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Il paliotto architettonico ligneo del Museo Diocesano di Palermo. Studio e restauro
DOI: 10.7431/RIV09082014
Tutti quegli elementi che concorrono a formare la categoria della “decorazione sacra”, pur non essendo indispensabili dal punto di vista pratico, svolgono comunque un ruolo determinante nella celebrazione del culto, in quanto possiedono una grande valenza simbolico-psicologica. Infatti «ogni azione religiosa consta di un’azione materiale che viene drammatizzata con l’introduzione di particolari elementi. All’azione in sé corrisponde una strumentazione funzionale, ma alla sua drammatizzazione occorrono invece una strumentazione e un arredo di carattere psicologico e sociale»1.
Per tali ragioni, risulta facile comprendere perché questa classe artistica abbia riacquistato prestigio proprio in seguito alla Riforma, ovvero in un momento in cui la Chiesa sentì pressante la necessità di riavvicinare il fedele alla dottrina cattolica, attraverso un piano propagandistico che si basava sulla meraviglia e sull’esaltazione dei sensi2. In particolar modo si tentò di diminuire il divario esistente tra l’“umano” e il “divino” promulgando il valore della preghiera e delle opere pie, esaltando la vita dei santi e la necessità dell’affidamento alla Provvidenza3. Assoggettando ai propri fini l’arte, capace di evocare e suscitare emozioni tali da indurre il fedele ad essere partecipe del progetto divino, la Chiesa riuscì a riacquistare il proprio prestigio.
È in quest’ottica che bisogna osservare la rivalutazione di tutta quella classe di arredi che ruotano intorno all’altare, fulcro del sacro edificio e simbolo emblematico del sacramento eucaristico.
In Sicilia questa particolare attenzione all’altare sfocia nella realizzazione di vere e proprie microarchitetture che nei testi vengono citate con il nome di “palii d’architettura”4.
Questi non sono altro che la ripresa e lo sviluppo di modelli scenografici mutuati dall’arte effimera che, propria del carattere barocco, viene impiegata dalla Chiesa e, ancor più, dagli ordini religiosi, per promuovere ed evangelizzare la fede cattolica5.
Particolarmente importante fu l’operato dei Gesuiti che legarono strettamente la “teatralità” con l’“educazione religiosa” scommettendo soprattutto sul valore dell’immagine e della rappresentazione dei racconti sacri6. Riprendendo gli insegnamenti dell’arte lullista, diedero molta importanza alle architetture raffigurate, facendo da esse dipendere la memorizzazione e la trasmissione del messaggio che si voleva promulgare7.
È probabile che i paliotti architettonici fossero inizialmente pensati alla stregua di una scenografia teatrale, all’interno della quale poter rappresentare scene religiose di vario tipo; questo almeno fino ad un determinato momento in cui l’aspetto architettonico ebbe la meglio sulla storia in esso narrata. Nonostante ciò, non viene meno la divulgazione di un messaggio di salvezza, incarnato nell’assimilazione della stessa architettura al Paradiso Terrestre8.
Questa classe artistica, che quindi non era altro che la ripresa e lo sviluppo di modelli effimeri, poteva essere realizzata in vari materiali9 più o meno pregiati, la cui scelta era influenzata, oltre che dalle possibilità economiche del committente, anche dall’uso che se ne sarebbe fatto. I paliotti in pietre dure e in argento, infatti, erano per lo più fissi, mentre quelli tessili e lignei, essendo realizzati con materiali leggeri, erano considerati mobili e pertanto spesso prodotti in occasione di processioni o feste. Fondamentale, in tal senso, è il ruolo delle confraternite che gareggiavano nella produzione di altari mobili e, più in generale, di apparati effimeri vari, in modo da mostrare la propria ricchezza e la propria forza politica e sociale10.
Questo studio si è focalizzato sull’analisi dei paliotti lignei su cui nel tempo, al contrario delle altre tipologie materiche, è stata posta scarsa attenzione.
Questi manufatti, poiché realizzati con un materiale quale il legno rientrante nella classe dei “materiali poveri”, venivano spesso dipinti o arricchiti dall’applicazione di foglie metalliche e/o di ulteriori elementi decorativi quali specchi e vetri dipinti.
Essi, inoltre, sono molto frequentemente legati alla realizzazione di intere “macchine d’altare” diffuse su tutto il territorio siciliano. Queste cosiddette “custodie” non sono altro che vere e proprie architetture complesse di piccolo formato che si sviluppano su più ordini e che vengono spesso arricchite dalla presenza di statuine amabilmente lavorate. Particolarmente rilevante a tal proposito è l’operato dei Francescani che si dedicarono all’auto-produzione di manufatti in legno per poter decorare ed arricchire le proprie chiese e i propri conventi non venendo meno alla regola di povertà11.
È bene rammentare che per questi, ancor più che per gli altri esemplari di differenti materie, il carattere architettonico era incentivato da una parte dal legame che connetteva molti architetti alle botteghe artigianali12, dove portavano avanti la loro formazione, dall’altra da un’estensione degli ambiti d’interesse di questi artisti che erano ben disposti a progettare e disegnare architetture, apparati effimeri ed arredi, sia a carattere sacro che a carattere profano13. Questa tendenza portò anche ad una maggiore attenzione verso lo sviluppo di caratteri decorativi che potevano essere considerati estraibili dal singolo contesto per essere poi combinati in modo sempre diverso sia per formare architetture che per realizzare arredi14. Persino nei manuali e nelle pubblicazioni d’architettura, che presumibilmente circolavano anche nelle botteghe artigiane15, veniva prediletta la riflessione su questi elementi peculiari dell’arte barocca amplificando lo spazio riservato alle stampe e diminuendo quello dedicato alla teoria16.
Gli architetti, inoltre, erano spesso legati agli ordini religiosi, sia perché molti di loro erano anch’essi monaci, sia perché questo connubio gli permetteva di usufruire delle loro biblioteche che erano le più fornite della Sicilia17.
Purtroppo ad oggi sono pochissimi gli esemplari lignei conosciuti a causa sia del loro carattere “mobile”, sia della loro natura di “arte povera”; questa scarsa attenzione loro attribuita ha fatto smarrire le informazioni relative alla loro produzione e alle botteghe in cui venivano realizzati.
Il presente studio ha portato all’identificazione di un buon numero di paliotti lignei nella provincia di Messina, di Palermo e di Trapani e, nonostante molti di essi presentino strutture ibride, è possibile notare delle differenze costruttive tra gli esemplari delle tre province.
I paliotti della provincia di Messina sviluppano maggiormente il loro aspetto pittorico giocando con colori molto vivaci e trascurando l’elemento architettonico che spesso è limitato solo alla presenza di tre fornici che inquadrano le statuine presenti (figg. 1 – 2 – 3). La mancanza del ricorso ad espedienti tratti dall’arte scenografica, se non in minima parte, dà loro, rispetto agli esemplari palermitani, una minore prospettiva e profondità.
Quasi tutti i manufatti appartenenti a tale categoria artistica riscontrati nella provincia di Trapani, invece, sono del tipo “reliquiario” e pertanto sono pensati come “contenitori” (figg. 4 – 5). Difatti sono realizzati applicando, sui lati interni di scatole molto profonde, dei pannelli che simulano architetture più o meno complesse che, in ogni caso, sono caratterizzate dalla presenza di nicchie e finestre, all’interno delle quali è possibile inserire le reliquie. Altra peculiarità di tale tipologia è la presenza, nello spazio antistante l’architettura, di una statua raffigurante una figura distesa, spesso rappresentante il “Cristo deposto”.
A Palermo e provincia (figg. 6 – 7 – 8 – 9 – 10 – 11), invece, la maggior parte di questi paliotti può essere considerata affine ai modelli trapanesi. Mantengono, infatti, come struttura portante, un “contenitore” all’interno del quale vengono assemblati vari elementi che costituiscono una vera e propria architettura. Questi si sviluppano su più ordini e giocano con più piani al fine di creare la sensazione di grande profondità.
Se i paliotti presenti nel messinese sviluppano maggiormente la tipologia del “portico di proscenio”, quelli trapanasi e palermitani riprendono spesso il tipo del “prospetto apparato” creando l’illusione che al di là dell’architettura rappresentata si apra davvero un’altra realtà.
Il paliotto, oggetto di questo studio (fig. 9), oggi conservato presso il Museo Diocesano di Palermo, proviene dalla Chiesa del Santissimo Crocifisso all’Albergheria18 che fu distrutta nel 1958. Purtroppo a seguito del crollo andarono dispersi i documenti relativi ai manufatti in essa custoditi e pertanto non è stato possibile rintracciare documenti che potessero aiutare nella ricostruzione della storia conservativa dell’opera.
Il paliotto, di autore ignoto, è stato comunque datato da Maria Concetta Di Natale19, sulla base di un confronto stilistico con altri esemplari indagati, intorno al primo quarto del Settecento.
Si tratta di un paliotto mobile, ligneo e con specchi, di struttura estremamente complessa che può essere suddiviso, per esemplificare la descrizione, in tre elementi fondamentali: la scatola esterna, che ha funzione strutturale portante, la scatola interna, che ha funzione prospettica, e la struttura architettonica che costituisce il vero soggetto dell’opera. L’intera struttura del manufatto è stata pensata e realizzata, infatti, in modo da sottolineare ed enfatizzare quest’ultimo elemento ricorrendo a degli espedienti, probabilmente mutuati dall’arte effimera, soprattutto da quella teatrale, che consentono di dargli profondità ed ampiezza.
La cassa esterna può essere assimilata ad una “scatola” di 5 lati uniti tramite un doppio incastro a capitello (figg. 12 – 13); questo presenta in alcuni lati una sezione rettangolare, in altri una a coda di rondine.
Sul recto, le giunzioni tra le assi sono nascoste da una cornice modanata vincolata al resto della struttura tramite chiodi metallici.
Uno degli accorgimenti di cui si è detto sopra è costituito dalla base che risulta essere inclinata rispetto all’asse del verso (fig. 14), in modo da sottolineare le vie di fuga naturali del manufatto, aumentandone quindi l’effetto prospettico. Sempre seguendo questo intento sono stati tracciati sul lato interno della base, ovvero su quello che ospita l’architettura, dei solchi che determinano un effetto a “scacchiera deformata” (fig. 15).
Sotto di essa sono stati inseriti sei elementi lignei trapezoidali che la proteggono dal contatto diretto con il terreno (fig. 16).
La scatola interna è costituita da tre assi, corrispondenti al cielo e ai due lati; queste, come la base della cassa esterna, sono inclinate assecondando approssimativamente le direttrici delle linee di fuga.
La descrizione dell’architettura risulta molto articolata in quanto essa è costituita da numerosi componenti, probabilmente assemblati in vari macroelementi e inseriti all’interno della struttura di base solo in un secondo momento. Lo studio delle fessure e delle sconnessure dovute al degrado del manufatto ha permesso comunque di individuarne gli elementi e ipotizzarne le varie fasi costruttive.
È stato interessante notare una logica di assemblaggio basata soprattutto sulla resistenza del manufatto. Tutti gli elementi sono pensati infatti in modo tale che gli incastri risultino estremamente efficaci e solidali.
In un primo momento (fig. 17), oltre agli specchi laterali che risultano adesi direttamente al recto della scatola esterna, è stato inserito anche l’elemento centrale, attorno a cui si sono andati ad addossare gli altri macroelementi. Il basamento, posto presumibilmente a conclusione di questa prima fase, presenta il segno di un parallelepipedo che induce a ipotizzare che fosse presente un ulteriore elemento quale un sostegno per una statuina. Sono stati difatti riscontrati piedistalli di forma similare in altri paliotti lignei (fig. 18).
In una seconda fase sono state inserite le due paraste laterali e i due basamenti compresi di colonne e di mensole soprastanti (figg. 19 – 20 – 21). Degna di nota è la costruzione delle colonne ottenute dall’assemblaggio di due elementi, costituenti il capitello e il fusto, la cui unione è garantita da un listello inserito in uno scasso realizzato sul verso di entrambi (fig. 22). È possibile inoltre ipotizzare che gli specchi che sottolineano le scanalature del fusto siano stati inseriti dal verso della colonna e, pertanto, che gli scassi realizzati per ottenerne la modanatura interessino tutto lo spessore dell’elemento ligneo.
Tra le colonne, inoltre, è presente uno scasso che può essere giustificato solo ipotizzando la presenza di statuine oggi perdute.
Le due ali laterali sono state probabilmente aggiunte come penultima fase (fig. 23), subito prima dell’inserimento degli ultimi elementi, quali le colonnine che costituiscono la balaustra e le fontane ai lati.
L’analisi delle varie cornici, in particolar modo di quelle curve (fig. 24), ha permesso di comprendere come queste siano ottenute da numerosi tasselli di piccole dimensioni successivamente uniti insieme.
Sulla balaustra, in corrispondenza degli elementi rettangolari, sono visibili delle impronte circolari forse attribuibili alla presenza di vasi o pomelli oggi assenti ma comunque ricorrenti nei paliotti architettonici lignei della provincia di Palermo.
Preliminarmente al restauro si è avuta cura di prelevare, dai tre principali elementi che costituiscono il manufatto, dei campioni del supporto al fine di determinarne la specie lignea; l’analisi di questi ha portato a comprendere che l’intera struttura è ottenuta dalla lavorazione dell’abete rosso20. Inoltre, durante precedenti studi finalizzati al restauro di alcuni degli elementi d’arredo presenti all’interno del Museo Diocesano e del Palazzo Arcivescovile di Palermo21, si è potuto constatare l’impiego della medesima specie legnosa che risulterebbe, quindi, spesso legata alla produzione di tale tipologia artistica.
Al fine di identificare la natura chimica dei 134 specchi, diversi per forma e dimensione, inseriti all’interno dell’opera, sono stati prelevati due campioni da due differenti strati riflettenti che sembravano essere esemplificativi delle tipologie presenti nel manufatto. L’analisi al microscopio elettronico a scansione (SEM) ha portato a comprendere come in entrambi i casi si tratti di specchi ad amalgama di stagno22.
Ad eccezione del verso della scatola esterna, che risulta essere preservato dalla sola stesura di un mordente, e del lato a contatto con il terreno totalmente privo di protettivo, tutto il manufatto presenta uno strato preparatorio di colore bianco, presumibilmente a base di gesso e colla. L’attenzione posta ai lati esterni della scatola, normalmente celati dall’altare, indica che questo paliotto presumibilmente sia stato progettato per essere portato in processione. Il manufatto presenta inoltre un ulteriore strato preparatorio di colore rosso, probabilmente a base di bolo. Entrambe le stesure risultano essere estremamente sottili e uniformi dal momento che non dovevano costituire il modellato del manufatto, determinato invece da un intaglio ligneo molto sottile ed omogeneo, ma semplicemente renderlo idoneo a ricevere la foglia metallica. Difatti, durante il restauro, sono stati rintracciati, in più punti, frammenti di foglia d’argento che presumibilmente doveva ricoprire l’intero manufatto (fig. 25). Questi erano stati occultati da numerose ridipinture realizzate nel corso di differenti interventi, discontinui e spesso diversificati a seconda della zona, che hanno modificato la lettura dell’intera opera. L’ultima stesura è costituita da una tempera di colore bruno, che si sovrappone e si alterna a varie applicazioni di porporina argentata e bronzata oggi totalmente inscurita e ossidata (fig. 9).
Ovviamente le condizioni ambientali in cui è venuto a trovarsi il manufatto hanno influito molto e in modo decisivo sul suo stato conservativo. Il paliotto infatti è stato per lungo tempo mantenuto in un ambiente estremamente umido come denotano le gore d’umidità visibili sulla zona inferiore di entrambe le scatole. Questa permanenza ha portato da una parte a movimenti del legno, dall’altra ad un esteso ed avanzato attacco entomatico che ha notevolmente indebolito la struttura di sostegno. I movimenti del legno si sono palesati nella formazione di sconnessure tra gli elementi costituenti il supporto, nell’origine di varie fratture riguardanti soprattutto le assi del verso della scatola esterna e in un lieve imbarcamento interessante l’asse inferiore del verso della scatola esterna. Probabilmente la posizione a contatto con il terreno e la funzione meccanica di questa zona, che sostiene l’intero paliotto, hanno favorito e accelerato il suo degrado e quello degli elementi lignei trapezoidali siti al di sotto della base. Il supporto era inoltre interessato da numerosissime lacune del legno di media entità.
Presumibilmente questo stato conservativo aveva già compromesso in passato la robustezza del manufatto richiedendo un intervento di risanamento delle lacune presenti con stuccature a base di gesso, colla e pigmento. Queste, estese sia sulla cassa esterna che sulla struttura architettonica, erano approssimative e granulose determinando un disturbo estetico.
Sempre a causa dei movimenti del legno, per cause naturali o indotte dall’umidità, si erano determinati vari difetti di adesione che interessavano sia gli strati preparatori che la superficie pittorica dell’intero manufatto. Questi difetti, spesso associati anche a sollevamenti in piccole scaglie, potevano essere attribuiti ad un’azione congiunta dei fattori ambientali con la presenza di uno strato pittorico carico di legante relativo ad un intervento posteriore. L’intera superficie era inoltre interessata da abrasioni e da lacune di piccola e media entità presenti uniformemente sia sugli strati preparatori che su quelli pittorici.
La pluralità di interventi a cui è stato sottoposto il manufatto ha portato non solo ad una modifica della struttura lignea ma anche ad operazioni di sostituzione che hanno interessato buona parte degli specchi. A causa delle cattive condizioni conservative della totalità di questi, però, risulta complesso poter distinguere gli esemplari originali da quelli posti durante interventi successivi. Gli specchi infatti presentavano lo strato riflettente totalmente ossidato, quindi non più capace di riflettere, estremamente lacunoso e soprattutto completamente deadeso dalla lastra vitrea.
L’intervento di restauro, essendo stato preceduto da un’attenta osservazione visiva, affiancata dalla documentazione grafica e fotografica dell’oggetto condotta in luce ultravioletta e in luce visibile, sia diffusa che radente, ha permesso di comprendere realmente la tecnica esecutiva dell’opera e di poter contribuire allo studio di questa classe artistica ancora poco valorizzata.
L’operazione di prepulitura, avvenuta meccanicamente con pennellessa morbida, ha consentito di rimuovere la polvere accumulatasi nel tempo e il rosume prodotto dagli insetti xilofagi. Durante questa prima operazione si è accuratamente evitato di sollecitare meccanicamente quelle aree del film pittorico che presentavano problemi di deadesione.
Prima di procedere ad una pulitura più approfondita della pellicola pittorica è stato necessario mettere in sicurezza il manufatto tramite iniezioni di resine acriliche in soluzione.
Dove la pellicola pittorica era sollevata, è stato necessario ammorbidire la superficie con ripetute iniezioni di veicolante e solo successivamente iniettare la resina acrilica in emulsione. Queste operazioni sono state eseguite più volte fino al raggiungimento del risultato desiderato.
L’operazione di pulitura, che di per sé è una fase delicata in quanto irreversibile, è risultata particolarmente complessa dal momento che la stratigrafia era molto articolata e disomogenea. Questo ha portato alla scelta di una pulitura blanda che rimuovesse solo il deposito coerente e la porporina ossidata, mantenendo l’ultima stesura di tempera bruna che, in seguito ai test di solubilità, appariva lo strato più coerente ed omogeneo. Le stuccature di gesso e colla, risultando in un buono stato meccanico, sono state semplicemente trattate a bisturi fino al raggiungimento del livello della pellicola pittorica.
In seguito a questa fase di pulitura ci si è preoccupati di intervenire sugli specchi. Dopo aver valutato le condizioni degli stessi e aver considerato le attuali conoscenze sui possibili metodi conservativi, si è ritenuto maggiormente opportuno smontare solo quei nove specchi che risultavano talmente lacunosi da interferire negativamente sulla lettura dell’opera. Infatti l’operazione di smontaggio avrebbe comportato sia un intervento molto invasivo sulla struttura in legno e stucco, sia una perdita di buona parte dello strato riflettente originale che si manteneva adeso alla lastra vitrea solo per via della pressione che quest’ultima esercitava sulla struttura lignea. Dopo essere stati smontati, gli specchi sono stati reintegrati tramite l’ausilio di pellicole in pvc metallizzate. Queste sono state modificate tramite utilizzo di pigmenti in polvere e velature di vernice, in modo da accordarsi cromaticamente all’aspetto degli specchi originali del paliotto che nel tempo hanno subito il naturale processo di alterazione. In seguito ad uno studio bibliografico che ha permesso di valutare gli interventi fino ad oggi eseguiti e di formulare questa proposta, le pellicole sono state sottoposte a test di invecchiamento che hanno consentito di garantire la bontà della procedura che rispettava i principi basilari del restauro brandiano quali: la reversibilità, la compatibilità e la riconoscibilità. Gli specchi sono stati quindi riposizionati nella loro sede originaria (figg. 26 – 27).
Tutte le superfici vitree, che risultavano occultate sia da pennellate di tempera sia dalla sovrapposizione di polveri grasse, sono state pulite per mezzo di una miscela basica applicata a tampone seguita dalla neutralizzazione della stessa e dalla rifinitura con acqua deionizzata.
Successivamente, è stata effettuata una prima verniciatura a pennello della superficie pittorica. Questa ha avuto lo scopo di equilibrare le zone con diverso grado di assorbimento, fornire un primo stato protettivo ed infine saturare il colore, operazione necessaria per la successiva equilibratura cromatica.
La funzionalità meccanica del manufatto è stata ripristinata riancorando alla base gli originali listelli lignei tramite chiodi e stuccature a base di polpa di cellulosa e resina vinilica. Analogamente questo tipo di impasto è stato impiegato per reintegrare la parte finale dell’ultima asse del verso, anch’essa bisognosa di una stuccatura molto resistente ed elastica.
Impasti a base di polpa di cellulosa e resina acrilica in emulsione sono stati utilizzati per le stuccature di profondità mentre le lacune superficiali sono state colmate con uno stucco composto da gesso di Bologna e colla di coniglio.
La reintegrazione pittorica delle stuccature e l’equilibratura cromatica sono state eseguite con colori reversibili a vernice e tecnica tonale. L’uniformità di lettura della superficie è stata ottenuta tramite l’utilizzo di una tonalità unica che permette all’occhio di non vedere le disomogeneità della pellicola pittorica originale.
La protezione finale del paliotto è stata ottenuta mediante l’applicazione a spruzzo di fissativi per carta, che mantengono la superficie dell’opera leggermente opaca garantendone così una lettura uniforme e adeguata alla consistenza materica degli strati pittorici (figg. 28 – 29 – 30 – 31 – 32).
- “Liturgici strumenti e arredamenti sacri, ad vocem, in Enciclopedia Universale dell’Arte, vol. VIII, Firenze 1958, p. 678. [↩]
- Cfr. Architetture barocche in argento e corallo, catalogo della mostra (Lubecca, 15 luglio-7 ottobre 2007) a cura di S. Rizzo, Catania 2009. [↩]
- Questa persuasione poteva svilupparsi infatti solo con un’opera di «secolarizzazione del trascendente o, meglio, di compenetrazione e identificazione di divinità e natura, di spiritualità e materialità, di infinito e finito» N. Spinosa, Storia dell’arte Italiana. Dal Cinquecento all’Ottocento, a cura di F. Zeri, Torino 1981, vol. 2, p. 291. [↩]
- M. C. Ruggeri Tricoli, Il teatro e l’altare paliotti “d’architettura” in Sicilia, Palermo 1992, p. 9. In alcuni contratti, tale classe artistica viene indicata come “palio con disegno d’architettura”. M. C. Ruggeri Tricoli, Il teatro…, 1992, p. 43. Cfr. anche Architetture…, 2009. [↩]
- R. C. Proto Pisani, Riflessi culturali fiorentini all’origine dei paliotti di “architettura” siciliani; M. De Luca, Altari e apparati effimeri nella palermo barocca. La festa di San Mamiliano in un manoscritto del 1658, in Architetture…, 2009, pp. 27-41 e 67-83; M. C. Ruggeri Tricoli, Il teatro…, 1992, pp. 9-43. [↩]
- Cfr. G. Scavizzi, Arte e architettura sacra, cronache e documenti sulla controversia tra riformati e cattolici, Reggio Calabria 1982; Cfr. anche: F. Doglio-M. Chiamò, I gesuiti e i Primordi del Teatro Barocco in Europa, Viterbo 1995; S. Calì, Custodie francescano-cappuccine in Sicilia, Catania 1997. [↩]
- L’arte lullista fu sviluppata da Raimondo Lullo nel XIII sec. ed è una tecnica che permette di memorizzare concetti tramite l’osservazione di luoghi e di immagini. F. A. Yates, L’arte della memoria, voll. XVII-XXI, Torino 1972, pp. 160-182. È importante precisare come le due più importanti arti della memoria, ovvero quella lullista e quella classica, vedano una loro diffusione per mano degli ordini religiosi. M. C. Ruggeri Tricoli, Il teatro…, 1992, pp. 20-21. [↩]
- Le tipologie maggiormente ricorrenti sono il “prospetto apparato”, il “portico di proscenio” e il “belvedere”. Se appare ovvio il legame che intercorre tra il belvedere e il Giardino dell’Eden, il connubio che unisce il prospetto apparato al Paradiso è legato all’idea, diffusa in pieno barocco, di quest’ultimo come una città in festa. L’impiego del modello del portico di proscenio afferisce alla volontà di richiamare le rappresentazioni teatrali, che, in particolar modo nel nord Italia, vedevano i portici come loro scenografia ideale. In questo modo si poteva creare il gioco, tipico dell’arte barocca, del “teatro nel teatro”. M. C. Ruggeri Tricoli, Il teatro…, 1992, pp. 15-41, 64-75; L. Zorzi, Storia dell’arte Italiana. Questioni e metodi, a cura di G. Previtali, Torino 1981, vol. 1, pp. 421-462; Cfr. anche Architetture…, 2009. [↩]
- Liturgici strumenti e… , 1958, p. 678. [↩]
- P. Palazzotto, Per uno studio sulla maestranza dei Falegnami di Palermo, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, (Albergo delle Povere, 10 dicembre 2000 – 30 aprile 2001) catalogo della mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 2001, pp. 678-703. [↩]
- S. Di Bella, Un’opera riscoperta. La custodia lignea della Chiesa Madre di San Salvatore di Fitalia, in “Karta”, n. 2, Messina 2009, pp. 21-23; Cfr. anche: S. Calì, Custodie…, 1997; S. Anselmo, Pietro Bencivinni “magister civitatis Politii” e la scultura lignea nelle Madonne, Palermo 2009; B. Figuccio-M. Sebastianelli, Una lipsanoteca del XVII secolo della chiesa dell’Epifania a Trapani: studio e restauro di quattro busti reliquiari lignei, in Opere d’arte nelle chiese francescane. Conservazione, restauro e musealizzazione, a cura di M. C. Di Natale, Quaderni dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia “Maria Accàscina” Palermo 2013, pp. 120-140. [↩]
- «L’intaglio ligneo, al pari di altre attività artigianali, costituisce in diversi casi una “palestra” per artefici che si metteranno alla prova successivamente anche nella progettazione architettonica». E. Garofalo, Ebanisteria e architettura nelle chiese francescane del ragusano, in Francescanesimo e cultura negli Iblei, a cura di C. Miceli-D. Ciccarelli, Palermo 2006, p. 107. [↩]
- Sono stati infatti ritrovati numerosi disegni di architetti, quali Vincenzo La Barbera, Milano Quaranta e Paolo Amato, che raffigurano arredi sia sacri che profani. Infatti «da un punto di vista più strettamente artistico, la realizzazione dei parati e degli arredi sacri si inserisce nel più vasto capitolo del rapporto tra arti applicate e arti maggiori, un tempo molto più stretto di quanto non si pensi e coinvolgente i principali artisti dell’epoca». E. D’Amico Del Rosso, I paramenti Sacri, Palermo 1997, p. 24; M. C. Ruggeri Tricoli, Il teatro…, 1992, pp. 45-51; F. Pipitone, Alcuni documenti e disegni per un apparato argenteo delle Quarantore di Giacomo Amato, in Splendori…, 2001, pp. 720-729; R. Nobile-S. Rizzo-D. Sutera, Ecclesia Triumphans: architetture del barocco siciliano attraverso i disegni di progetto, Palermo 2009, pp. 15-24; R. Nobile, Barocco e tardobarocco negli Iblei occidentali, Palermo 1997, pp. 9-10. [↩]
- R. C. Proto Pisani, Riflessi culturali…, 2009, pp. 27-41; Cfr. anche: R. Nobile-S. Rizzo-D. Sutera, Ecclesia…, 2009; R. Nobile, Barocco…, 1997, p. 11. [↩]
- R. Nobile, Barocco…, 1997, p. 9. [↩]
- R. Nobile-S. Rizzo-D. Sutera, Ecclesia…, 2009, pp. 17-20; Cfr. anche R. Nobile, Barocco…, 1997. [↩]
- M. C. Ruggeri Tricoli, Il teatro…, 1992, pp. 15-43; R. Nobile-S. Rizzo-D. Sutera, Ecclesia…, 2009, pp. 13-16. [↩]
- R. La Duca, La chiesa del Crocifisso all’Albergheria, in “Giornale di Sicilia”, Palermo 20/09/1972; A. Mongitore, Storia delle chiese di Palermo, a cura di F. Lo Piccolo, Palermo 2009, vol. 2, pp. 98-100. [↩]
- M. C. Di Natale, Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo. Dalla città al museo dal museo alla città, Palermo 1999, p. 17. [↩]
- Le analisi dei frammenti lignei sono state effettuate dal Prof. Bartolomeo Megna presso il Laboratorio dei Materiali per il Restauro e la Conservazione del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale, Aereospaziale, dei Materiali dell’Università degli Studi di Palermo. [↩]
- Tali studi sono stati realizzati in occasione della tesi di laurea dal titolo “Restauro di una porta lignea policroma del Palazzo Arcivescovile di Palermo: studio tecnico e conservativo” elaborata dalla Dott.ssa A. Polizzi, relatori: Proff. F. Palla e M.C. Di Natale, correlatore: Dott. M. Sebastianelli, Corso di Laurea Specialistica in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali, Facoltà di Scienze MM.FF.NN. dell’Università degli Studi di Palermo. [↩]
- Le indagini dello strato riflettente sono state effettuate dalla Dott.ssa Arizio presso il laboratorio di analisi della Stazione sperimentale del Vetro di Murano [↩]