Ciro D’Arpa

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La Madonna di Ravanusa nei Raguagli di padre Ottavio Gaetani: l’incisione di Giovanni Federico Greuter tra istanze civiche e ragioni artistiche

DOI: 10.7431/RIV08022013

Le stampe che illustrano i Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora (1664)1 – tratte da incisioni di Giovanni Federico Greuter ed altri – formano un corpus omogeneo d’immagini devozionali di interesse rilevante non solo per gli studi di iconografia sacra siciliana ma anche per quelli storico-artistici2. L’ispiratore di questa opera è stato il gesuita Ottavio Gaetani (Siracusa 1566- Palermo 1620), padre dell’agiografia siciliana e storico del cristianesimo dell’Isola3. Questi dedicò gran parte della vita alla stesura di un’opera monumentale, le Vitae Sanctorum Siculorum, primo martirologio regionale compilato su basi documentarie attendibili. Opera che però il Gesuita non ebbe la possibilità di vedere pubblicata perché edita postuma nel 16574. Tuttavia nel 1617 il Gaetani aveva dato alle stampe l’Idea operis5 con la quale, in anteprima, presentava alla Chiesa siciliana il compendio del suo costituendo martirologio siculo, già comprensivo di un primo elenco di 29 culti mariani. Nel rispetto della impostazione voluta dall’autore, le Vitae Sanctorum Siculorum comprendono un capitolo interamente dedicato all’approfondimento dei culti mariani in Sicilia. Lo stesso Gaetani, probabilmente, aveva avuto l’idea di estrapolare questo capitolo per farne una pubblicazione autonoma6, per la quale aveva dato incarico alla bottega romana dell’incisore Greuter di realizzare le matrici per le  stampe, matrici utilizzate solo molti anni dopo la sua morte per illustrare i Raguagli7. L’opera del Gaetani s’inserisce nella produzione agiografica postridentina contrassegnata dal rigore filologico-documentario voluto dal cardinale Cesare Baronio, autore degli Annales Ecclesiastici8. L’influenza baroniana sul lavoro del Gaetani è attestata da egli stesso dato che, nella prefazione alle Vitae Sanctorum Siculorum, dichiara di essersi avvalso dei preziosi consigli di quell’autorevole storico. Baronio fu il più celebre dei figli spirituali di Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell’Oratorio di Santa Maria in Vallicella a Roma. Padre Gaetani, durante la sua lunga permanenza a Roma9, di certo ebbe modo di conoscere Filippo Neri e molti dei suoi primi sodali, quali appunto il Baronio e, probabilmente, anche il palermitano padre Pietro Pozzo. Su iniziativa di quest’ultimo si deve la nascita della comunità filippina di Palermo nel 159210 . Soggetti autorevoli di questa comunità religiosa, come diremo, a diverso titolo hanno dato un contributo al progetto editoriale dei Raguagli.

La Biblioteca centrale della Regione Siciliana di Palermo custodisce, rilegati in volumi, parte dei materiali agiografici raccolti dal Gaetani per il suo martirologio11. Uno di questi volumi forma il corpus dei documenti sui culti mariani in Sicilia12 tra i quali figura anche quello molto antico della Madonna di Ravanusa, in provincia di Agrigento13, legato alla figura del Gran Conte Ruggero14. L’incartamento concernente Ravanusa è formato da cinque documenti dei quali, quelli maggiormente utili al nostro studio sono: una breve nota descrittiva del santuario, non datata, inviata al Gaetani dal priore preposto al convento di Ravanusa e una missiva di Giacomo Perconte da Licata, con disegni allegati, datata 25 agosto 161915. L’incartamento è di particolare interesse non solo per lo studio storico-documentario del tema mariologico in esame ma anche per quello artistico e iconografico. I sette disegni ad inchiostro inseriti nella lettera del Perconte16, infatti, riproducono le molteplici immagini che documentavano un tempo il culto della Madonna di Ravanusa all’interno del non più esistente santuario17, immagini che, come diremo, servirono a definire l’iconografia ufficializzata dall’incisione di Giovanni Federico Greuter (Fig. 1). Ognuno dei disegni è supportato da un proprio breve testo di commento esplicativo, posto a margine, nel quale sono intercalate lettere alfabetiche maiuscole che rimandano puntualmente a quanto ivi rappresentato18 (Fig. 2). I primi cinque disegni riproducono le immagini a rilievo che ornavano il «tabernacolo della Madonna». In questi s’illustrava, per episodi, l’evento miracoloso accaduto a Ravanusa ai tempi del Conte Ruggero. Nel territorio dell’antica Gela19, in occasione di una delle battaglie combattute dal Conte Ruggero per la liberazione della Sicilia dagli infedeli, apparve a questo in sogno la Madonna, invocata per intercedere a favore del suo esercito, stremato dalla sete, nonché per la morte del fratello Roberto. Fu così che la Beata Vergine compiva un duplice miracolo facendo risuscitare il congiunto e indicando a Ruggero il luogo dove trovare l’acqua (Fig. 3). In prossimità dell’accampamento, nella località in seguito detta di Ravanusa, sotto un albero di fico fu trovata la sorgente alla quale poté dissetarsi l’esercito normanno (Fig. 4). I soldati così ritemprati ebbero le forze necessarie per dare l’assalto alla roccaforte nemica su Monte Saraceno che, con l’incitazione del Conte Ruggero e la protezione dello «stendardo della beata vergine», fu facilmente espugnata (Fig. 5). Subito dopo la vittoria conseguita sugli infedeli, puniti con la totale distruzione della loro città, Ruggero e il suo esercito fecero solenne atto di ringraziamento alla Madonna che apparve loro chiedendo l’edificazione in quel luogo di un santuario (Fig. 6). Il Conte prontamente fece allora erigere presso il distrutto abitato degli infedeli la chiesa richiesta dalla Madonna, da allora appellata “S. Maria di Ravanosa” (Fig. 7). Il sesto disegno (Fig. 8) riproduce invece il quadro che era posto al tempo del Perconti sopra la porta della sacrestia della chiesa, il quale, a detta dello stesso, era opera di un pittore licatese – non meglio specificato – suo contemporaneo. In questo dipinto vi era illustrato, in un’unica grande scena, quanto singolarmente narrato nei rilievi del “tabernacolo”. Nel perduto dipinto vi avremmo potuto apprezzare una delle più antiche iconografie del Conte Ruggero, quella che lo raffigura come un condottiero a cavallo che atterra l’infedele sotto le insegne del vessillo miracoloso affidatogli dalla Madonna20. Il settimo ed ultimo disegno (Fig. 9) riproduce la statua della Madonna che si venerava nel santuario, unica opera superstite tra quelle documentate dal Perconte (Fig. 10). Dalla sua testimonianza apprendiamo che la statua è stata realizzata in creta21 da un artista licatese circa “ottantacinque” anni prima (1534?). L’iconografia della statua è assimilabile alla Madonna delle Grazie perché riproduce  la Vergine nell’atto di porgere il seno al Bambino Gesù, a sua volta raffigurato con un uccellino (cardellino?) tra le mani, similmente a quanto rappresentato nel trittico quattrocentesco oggi custodito presso il Municipio di Licata (Fig. 11)22. Le informazioni fornite dal Perconte nel 1619 integrano quelle del priore del convento, la cui nota manoscritta, prima citata, dovrebbe essere di qualche anno precedente. Da questo apprendiamo che l’altare maggiore nel presbiterio era ornato da una grande ancona lignea intagliata e dorata di dodici palmi per otto (3×2 m circa) che incorniciava due dipinti di soggetto religioso non attinente al culto della Madonna di Ravanusa23. La memoria dell’antico culto mariano, a suo dire, era dunque testimoniata soltanto da immagini recenti quali le cinque storie che ornavano la custodia della statua in creta della Madonna24, posta in una sua cappella a parte e, soprattutto, dal dipinto appeso sopra la porta della sacrestia25. Il Gaetani dando credito alla testimonianza resa dal priore, laconicamente lamentava che: «di tal memorabile miracolo altra notizia n’habbiamo, salvo la prefata pittura, e la fama per tradizione portata á posteri»26. La lettera del Perconte (1619) segue di pochi anni la pubblicazione dell’Idea Operis (1617), una operazione editoriale direttamente promossa dal Gaetani  con l’intento di potersi avvalere dell’aiuto dei lettori – studiosi ed eruditi di tutta la Sicilia – dai quali sperava di ricevere quante più notizie utili alla compilazione della sua opera agiografica che, evidentemente, comportava per lui un grande impegno. La missiva del Perconte, a ben leggere, è la risposta all’appello da parte dei licatesi. Con questa, infatti, il Gesuita era messo a conoscenza anche su tutte quelle altre notizie che riguardavano il legame storico che univa la loro città con il luogo che accoglie la Madonna di Ravanusa27. Il territorio di Ravanusa, e quindi anche il santuario, da molti secoli ricadeva sotto la giurisdizione di Licata, città demaniale che vantava d’essere l’antica Gela di greca memoria. Non di meno il territorio di Ravanusa, in epoche più recenti, era divenuto un feudo, nel 1449 venuto in possesso del nobile Andrea de Crescenzo28. La nascita dell’abitato di Ravanusa si doveva proprio a questo soggetto che, nel 1472, aveva ottenuto da re Giovanni d’Aragona l’elevazione del feudo a baronia. Lo sviluppo del nuovo centro abitato, che ambiva ad una sua riconosciuta indipendenza, evidentemente ledeva gli interessi di Licata che in quel territorio aveva investito risorse proprie29. Il lento ma inesorabile processo di affrancazione di Ravanusa30 dalla giurisdizione della vicina Licata aveva indotto i maggiorenti di quest’ultima a rivendicare se non altro il prestigioso e antico culto mariano. Nella prima metà del Cinquecento i giurati di Licata, approfittando del fatto che nel santuario di Ravanusa non vi era alcuna antica sacra immagine legata alla Madonna, fecero realizzare a loro spese il simulacro in creta per quel santuario. Da quel momento il culto della Madonna di Ravanusa, con la relativa festività del 15 agosto, oltre al nome del luogo, veniva indissolubilmente legato alla nuova statua, amovibile e, dunque, rivendicabile31. Tali ragioni non solo sono palesi nella lettera del Perconte ma ne costituiscono anche la vera ragione; dimostrazione n’è che questo raccomanda al suo interlocutore di dare «credito più alle mie che ad altri»32. Il destinatario della lettera del Perconte non è padre Gaetani ma un personaggio eminente – del quale però non è menzionato il nome – che doveva fare da tramite con il Gesuita33. Il Perconte, a nome anche dell’intera cittadinanza licatese34, si appella a questo soggetto dichiarandosi suo “creato”, ovvero familiare. Questo indizio induce a credere che il misterioso interlocutore sia stato egli stesso un licatese, forse da individuare nel nobile Antonino Formica35, un sacerdote della comunità oratoriana di Palermo ben introdotto nella curia vescovile del cardinale Giannettino Doria36. Le istanze del Perconte e dell’intera cittadinanza licatese, grazie forse anche all’influenza del personaggio rimasto anonimo, non furono deluse, così che la Madonna di Ravanusa è stata rappresentata nella stampa relativa dei Raguagli con le fattezze della statua fittile fatta realizzare da loro37 e con l’aggiunta all’antico titolo di “S. Maria di Ravanosa” della specificazione topografica “presso all’Alicata”.

Ad oggi manca uno studio critico sulle stampe dei Raguagli. Da quel poco che c’è stato tramandato è noto che furono commissionate a Roma su indicazione dello stesso padre Gaetani, ma non sappiamo quando. Il testo è corredato da 36 immagini di Madonne delle quali, 23 sono a firma del Greuter, che sigla anche la bella immagine dell’antiporta38, 2 sono di Giuseppe Lentini, fratello laico della comunità oratoriana di Palermo39, che è anche l’autore dell’interessante immagine allegorica della Sicilia, mentre le restanti 11 non riportano alcuna indicazione utile per individuare il loro autore. La stampe del Greuter sono state tutte riferite a Giovanni Federico (Strasburgo 1590/93 – Roma 1662), un figlio d’arte formatosi presso la bottega del padre, Matteo Greuter (Strasburgo 1565/66- Roma 1638)40. Ma esaminando con attenzione ciascuna delle firme e delle cifre poste in calce a queste immagini si evince che una è inequivocabilmente del padre Matteo Greuter (Fig. 12)41. Questo indizio aiuta a chiarire, sebbene  solo in parte, le modalità e i tempi della loro committenza. L’attività artistica autonoma di Giovanni Federico Greuter è documentata con stampe successive al 1616, dunque la commessa del Gaetani dovette avvenire prima di questa data, indirizzandosi naturalmente sulla bottega di Matteo dove ancora operava il figlio come apprendista42. La commessa siciliana non necessitava di un particolare impegno creativo da parte dell’incisore dato che le matrici per le stampe dovevano riprodurre, quanto più fedelmente, le effigie delle sacre immagini mariane inviate dal Gaetani, o da chi per lui. Inoltre l’invio alla bottega dei Greuter delle specifiche iconografie di riferimento dovette avvenire volta per volta e, probabilmente, anche anni dopo la morte del Gaetani. Queste circostanze potrebbero essere dunque le ragioni per le quali Matteo, in seguito, ha ceduto l’incarico al figlio che nel frattempo si era affrancato dalla bottega paterna43. Tra tutte le stampe – di vari autori – che illustrano i Raguagli, quelle dei Greuter sono indubbiamente le più apprezzabili dal punto di vista sia artistico che esecutivo, sebbene condizionate dai rispettivi modelli originali, sia essi pittorici che scultorei. Tra queste immagini, poi, quella della Madonna di Ravanusa è indubbiamente la più interessante. Sappiamo solo ora che prima dell’incisione non esisteva di questa Madonna una più antica iconografia distintiva. L’immagine composta ex novo nella stampa del Greuter (cm 13×8,5) combina una pluralità di immagini diverse. In primo piano il Conte Ruggero è inginocchiato davanti alla Vergine apparsagli presso la sorgente e l’albero di fico ai cui lati, sullo sfondo, rispettivamente sono rappresentati la battaglia di Monte Saraceno, a sinistra, e il santuario di Ravanusa, a destra. L’incisione è chiaramente una rielaborazione delle informazioni grafiche prodotte dal Perconte. Questo nella sua lettera scrive che in occasione della visita fatta al santuario di Ravanusa, dopo avere celebrato Messa, aveva «incomenzato a designare (…) tutto quello che in quella chiesa vi è dipinto tanto nel quatro grande sopra la sacrestia quanto nel tabernacolo della Madonna»44. Da ciò potremmo dedurre che i sette piccoli disegni ad inchiostro allegati sono di sua mano. Invece l’esecuzione accurata di questi fa nascere un dubbio, infatti, i disegni più che gli appunti grafici eseguiti da un dilettante sembrano piuttosto opere di un professionista. In quegli anni risiedeva a Licata Giovanni Portaluni, un pittore di buona mano, noto alla storiografia artistica per alcune opere autografe45 e per avere fornito i disegni delle scene che ornano l’urna in argento del santo patrono di Licata, il frate carmelitano Angelo da Gerusalemme46 (Fig. 13). Lo stesso perduto «quatro grande» che raffigurava il miracolo di Ravanusa, documentato da uno dei disegni, probabilmente era opera di questo artista giacché Perconte, a tale riguardo, riporta che il pittore che lo ha dipinto «è qua alla licata»47. Non sarebbe dunque infondato credere che anche i disegni allegati alla lettera del Perconte possano essere degli inediti di Giovanni Portaluni48. Tale ipotesi, di conseguenza, supporta anche l’attribuzione al Portaluni del disegno dal quale è stata tratta l’incisione del Grauter. È molto probabile infatti che la sua ideazione compositiva sia avvenuta in Sicilia prima dell’invio a Roma. Alla luce di quanto sopra esposto, non possiamo escludere il coinvolgimento diretto dei maggiorenti di Licata con l’invio al Gesuita di un disegno eseguito dal pittore loro concittadino; disegno che potrebbe avere ricevuto l’approvazione del prima ricordato padre oratoriano Antonino Formica49. Questo ragionamento a catena trova un fondamento critico nel fatto che, sia il perduto dipinto del santuario di Ravanusa, qui attribuito al Portaluni, che l’immagine riprodotta nella stampa del Greuter ricordano, nell’affollata composizione di personaggi in primo e secondo piano, alcune opere attribuite al Portaluni50 (Fig. 14). Diversamente, nel caso in cui il disegno preparatorio fosse stato delineato a Roma nella bottega del Greuter – sebbene sulla scorta delle indicazioni della committenza – dovremmo allora considerarlo frutto di una collaborazione. Giovanni Federico Greuter, infatti, fu un eccelso maestro nella tecnica del bulino ma con il limite artistico però d’essere solo interprete di disegni altrui, a differenza del padre che fu anche inventore delle sue opere. Oltre che con il padre, sono note e documentate le numerose collaborazioni di Giovanni Federico con i maggiori pittori barocchi suoi contemporanei. Quella con il pittore Giovanni Francesco Romanelli ha dato luogo, tra le altre immagini, alla stampa Socrate e i suoi allievi (Fig. 15) nella quale si evidenziano interessanti analogie con quella della Madonna di Ravanusa. In entrambe, infatti, il tema figurativo dell’albero, dal quale sgorga una sorgente, costituisce l’elemento naturale sul quale si focalizza l’intera immagine composta da scene e personaggi posti sia in primo che secondo piano.

Lo studio della piccola stampa devozionale della Madonna di Ravanusa ha aperto un’orizzonte d’indagine molto vasto che, oltre all’iconografia, all’iconologia e all’arte, ha toccato aspetti della storia sacra di Sicilia e della storia civile locale. E’ noto come in passato i culti abbiano costituito per le collettività il principale simbolo di identità ed appartenenza e, come nel caso di Ravanusa, anche l’incipit per una fondazione urbana. Tanta più risonanza aveva un culto oltre i ristretti confini comunali, tanto maggiore era il prestigio della comunità che lo accoglieva e promuoveva. In tal senso i Raguagli del Gaetani costituirono per le diverse municipalità un mezzo efficace di propaganda che Licata seppe maggiormente sfruttare a suo favore anche grazie alla bella stampa del Greuter. Questa, infatti, sancisce il legame che tale comunità ha avuto e continuava a volere avere con il culto di Santa Maria di Ravanusa51 che, oltretutto, rimandava ad un passato epico, quello della conquista normanna del Conte Ruggero.

  1. O. GAETANI, Raguagli delli ritratti della Santissima Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie chiese nell’isola di Sicilia, Palermo 1664, rist. an. Palermo 1991 []
  2. M.C. DI NATALE, Ave Maria. La Madonna in Sicilia: immagini e devozione, Palermo 2003; EADEM, “Cammini” mariani per i tesori di Sicilia, in «OADI  – Rivista dell’Osservatorio per le Arti Decorative in Italia», I Parte, 1, giugno 2010, pp.15-57; II Parte,  2, dicembre 2010, pp.13-39. []
  3. R. CONTARINO, ad vocem Gaetani, Ottavio, in Dizionario biografico degli italiani, vol.51, Roma 1998, pp.195-197. []
  4. O. GAETANI, Vitae Sanctorum Siculorum ex antiquis Graecis Latinisque Monumentis, et ut plurimum ex MSS. Codicibus nondum editis collectae aut scriptae, digeste iuxta seriem annorum Christianae Epochae, et Animadversionibus illustratae a R. P. Octavio Caietano Siracusano S. I., Palermo 1657. []
  5. O. GAETANI, Idea operis de vitis siculorum sanctorum famaue sanctitatis illustrium Deo volente bonis iuvantibus in lucem prodituri, Palermo 1617 []
  6. Il capitolo, che amplia la trattazione dei culti mariani da 29 a 31, è stato pubblicato in forma autonoma contemporaneamente alle Vitae Sanctorum Siculorum. O. GAETANI, Icones aliquot et origines illustrium aedium Sanctissimae Deiparae Mariae quae in Sicilia  insula coluntur, Palermo 1657. []
  7. Tommaso Tamburino, curatore dell’opera, nella prefazione dichiara che padre Gaetani si era rivolto a lui per soprintendere alla esecuzione dei rami in quanto ai tempi dimorante a Roma per motivi di studio. O. GAETANI, Raguagli delli ritratti…, 1991, pp. 5-6. []
  8. Di Cesare Baronio oltre agli Annels Ecclesiastici, opera in dodici volumi pubblicati a Roma dal 1588 al 1607, ricordiamo anche la revisione del Martyrologium romanum pubblicato a Roma nel 1583. []
  9. Ottavio Gaetani dopo avere pronunciato i primi voti a Palermo, nel 1592, chiamato dal padre Generale Claudio Acquaviva, si era trasferito a Roma per completare gli studi. Divenuto sacerdote nel 1595 fu attivo prima presso il Collegio Romano e poi presso la casa di Sant’Andrea al Quirinale. Nel 1597 padre Gaetani rientrava definitivamente in Sicilia. []
  10. Padre Pozzo era entrato a fare parte dei sodali di Filippo Neri nel 1580. Dopo avere prestato il suo servizio sacerdotale da oratoriano sia presso la casa romana che in quella napoletana, nel 1599, concluso un impegnativo triennio di attività alla Vallicella come deputato coadiutore del padre preposto, era tornato definitivamente a Palermo. Con il suo decisivo sostegno la giovane comunità oratoriana dell’Olivella, in pochi anni, divenne una delle più importanti forze riformatrici di Palermo attirando a se soggetti provenienti da altri comuni siciliani; cfr. C. D’ARPA, Architettura e arte religiosa a Palermo: il complesso degli Oratoriali all’Olivella, Palermo 2012, ad indicem. []
  11. M. Stelladoro, Le “Vitae Sanctorum Siculorum” di Ottavio Gaetani: i manoscritti conservati a Palermo e a Roma, Roma 2006, Supplemento a Studi sull’Oriente Cristiano 10/1. []
  12. Biblioteca Centrale della Regione Siciliana “A. Bombace” (da questo momento BCRS), Ottavio Cajtani S.I., Sulle Madonne di Sicilia, ms. del XVII sec., ai segni X.F.5, ff. 181v-191r. []
  13. A. NOTO, Ravanusa. Novecento anni di storia religiosa 1086-1985, Agrigento 1985, pp.13-17. []
  14. Per tale ragione il Gaetani lo ha incluso tra quelli citati nell’Idea Operis: «D.Virgo, cui nomen Ravenasae, quae Comitis Rogerij militibus, dum siti, & Sarracenorum copijs urgentur, acquam divinitus, & vittoriam de hoste concessit». Cfr. O. GAETANI, Idea operis…, 1617, p.98. []
  15. L’incartamento contiene inoltre i seguenti documenti: la trascrizione della autorizzazione del vescovo di Agrigento, concessa in data 10 febbraio 1446, al nobile Andrea de Crescenzo, barone di Caniccattì, per potere quest’ultimo istituire e dotare un convento di presbiteri secolari a servizio del santuario di Ravanusa; una nota di anonimo con l’elenco di tutte le chiese esistenti nel territorio licatese dove vi era un qualche culto legato alla Vergine; la trascrizione di una lapide del 1508 presente nella Chiesa Madre di Licata. []
  16. Giacomo Perconte o Perconti probabilmente era parente di fra Antonio Perconti di Licata, musicista della famiglia francescana dei Conventuali documentato nel 1621 presso il convento d’Assisi come compositore di musica sacra, cfr. F. ROTOLO, La vicenda conventuale del Convento di S. Francesco di Palermo, in La biblioteca francescana di Palermo, a cura di D. Ciccarelli, Palermo 1995, p. 106. []
  17. L’antico santuario della Madonna di Ravanusa, detto anche del Fico o del Fonte, tra il 1838 e il 1847 fu distrutto per effetto di una frana rovinosa, cfr. A. NOTO, Ravanusa… , 1985, pp. 119-120. []
  18. Questo particolare uso della didascalia s’ispira palesemente ad una nota opera di ambiente gesuitico, cfr. G. NADAL, Meditationi sopra li Evangelii che tutto l’anno si leggono nella messa, & principali misterii della vita, & passione di N.S. Giesù Christo rappresentati in 153 imagini dal padre Girolamo Natale della Compagnia di Gesù, Anversa 1593 []
  19. In passato il sito dell’antica Gela era comunemente identificato con l’altrettanto antico insediamento greco di Finziada, odierna Licata. Sulla dibattuta questione esiste una vasta bibliografia in parte alimentata dagli storici e dagli eruditi licatesi, cfr. Licata tra Gela e Finziada, atti del Seminario di studi per la valorizzazione storica ed archeologica di Licata e del suo territorio a cura di C. CARITÀ (Licata, Teatro Re, 12 marzo 16 e 30 aprile 2004), Licata 2005. []
  20. Il culto mariano di Ravanusa si lega agli altri analoghi culti di Piazza Armerina e di Palermo. Sull’iconografia del Conte Ruggero cfr. La Madonna delle Vittorie a Piazza Armerina, catalogo della mostra a cura di M. K. GUIDA, Napoli, 2009. []
  21. Nell’Ottocento la statua fu trasferita nella chiesa di San Francesco, dove ancora oggi si venera. Nel 2005-06 l’opera è stata sottoposta a restauro sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza di Agrigento. Il restauro ha accertato inequivocabilmente che l’originale simulacro fittile del Cinquecento è ancora celato sotto il pesante strato di rivestimento, probabilmente ascrivibile ad un intervento del 1866. Il simulacro fittile conserva tracce della originaria policromia e delle dorature in oro zecchino. La base lignea sulla quale poggia la statua è ornata con raffigurazioni dei Misteri Gaudiosi. Per le informazioni ringrazio Aldo Alberto Vassallo, che ha eseguito il restauro. []
  22. Antonello da Messina e la pittura del Quattrocento in Sicilia, catalogo della mostra a cura di G. VIGNI – G. CARANDENTE, Messina 1953, n. 28, p. 54. []
  23. I due dipinti rappresentavano lo Sposalizio mistico di Santa Caterina, nella parte superiore, e una composizione con Cristo e i dodici Apostoli (Ultima cena ?) con l’iscrizione «A.D. MCCCCLXX». BCRS, Ottavio Cajtani…, ms. del XVII sec., f.187r. []
  24. Il priore, diversamente, asserisce che la statua fu realizzata nel 1555. Per la statua è stata indicata anche la data 1548, cfr. L. VITALI, Licata città demaniale, Licata 1909, rist. an. Licata, Associazione culturale “Ignazio Spina”, “La vedetta” 1998, p. 278. []
  25. Il Priore precisa che il dipinto non è antico ma «fatto a tempi n.ri et cavato da li miracoli » in rilievo che ornavano il “tabernacolo” della Madonna, cfr. BCRS, Ottavio Cajtani…, ms. del XVII sec., f.187r. Nei Raguagli il testo che commenta l’immagine della Madonna di Ravanusa riporta la notizia che fu lo stesso Conte Ruggero a fare dipingere «tutto il fatto nella medesima Chiesa, la qual dipintura poi, per l’antichità, non poco scolorita, si rifece, per non perdersi del tutto coll’ingiuria del tempo», cfr. O. GAETANI, Raguagli dell ritratti…, 1991, p.27. []
  26. O. GAETANI, Raguagli delli ritratti…, 1991, p.27. []
  27. Già nel Cinquecento il culto mariano, sebbene molto antico, non si identificava in una icona ma con il luogo stesso del miracolo avvenuto in quella remota località della Sicilia. Possiamo ipotizzare che in origine nel santuario di Ravanusa vi si venerasse un’icona dipinta su tavola o su muro la cui iconografia probabilmente replicava quella più celebre della Madonna delle Vittorie di Piazza Armerina, modello sul quale, a sua volta, s’informa l’icona della Madonna detta dell’Alemanna, da secoli venerata patrona della vicina città di Gela, cfr. La Madonna…,  2009. []
  28. Andrea de Crescenzo aveva acquisito la baronia di Ravanusa in quanto marito dell’ultima discendente dei Palmeri, antichi feudatari di quelle terre. Nel 1451 otteneva da re Alfonso d’Aragona la licenza di potere costruire un fondaco presso il santuario di Ravanusa che, nel 1452, affidava in custodia ai Canonici di San Giorgio in Alga di Palermo, cfr. A. NOTO, Ravanusa… , 1985, pp. 19-23. []
  29. Il Perconte non mancava di ricordare che l’abitato di Ravanusa «sta sotto la giurisdizione de la licata» e, per tale ragione, la comunità licatese in passato si era fatta carico sia della ricostruzione della chiesa a Ravanusa che del fonte dal quale sgorgava l’acqua della sorgente miracolosa. Inoltre i giurati di Licata ogni anno promuovevano «una bellissima festa» religiosa nota in tutto il circondario non solo perché si correva il “palio”, ma soprattutto perché si teneva una fiera «abbondantissima, e bella», BCRS, Ottavio Cajtani…., ms. del XVII sec., f.183r-184r. []
  30. Nel 1621 il nobile Giacomo Bonanno e Colonna, barone di Ravanusa, nel corso di una solenne assemblea di popolo promulgava l’affrancamento del borgo dalla feudalità di Licata, cfr. A. NOTO, Ravanusa… , 1985, p.26. []
  31. Il simulacro in creta consentiva, in qualsiasi momento, il suo immediato spostamento. Il trasferimento della statua era già avvenuto in passato, come riportata il Perconte, allorquando, in un’annata di siccità, la sacra immagine era stata portata in processione da Ravanusa a Licata dove i cittadini poterono venerarla insieme all’immagine del Crocefisso che ancora oggi si custodisce nella Chiesa Madre, ottenendo il miracolo di una pioggia abbondante, cfr. BCRS, Ottavio Cajtani…, ms. del XVII sec., f.183v. []
  32. BCRS, Ottavio Cajtani…., ms. del XVII sec, f.183r. []
  33. Il Perconte scrive: «hor questi cosi l’ho voluto scrivere a vs (vostra signoria) accio ne dia parte a q.llo padre gaitano». BCRS, Ottavio Cajtani…., ms. del XVII sec., f.183v. []
  34. Questo soggetto, facendo pervenire le informazioni al Gesuita, avrebbe reso un servizio all’intera comunità licatese i cui rappresentanti, i giurati, non solo erano stati informanti della missiva, ma avevano appoggiato l’iniziativa così che «issi molto si ralegrorno della amichevolezza di vs, e lo pregano lo fazzi descrivere (se pari a vs) minutamente». BCRS, Ottavio Cajtani…., ms. del XVII sec., f.183v. []
  35. Padre Antonino Formica fu anche un apprezzato musicista, in quanto allievo del celebre compositore palermitano Antonio il Verso. Il sacerdote licatese potrebbe avere appreso i rudimenti della musica nella sua città natale presso il prima citato fra Antonio Perconti di Licata, supra nota n.16. Padre Formica fu anche intendente d’arte e di architettura, come da noi documentato altrove, cfr. C. D’ARPA, Architettura e arte…, 2012, ad indicem. []
  36. Nel post scriptum il Perconte chiede al suo interlocutore che prima di dare «la pictura al padre, la mostrassi a monsignor Ill.mo nostro» al quale vuole che porga i suoi reverenziali saluti sollecitandolo «a dirci alcuna cosa di fatti miei racomandandovici». BCRS, Ottavio Cajtani…., ms. del XVII sec., f. 184r. []
  37. In realtà l’immagine riprodotta nella stampa si discosta leggermente da quella del disegno che, diversamente, riproduce più fedelmente la statua in creta. Diverso è il movimento delle mani delle due sacre figure in quanto nella statua e nel disegno convergono sul seno scoperto della Vergine mentre nella stampa sono in diretta relazione figurativa con la scena che vede protagonista il Conte Ruggero. Nella stampa, inoltre, non troviamo rappresentato il simbolico cardellino che connota la figura del Bambino. []
  38. D. MALIGNAGGI, Antiporte e frontespizi incisi in Sicilia dal Barocco al Neoclassico, in “teCLa. Rivista di temi di Critica e Letteratura artistica”, 5, luglio 2012, pp. 35-37. []
  39. Nel panorama artistico palermitano della seconda metà del Seicento Giuseppe Lentini è una delle figure emergenti. Incisore ma anche inventore di apparati decorativi tanto effimeri quanto reali, la sua attività si è andata ulteriormente arricchendo di nuovi contributi, cfr. G. MENDOLA, Il paliotto dell’Immacolata in S. Francesco d’Assisi, in “Bella come la luna, pura come il sole. L’Immacolata nell’arte in Sicilia, catalogo della mostra a cura di M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Palermo 2004, pp. 108-112; M. DE LUCA, Altari e apparati effimeri nella Palermo barocca. La festa di San Mamiliano in un manoscritto del 1658, in Architetture barocche in argento e corallo, catalogo della mostra a cura di S. RIZZO, Catania 2009, pp. 67-83; C. D’ARPA, Architettura e arte…, 2012., ad indicem. []
  40. Sui due Greuter si vedano le voci Grauter, Johan Friedrich e Grauter, Matthäus, di M. B. GUERRIERI BORSOI, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 59, Roma 2003, pp. 340-341, 343-345. []
  41. Nella tavola n. 20, che raffigura la Madonna della Dachala di Catania è riconoscibile chiaramente il monogramma di Matteo. Per il confronto si vedano i mappamondi del Grauter della Biblioteca comunale di Palermo firmati e datati 1632 e 1636, cfr. Mappa Mundi. Progetto di restauro sperimentale di due mappamondi di Mattheus Greuter, Palermo 2004. []
  42. Nel 1606 gli Oratoriani della Vallicella commissionavano a Matteo l’ideazione di una complessa incisione dalla quale sarebbero state tratte le stampe destinate a soddisfare la crescente devozione dei fedeli nei confronti del loro fondatore Filippo Neri. Nel 1616 la beatificazione del sacerdote fiorentino dava occasione agli Oratoriani di commissionare al figlio Giovanni Federico un’altra incisione di Filippo Neri tratta questa volta dal celebre dipinto di Guido Reni.  Cfr. O. MALASECCHI, Nascita e sviluppo dell’iconografia di S. Filippo Neri dal Cinquecento al Settecento, in La regola e la fama, catalogo della mostra, Milano 1995, pp.34-49; R. S. NOYES, On the Fringes of Center: Disputed Hagiographic Imagery and the Crisis over de Beati moderni in Rome ca 1600, in “Renaissance quarterly”, 64, 2011, 3, pp. 800-846. []
  43. La firma o il monogramma che identifica le stampe autografe di Giovanni Federico Greuter si presenta in forme molto diverse, un dato questo che potrebbe fare ipotizzare una loro realizzazione non consecutiva. []
  44. BCRS, Ottavio Cajtani…, ms. del XVII sec., f.183r. []
  45. Sulla produzione artistica di Giovanni Portaluni si veda la scheda biografica di A. CUCCIA in Porto di mare 1570-1670: pittori e pittura a Palermo tra memoria e recupero, catalogo della mostra a cura di V. ABBATE, Napoli 1999, p. 277. []
  46. D A MARIA VERGINE, Speculum carmelitanum sive istoria Elianis ordinis fratrum beatissimae Viginis Mariae de Monte Carmelo, 1680, tomo II, p.656. []
  47. BCRS, Ottavio Cajtani…, ms. del XVII sec., f.183r. []
  48. Cinque dei sette disegni risultano essere ritagliati ed incollati sul foglio allegato alla missiva. []
  49. Padre Formica, congiuntamente a padre Pietro Pozzo, figura come supervisore nell’atto di commissione al pittore Filippo Paladini del dipinto che raffigura Sant’Ignazio Martire. Il dipinto fu commissionato nel 1612 dal nobile Francesco Graffeo per ornare la cappella di suo patronato nella chiesa oratoriana di Palermo, cfr. C. D’ARPA, Architettura e arte…, 2012, pp. 210-212. []
  50. Vincenzo Abbate ha attribuito al Portaluni Il martirio di Sant’Orsola e delle sue compagne e Il patrocinio della SS. Trinità e l’elemosina dei “Rossi”, rispettivamente custoditi nella chiesa di San Francesco a Gela, l’uno, e presso il Palazzo di Città di Licata, l’altro. Cfr. Pittura a Licata dal XVI al XIX secolo, catalogo della mostra, Palermo 1995, pp. 70-71; La pittura nel nisseno da XVI al XVIII secolo, catalogo della mostra a cura di E. D’AMICO, Palermo 2001, pp. 148-151. []
  51. Ancora una volta nel 1753 la comunità civile e religiosa di Licata utilizzava il mezzo della incisione per celebrare un’altro sacro e più esclusivo legame, quello con il suo santo patrono, il frate carmelitano Angelo da Gerusalemme. Ci riferiamo alla bella stampa dell’incisore Arnaldo Westerhent, su disegno del celebre pittore Sebastiano Conca, allegata al raro testo di C. FILIBERTO PIZZOLANTI, Delle memorie istoriche dell’antica città di Gela nella Sicilia, pubblicata a Palermo nel 1753. L’opera postuma fu promossa dal confratello carmelitano – anche lui nobile licatese – Angelo Maria Formica che la dedicò ai Giurati pro tempore. []