Paola Venturelli

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Un cammeo di Annibale Fontana e un altro con Ludovico il Moro (Milano XV-XVI secolo)

DOI: 10.7431/RIV07022013

Nel Riposo (1584), Raffaello Borghini chiudeva il suo lungo brano elogiativo dedicato al milanese Annibale Fontana (1540-1587), il famoso intagliatore di materiali lapidei, orafo, medaglista e scultore, dal 1574 impegnato quale protostatuario nell’importate santuario di santa Maria presso san Celso1, affermando: «troppo lungo io sarei, s’io volessi raccontare tutte le opere sue, sì ne cristalli, come nell’agate, nelle corniole, negli smeraldi, né zaffiri e nell’altre pietre pretiose intagliate»2.

Della non certo esigua produzione di questo «novo Fidia» – come ebbe a definirlo (1599) il poeta albese Gherardo Borgogni (1526-1608)3 – cui accenna Borghini, sono rimaste purtroppo solo pochissime opere in cristallo di rocca4, e nessuna delle sue gemme è stata sino ad ora rintracciata.

Una fonte scritta conserva però indicazioni preziose, grazie alle quali è possibile arrivare a identificare un cammeo uscito dalle abili mani di questo maestro prematuramente scomparso, che professava «d’aver da le cose di Leonardo appreso quanto sapeva»5.

Nel catalogo secentesco che illustra la dispersa collezione milanese dei Settala, una raccolta configuratasi intorno al 1630 in alcune stanze dell’abitazione di Manfredo (1600-1680), figlio del noto medico Ludovico Settala, alimentata anche dalla passione antiquaria attivata dal suo corrispondente romano Cassiano del Pozzo6, quando nel XIX Capitolo si affrontano i «Camei, o sia pietre oniche» 7, ci imbattiamo, infatti, nella descrizione della «Scoltura celeberrima del famoso Annibale Fontana». Un esemplare stupefacente, con «una Ethiopessa in un Oniche intagliata assai granda fra le ben comparite apparenze di cinque colori. Li pende dall’orecchia una perla, sopra del capo vi si distendono due panni, un diafano e l’altro trasparente. Chi la contempla fra quei foschi colori gli si abbaglia non men la luce della mente; che quella degli occhi, tanto è ben formata questa immagine»8.

Tale descrizione trova visualizzazione in una delle tavole secentesche realizzate per illustrare la collezione Settala (Modena, Biblioteca Estense, Codice Settala, Campori, gamma H. 1.22, f. 1r) (Fig. 1)9.

L’«ethiopessa» intagliata dal Fontanta è chiaramente riconoscibile, infatti, tra i sette esemplari (presumibilmente i più importanti della raccolta) presentati nell’ovale al centro del foglio, siglato nella parte superiore e inferiore dalla rappresentazione di altre sei gemme. Sistemato nella parte destra della cartella ovaliforme, notiamo il busto di una mora con il capo di profilo verso sinistra, ornata da un’elaborata acconciatura con ricco turbante e da una vistosa perla pendente dal lobo.

Caratterizzata da un’iconografia che costituì uno dei temi maggiormente replicati sul finire del Cinquecento dai maestri della glittica milanesi, il cammeo di Annibale Fontana del foglio modenese, trova poi un riscontro oggettuale nella raffinata agata (cm. 3,7×3,2) al Museo degli Argenti di Firenze (Inv. Gemme 1921, n. 188) (Fig. 2), un’opera distinta da un virtuosismo cromatico sorprendente, raggiunto attraverso il sapiente uso delle variegate colorazioni della pietra. Citata da Sebastiano Bianchi nell’inventario delle collezioni medicee compilato prima del 1736, e pubblicata recentemente (2007) da Riccardo Gennaioli nel suo importante volume sulle gemme dei Medici custodite nel museo fiorentino come lavoro italiano del “XVI-XVII secolo”10, l’esemplare ben esemplifica attraverso la sua altissima qualità tecnico esecutiva il livello della produzione del famoso maestro milanese11.

Nell’ovale della tavola di Modena troviamo poi anche un altro dei cammei descritti nel catalogo della collezione Settala, quello «in cui contemplasi il ritratto di Ludovico il Moro Duca di Milano di tal fattura, che si scorge nella maestà del sembiante, quali siano stati i pensieri del suo dominio»12.

In questo caso, il rimando oggettuale mi sembra debba essere al cammeo d’onice  (2.8×2 cm.) del Kunsthistorisches Museum di Vienna (inv. XII 485)13, (Fig. 3) assegnato dubitativamente al celebre intagliatore milanese Domenico dei Cammei, un maestro menzionato da Giorgio Vasari nel gruppo di coloro i quali «apersero la via» all’«arte tanto difficile» degli intagli. Dai nebulosi contorni biografici, Domenico avrebbe ritratto «in cavo in un balascio della grandezza più d’un giulio» Ludovico Sforza detto il Moro (1452-1508)14, il potente signore di Milano, duca dal 1495, ma di fatto padrone dei possedimenti lombardi dal 1480, anni in cui in città sono attivi Bramante, Leonardo da Vinci e il notissimo orafo Caradosso Foppa, una gemma perduta, forse da riconoscere nel «balasso» citato in un elenco di gioie messe a pegno dal Moro stesso15. Ad attestare le abilità artigiane di questo intagliatore e la sua attività per questo committente, rimarrebbe oltre al cammeo viennese anche una gemma a Firenze (Museo degli Argenti, inv. Gemme 1921, n.109), di non molto diverse dimensioni (2,6×2,3) e anch’essa d’onice16.

La resa del busto e dei dettagli vestimentari osservabili nel cammeo di Firenze, mi pare escludano tuttavia la possibilità di identificarlo con quello illustrato nella tavola di Modena, invece del tutto sovrapponibile all’esemplare viennese.


  1. Per Annibale Fontana intagliatore di materiali lapidei (mancano studi esaustivi sulla sua attività di scultore), rimando a E. Kris, Meister und Meiserwerke der Steinschneidekunst in der Italienischen Renaissance, Wien 1929, I, pp. 105-110; R. Distelberger, Die Saracchi Werkstatt und Annibale Fontana, in Jahrbuch der Kunsthistorisches Sammlungen in Wien, LXXI (1975), pp. 95-164; P. Venturelli, “E per tal variar natura è bella”. Arti decorative a Milano tra Leonardo e Lomazzo, in Rabisch. Il grottesco nell’arte del Cinquecento. L’Accademia della Val di Blenio, Lomazzo e l’ambiente milanese, (Lugano 1998), catalogo della mostra a cura di M. Khan Rossi, F. Porzio, Milano 1998, pp. 77-88; P. Venturelli, Il “Piatto dei Dodici Cesari”. I Saracchi e Annibale Fontana, in “Artes”, 6, 1998, pp. 59-69; P. Venturelli, A proposito di un recente articolo sugli ‘ Scala e altri cristallai milanesi’. Con notizie circa un’opera di Annibale Fontana, in “Nuova Rivista Storica”, LXXXV, fasc. I, 2001, pp. 135-144; P. Venturelli, “Havendo hanimo a tutti li christalli, e altri vasi, cameo grande et altri camei”. Oggetti preziosi della collezione Gonzaga (dal duca Guglielmo al 1631), in Gonzaga. La Celeste Galeria. Le raccolte, (Mantova 2002), catalogo della mostra a cura di R. Morselli, Milano 2002, pp. 233-252; R. Distelberger R., Die Kunst des Steinschnitts. Prunkgefässe Kameen und Commessi aus der Kunstkammer, catalogo della mostra (Vienna 2002), Milano 2002, pp. 75-99; P. Venturelli, “Raro e Divino”. Annibale Fontana (1540-1587), intagliatore e scultore milanese. Fonti e documenti (con l’inventario dei suoi beni), in “Nuova Rivista Storica”, 89, 2005/ I, pp. 205-225; P. Venturelli, Aggiunte e puntualizzazioni per Giovanni Battista Crespi detto il Cerano a Milano: disegno e arti della modellazione. Tra il Duomo, santa Maria presso san Celso e Annibale Fontana, in “Arte Cristiana”, 826, gennaio- febbraio, 2005, pp. 57-67; P. Venturelli, Le collezioni Gonzaga. Cammei, cristalli, pietre dure, oreficerie, cassettine, stipetti, Intorno all’elenco dei beni del 1626- 1627 (da Guglielmo a Vincenzo Gonzaga), Cinisello Balsamo- Mantova 2005 (sub indice); P. Venturelli, Annibale Fontana e la Madonna dei miracoli di san Celso. Tra Carlo e Federico Borromeo, in Carlo e Federico. La luce dei Borromeo nella Milano spagnola, (Milano 2005-2006), catalogo della mostra a cura di P. Biscottini, Milano 2005, pp. 123-134, pp. 151-157. Nell’itinerario biografico di Annibale Fontana è attestata una sosta a Palermo (il 31 agosto 1570 perizia i lavori di Vincenzo Gagini per la porta della Cattedrale; in tale circostanza viene definito “Mediolanensis et civis panormitanus etiam sculptor marmorum”; nella città siciliana era giunto sicuramente dopo il 24 luglio 1569, forse al seguito di Francesco Ferdinando d’Avalos, marchese di Pescara, suo committente ed estimatore che nel testamento redatto a Palermo il 13 luglio 1571 ricorderà l’ “intagliador” milanese, destinandogli alcuni suoi capi d’abbigliamento; cfr. G. Di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia, Palermo,1880, II, pp. 300 sgg.; C. Guastalla, Ricerche su Giuseppe Alvino detto il Sozzo e la pittura a Palermo alla fine del Cinquecento, in Contributi alla storia della cultura figurativa nella Sicilia occidentale, Atti della giornata di studi su Pietro D’Asaro, Racalmuto 1985, Palermo 1985, p. 76, n. 50; P. Venturelli, “Raro e divino”…, in “Nuova Rivista Storica”, 89, 2005/ I. []
  2. R. Borghini, Il riposo, Firenze 1584, p. 565 (giudicando il Fontana «in questi lavori, huomo raro»). []
  3. G. Borgogni, Rime di diversi illustr. Poeti de’ nostri tempi. Di nuovo poste in luce da Gherardo Borghoni d’Alba Pompea, l’Errante Academico Inquieto…, Venezia 1599, p. 139 (sonetto “In morte d’Annibal Fontana Milanese, famoso Scultore […] Chiaro Annibal, già novo Fidia a noi/ Dicanlo i Marmi gloriosi tuoi/ […] Vivrai ne l’opre tue divine, e belle/ Ond’hanno vita i tuoi spiranti Marmi”); per il poeta Gerardo Borgogni (noto con il nome di «Errante» quale membro dell’Accademia degli Inquieti, istituita a Milano nel giugno del 1594 da Muzio Sforza Colonna, marchese di Caravaggio), cfr. B. Agosti., Poesie di Gherardo Borgogni su due dimenticati artefici milanesi, in Scritti per l’Istituto Germanico di Storia dell’Arte di Firenze, a cura di C. Acidini Luchinat, L. Bellosi, M. Boskovitz, P. P. Donati, B. Santi, Firenze 1997, pp. 325-330; per le fonti scritte in cui è citato il Fontana, cfr. P. Venturelli, “Raro e Divino… in “Nuova Rivista Storica”, 89, 2005/ I []
  4. Per il corpus delle opere di Annibale Fontana, rimando a P. Venturelli, Cammei e pietre dure milanesi per le corti d’Europa (secc. XV-XVII), in corso di pubblicazione (Bulzoni); per l’aggancio con Leonardo da Vinci, cfr. P. Venturelli, “E per tal variar natura è bella”. []
  5. Per il commento alla citazione (da G. A. Mazenta, Alcune memorie dei fatti di Leonardo da Vinci a Milano e dei suoi libri, Ripubblicate e illustrate da D. Luigi Gramatica  […], Milano, La Vita Felice, 1991, p. 40), cfr. P. Venturelli, Gioielli e gioiellieri milanesi. Storia, arte e moda (1450-1630), Cinisello Balsamo 1996, pp. 52-54, pp. 104-125; P. Venturelli, “E per tal variar… []
  6. La vasta raccolta Settala (illustrata da tre cataloghi nel 1664, 1666, 1677) era divisa in sei settori (quadri, medaglie e reperti archeologici; libri, stampe, disegni; strumenti di precisione e congegni meccanici; prodotti artigianali; strumenti musicali, armi e balestre; reperti etnografici; fossili, minerali, animali e vegetali); cfr. A. Lugli, Naturalia et Mirabilia. Il collezionismo enciclopedico nelle Wunderkammern d’Europa, Milano 1983, pp. 89, 98, 112, 135, 136; C. Continisio, Don Ferrante riabilitato: note su libri e cultura nella Milano spagnola, città colta ed europea, in Grandezza e splendori della Lombardia spagnola, 1535-1701, a cura di C. Mozzarelli, catalogo della mostra (Milano 2002), Milano 2002, pp. 107-116. []
  7. Per l’onice e il calcedonio, pietre di color chiaro o bianco, cfr. F. Corsi, Delle Pietre antiche. Libri quattro, Roma 1828, pp. 156-157, §§ I-II; A. Del Riccio, Istoria delle pietre, a cura di R. Gnoli, A. Sironi, Torino 1996, p. 190. []
  8. Museo/ ò/ Galeria/ Adunata dal sapere, e dallo studio/ Del Sig. Canonico/ Manfredo Settala/ Nobile Milanese/ Descritta in latino dal Sig. Dott. Fis. Coll./ Paolo Maria Terzago/ Et hora in Italiano dal Sig./ Pietro Francesco Scarabelli/ Dott. Fis. Di Voghera/ E Dal medemo accresciuta/ in Tortorna/ Per li Figliuoli del qd. Eliseo Viola, MDCLXVI, p. 105. []
  9. L’immagine è on-line (alla p. 4), in:https://bibliotecaestense.beniculturali.it/info/img/mss/i-mo-beu-gamma.h.1.22. []
  10. R. Gennaioli, Le gemme dei Medici al Museo degli Argenti. Cammei e Intagli nelle collezioni di Palazzo Pitti, Firenze 2007, n. 360, p. 307. []
  11. Il Museo degli Argenti custodisce un altro cammeo con busto di mora, ricondotto alla bottega dei Miseroni (inv. Gemme 1921, n. 142; cfr. da ultimo la scheda di R. Gennaioli, Le gemme dei Medici… 2007, n. 84, p. 189), che misura cm. 2,9×2; per altri cammei con busto di mora, assegnati alla bottega di Gerolamo Miseroni, rimando a R. Distelberger R., Die Kunst des Steinschnitt…,2002, nn. 70-72, pp. 156-159 (misurano: cm. 3,5×2,8; cm 4,8×3,5; cm. 3,7×2,8). []
  12. Museo/ ò/ Galeria/ Adunata dal sapere… , p. 106, n. 8. []
  13. Per questo cammeo, si veda R. Distelberger R., Die Kunst des Steinschnitt…, 2002, n. 24, pp. 100-101 (la notizia più antica riguardo alla sua provenienza risalirebbe al 1865, quando risulta di proprietà di “Franz von Timoni”). []
  14. G. Vasari, Le Vite, dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, Roma 2003, p. 831 (parlando del romano Domenico de Compagni, Giorgio Vasari afferma che: “Fu suo concorrente Domenico de’ cammei, milanese …); per il vocabolo «balascio», cioè balasso, si veda, P. Venturelli, Glossario e documenti per la gioielleria milanese (1459-1631), Firenze 1999, pp. 33-35; per Domenico dei Cammei, rimando a P. Venturelli, Cammei e pietre dure milanesi… (in corso di pubblicazione). []
  15. Per la proposta di identificare questa gemma nel «Balasso cum la effigie delo illustrissimo Sig. Duca Ludovico» registrato in un elenco di fine Quattrocento relativo ad alcuni gioielli messi a pegno da Ludovico il Moro, cfr. P. Venturelli, “I vasi argentei, con bel smalto et oro / da lui già fatti con mirabil spesa”. Oggetti preziosi in relazione al Moro e al Tesoro sforzesco, in Io son la volpe dolorosa”. Il ducato e la caduta di Ludovico il Moro, settimo duca di Milano (1494-1500), a cura di E. Saita, catalogo della mostra (Milano 2000), numero speciale di “Libri & Documenti”, XXVI (2000), pp. 39-52 (ora in P. Venturelli, Smalto, oro e preziosi. Oreficeria e arti suntuarie nel Ducato di Milano tra Visconti e Sforza, Venezia 2003, p. 135). []
  16. R. Gennaioli, Le gemme dei Medici…, 2007, n. 237, p. 253 (il riconoscimento del personaggio, la connessione con quanto menzionato da Giorgio Vasari e l’assegnazione a Domenico dei Cammei, spetta a Tommaso Puccini, come rileva Riccardo Gennaioli, che segnala inoltre lo stretto rapporto tra la gemma fiorentina e la medaglia del Moro assegnabile al tardo XV secolo – cfr. G. F. Hill,G. Pollard, Renaissance Medals from the Samuel H. Kress Collection at the National Gallery of Art, London 1967, p. 38, n. 189- che deve essere considerata desunta da un calco direttamente ricavato dal cammeo; presso il British Museum di Londra si trova un altro cammeo attribuito a Domenico dei Cammei, recante l’effige di Giangaleazzo Maria Sforza). []