Benedetta Montevecchi

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Mobili rovereschi in ebano e avorio e un inginocchiatoio per Vittoria, granduchessa di Toscana

DOI: 10.7431/RIV09052014

Pochi emblemi di antiche famiglie aristocratiche italiane sono stati rielaborati realisticamente come la frondosa quercia dei Della Rovere, impiegata per decorare gli interni delle dimore e le preziose suppellettili che li arredavano. Tra Cinque e Seicento, il motivo araldico-ornamentale dei duchi di Urbino appare ageminato nel metallo delle armi, tessuto negli arazzi, dipinto nelle ceramiche, intagliato nelle cornici, miniato negli elaborati fregi dei documenti, modellato nelle decorazioni plastiche delle architetture. Il disegno mostra prevalentemente un doppio intreccio di rami frondosi, con foglie e ghiande, la cui quasi ossessiva presenza negli arredi e nelle suppellettili è documentata da una serie di disegni per argenterie, vasi, lampade, lettighe, conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana1. È stato notato come la naturalistica interpretazione della quercia araldica, i cui lunghi rami si prestano ad intrecci riempiti da flessuosi ramoscelli, possa trovare illustri precedenti nei motivi vegetali di Leonardo nella Sala delle Asse nel Castello Sforzesco di Milano, e forse anche in decori di origine orientale2. Ma al di là di eventuali reminiscenze, l’emblema della quercia e le sue varianti viene assunto e orgogliosamente ostentato dai signori di Urbino quale simbolo della casata come testimonia, per esempio, il celebre ceramista Cipriano Piccolpasso che, riferendosi alla decorazione a ‘cerquate’3, afferma: “…queste sono molto in uso a noi per la venerazione et obligo che tenemo alla Rovere, all’ombra della quale vivemo lietamente…”4. E non è forse da escludere un ancora più stretto significato dei rami   allacciati che appaiono in alcuni lavori commissionati da Francesco Maria II alla fine del ‘500, come lo stipo, pagato nel 1599, anno delle nozze tra il duca e la giovanissima cugina Livia Della Rovere: l’intreccio dei rami di quercia, emblema araldico di entrambi gli sposi, poteva sottilmente alludere a quel matrimonio, a lungo procrastinato e finalmente concluso, nella speranza di un erede che avrebbe scongiurato la fine del Ducato di Urbino.

È soprattutto con Francesco Maria II, peraltro, che questo tema iconografico assume una rilevanza assoluta comparendo, tra l’altro, nelle bucoliche pitture che ornavano la distrutta villa di Monte Berticchio, “…palazzo fabbricato dal S.r Duca per delizia…tutto dipinto dentro a fogliame di cerqua e verdure diverse”5, oppure nella preziosa e aulica versione dell’intarsio in materiali preziosi. Tra questi, erano ampiamente impiegati l’ebano e l’avorio che ornavano mobili e oggetti, dove l’icastico, severo accostamento bianco/nero era forse un ricordo del gusto cromatico dominante nell’abbigliamento alla corte di Spagna presso la quale il duca aveva vissuto in gioventù e con la quale mantenne sempre un rapporto privilegiato. Il particolare apprezzamento per gli arredi in ebano e avorio si evince dall’inventario del Palazzo Ducale di Pesaro (1623-1624)6, steso all’indomani della morte del giovanissimo Federico Ubaldo, figlio ed erede di Francesco Maria II, dove compaiono numerose citazioni di stipi, tavolini, sedie e altri arredi, tutti realizzati in ebano con intarsi in avorio a motivi ornamentali vari, dagli animali alle teste d’imperatori, ricorrenti nelle suppellettili di questo genere, fino ai rami di quercia, con foglie e ghiande, di tipica impronta roveresca7.

La moda dei mobili intarsiati in materiali preziosi, importata dalla Spagna e ben presto diffusasi in area nordica, grazie anche all’espansione dell’impero di Carlo V, ebbe in Italia il più importante centro di produzione a Napoli8, ma è verosimile che gli oggetti dei Della Rovere siano stati realizzati localmente, nel composito ambiente artistico delle “officinelle dette botteghini”, i laboratori ricavati nei sotterranei del Palazzo ducale di Pesaro in cui Francesco Maria II aveva riunito artisti e artigiani italiani e stranieri per produrre suppellettili di pregio, dagli argenti agli orologi, dalle miniature ai mobili intarsiati.

Nelle Note di spese autografe del duca conservate presso l’Archivio di Stato a Firenze, troviamo annotati i conti per alcuni studioli in ebano e avorio, realizzati tra il 1596 e il 1599. Quello già citato, registrato nel 1599, viene definito “con credenza” e se ne ricordano le rifiniture in argento, l’intaglio ad opera di Giulio Lupi, il taffettà nero all’interno dei cassetti, la chiave “con la testa d’argento” fatta da “M° Propertio Orologgiaro”. Per tutti gli stipi vengono fatte fare anche le sopracasse in legno, foderate di panno, che servivano per custodire e trasportare i delicati mobili in occasione dei frequenti spostamenti del duca tra le sue diverse residenze. È verosimile che le note del 1599 riguardino il magnifico stipo acquistato alcuni anni fa dalla Galleria Nazionale delle Marche di Urbino9 (fig. 1). Il piccolo mobile presenta una struttura lineare a facce quadrangolari; dal basamento sono estraibili due tiranti sui quali posa il fronte che si apre a calatoia svelando quindici cassettini e due vani chiusi da piccole ante. Sul piano superiore, uno sportello nasconde un più ampio spazio destinato a contenere il necessario per scrivere. Lo stipo è completamente impiallacciato in ebano e intarsiato d’ avorio inciso: il motivo decorativo è l’intreccio di due rami di quercia, con foglie e ghiande, che si sviluppano secondo un andamento simmetrico speculare. Al centro dello sportello superiore i due rami incorniciano lo stemma Della Rovere (fig. 2) così come si era definito al tempo di Francesco Maria I, dopo la fusione con le armi Montefeltro e Aragona; intorno è disposto il collare del Toson d’Oro, di cui erano stati insigniti sia Guidubaldo II che il figlio Francesco Maria II, culminato dalla corona ducale. Rispetto alla descrizione documentaria, oggi non esistono più le citate parti metalliche, ma si notano le tracce dei “manichi d’argento” sui fianchi del mobile e si conserva il rivestimento in taffetas nero dei cassetti. Quanto agli autori, oltre all’intagliatore Giulio Lupi, cui va forse assegnato il lavoro di intaglio dell’avorio, e l’orologiaio Properzio autore della chiave “con la testa d’argento”, va forse ricordato Maestro Giorgio “tedesco”, citato in qualità di ebanista per un altro degli studioli, che potrebbe avere realizzato la struttura lignea impiallacciata in ebano anche dello studiolo urbinate. Alla morte di Francesco Maria II, lo stipo fu tra i beni ereditati dalla nipote Vittoria, poi granduchessa di Toscana: nell’inventario della sua Guardaroba (1663), oggi presso l’Archivio di Stato di Firenze10, figura, infatti, “Uno studiolo d’Ebano intarsiato d’Avorio con sue Cassettine dentro à tronchi, e foglie di quercia con campanelle, e maniglie dalle bande d’argento, suo Calamaio, et polverino simile et nel coperchio per di sopra intagliatovi l’Arme di Urbino”.

Come sopra accennato, il piccolo mobile era corredato da una “credenza”, termine che ne potrebbe indicare il piano di appoggio, certamente riconoscibile nella voce del citato Inventario del Palazzo ducale di Pesaro che menziona un “Tavolino d’ebano intarsiato d’avorio con fogliami, ghiande e tronchi di cerqua, alle cantonate l’Arme di S.A. con suoi piedi sotto intarsiati et ferri lavorati et traforati”, comparso di recente sul mercato antiquario11 (fig. 3). Il tavolo consta di un sottile piano rettangolare sostenuto da due fasce laterali nelle quali si innestano le quattro gambe a sezione quadrangolare, unite in basso da una traversa al centro della quale sono collocati due tiranti in ferro battuto. Il tema ornamentale è analogo a quello dello studiolo: sul piano si stendono quattro (anziché due) rami di quercia, con foglie e ghiande, che si incurvano formando un doppio cerchio intersecantesi e riempito da più sottili rami la cui distribuzione riempie completamente lo spazio compositivo. Intorno, tra sottili filettature, corre una cornice, sempre formata da due frondosi rami di quercia ad andamento ondulante, riuniti al centro e ricurvi nei quattro angoli per lasciare spazio allo stemma Della Rovere, circondato dal Toson d’oro e sormontato dalla corona ducale (fig. 4). Lo stesso doppio ramo ondulante della cornice, entro una doppia filettatura, è ripetuto lungo la fascia sotto il piano e lungo le quattro facce delle gambe del tavolo. Il mobile è nuovamente elencato nell’inventario del Palazzo ducale di Casteldurante12, ultima residenza di Francesco Maria II che qui morì nel 1631.

Come è noto, essendo morto il giovane figlio ed erede Federico Ubaldo nel 1623, finiva la discendenza maschile del Ducato di Urbino i cui territori passavano allo Stato della Chiesa, mentre lo straordinario patrimonio dei Della Rovere prendeva la strada di Firenze, destinato alla nipote del duca, Vittoria, promessa sposa a Ferdinando II dei Medici e futura granduchessa di Toscana. Parecchi decenni dopo, il tavolo in questione compare in due inventari della Guardaroba medicea, l’uno risalente al 1687, quando Vittoria è ancora in vita, e l’altro al 1694, tra i beni ereditati dal figlio, cardinale Francesco Maria de’ Medici13.

Tornando agli inventari del Palazzo di Casteldurante (1631), è interessante notare come gli studioli “…intarsiati d’avorio a fogliami” siano quattro14: uno è lo stipo ora a Urbino, mentre dalla descrizione degli altri tre si evince che erano di forma e dimensioni leggermente diverse tra loro, ma con la stessa decorazione a rami di quercia, con rifiniture e accessori d’argento. I quattro studioli sono riconoscibili anche nell’inventario della Guardaroba della granduchessa Vittoria, redatto tra il 1654 e il 165615, mentre il solo stipo, ora urbinate, si ritrova nel citato inventario della Guardaroba del 1663. Una nota documentaria del 1667 fornisce invece una preziosa notizia sulla sorte di due degli altri tre stipi che vennero consegnati a “…Sua Altezza Serenissima [la granduchessa Vittoria] in Camera per farne un inginocchiatoio e una base per la fonte d’Argento”16. Non si ha notizia di quest’ultimo oggetto, verosimilmente un’acquasantiera, mentre l’inginocchiatoio è certamente da riconoscere nello spettacolare mobile acquisito nel 2013 alle collezioni della Galleria Nazionale delle Marche17 (fig. 5). L’arredo presenta una struttura essenziale, definita da lineari profili che inquadrano i pannelli intarsiati, prelevati dagli stipi: ancorché sapientemente mascherate, infatti, sono tuttora individuabili le tracce del ‘reimpiego’. Le si notano soprattutto nella trasformazione di 29 cassettini di tre diverse dimensioni: alcuni sono serviti a ricavare specchiature per rivestire i lati, chiudendo le serrature e il foro di inserimento dei pomelli, altri hanno mantenuto la funzione di cassetti, ma sono stati modificati impiegandone diversamente la parte frontale. Inoltre, sembra un’aggiunta la base in legno chiaro con sottili filettature che riprendono il motivo geometrico all’interno dello sportello anteriore. Le parti intatte, ancorché riadattate, sono le ampie specchiature sul fronte, sul piano del gradino e sui lati, mentre sul piano d’appoggio, il probabile stemma roveresco al centro dell’intreccio dei rami è stato sostituito da un modesto intarsio con una cornice a volute vegetali, includente un rombo con un decoro geometrico, sormontata da una corona che ripropone, in forma stilizzata, la corona granducale di Toscana. Come sopra accennato, il disegno dei due rami che si intrecciano, dai quali nascono rami più sottili, con foglie e ghiande, riprende il motivo degli intarsi dello stipo urbinate e del tavolo, ma la realizzazione sembra un po’ più elementare (fig. 6), con una minore definizione naturalistica; inoltre, mancano le grandi cornici, percorse da un ramo ad andamento ondulato, che circonda i pannelli principali negli altri due mobili.

L’inginocchiatoio è comunque un arredo di straordinario interesse in quanto realizzato con pannelli in ebano intarsiati d’avorio attribuibili alle stesse maestranze tardo-cinquecentesche dalle cui botteghe erano usciti anche gli altri mobili di committenza roveresca. Non si conosce, invece, l’ebanista al quale si deve la trasformazione del mobile, verosimilmente da individuare tra quelli attivi a Firenze nelle botteghe granducali dove, dalla metà del XVII secolo, vennero prodotti mobili lussuosi la cui lineare struttura architettonica, impiallacciata in ebano, era arricchita da commessi in pietre dure e ornati in bronzo dorato: ne sono esempi il monumentale inginocchiatoio di Ferdinando II (1650 ca.) o il più tardo esemplare, eseguito con gli stessi preziosi materiali, sotto la direzione dell’ebanista fiammingo o olandese Leonardo van der Vinne, entro il 168718. Il mobile della granduchessa Vittoria è invece molto più sobrio e mantiene la rigorosa essenzialità strutturale degli stipi rovereschi, valorizzando così gli antichi pannelli ma forse più per il prezioso intreccio dei rami di quercia e il finissimo lavoro di intarsio che per l‘intrinseco significato araldico: lo suggerirebbe anche la probabile eliminazione dello stemma Della Rovere, ormai privo di significato per la committente, da decenni granduchessa di Toscana. L’ atteggiamento disinvolto della nobildonna nei confronti dei beni ereditati è peraltro ampiamente testimoniato anche dalla documentata, e comunque allora diffusa, consuetudine di smontare antiche “orerie” per realizzare nuove gioie19. E questo senza ricordare gli auspici del nonno, Francesco Maria II Della Rovere, che in una malinconica lettera le scrive: “Io mando a Vostra altezza tutte le gioie che, dopo tante disgrazie sono rimaste in questa casa; e le mando finché son vivo, perché, dopo la mia morte, Dio sa quello che seguirebbe. Vostra altezza le riceva volentieri come dimostrazione dell’affetto mio sviscerato verso di lei, ed a suo tempo se ne adorni il capo; ricordandosi prima di ornarsi l’animo di quelle virtù che debbono essere proprie delle donne sue pari…”20.

  1. Ms. Vat. Urb. Lat.n.1763, cc.1-44; il codice è descritto e commentato da C.STORNAJOLO, I ritratti e le gesta dei Duchi d’Urbino nelle miniature dei codici vaticano-urbinati, Roma 1913, pp.9 ss.; cfr., inoltre, B.Montevecchi, “Arti rare” alla corte di Francesco Maria II, in Pesaro nell’età dei Della Rovere, III, 2, Venezia 2001, pp.323-334 e G.Pezzini Bernini, Simboli rovereschi in disegni per argenterie, in Venezia, le Marche e la civiltà adriatica per festeggiare i 90 anni di Pietro Zampetti, a cura di I.Chiappini di Sorio, L.De Rossi, in “Arte/Documento”, 17, 18, 19, 2003, pp. 366-371. []
  2. A. Gonzalez-Palacios, A table made for Francesco Maria II Della Rovere (1549-1631) Duke of Urbino, Sotheby’s, London 6 july 2010, p. 20. []
  3. Il termine indica un particolare tipo di decorazione ceramica costituito, appunto da rami di quercia; cfr. Th.Wilson, Piatto con cerquate e uno stemma di armi, in I Della Rovere, catalogo della mostra (Urbino 2004), a cura di P.Dal Poggetto, Milano 2004, p.425 []
  4. G. Bartolomei, L’arte della ceramica secondo Cipriano Piccolpasso, Rimini 1988, p.103. []
  5. S. Eiche, La villa di Monteberticchio di Francesco Maria II Della Rovere, Urbania 1995, p.102. []
  6. B. Montevecchi, L’inventario del Palazzo Ducale di Pesaro (1623-1624), in I Della Rovere, catalogo della mostra (Senigallia, Urbino, Pesaro, Urbania 2004), a cura di P.Dal Poggetto, Milano 2004, pp.235-240. []
  7. Cfr. Montevecchi, 2001, cit., pp.328-329: “studiolo uno d’ebano… interciato d’avorio a nodo di Salamone con 4 anellini fatti a tronco d’argento”, “tavolino d’ebano… fregio d’avorio a nodo di Salamone…con ferri sbugiati et fatti a ghianda”, “sedia alla spagnola in ebano e avorio ricoperta di velluto nero con frange nere e argento e in cima 2 ghiande d’ebano profilate d’avorio”, “lucernario in ebano e avorio con ghiande”, due scacchiere d’ebano e avorio intarsiate con animali e scimmie”, “studiolo d’ebano intarsiato d’avorio con rifiniture d’argento”, “tavolino in ebano e avorio intarsiato con diverse historie, figure et teste d’Imperatori”, “tavolino uno d’ebano intarsiato d’avorio con fogliami, ghiande e tronchi di cerqua, alle cantonate l’Arme di S.A. con suoi piedi sotto intersiati et ferri lavorati et traforati”. []
  8. Sull’argomento, si rinvia agli studi di Alvar Gonzalez-Palacios e, in particolare, al catalogo A table made for Francesco Maria II Della Rovere (1549-1631) Duke of Urbino, Sotheby’s, London 6 july 2010, pp.8-9. []
  9. B. Montevecchi, Gli ultimi Della Rovere. Il crepuscolo del Ducato di Urbino (in occasione di due importanti acquisti), catalogo della mostra (Urbino 2000), Urbino 2000, pp.21-25; Gonzalez-Palacios, 2010, cit., p.12; G.Semenza, La quadreria roveresca da Casteldurante a Firenze. L’ultima dimora della collezione di Francesco Maria II, in T.Biganti, L’eredità dei Della Rovere: Inventario dei beni in Casteldurante (1631), Urbino 2005, pp. 69-137 (in part. pp.126-127). []
  10. Firenze, Archivio di Stato, Guardaroba Mediceo, filza 6263, fsc.4, c.50. []
  11. Gonzalez-Palacios, 2010, cit. A proposito del termine ‘credenza’ lo studioso ricorda tra l’altro come il termine tedesco Kredenz fosse all’epoca sinonimo di Tisch, ‘tavola’ (p.14); la descrizione del tavolino citata a p. 15 non è quella dell’inventario del Palazzo ducale di Pesaro (1623-1624), ma quella che appare nell’inventario del Palazzo ducale di Casteldurante, redatto nel 1631; sulla tipologia di questi piccoli tavoli, cfr. p.18. []
  12. Semenza, 2005, cit., pp.126-127. []
  13. In entrambi i documenti si parla di “…granatiglio intarsiato d’avorio a rami di quercia…”, dove il granatiglio è un tipo di ebano: cfr. Gonzalez-Palacios, 2010, cit., p.23, nota 33. []
  14. Biganti, 2005, cit., pp.213 n.804, 421 n.3251. []
  15. Semenza, 2005, cit., p.127 nota 386. []
  16. Semenza, 2005, cit., p.128, nota 388. []
  17. M.R.Valazzi, Introduzione, in Nell’età dei Della Rovere, due nuove acquisizioni per la Galleria Nazionale delle Marche, catalogo della mostra (Urbino 2013), Urbino 2013, pp.3-4; B.Montevecchi, Inginocchiatoio, ibidem, pp.10-15. []
  18. Cfr. K.Aschengreen-Piacenti, A.Gonzalez-Palacios, Arti minori. Introduzione, in Gli ultimo Medici. Il tardo barocco a Firenze, 1670-1743, catalogo della mostra (Detroit, Firenze 1974), Firenze 1974, pp.326-331, 388-389. []
  19. C. Contu, in I gioielli dei Medici dal vero e in ritratto, catalogo della mostra (Firenze 2003-2004) a cura di M. Sframeli, Firenze 2003, p.161. []
  20. F. Ugolini, Storia dei conti e duchi di Urbino, Firenze 1859, II, p.448. []