Maria Laura Celona

ml.celona@libero.it

Fabbriche di argenteria degli inizi dell’Ottocento: i Contino e i Fecarotta negli appunti di Maria Accascina

DOI: 10.7431/RIV08082013

Nel turbinio delle svariate annotazioni che costituiscono il “Fondo Accascina” della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace”1, confluite per la maggior parte nelle fondamentali monografie nell’Oreficeria di Sicilia2 e su I Marchi dell’argenteria e dell’oreficeria 3, testimonianza interessante delle sue ricognizioni sul campo sono gli inediti appunti della studiosa riguardanti la nascita delle prime fabbriche di oreficeria e argenteria di Palermo sorte nell’Ottocento e agli inizi del secolo successivo4.

Maria Accascina, pioneristica studiosa delle Arti decorative siciliane, sottolineava in un capitolo del suo volume Oreficeria di Sicilia come nell’Ottocento «botteghe accreditate diventano ditte e fra le prime è da ricordare quella di Nicolò Contino fondata nel 1826 che ebbe nel 1847, su richiesta fatta da Giuseppe Contino e figlio Nicolò, la patente da parte di Ferdinando II, Re del Regno delle due Sicilie»5.

Dalle ricerche dell’Accascina sono emerse attraverso documenti dattiloscritti e manoscritti interessanti notizie riguardanti nello specifico la gioielleria Contino e la storica ditta dei fratelli Fecarotta. In uno dei suoi appunti, in merito alla famiglia Contino, scriveva: «N. B. La ditta A. Contino e Figli di Corso Vittorio Emanuele 158 non ha alcun legame con la ditta Giuseppe Contino di Via Libertà. L’attuale Ditta A. Contino e Figli con sede in Corso Vittorio Emanuele, 158 è attualmente gestita dai fratelli Gerardo e Giuseppe Contino; è stata fondata nel 1826 da Nicolò passata al figlio Giuseppe nel 1847, poi al figlio di Giuseppe, Antonino, nel 1890, anno in cui la ragione sociale è diventata A. Contino e figli, che dura fino ad oggi. Passata poi ai figli Giuseppe, Antonino e Giovanni. Ritiratisi Giuseppe ed Antonino è rimasto solo Giovanni a cui nel 1930 sono succeduti gli attuali proprietari Gerardo e Giuseppe figli di Giovanni»6. A tale appunto fanno seguito un biglietto da visita dell’antica casa di gioiellieri7 (Fig. 1) e un suggestivo schema, riguardante la successione degli eredi della suddetta famiglia all’interno dell’azienda; documento esemplare del suo metodo scientifico (Fig. 2).

Maria Accascina individua, dunque, in Nicolò Contino il fondatore della bottega, nel 1826, il cui primo erede fu il figlio Giuseppe, attivo nel 18478, al quale succedette il figlio Antonino. Quest’ultimo ebbe tre figli, Giovanni, Giuseppe e Antonino, ma continua la conduzione dell’azienda solo Giovanni, poiché gli altri due preferirono ritirarsi.  La ricostruzione della storia della bottega negli appunti di Maria Accascina si ferma al 1930 con i figli di Giovanni, Gerardo e Giuseppe9 .

Con Gerardo, infatti, intorno alla metà degli anni sessanta del secolo scorso, si assiste alla fine della storica famiglia di gioiellieri10. Da curiosa indagatrice, l’Accascina non manca di arricchire la ricerca con il documento recante la firma di Giuseppe Contino, figlio di Nicolò, riguardante  richiesta per la “patente” secondo gli articoli del Real Decreto emanato il 14 aprile del 1826: «l’istallazione delle Officine di garenzia in questa parte de’ Reali Domini che i fabbricanti di oro, e di argento esser debbono provveduti di patente…»11, ovvero quella che oggi più comunemente viene detta licenza (Fig. 3).

Ulteriori approfondimenti sulle maestranze sono stati in tempi recenti portati avanti, come in occasione della mostra Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco12 curata da Maria Concetta Di Natale, tenutasi a Palermo presso l’Albergo dei Poveri nel 2000-2001, quando riemersero grazie ad un riordino di manoscritti nella Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, quelli della Congregazione di Sant’Eligio di Palermo riguardanti la storia della Maestranza degli orafi e degli argentieri dal XVI al XIX secolo13 che vennero puntualmente analizzati e studiati nell’ambito delle ricerche condotte per la Mostra da Silvano Barraja.

All’appendice V di questo illuminante elenco manoscritto risulta documentato oltre al Nicolò Contino, con data d’inizio attività al 1822 (Fig. 4), indicato già da Maria Accascina, un altro membro dell’antica famiglia: Michele Contino, con data di inizio attività al 1807 che si rivela, dunque, come il più antico capostipite della famiglia di gioiellieri.

Tra gli appunti del “Fondo Accascina” che ho schedato sono quelli che riguardano un’altra famiglia di antica tradizione artigiana palermitana: la centenaria gioielleria Fecarotta, rilevata a partire dal XVIII secolo, in merito alla quale la studiosa scriveva: «Anche gli eredi di quel Giovanni Fecarotta, incisore e disegnatore allievo di Marvuglia, continuano nella prima metà dell’800 a rappresentare nobilmente l’argenteria siciliana. Giovanni Fecarotta, figlio di Nicolò, incisore ed orafo alla corte di Francesco I Re delle due Sicilie, viene premiato con medaglia d’oro nel 1838 per gli smalti ad elettrodoratura, e impianta la prima fabbrica di argenteria e gioielleria al n. 38 di via Materassai a Palermo».14 A tal riguardo dalle “Carte” del “Fondo Accascina” è emersa un’interessante corrispondenza tra l’Avvocato Alberto Fecarotta e la Studiosa, significativa testimonianza cui è possibile apprendere alcune precisazioni riguardanti Giovanni Fecarotta, al quale si deve insieme ai fratelli Antonio, Nicolò, Francesco, Raffaele e Giuseppe la fondazione nel 1866 della ditta “F.lli Fecarotta”15.

Nella lettera, che reca data 4 aprile 1959,  l’avvocato Alberto Fecarotta scrive: «Va detto subito che dei figli del Giovanni (fu Nicolò), l’autore tanto per intenderci dell’Ostensorio di San Martino delle Scale, nessuno si dedicò all’arte paterna (in senso ristretto). Tuttavia Francesco (l’ultimo, cioè, dei figli di Giovanni), insieme con i propri fratelli, tenne in piedi la fabbrica di oreficeria ed argenteria, sempre in via Materassai, divenendone ben presto, per le proprie indiscusse attitudini, il – diciamo- animatore, collaborato (del resto) dai propri fratelli, i quali si riservarono le parti meramente esecutive, mentre al Francesco venne affidata la direzione16

Riguardo i figli di Giovanni è noto, inoltre, che Antonio Fecarotta partecipò all’Esposizione d’Incoraggiamento del 1846 e, insieme al fratello Nicolò, all’Esposizione Nazionale di Firenze del 1861. Francesco nel 1843 realizzò un ostensorio dorato dalle grandi dimensioni esposto poi alla mostra regionale di Belle Arti di Palermo e alla Nazionale di Milano.17

Anche Raffaele espone alle mostre d’Incoraggiamento del 183618 e 44 con manufatti di oreficeria, ma nel 1877 si mise in proprio realizzando opere per prestigiosi committenti come la famiglia Florio19. Nel 1891 partecipa all’Esposizione Nazionale di Palermo come espositore e in qualità di segretario della Commissione Ordinatrice della VII sezione, Lavori in metalli Fini20 e nel 1902, alla “Mostra Regionale Agricola di Palermo” riceve una medaglia d’oro21.

Il prestigioso Ostensorio di San Martino delle Scale cui fa riferimento nel corso della sua lettera l’Avvocato, risulta oggi purtroppo perduto. Era stato commissionato dai monaci benedettini dell’Abbazia al noto argentiere Giovanni Fecarotta e da questi realizzato nel 1852. Le ultime notizie sull’Ostensorio risalgono al settembre del 1848, quando Don Francesco Stabile, Delegato speciale per la consegna degli argenti dell’Abbazia e il Colonnello Giacinto Carini, comandante il primo squadrone di cavalleria di cavalleria delle truppe siciliane22, in esecuzione dell’ordine ministeriale del 3 settembre 1848, richiesero all’Abate Monsignor Ruggero Blundo di consegnare i manufatti in argento che non erano utili al Culto divino23. L’Abate presentò una lista, sottolineando che l’esiguità dell’elenco di argenti era motivabile a causa del furto del 1845 e che l’ostensorio con gemme si trovava presso l’orefice Giovanni Fecarotta perché necessitava di una riparazione per una spesa complessiva di settecento onze24.

Ma l’ostensorio non era stato l’unico manufatto realizzato da Giovanni Fecarotta per quei monaci benedettini; risultano, infatti, altri pagamenti nel gennaio, marzo e luglio del 1847 relativi ad interventi di restauro,  e nel marzo del 1858 aveva ricevuto dal Monastero di San Martino «per una pisside d’argento per detta Chiesa di paro libbra 1.10.26 e per manifattura, doratura ed altro…»25 .

La lettera dell’ Avvocato Fecarotta continua con notizie sulla morte di Francesco, avvenuta nel 1898, in seguito alla quale «la fabbrica, insensibilmente, perdette la propria fisionomia di azienda di tipo familiare con stretta collaborazione di tutti, ed i vari fratelli la sciolsero, andando ciascuno per proprio conto, e cambiando, nel medesimo tempo, le loro attività: Raffaele infatti (che non ebbe, poi figli) si installò con un magazzino in Corso Vittorio Emanuele, allora centro della vita palermitana e “cuore” della città e pulsante di vita, mentre gli altri fratelli si associarono dando vita alla ditta “Fratelli Fecarotta” (Fig. 5).

– Per amor di precisione va detto che, data la impossibilità di continuare un’attività che ben presto si sarebbe (per mancanza di direzione) trasformata in passività, lo scioglimento della fabbrica fu sollecitato soprattutto dal figlio di Francesco: Giovanni, allora giovanissimo. Il consiglio fu ritenuto opportuno ed i fratelli di Francesco Fecarotta presero ciascuno la propria strada.

– Le notizie sopra riferite formarono oggetto – quindi- di una doverosa precisazione al “Giornale di Sicilia”, non foss’altro per chiarire alcune inesattezze ed alcune omissioni di nomi. Ed il giornale (infatti) pubblicò (come già detto) il 14 giugno 1955 . sia pur per estratto – le notizie che Alberto Fecarotta (uno degli epigoni della famiglia) inviò. Leggiamo infatti: “L’arte orafa a Palermo. Fedeltà al lavoro ed alle tradizioni. Altri particolari sulla attività della famiglia Fecarotta. Un ricordo dei Churchill.»26

La lettera continua con specifiche annotazioni biografiche sui figli di Giovanni Fecarotta: «– Raffaele, Giuseppe e Nicolò non furono i soli figli di Giovanni Fecarotta, capostipite della famiglia; questi ebbe altri tre figli, tra cui Francesco, mio nonno, anch’egli continuatore dell’arte paterna nell’oreficeria. Alla sua morte gli successe il figlio Giovanni, tuttora vivente (1955), che tenne il magazzino in Via Vittorio Emanuele avvalendosi, per parte artistica delle installazioni prospettiche, della collaborazione e dell’opera del nostro grande concittadino prof. Architetto Ernesto Basile. Fra i clienti ricorda il console britannico a Palermo, allora Mr. Churchill, il quale si avvalse parecchio dei lumi forniti da mio padre per la pubblicazione “Paesant Art in Italy”, arte paesana in Italia, nonché di (sic) molte famiglie della nobiltà palermitana. Si trasferì quindi in via Cavour ed ivi rimase ininterrottamente dal 1930 al 1949 (sic), epoca in cui, per l’età, preferì ritirarsi dagli affari”.

– Sulla lettera trascritta e pubblicata (come già detto) per estratto dal Giornale di Sicilia, va aggiunto: anzitutto l’articolista (forse tiranneggiato dalle esigenze di spazio) non accennò minimamente ad un fatto, pur citato nella lettera inviata a quella redazione. Il Giovanni Fecarotta, oggetto della corrispondenza, ed ultimo discendente – in arte- della famiglia, se pur non può essere considerato un artigiano, poiché mai egli maneggiò i ferri, a differenze del proprio nonno e suo omonimo Giovanni Fecarotta, l’autore dell’Ostensorio di San Martino delle Scale, fu nondimeno uno studioso di oreficeria e gioielleria antica. A lui su deve se molti “pezzi” di eccezionale pregio artistico furono recuperati e ne fu impedita quindi l’emigrazione fuori isola e – peggio- la fusione. Non sarà –penso- inopportuno richiamare al proposito una circostanza: bambino (poco più che ottenne) io mi trovavo con mio Padre in visita al laboratorio in un orefice “da strapazzo”, che aveva già pronti fornaci e crogiuoli per fondere un rilevante quantitativo di “frascame d’argento” (così, in gergo orafo, viene chiamato il metallo prezioso in rottami, o comunque non in verghe). Fra questo era uno stupendo calice del XVI secolo, di manifattura siciliana che, per poco non venne fuso e perciò irrimediabilmente distrutto per sempre!

Egli fu, mio Padre, il vero “creatore” dell’arte antiquaria in Palermo (come, del resto, moltissimi, anche dell’arte, possono attestare e confermare). Studiò e si rese benemerito nell’approfondimento della conoscenza dell’oreficeria ed argenteria siciliana (arte paesana), estendendo poi il suo campo d’indagine anche alla gioielleria antica. Ed alla sua “scuola” – possiamo dire- anche se materialmente non avviati all’uso degli strumenti; ma alla conoscenza dell’Arte, dell’antico, del più Bello in oreficeria; si formarono alcuni fra i nostri più valorosi artigiani cittadini.

Un nome valga per tutti, fra essi, il Sig. Gaetano Lo Monaco, oggi poco più che cinquantenne […] che, per merito esclusivo del di lui Maestro, è stato (ed è) il solo artigiano capace di muovere dall’antico, per le più interessanti creazioni in gioielleria. […]»27.

La documentazione si infittisce con altre carte sempre inviate dall’avv. Fecarotta, una trascrizione dell’articolo, di cui sopra, pubblicato sul “Giornale di Sicilia in data 11 giugno 1955”, in cui non manca di evidenziare: «… E però l’articolista, evidentemente guidato nelle ricerche da imprecise reminiscenza degli attuali discendenti, dimenticò alcuni punti essenziali della genealogia che può (schematicamente) così riassumersi: Nicolò Fecarotta – incisore e orafo a corte di Francesco I re delle due Sicilie.

Giovanni Fecarotta – incisore e orafo – partecipò al concorso per o francobolli del regno d’Italia insieme a Pampillonia premiato con tre medaglie d’argento negli anni 1834 – 1836 -1846 invece nel ’38 aveva avuto medaglia d’oro per smalti ed elettrodoratura. Verso il 1860 aprì uno dei primi negozi di gioielli in Corso Vittorio Emanuele. Impiantò anche la prima fabbrica di argenteria e gioielleria al n 38 di via Materassai e ne fece rivestire la parete con lastre di ferro…»28.

Nello specifico, dunque, Giovanni Fecarotta riceve nel 1834 la medaglia d’argento data in occasione della “Mostra regionale organizzata a Palermo dal Real Istituto d’Incoraggiamento d’Agricoltura, Arti e Manifatture” per la realizzazione di manufatti in oro e argento in cui predomina un gusto revivalistico neoegizio e insieme neogotico29. Nel 1836 riceve una seconda medaglia d’argento, sempre per le sue abili doti nel lavorare con l’oro l’argento e smalti, ma è nel 1838 che sempre in occasione della stessa Mostra viene insignito con una medaglia d’oro di prima classe “per ammirabili oggetti d’incisione e smalto, da superare non che pareggiare i migliori in tal genere di lavorio”30.

A seguire, tra le “Carte” Fondo, è poi un foglio incentrato sulla ricostruzione della successione tra gli eredi Fecarotta31 (Fig. 6) e un  appunto riguardante Giovanni Fecarotta e la “Mostra Regionale di Palermo del Real Istituto d’Incoraggiamento d’Agricoltura, Arti e Manifatture” e un riferimento bibliografico su un articolo pubblicato sulla rivista “La Cerere. Giornale Ufficiale di Sicilia”32.

Le osservazioni epistolari dell’avv. Fecarotta continuano con un altro documento epistolare sempre in merito al padre Giovanni Fecarotta, ma riguardanti le prove d’incisione per la realizzazione del francobollo ufficiale del governo di Sicilia, in cui scrive: «…- Visitando la mostra filatelica “Sicilia’59” a Palermo, ho scoperto alcuni altri particolari “inediti” (per così dire) sul conto di alcuni incisori palermitani.

Giovanni Fecarotta: curò l’incisione di francobolli con l’effigie del Sovrano, che è in rilievo nell’ovale al centro del francobollo stesso. L’esterno, ossia la “cornice”, non differisce gran fatto dai francobolli già in uso per gli Stati Sardi, e successivamente usata (con lievissimi ritocchi nei fregi angolari) per le serie del Regno d’Italia dal 1861 […]. I detti francobolli (“prove d’artista”, per meglio dire) furono editi a Palermo da Francesco Lao, il quale si servì, per la stampa, dello stabilimento tipografico dei Fratelli Virzì (tutti in Palermo). Altri incisori alle dette incisioni di francobolli, per le quali fu poi prescelto, come effettivamente il migliore, il tipo creato da Tommaso Aloysio Juvara, parteciparono pure altri due, fra i quali certo C. Pampillonia (sic) anch’egli da Palermo. Di Pampillonia esistono altri omonimi (già ingastatori e incisori), che fino a pochi anni or sono tennero il loro laboratorio in Palermo, Corso Vittorio Emanuele, ove poi impiantarono anche negozio di gioielleria. È probabile che Giovanni Fecarotta partecipasse al –diciamo – “concorso” indetto per il francobollo ufficiale di Sicilia (che vide la luce il 1 gennaio 1859) in quanto il di lui padre , Nicolò, incisore ed orafo di Corte, e quindi – su consiglio del padre steso – tentasse di conseguire il premio. Non è neppure improbabile che il Pampillonia provenisse dalla “scuola” dei Fecarotta, col cui appoggio anch’egli sperava conseguire il premio, e che tutti gli –allora- “Giovanni” (Giovanni Fecarotta, Palmpillonia ecc.) si fossero ulteriormente formati (per la parte riguardante specificatamente l’arte “incisoria”) alla scuola (ad “all’ombra”) di Juvara»33.

Il Regio Decreto del 29 novembre 185834, infatti, annunciava l’emissione che avvenne l’uno gennaio 1859 e si componeva di sette francobolli raffiguranti il profilo di Ferdinando II Re del Regno delle Due Sicilie. La serie non ebbe mai un documento che ne sancisse il fuori corso ma in seguito al Decreto del 27 maggio 1860 emanato da Giuseppe Garibaldi, durante l’occupazione del Regno delle Due Sicilie in nome e per conto di Vittorio Emanuele II, anche l’uso dei francobolli borbonici venne dichiarato soppresso35. A tal riguardo, infatti, è documentato che nel luglio del 1860 la Direzione generale delle Poste siciliane diede inizio ai lavori per nuovi francobolli, prima con lo stemma sabaudo come quelli toscani con valore in grana, poi con l’effigie di Vittorio Emanuele II a rilievo come quelli sardi con valore in lire. Giovanni Fecarotta, incaricato del lavoro, ebbe precisazioni sulle diciture solo il 6 novembre e solo il 27 del mese successivo si ebbero le prime prove presso la tipografia indicata nella lettera dall’avv. Fecarotta. Seguirono altre prove, più riuscite, sempre a Palermo presso la tipografia Virzì 11 gennaio del 1861. È al 9 marzo dello stesso anno fu pronto il contratto per la fornitura, ma l’arrivo di un ispettore generale delle Poste italiane, incaricato di riordinare il servizio postale nell’isola, bloccò tutto (Fig. 7)36.

Maria Accascina, aveva già percepito i cambiamenti che stavano accadendo, a partire dalla fine del Settecento, nelle botteghe dei maestri argentieri e la dispersione, in particolar modo, dell’argenteria profana, infatti, scriveva : «Sarà da colmare in altra sede la grave lacuna costituita dalla mancanza di argenterie da tavola troppo ricercate e perciò disperse»37. I documenti illustrati in questa occasione sono, ancora una volta, prova tangibile della sua spiccata sensibilità artistica e i suoi studi, ancora attuali, sono fonte di ispirazione e approfondimenti. La corrispondenza tra l’avv. Fecarotta e la Studiosa è ricca, infatti, di preziosi aneddoti riguardanti i rapporti sociali e culturali intessuti con committenti o operatori delle diverse arti. La grande studiosa ha svolto un ruolo significativo nelle ricerche e negli studi in Sicilia nelle Arti decorative del Novecento e ancora oggi è possibile, rileggendo le sue “Carte”, rivivere atmosfere di tempi ormai lontani.

LEGENDA

BCRS, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana

A.S.Pa, Archivio Storico Diocesano di Palermo

  1. Ho avuto l’occasione di censire una significativa parte del Fondo Accascina della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace” grazie alla convenzione tra la stessa Biblioteca e l’Università degli Studi di Palermo e in particolare l’Osservatorio per le Arti decorative in Italia “Maria Accascina”. Ringrazio per l’opportunità il Dott. Francesco Vergara Caffarelli, Direttore della Biblioteca, la Dott. Rita Di Natale, Direttrice della sezione dei Fondi Antichi della stessa Biblioteca e la Prof. Maria Concetta Di Natale, Direttrice dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia “Maria Accascina”. Per approfondimenti sulla biografia, gli studi e le pubblicazioni di Maria Accascina, cfr. M.C. DI NATALE, Maria Accascina storica dell’arte: il metodo, i risultati, in Storia critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale. Atti del Convegno Internazionale di Studi in onore di Maria Accascina (Palermo – Erice 14-17 giugno 2006) a cura di M.C. DI NATALE, Caltanissetta 2007; e la raccolta degli articoli editi sul quotidiano “Giornale di Sicilia”, Maria Accascina e il Giornale di Sicilia 1934-1937. Cultura tra critica e cronache, vol. I, a cura di M.C. DI NATALE, Caltanissetta 2006 e il vol. II, (1938-1941), a cura di M.C. DI NATALE, Caltanissetta 2007 []
  2. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974. []
  3. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974. []
  4. Il Fondo Accascina è conservato in venti cassette (101-120). I documenti del “Fondo Accascina” furono riordinati, in seguito alla scomparsa della Studiosa, da un gruppo di personalità a Lei vicine. A tal riguardo cfr. S. CUCCIA, Le “Carte” di Maria Accascina, in Le Arti in Sicilia nel Settecento. Studi in memoria di Maria Accascina, Palermo 1986, p. 595; M. VITELLA, Il contributo di Maria Accascina alla riscoperta della produzione d’arte decorativa in Sicilia, in Storia critica…, 2007, pp. 147-154; G. SINAGRA, Le Carte Accascina. Un momento espositivo dedicato a Maria Accascina presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “Alberto Bombace” di Palermo, in Storia critica e tutela…, 2007, pp. 525 – 527. []
  5. Cfr. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 422. []
  6. Documento presso la Biblioteca Centrale della Regionale Siciliana “Alberto Bombace”, sezione Fondi Antichi, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00016. []
  7. Cfr. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00017. []
  8. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 422; L. BERTOLINO e N. BERTOLINO, Indice degli orafi e degli argentieri di Palermo, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della mostra (Trapani, Museo Regionale Pepoli 1 luglio – 30 ottobre 1989) a cura di M.C. DI NATALE, Milano 1989, p. 400; S. BARRAJA, Nicolò Contino, Giuseppe Contino, ad voces, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Arti applicate, vol. IV, a cura di M.C. DI NATALE, in c.d.s. []
  9. Cfr. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00017B. []
  10. Un sentito ringraziamento al dott. Silvano Barraja per avermi fornito notizie sulla scomparsa di Gerardo Contino. []
  11. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00018. []
  12. Grandi mostre, organizzate dalla Presidenza della Facoltà di Lettere e Filosofia, come Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, Milano 1989, tenutasi al Museo Regionale Pepoli di Trapani, Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, Milano 2001, presso l’Albergo dei Poveri di Palermo, curate da Maria Concetta Di Natale e promosse dall’Assessorato dei Beni Culturali, Ambientali e della P. I., hanno avuto anche un risvolto indirizzato verso la rinascita di determinate produzioni artistico – artigianali che nei secoli avevano costituito una delle più significative risorse dell’economia siciliana. []
  13. Il Fondo, costituito da 126 pezzi archivistici, che vanno dall’anno 1594 al 1872, è stato studiato ed esaminato da S. BARRAJA, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, catalogo della mostra (Palermo, Albergo dei Poveri 10 dicembre 2000 – 30 aprile 2001) a cura di M.C. DI NATALE, Milano 2001, pp. 662-677. []
  14. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 422. []
  15. P. PALAZZOTTO, Fecarotta, Fecarotta Giovanni, ad voces e S. BARRAJA, Fecarotta Giovanni, Fecarotta Nicolò, ad voces, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani. Arti applicate, vol. IV, a cura di M.C. Di Natale, in c.d.s.;  P. Palazzotto, ad vocem, in Enciclopedia della Sicilia, a cura di C. Napoleone, Parma 2006, p. 393; G. MENDOLA, Orafi e argentieri a Palermo tra il 1740 e il 1790, in Argenti e cultura Rococò nella Sicilia  Centro Occidentale 1735 – 1789, catalogo della mostra (Lubecca, St. Amen – Museum, 21 ottobre 2007 – 6 gennaio 2008) a cura di S. GRASSO, M.C. GULISANO, Palermo 2008, p. 618. []
  16. Cfr. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00022. []
  17. Catalogo dei saggi de’ prodotti d’industria nazionale presentati nella solenne esposizione fatta dal R. Istituto d’Incoraggiamento d’Agricoltura d’Arte e Manifatture per la Sicilia nel dì 30 maggio 1834 giorno onomastico di S. M. Ferdinando Secondo Re di Sicilia, Palermo 1847, pp. 9, 20; P. Palazzotto, ad vocem, in Enciclopedia …, 2006, p. 393. []
  18. Catalogo dei saggi …, 1836, p. 22. []
  19. Per i rapporti tra i Florio e i Fecarotta si veda R. Vadalà, L’età di Franca Florio. Donne e gioielli a Palermo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, in Gioielli in Italia. Donne e Ori. Storia, arte e passione, atti del convegno di studi a cura di L. LENTI, Venezia 2003, pp. 111-124. []
  20. Cfr. F. GRASSO, Le arti figurative dell’esposizione Nazionale di Palermo 1891-1892, in Dall’artigianato all’industria. L’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-1892, a cura di M. M. GANCI e M. GIUFFRÈ, Palermo 1994; Catalogo dei saggi …, 1844, p. 23. []
  21. Cfr. BONTEMPELLI e TREVISANI, Rivista Industriale, Commerciale e Agricola della Sicilia, Milano 1903, p. 141. []
  22. Cfr. V. FINOCCHIARO, La rivoluzione siciliana del 1848-49, Catania 1906, p. 153. []
  23. Ruggiero Settimo, Presidente del Governo del Regno di Sicilia, il 3 settembre 1848, autorizzò un decreto che prevedeva si prelevassero opere in argento, pietre preziose, e manufatti di ogni genere presenti in tutti i luoghi di culto, dalle chiese ai monasteri, per costituire pegno «ai capitalisti del Regno» che avrebbero versato in favore della Nazione, precisando che «gli argenti occultati… venivano incamerati dall’Erario Nazionale» cfr. A.S.Pa, Commissione Consultiva di Giustizia, b. 29; Le assemblee del Risorgimento, Roma 1911, Sicilia vol. XII, pp. 354-357; a tal proposito cfr. S. BARRAJA, Un episodio di conservazione della suppellettile ecclesiastica, in L’Eredità di Angelo Sinisio. L’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, catalogo della mostra a cura di M.C. DI NATALE e F. MESSINA CICCHETTI, Palermo 1997, p. 319. []
  24. Cfr. G. MELI, Catalogo degli Oggetti di Arte dell’ex Monastero e Museo di San Martino delle Scale presso Palermo, Palermo 1870, p. 120; Sul grande Ostensorio del RR.PP. Benedettini di San Martino, Palermo 1984; G. LUPO, Ricordo di un ostensorio, in “Firma”, a. II, n. 4, dicembre 1984, p. 12; S. BARRAJA, Un episodio…, in L’Eredità …, 1997, p. 319; R. VADALÀ, Catalogo delle suppellettili liturgiche d’argento, in L’Eredità …, 1997, p. 173. []
  25. Cfr. S. VACCARO, Regesto di documenti inediti, in I. BRUNO, Arti decorative dai libri contabili dal 1650 al 1862, in L’Eredità , 1997, p. 316. []
  26. Cfr. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00022B. []
  27. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00022 e 110.8.B.00022B. Giovanni Fecarotta (17 gennaio 1799), infatti, ebbe quattro mogli. Dalla prima nacquero Raffaele, che presto manifestò il suo disinteresse per l’oreficeria, Nicolò, Antonio, Pietro, Francesco e Giuseppe. Si deve, dunque, a questi la trasformazione della bottega artigiana d’origine in negozio di gioielleria. []
  28. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00021B. []
  29. Cfr. P. PALAZZOTTO, ad vocem, in Enciclopedia…, 2006, p. 393. []
  30. Catalogo dei saggi …, 1847, pp. 6, 22; M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 422. []
  31. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00019. []
  32. BCRS, Fondo Accascina, cassetta 110.8.B.00023. L’articolo riguarda il disegno, realizzato in collaborazione con il fratello Emmanuele, (1836), di un servizio da scrittoio in oro, argento ed agata per S. E. il Sig. Principe di Campofranco; cfr. “La Cerere. Giornale Ufficiale di Sicilia”, 1 agosto 1835, Palermo. []
  33. Per Francesco Lao cfr. F. Apollonio, Antichi Stati di Sicilia, a cura di N. BARBERIS, A. DIENA, E. DIENA, C. CERRUTTI, L. RAYBAUDI, R. ARCALENI, in Enciclopedia dei Francobolli, vol. I, Firenze 1968, p. 294. Sull’incisione curata da Tommaso Aloysio Juvara, cfr. I Saggi di Sicilia, in “The Postal Gazette”, n. 3, Aprile 2009, Melano, p. 38. In merito a Pampillonia, citato nella lettera dall’Avvocato Fecarotta, è noto che lavorò in altre occasioni con Giovanni Fecarotta, collaborando alla realizzazione dei bronzi della prestigiosa carrozza che il Senato di Palermo donò al principe Leopoldo di Borbone nel 1831 in occasione del suo onomastico, Cfr. P. PALAZZOTTO, ad vocem, in Enciclopedia…, 2006, p. 393. []
  34. L’annuncio della nascita, in “Il Collezionista”, n. 1, Torino, 2009, p. 18. []
  35. F. APOLLONIO, Antichi Stati…, in Enciclopedia…, vol. I, 1968, p. 294. []
  36. Per l’immagine del francobollo ringrazio Filippo Gerbino. Cfr. AA.VV., Catalogo Unificato, 37 ed., Milano 2011, p. 58. []
  37. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia …, 1974, p. 396. []