Sergio Intorre

sergio.intorre@unipa.it

Il marchio MB negli argenti acesi tra XVIII e XIX secolo

DOI: 10.7431/RIV07122013

Un gruppo di opere in argento realizzate ad Acireale tra il 1780 e il 1815 reca il marchio dell’autore MB. Già Maria Accascina lo aveva rilevato, attribuendolo a due argentieri omonimi: Mario Bottino maior e Mario Bottino minor 1. Il primo è documentato come console della maestranza acese degli argentieri nel 18172, il secondo nel 1802, nel 1813 e nel 18153. La Accascina attribuisce al primo tre opere del 1780: l’ostensorio in argento dorato con raffigurazione a tutto tondo della Fede del Duomo di Acireale, un turibolo e una navetta della chiesa dello Spirito Santo sempre ad Acireale4. Gli attribuisce inoltre il reliquiario del 1783 del Duomo di Acireale5, eseguito durante il consolato di Michele Sciacca, come rivela il punzone MXC836. Al secondo attribuisce invece tre opere del 1809: l’ostensorio in argento dorato con il sacrificio di Abramo della chiesa dello Spirito Santo di Acireale7, l’ostensorio “che sorregge una figura plasticamente modellata di santo-guerriero” della chiesa Madre di Castiglione di Sicilia8 e la pisside “con motivi neoclassici” della chiesa Madre di Aci Castello9, anch’essi in argento dorato. Le opere recano il marchio consolare VRC809, che secondo la Accascina potrebbe ricondurre a Vincenzo Rossi10, il quale però è documentato come console soltanto nel 181211. Al minor attribuisce anche l’ostensorio del 1812 in argento dorato con Melchisedec della chiesa Madre di Bronte12.

Il recente ritrovamento di un documento nell’archivio della chiesa Madre di Regalbuto consente l’identificazione di un terzo autore acese che utilizzava il marchio MB negli stessi anni. Nel secondo volume di mandati della chiesa, infatti, nell’anno 1802, è registrato un pagamento di diciannove onze effettuato dal sacerdote Don Gaetano Mammana al sacrestano Don Nicolò Maccarone “per averli erogati nella compra di due Croci una di Rame con pannellone di Argento e l’altra tutta di Argento per uso della detta Chiesa nelle processioni, comprate da Don Mariano Di Bella Argentiere della Città di Aci Reale”13. Fino al rinvenimento del documento appena citato conoscevamo soltanto il periodo di attività dell’artista e poche notizie biografiche, tra cui la sua candidatura nel 1781 al consolato della maestranza degli orafi ed argentieri di Acireale14. Il documento consente di associare a Mariano Di Bella il marchio MB, ben visibile sulla croce astile oggetto dello stesso (Fig. 1) e su un gruppo di altre opere venute alla luce grazie agli studi pubblicati finora ed alla capillare campagna di inventariazione dei beni storici e artistici nella quale le diocesi italiane sono impegnate dal 1996, promossa e coordinata dall’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Conferenza Episcopale Italiana (UNBCE)15. Si può notare come Il marchio sia iscritto in un punzone rettangolare e presenti la lettera M particolarmente larga, tratto che determina un ampio spazio triangolare tra i montanti discendenti verso il centro; peculiare è anche la forma della lettera B, con una pronunciata differenza tra i due spazi tondeggianti sovrapposti in essa a vantaggio di quello inferiore. La prima in ordine cronologico delle opere note che presenta questo marchio e che può essere verosimilmente attribuita a Di Bella è un fermaglio di piviale del 178016, sul quale è ben visibile un punzone le cui lettere presentano le stesse caratteristiche di quello della croce astile di Regalbuto citata prima (Fig. 2). Lo ritroviamo tre anni più tardi in un ostensorio del 178317 custodito nella chiesa Madre di Regalbuto (Fig. 3), che ha in Melchisedec il suo tema iconografico18, insieme allo stemma della maestranza acese, i faraglioni sormontati da AG e il castello, e al marchio consolare di Michele Sciacca, MXC8319. L’alto livello di esecuzione dell’opera è coerente con il profilo di un artista nella sua piena maturità, quali dovevano essere in quel periodo sia Di Bella che Bottino maior, di cui si dirà in seguito. Nel 1788 Di Bella realizza un inedito calice privo di decorazioni per la chiesa Madre di Regalbuto (Fig. 4), caratterizzato da forme tipiche dell’argenteria del Settecento, in questo caso declinate con una sobrietà che mira ad esaltare la resa luministica dell’argento lavorato a specchio, in espressioni che si riscontrano in esemplari siciliani lungo tutto il secolo, come i tre calici di argentieri palermitani nella chiesa Madre di Sutera del 1699, del 1704 e del 172520. In questo periodo si è già affermato ad Acireale il gusto neoclassico. Come nota Maria Accascina, “La cultura artistica locale accettò subito, con grande simpatia, l’invito agli esempi dell’arte classica, per la quale le scoperte archeologiche e le raccolte numismatiche che si andavano formando, suscitavano e mantenevano fervidi entusiasmi”21.

Di Bella non resta insensibile al nuovo linguaggio, anzi, lo accoglie e lo fa proprio declinandolo con tratti che rappresentano un segno distintivo della sua produzione. Un chiaro esempio di ciò è rappresentato dall’interessante gruppo scultoreo in legno e argento realizzato nel 1796 per la chiesa di San Pietro di Adrano, il cui soggetto è la traditio clavis (Fig. 5), episodio narrato nel Vangelo di Matteo: “A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli” (Matteo – 16, 19); Cristo è quindi rappresentato nell’atto di consegnare le chiavi a San Pietro. Entrambe le statue sono vestite con una tunica d’argento dal ricco panneggio. In questo caso, il contesto neoclassico si evince dall’elemento posto al centro tra la statua di Cristo e quella di San Pietro, un inginocchiatoio sorretto al centro da un tronco di colonna dorica e i cui piedi terminano con un motivo a greca, e dalla base del gruppo, anch’essa in argento, decorata con rosoni, festoni e motivi vegetali tipicamente neoclassici. Ai fini di un raffronto con la produzione di Bottino maior, di cui si dirà in seguito, è interessante notare come in quest’opera i festoni che attraversano la base in tutta la sua larghezza siano composti da un unico elemento, delle foglie intrecciate tra di loro, e formino un’unica massa priva di elementi di discontinuità; essi terminano in piccoli fiocchi dai quali parte il festone successivo; i rosoni che scandiscono ritmicamente la lunghezza della base, inoltre, hanno due corone di petali sovrapposte e sono caratterizzati da una consistenza volumetrica che li rende leggermente aggettanti rispetto al piano della base. Del gruppo fa parte anche un’aureola (Fig. 6), recante anch’essa il punzone MB, riccamente decorata con motivi floreali. Un ulteriore elemento a favore dell’attribuzione a Di Bella è costituito dallo stile con cui è realizzata l’aureola, che è pienamente settecentesca, in apparente contraddizione con il neoclassicismo del gruppo scultoreo. Si è infatti già visto con quale perizia tecnica Di Bella utilizzi nelle sue opere il linguaggio tipico del Settecento; dal momento in cui il neoclassicismo entra a far parte del suo repertorio, nella sua produzione, come si vedrà tra poco, convivono entrambi i linguaggi, in un eclettismo che lo rende una figura unica nel panorama acese del periodo. Nel 1800 Mariano Di Bella realizza per la chiesa Madre di Regalbuto la croce astile22 menzionata nel documento precedentemente citato23 (Fig. 7). L’opera si caratterizza per un linguaggio neoclassico pienamente maturo, sia nell’ornato che nella struttura, come si nota dal nodo geometrico decorato con rosoni e lesene e dal motivo baccelliforme che orna l’innesto a tubo. Anche qui, come nel gruppo della traditio clavis precedentemente trattato, i rosoni sono realizzati con una doppia corona di petali e il loro volume li rende leggermente aggettanti rispetto al piano del nodo. L’unica concessione al linguaggio artistico precedente è rappresentata dal Crocifisso, che si pone in continuità con l’iconografia del Crocifisso doloroso tipico della controriforma, ma che assume qui il valore di citazione colta, in un contesto ormai totalmente permeato dai nuovi stilemi neoclassici. Sempre per la chiesa Madre di Regalbuto, tra il 1801 e il 1802 Di Bella realizzò due pissidi, un calice e una corona per la statua dell’Immacolata24 (Figg. 891011); le opere del 1801 recano il punzone consolare di Vincenzo Russo, la corona del 1802 quello di Alfio Strano25. Le prime tre mostrano chiaramente i principali elementi distintivi della produzione neoclassica di Di Bella: la struttura completamente geometrizzata e, per quanto riguarda la decorazione, la totale adesione a quel gusto che la Accascina definisce “alla romana”, che in molte opere coeve ottiene “il risultato di fare diventare barocco anche il neoclassicismo”26 e che si manifesta nella ricchezza dell’ornato, in un affastellarsi di elementi decorativi in gran quantità, in una sorta di horror vacui che ricopre di decorazioni tutte le superfici disponibili. È interessante notare nelle due pissidi, alla luce di quanto detto in precedenza, come l’artista risolva l’elemento del festone, sempre formato da un unico elemento fogliaceo intrecciato: in un caso esso termina in un fiocco dal quale si diparte il festone successivo, come osservato sulla base del gruppo della traditio clavis; nell’altro è appeso ad un capitello dorico. È invece del 1802 la corona per la statua dell’Immacolata alla quale si è accennato prima, recante anch’essa, come le altre opere presenti a Regalbuto, il marchio di Di Bella; l’opera, che non risente minimamente dell’influsso neoclassico, decorata con una fitta composizione di motivi floreali, volute e palmette, dimostra l’eclettismo dell’artista, il quale padroneggia con disinvoltura sia il linguaggio settecentesco che i nuovi stilemi. Può essere plausibilmente attribuito a Di Bella anche il calice del 180327 catalogato dalla Diocesi di Catania (Fig. 12), che presenta lo stesso impianto strutturale e la stessa decorazione del calice di Regalbuto appena citato. L’opera presenta il punzone consolare GBC803, che riporterebbe a Giovanni Barbagallo, documentato come console degli orafi, non degli argentieri, in quell’anno28. Il marchio di Di Bella è presente anche su ostensorio del 1805 in argento e argento dorato catalogato dalla Diocesi di Catania29, caratterizzato da un pieno neoclassicismo (Fig. 13); in esso ad una base mistilinea tradizionale sono sovrapposte volute neoclassiche caratterizzate dal tipico motivo a greca, che la tripartiscono. Il nodo centrale è decorato con piccoli festoni; l’opera reca il punzone consolare di Giovanni Gaetano Grasso (GGGC805)30. Nel 1809 vengono realizzati due ostensori architettonici, praticamente identici nella struttura, che si differenziano per la rappresentazione plastica centrale: uno, nella chiesa dello Spirito Santo di Acireale31, presenta un gruppo con il sacrificio di Abramo, l’altro, nella chiesa Madre di Castiglione di Sicilia32 (Fig. 14), come già citato in precedenza, reca “una figura plasticamente modellata di santo-guerriero”, che può essere identificata con Melchisedec, considerati gli attributi del re di Salem presenti sulla base e l’offerta tra le mani della figura stessa. Le opere sono strutturate in una base circolare sottolineata da un motivo a catena e scandita da quattro volute che terminano con un motivo a greca, con al centro la base di una colonna dorica. Il fusto è realizzato con quattro colonnine ioniche, al centro delle quali sta un vaso di fiori, che sorreggono un piedistallo sul quale poggia il gruppo scultoreo centrale. La sfera è decorata con rosoni e ghirlande di gusto pienamente neoclassico. Appare verosimile che queste due opere possano essere ricondotte allo stesso artista, che potrebbe essere Di Bella, considerata l’estrema somiglianza, anche nella postura, della figura di Melchisedec con l’esemplare di Regalbuto del 1783 di cui si è parlato prima, e la maturità del linguaggio neoclassico che, come vedremo, non si riscontra nella produzione di Bottino maior. La figura di Melchisedec si ritrova anche sull’ostensorio del 1812 della chiesa Madre di Bronte33 (Fig. 15), riprendendo il modello dei due ostensori del 1809, che evidentemente, come nota la Accascina, “dovette suscitare grandissimo entusiasmo”34. La composizione presenta la stessa base degli esemplari precedenti e anche qui reca al centro la figura di Melchisedec (che ha il braccio sinistro abbassato a differenza dell’esemplare di Castiglione di Sicilia), che risulta estremamente somigliante all’analogo soggetto presente nell’ostensorio di Regalbuto del 1783 e in quello di Castiglione di Sicilia precedentemente trattati, elementi che potrebbero ricondurre tutte e tre queste opere alla sfera di Di Bella. La stessa base, seppur con piccole variazioni, è presente anche nell’inedito braccio reliquiario di Sant’Isidoro Agricola del 1812 nel Duomo di Giarre (Fig. 16) intitolato al santo; su di essa poggiano quattro volute terminanti con un motivo a greca e decorate con festoni e rosoni; al centro della base un piedistallo caratterizzato da un ornato fitomorfo sorregge una base ottagonale sulla quale poggia il braccio del santo. Il braccio reca al centro una teca ovale sottolineata da una perlinatura; la manica, ornata con un motivo floreale che si ripete per tutta la superficie del braccio, termina in un polsino decorato con un motivo a greca. Il reliquiario è l’ultima opera finora nota che reca il marchio di Di Bella (Fig. 17), costituendo così il punto di arrivo di questo percorso attraverso la produzione dell’artista.

Per quanto riguarda Mario Bottino maior, il punto di partenza finora noto della sua produzione è rappresentato dall’ostensorio con la Fede del Duomo di Acireale realizzato nel 1780 (Fig. 18), citato prima, caratterizzato da decorazioni settecentesche sulla base e sul nodo vasiforme e da testine alate di cherubini che ornano il globo e la raggiera, pure tipiche dell’epoca. L’opera, nelle sue analogie con esemplari simili come quello di argentiere messinese del 1734 custodito presso la chiesa Madre di Regalbuto35 o quella della chiesa di San Nicola di Randazzo36, anch’esso di argentiere messinese, dimostra come fino all’ultimo quarto del secolo l’autore resti fedele alle principali istanze settecentesche. Questa tendenza viene confermata dalla raffigurazione a tutto tondo della Fede, che mostra chiari echi del linguaggio serpottesco nella cura con cui sono realizzati il panneggio e il volto. La figura è oltretutto coerente con i criteri iconologici cui lo stesso Serpotta faceva riferimento, le cui fonti sono la Bibbia e l’Iconologia di Cesare Ripa37: “Donna, vestita di bianco, la quale tenga una Croce in una mano e nell’altra un Calice”38. Un interessante spunto di riflessione è fornito dall’esame del marchio presente sull’ostensorio (Fig. 19): in esso, infatti, a differenza del marchio documentato di Di Bella, le lettere M e B sono inserite in un punzone di forma trapezoidale; i due montanti discendenti e convergenti al centro della lettera M determinano uno spazio triangolare relativamente piccolo, dovuto anche alla breve distanza tra i montanti verticali esterni della lettera; a sinistra della lettera M, inoltre, si legge un simbolo, simile ad una R rovesciata, che potrebbe essere un segno distintivo; differente appare anche la forma della lettera B nei due marchi, non lasciando dubbi su fatto che si tratti di due punzoni diversi, utilizzati da due artisti. Una attribuzione a Bottino maior, sulla scorta di considerazioni di natura stilistica, può invece sembrare plausibile in merito ad un’opera che rappresenta una svolta nel percorso attraverso questa campionatura di argenteria acese: si tratta di una pisside39 caratterizzata da un linguaggio pienamente neoclassico (Fig. 20). Il manufatto presenta una base circolare decorata con tralci e motivi fitomorfi che formano medaglioni; una leggera elevazione conduce ad un nodo vasiforme, sottolineato da una perlinatura alla base e nella parte apicale e ornato con tralci vegetali; sul nodo si innesta la coppa, caratterizzata da un tipico ornato neoclassico con festoni, drappi e medaglioni con rosoni al centro; il coperchio è scandito da un motivo baccelliforme che nella parte terminale, sopraelevata a mo’ di campana, conduce ad un ornato vegetale ed è sormontato da un globo con una crocetta in posizione apicale. È interessante notare che i festoni sono particolarmente spessi e composti da più elementi vegetali (foglie e fiori), che contribuiscono a dare un effetto realistico alla composizione; inoltre, sono appesi a degli anelli di raccordo per ottenere il tipico andamento ondulato che attraversa tutto il diametro della coppa; i rosoni nei medaglioni presentano un’unica corona di petali e sono privi di volume, appiattiti contro la superficie dell’opera. La base non è interessata da forti spinte geometrizzanti, essendo articolata in un semplice movimento circolare, senza essere scandita da volute. L’alto livello di esecuzione dell’opera è coerente con il profilo di un artista nella sua piena maturità, quali dovevano essere in quel periodo sia Di Bella che Bottino maior. Tuttavia, siamo in presenza di un neoclassicismo privo di spinta idealizzante, che non ha ancora trasformato completamente la struttura dell’opera e che si limita a sovrapporre un ornato neoclassico a forme tradizionali. Questo tipo di lettura del linguaggio neoclassico, distante dalla disinvoltura impiegata da Di Bella nella realizzazione delle sue opere, come abbiamo visto, e diffusa in tutta l’Isola, permane anche negli anni successivi, come dimostra la pisside realizzata nel 1826 dall’argentiere palermitano Giacomo D’Angelo nel Duomo di Erice40. Queste considerazioni inducono a considerare l’opera come l’effetto dell’influenza neoclassica su Bottino maior, essendo tra l’altro troppo indietro nel tempo per consentire un’attribuzione a Bottino minor, come si dirà fra breve. Sulle stesse basi può essere attribuito a Bottino maior anche il calice del 1800 della chiesa di Santa Maria del Carmelo a Paternò (Fig. 21). Qui infatti le forme settecentesche sono largamente infiltrate dai nuovi stilemi strutturali, dando vita ad una forma stilisticamente ibrida, nella quale convivono i tratti fondamentali dei due stili. La base è tripartita da volute curvilinee e decorata con motivi a palmetta e fitomorfi, mentre il nodo, che solo accenna ad un andamento vasiforme, è già pienamente geometrico e conduce ad un sottocoppa in cui l’ornato vegetale è cristallizzato in un’espressione rigida, ormai priva dell’esuberanza rocaille. Forme analoghe erano già in voga da alcuni anni in Sicilia, come dimostra l’ostensorio del 1782 attribuito all’argentiere catanese Francesco Piazza nella chiesa Madre di Regalbuto41, il calice realizzato a Palermo nel 1784 e custodito presso la Matrice Nuova di Castelbuono42 o l’ostensorio, anch’esso opera di argentiere palermitano, del 1795 del Museo d’Arte Sacra della Basilica Santa Maria Assunta di Alcamo43.

Per quanto riguarda invece Mario Bottino minor, dovette essere figlio di quell’Ottavio Bottino che marchia con il punzone consolare OPC8844 due opere schedate dalla Diocesi di Catania, una mazza da cerimonia e una palma del martirio45, anch’esse marcate MB. Quest’ultimo è con tutta probabilità il padre di Mario Bottino minor; nel già citato capitolo delle maestranze acesi, all’anno 1817 viene infatti riportato come console degli orafi “Bottino Mariano di Bottino Ottavio”, verosimilmente per distinguerlo dal Bottino Mariano (maior) che lo stesso anno è console degli argentieri46. Come abbiamo visto, la Accascina attribuisce a Bottino minor tre opere del 180947. In realtà, tutto quello che sappiamo di questo artista è legato ad un carteggio conservato presso l’Archivio di Stato di Palermo48, che al 21 febbraio del 1832 registra la supplica da parte di Bottino, in quel periodo saggiatore dell’argento per la maestranza di Acireale, alla Direzione de’ rami e diritti diversi di Palermo di cambiare il proprio marchio, che aveva per soggetto un gufo, in un gelsomino49; Bottino motiva la sua richiesta dichiarando che durante un suo periodo di sospensione “…ha in sua vece funzionato il suo Subalterno facendo uso dell’emblema dell’Esponente, e dubitando egli che in questa occasione si avesse a suo danno combinato qualche altra manovra…”; la richiesta verrà accettata, come documentato da una lettera di risposta datata al 27 febbraio del 183250. Il marchio con il gufo è ben visibile su alcuni gioielli dell’epoca51 (Fig. 22). Il documento citato è importante per due motivi: il primo è che ci consente di spostare in avanti l’attività dell’artista almeno fino agli anni ’30 del XIX secolo; il secondo è la certezza che il marchio di Bottino minor era caratterizzato da un segno distintivo preciso, un gufo o un gelsomino, che dovrebbe essere riscontrabile sulle sue opere, oltre che su quelle che vidimò come saggiatore della maestranza acese.

Il 1812 rappresenta finora il limite temporale oltre il quale non troviamo più opere marcate MB. Confidiamo che il procedere degli studi ci consentirà in futuro di aggiornare il loro catalogo, ricostruendo per intero la loro vicenda artistica e definendone ulteriormente i relativi profili.

LEGENDA

BZA: Biblioteca degli Zelanti di Acireale

ACMR: Archivio della Chiesa Madre di Regalbuto

ASP: Archivio Storico di Palermo

Referenze fotografiche

L’autore ringrazia l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Catania ed Enzo Brai per avere gentilmente concesso l’utilizzo di alcune delle immagini pubblicate in questo articolo, come indicato nelle didascalie.

Le altre immagini sono state tratte da:

M. Accascina, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976.

G. Cardella, Emblemi, nomi e gioielli dei fabbricanti orafi di Catania della prima metà dell’Ottocento, Messina 1995.

Il tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della Mostra a cura di S. Rizzo, II, Catania 2008.

In assenza di indicazione, le immagini sono da ritenersi dell’autore.

  1. M. ACCASCINA, I marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976, p. 231; E. CORRAO, ad voces, Bottino (Pottino) Mario sr. e Bottino Mario (Mariano) jr., in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, IV, Arti applicate, a cura di M.C. Di Natale, in c.d.s. []
  2. BZA, Archivio antico della Corte dei Giurati, materie diverse, Libro delle maestranze 1738-1801, secc. XVIII-XIX, vol. 26 n. 7; M. ACCASCINA, I marchi…, 1976, p. 228; Indice degli argentieri e orafi di Acireale, a cura di A. Schiaccianoce, in Ori e argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, catalogo della Mostra a cura di M. C. Di Natale, Milano 1989, p. 412; A. Blanco, Il consolato degli argentieri e orafi della città di Acireale, in Il tesoro dell’Isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della Mostra a cura di S. Rizzo, II, Catania 2008, p. 1165. []
  3. BZA, Libro delle maestranze…, vol. 26 n. 7; M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia dal XII al XIX secolo, Palermo 1974, p. 432; EADEM, I marchi…, 1976, p. 228; Indice…, a cura di A. Schiaccianoce, in Ori e argenti…, 1989, p. 412; A. Blanco, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1165 (la Blanco in realtà fissa il consolato di Mario Bottino minor al 1814; potrebbe però trattarsi di una prosecuzione dell’incarico ricevuto l’anno precedente e registrato dalle altre fonti qui citate). []
  4. M. ACCASCINA, I marchi…, 1976, p. 229; per quanto riguarda l’ostensorio v. anche A. BLANCO, scheda 204, in Il tesoro…, II, 2008, p. 995. []
  5. Ibidem []
  6. La Blanco registra come console della maestranza nel 1783 Giuseppe Mangano (A. Blanco, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1163); la coesistenza di due consoli nello stesso anno potrebbe essere stata causata dal decesso di uno dei due o, in ogni caso, da un impedimento che ha ostacolato il regolare avvicendarsi dei consoli. []
  7. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 432; EADEM, I marchi…, 1976, p. 231. []
  8. M. ACCASCINA, I marchi…, 1976, p. 236, fig. 117. []
  9. Ibidem. []
  10. Ibidem. []
  11. A. BLANCO, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1165. []
  12. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 432; EADEM, I marchi…, 1976, p. 231. []
  13. ACMR, Vol. II di Mandati della Chiesa Madre VIII Indizione 1789 e 1790; sino alla V Indizione 1801 e 1802 inclusivamente, f. 4r dell’anno 1892, 31 Agosto V Indizione, pubblicato in S. INTORRE, V. BONANNO, Appendice documentaria, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae et Terrae Regalbuti – Il Tesoro della Chiesa Madre, Palermo 2012, p. 140. []
  14. E. CORRAO, ad vocem, Di Bella (De Bella) Mariano (Mario), in L. Sarullo, Dizionario…, in c.d.s.. []
  15. Oltre alle opere citate in questo articolo, la schedatura dei beni storici e artistici della Diocesi di Catania ha portato alla luce: una corona di statua del 1780; il sottocoppa di una pisside del decennio 1780-1790; un calice del 1787; una mazza da cerimonia e una palma del martirio del 1788; una pisside da viatico dell’ultimo decennio del XVIII secolo; un fermaglio di piviale del 1790; un pastorale del 1791; un calice del 1795; una corona di statua del 1800; la parte superiore di un reliquiario del 1801; una palma del martirio del 1804; un calice e un ostensorio del 1812. Gli inventari finora pubblicati possono essere consultati on line all’URL https://www.chiesacattolica.it/beweb. []
  16. Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Catania. Non si indica l’esatta ubicazione per rispettare la riservatezza osservata nella schedatura. []
  17. S. INTORRE, Il tesoro della Matrice…, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, p. 62 e IDEM, scheda II.48, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, pp. 114-115. []
  18. Per quanto riguarda la figura di Melchisedec nell’Antico Testamento v. F. SPADAFORA, ad vocem, Melchisedec, in Bibliotheca Sanctorum, IX, Roma 1961. []
  19. V. nota 6. []
  20. M.V. MANCINO, scheda II,17, in M.C. DI NATALE – M. VITELLA, Il tesoro della Chiesa Madre di Sutera, Caltanissetta 2010, pp. 68-69. []
  21. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 430. []
  22. S. INTORRE, Il tesoro della Matrice di Regalbuto tra Settecento e Ottocento, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, pp. 64-65 e IDEM, scheda II.54, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, pp. 117-118. []
  23. V. nota 13. []
  24. S. INTORRE, Il tesoro della Matrice di Regalbuto tra Settecento e Ottocento, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, pp. 65-66 e IDEM, schede II.55-II.58, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, pp. 118-119. []
  25. A. BLANCO, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1164. []
  26. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 418. []
  27. Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Catania. La scheda riporta alla voce “Materia e tecniche” un riferimento ad argento sbalzato, cesellato , traforato, inciso e dorato. []
  28. A. BLANCO, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1164. []
  29. Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Catania. []
  30. A. BLANCO, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1164. []
  31. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 432; EADEM, I marchi…, 1976, p. 231. []
  32. M. ACCASCINA, I marchi…, 1976, p. 236, fig. 117. []
  33. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 432; EADEM, I marchi…, 1976, p. 231. []
  34. M. ACCASCINA, Oreficeria di Sicilia…, 1974, p. 432. []
  35. S. INTORRE, Il tesoro della Matrice…, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, p. 51 e IDEM, scheda II.8, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, pp. 91-92. []
  36. M.C. DI NATALE, scheda II,165, in Ori e argenti…, 1989, pp. 298-300. []
  37. M.C. DI NATALE, Gli argenti…, in Ori e argenti…, 1989, p. 159. []
  38. C. RIPA, Iconologia, overo descrittione dell’imagini universali cavate dall’antichità et da altri luoghi da Cesare Ripa Perugino, opera non meno utile, che necessaria à Poeti, Pittori, Scultori, per rappresentare le virtù, vitij, affetti, et passioni humane, Roma 1593, pag. 70. []
  39. Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Catania. []
  40. R. VADALÀ, Gusto eclettico e contaminazioni. Le suppellettili del Duomo di Erice al tempo dei neostili, in Il Duomo di Erice tra Gotico e Neogotico, atti della giornata di studi a cura di M. Vitella, Erice 2008, p. 56. []
  41. S. INTORRE, Il tesoro della Matrice…, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, p. 62 e IDEM, scheda II.46, in M.C. DI NATALE – S. INTORRE, Ex elemosinis Ecclesiae…, 2012, pp. 113-114. []
  42. M.C. DI NATALE, Il tesoro della Matrice Nuova di Castelbuono nella Contea dei Ventimiglia, Caltanissetta 2005, p. 75. []
  43. F.G. POLIZZI, scheda IV.35, in Il Museo d’Arte Sacra della Basilica Santa Maria Assunta di Alcamo, catalogo a cura di Maurizio Vitella, Palermo 2011, p. 166. []
  44. A. BLANCO, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1163. La Blanco riporta il cognome Bottino, ma il marchio OPC88 non lascia adito a dubbi riguardo all’iniziale del cognome. D’altra parte, anche nel caso dei due omonimi qui trattati, le due varianti del cognome si trovano entrambe utilizzate in documenti diversi. []
  45. Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Catania. []
  46. A. BLANCO, Il consolato…, in Il tesoro…, 2008, p. 1165. []
  47. Vedi note 7-9 e 11. []
  48. ASP, Direzione Generale de’ rami e diritti diversi, busta 1724, citato in G. CARDELLA, Emblemi, nomi e gioielli dei fabbricanti orafi di Catania della prima metà dell’Ottocento, in “Archivio Storico Messinese”, n. 67, 1994, p. 11, nota 13. []
  49. G. CARDELLA, Emblemi, nomi e gioielli…, in “Archivio Storico…”, 1994, p. 12. []
  50. G. CARDELLA, Emblemi, nomi e gioielli…, in “Archivio Storico…”, 1994, p. 12, nota 18. []
  51. Le immagini, di grande valore per la conoscenza dell’opera di Mario Bottino minor e la difficoltà di ripresa macro di un soggetto così piccolo, sono state pubblicate in G. CARDELLA, Emblemi, nomi e gioielli…, in “Archivio Storico…”, 1994, p. 40 e in G. CARDELLA, Emblemi, nomi e gioielli dei fabbricanti orafi di Catania della prima metà dell’Ottocento, Messina 1995, p. 26. []