento che pesano once 52 e denari 4”. Fu pagato dal canonico Luigi della Rosa tesoriere della Fabbrica della chiesa cattedrale lire 630 e soldi 4 il 4 luglio 1720. []
  40. Cfr. A. Mordacci, Argenti e argentieri…, 1997, passim. []
  41. AFCPr., CAS. 12. Il 3 aprile 1720 Stefano Barbieri presentò una fattura per aver terminato due croci in lastra d’argento per la cattedrale. Per le quali fu pagato il 4 luglio 1720 dal tesoriere della fabbrica della chiesa Cattedrale il canonico Luigi della Rosa. []
  42. AFCPr., CAS. 12, documento datato 4 agosto 1725. []
  43. A. Mordacci, Argenti e argentieri…, 1997, passim. Domenico Barbieri nacque a Parma intorno al 1705 e lavorò precocemente nella gia fiorente bottega del padre ubicata sul piazzale della Steccata. []
  44. AFCPr., CAS. 12, carta 277, datata 30 gennaio 1761. Domenico Barbieri, il 30 gennaio 1761 dichiara di aver ricevuto il 14 marzo 1760, dalli canonici fabbriceri, conte canonico Pettorelli, e sig. Girolamo Giunti, argento per fare due candelieri di once 103. I candelieri pesano once 87, e denari 7, e per la fattura di questi candelieri Barbieri ha ricevuto il 27 marzo 1761 £ 397:10. []
  45. AFCPr., CAS. 12, carta n. 263, datata 26 novembre 1760 – il 26 novembre 1760 Domenico Barbieri argentiere, riceve dal sig. marchese canonico Giuseppe Manara fabbriciere della fabbrica della cattedrale di Parma il saldo per aver fatto un reliquiario d’argento, con teca di cristallo per la reliquia di Sant’ Agata. []
  46. AFCPr., Capsula 8, n. 95 a. 1761. []
  47. ASPr., Raccolta Storica, b. 3, fasc. 10. []
  48. A. Mordacci, Argenti e argentieri …, 1997, p. XXXIII. []
  49. A. Mordacci, Argenti e argentieri …, 1997, p. 40. []
  50. A. Aimi – A. Copelli, Storia di Fidenza, Parma 1982, p. 278;  A. Mordacci Cobianchi, Orafi e Argentieri, in Arti e mestieri a Parma dal Medioevo al XX secolo, Parma 1987, p. 60. []
  51. A. Mordacci, Argenti e argentieri …, 1997, p. 70. []
  52. L’altezza complessiva del vaso  misura 99 cm, e sopra un lato della base quadrata furono incise queste parole: “ALEXANDER EX  PRINCIPIRUS SPADA CARDINALIS S R E ANNO MDCCCXLIIII ROMA. HOC VAS ARGENTEUM PONDO UNCIAS CCLXXXII CATHEDRALI BASILICAE PARMENSI TESTAMENTO LEGAVIT GRATI ET PII ANIMI ERGO QUOD OLIM ADOLESCENS IN NOSTRO NOBILIUM EPHEBEO QUAMDIU STETIT CELEBERRIMO PAREM FASTIGIO SUO INSTITUTIONEM NACTUS FUERIT.” []
  53. ASPr., Gazzetta di Parma, mercoledì 19 marzo 1845, n. 23. Merita di essere annunziato al pubblico il nobil dono che ha fatto alla basilica cattedrale di Parma il Cardinale ALESSANDRO Dè Principi Spada, patrizio romano e Bolognese, morto in Roma l’anno scorso  nell’età di 57 anni. Questo è un bel vaso d’argento, che pesa 282 oncie. Si esporrà per la prima volta giovedì p. v. nell’anzidetta Basilica, all’altare del Santo Sepolcro. L’onorevole porporato si piacque di porgere questo segno di affetto a Parma cara memoria de’ suoi primi anni, ove fu nutrito di studj e di bei costumi nel collegio or ora demolito che accoglieva i giovinetti estratti dall’alto lignaggio. Questo presente è uno splendido testimonio della bontà del suo cuore. Viva il nome del generoso ch’ebbe in onor la gratitudine virtù sempre diletta alle anime gentili. []
  54. Sotto il vassoio è inciso: “Giachi Antonio di Milano fece. Argento G.ma 820”. Nell’anfora: “Giacchè Ant. Di Milano fece episcopo suo Parmen. Anno MDCCCLXXII. ARGENTO Gma 785”. []
  55. A. Musiari, Il Novecento in Cattedrale, in “Corriere di Parma”, a. IX, n. 2, Natale 1991, pp. 117-118 []
  56. Ibidem. []
  57. Brozzi nacque a Traversetolo il 7 agosto 1885 e nel suo paese natale debutta come artigiano nella fonderia di Giuseppe Baldi. Sull’attività di Reanato Brozzi si elencano i testi principali: Renato Brozzi: orafo di D’Annunzio, a cura di R. Fantini, Parma 1955; R. FANTINI, Renato Brozzi, in “Atti della Accademia Nazionale di San Luca”, Vol. VII a. 1963-1964, Roma 1964; Renato Brozzi. La collezione del museo di Traversetolo, a cura di R. Boscaglia – A. Mavilla, Torino 1989, p. 173- 174; Carteggio Brozzi-D’Annunzio 1920-1938, a cura di A. Mavilla, Traversetolo 1994; A. Mavilla, Renato Brozzi alla cassa di Risparmio, in “Malacoda”, vol. 14, n. 66 (maggio-giugno) 1996, p. 11-15. []
  58. R. Fantini, Renato Brozzi…, 1955, p. 96. []
  59. Ibidem. []
  60. R. Boscaglia – A. Mavilla, Renato Brozzi. La collezione…, 1989, pp. 173- 174. Nel museo di Traversatolo sono conservate le basi in bronzo che costituirono i modelli dei quattro candelabri maggiori e della base della croce. []
  61. R. Fantini, Renato Brozzi…, 1955, p. 97.  Brozzi fu il vincitore della gara per il “verso” della piccola moneta da dieci centesimi che venne coniata nel 1919, recante un ape che succhia un papavero. []
  62. Ibidem. []
  63. A. Musiari, Il Novecento in Cattedrale, in “Corriere di Parma”, a. IX, N. 2, Natale 1991, pp. 117-118. []
  64. R. Boscaglia – A. Mavilla, Renato Brozzi. La collezione…, 1989, pp. 173- 174. []