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La committenza viceregia di panni, toselli, stendardi, nelle città demaniali del regno di Sicilia
DOI: 10.7431/RIV06072012
Un settore peculiare in cui la corte viceregia di Palermo esplica la sua committenza artistica è quello relativo ai panni da muro da collocarsi negli uffici e nelle sale di rappresentanza dei palazzi sede del potere. Essa si affianca in ciò a un altro importante committente, il senato palermitano, condividendone spesso gli esiti o subentrando talora ad esso in un interscambio finalizzato alla produzione di oggetti tipologicamente affini1.
I documenti che qui si presentano attestano la commissione di questi manufatti tessili, caratterizzati dal grande rapporto di disegno e da una certa vistosità formale, in edifici oggi in massima parte distrutti o trasformati, ma anche in sedi decentrate del potere regio e militare, come i castelli fortificati del Regno. Essi sono in genere di velluto cremisi con al centro le armi araldiche della monarchia di turno e vengono affidati di norma a maestranze già in auge, svelandoci talora inedite collaborazioni e prassi poco conosciute .
Al 1728 data la commissione a “mastro Antonino Barone ricamatore di un aquila di tabbi d’argento coll’armi S.C.C.M. da porsi nel nuovo panno da eriggersi per servizio della R.Dogana di Palermo secondo la relazione fatta da mastro Vincenzo Cucuzza Console delli raccamatori”, per una spesa di onze 15,152.
Il documento riveste interesse anche perché ci fa apprendere che in tali casi di prestigiose commissioni, la relazione preliminare sulla manifattura dell’opera veniva eseguita dal console dei ricamatori in persona. Peraltro attesta il ricamatore Antonino Barone, già autore di opere per famiglie nobiliari e importanti ordini religiosi, come uno dei più qualificati della città3.
Alla stessa data si riscontra la commissione a “mastro Bartolomeo Mazzuni per il nuovo panno di sgarlatone per servigio della R.Dogana…bastoni e fiamma giusto la relazione fatta da mastro Lorenzo Aradaj console delli custureri“4. Essa, probabilmente riferentesi allo stesso drappo poi ricamato dal Barone, denota che, pure nel caso dei sarti o custureri, siano i consoli della maestranza ad arrogarsi la relazione preliminare, per opere siffatte.
Alcuni documenti relativi ad analoghe commissioni del senato palermitano, da me rese note qualche decennio fa, ci danno dettagliate indicazioni sulla realizzazione di questa tipologia di ricami araldici. Al 1743 risale la formulazione dei “Capitoli attinenti all’opera di raccamatore per serviggio del nuovo panno da farsi per lo stirato dell’Ecc.Senato tanto per la spallera et assettiti di sopra velluto cremisino quanto sopra velluto murato cremisino” .In essa, poi aggiudicata a mastro Giovanni Giannotta, il ricamatore “deve fare un aquila grande con penne nere et argento perfilata di detto perfilo secondo appare nella mostra a quattro capi con sue nerve di penne d’oro di basso et alto rilievo dell’istesso oro…con l’armi nel petto tabbella corone etisone tutti d’oro”; parimenti sul panno di velluto morato va fatto “il medesimo disegno con l’aquile cioè armi corone tisone insegni di San Gennaro S.Giorgio e Spirito Santo tutti d’oro…e il restante però tutto di tabbi di lama d’argento a specchio”5. La commissione fa dunque chiaro riferimento all’emblema della Real Casa Borbone di Sicilia, che discende da quello della Real Casa d’Austria in Sicilia, caratterizzato dalla presenza del collare del toson d’oro e di altri ordini cavallereschi6, testimoniandoci la stretta connessione tra i due massimi committenti del tempo.
Un drappo, oggi sito a Palazzo Abatellis(g.7361), in velluto marrone, reca un’aquila borbonica ricamata a riporto, molto simile a quella descritta nei suddetti capitoli (Fig. 1).
La seconda parte della commissione del 1728 al sarto Bartolomeo Mazzuni, sopra riportata, tocca il settore dei costumi dei figuranti che partecipavano a cortei e processioni indetti dalla regia corte. Essa infatti si estende a “ ancora n.8 vesti di peluzzo rosso,berrette, ed altri che devono servire per n.8 Mattarelli, che devono portare due cerii e parimente 10 canne di damasco cremesi per foderare detti cerj con suoi arnesi guarniti di frinza foderata di tela della spina”….o.50”7.
Tale commissione si apparenta di nuovo a quelle del senato palermitano relative allo staglio del vestiario dell’equipaggio e degli addobbi del carro di S.Rosalia, che toccano il culmine nell’anno dell’ insediamento di Carlo III di Borbone(1735), anno di festeggiamenti straordinari8.
Strettamente affine a questo è il settore delle divise del personale di servizio nelle sedi della regia corte e nelle università cittadine, per il quale ci rimane qualche significativo documento del secolo precedente; si tratta dei “Capituli dello staglio del raccamo delli valdrappi et casacchi di tamburi della città”, emanati nel 1656, poi aggiudicati a m.Bartolomeo Ferraro; questi saranno “della medesima forma delli vecchi con quelli lavori et ciati con l’armi della città perfilate di capicciola fina et vogliano che l’aquila dell’armi che ha pinnittiata la capicciola fina et la immagine di Palermo sia fatta an pittura come li passati ma che sia perfilata di detta capicciola fina et avira quello caraccio dove vanno li littri del senato che siano di lalletto ben fatto et accomodati et perfilate bene e che siano cositi tutti di sita di cusiri et magistrabilmente fatti…”9. Stupisce la capillare indicazione del documento che dispone che le parti figurative delle divise –l’aquila e l’immagine di Palermo- siano realizzate in pittura, secondo un’antica consuetudine che si riscontra sui ricami medievali e rinascimentali, ma non contemplata nei capitoli della maestranza di Palermo.
Un raro esempio degli emblemi congiunti dell’aquila cittadina e del Genio di Palermo si ritrova nei pendoni di un baldacchino seicentesco, già nella cattedrale palermitana , oggi a Palazzo Abatellis, tratteggiati a carboncino con notevole maestria da un buon pittore del tempo(inv.9186)10 (Fig. 2) .
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Un altro importante ambito di committenza viceregia è costituito dagli stendardi e bandiere reali da collocarsi soprattutto nei castelli del Regno. Per esso, nei secoli precedenti, rinomati pittori come Nicolò di Magio, Guglielmo Pesaro e Antonello Crescenzio prestano la loro opera nella pittura dell’effigie centrale, attestando un fitto rapporto di interscambi fra arti minori e arte colta11. Alcune commissioni settecentesche fanno ulteriore luce su di esso, testimoniandoci ancora lo stretto connubio tra artigiani tessili e pittori, con in più l’apporto di ingegneri regi cui tocca ora redigere la relazione preliminare sull’opera.
Nel 1726 mastro Antonino Faranda risulta “partitario del nuovo stendardo seu bandiera del regio Castellammare di Palermo con l’Aquila Imperiale e l’arme di S.M. a una parte e l’altra giusta la forma espressa nella relazione e Capitoli dell’Ingegnere della Regia Corte”12. Da una nota successiva dei giogali della chiesa del Castellammare di Palermo firmata dai mastri sartori Simone Iudica e Antonio Faranda13, si deduce il mestiere di quest’ultimo. La prassi che vuole la relazione preliminare eseguita da un ingegnere regio si ripete sotto il regno borbonico, in occasione della commissione della bandiera del castello di Augusta a Carmelo Castorina, secondo la relazione dell’ingegnere militare Pietro Narbi (1751)14.
Tale prassi di affidamento di stendardi e bandiere reali, potrebbe far luce anche sulla identità di quel mastro Francesco Manni milazzese, di cui poco chiara è la sfera d’attività. Questi, oriundo napoletano ma naturalizzatosi milazzese come il fratello, il più famoso pittore Scipio Manni che impronta di sé il settecento pittorico della città mamertina15, è chiamato espressamente magister nei documenti rinvenuti, che lo vogliono attivo a Milazzo dal 1720 al 1740 ca.16. La nuova documentazione potrebbe suggerire una sua attività nel campo del tessile.
Nel giugno del 1733 infatti si registra una “Relazione della spesa necessita per farsi la nova bandiera di cod.Regio Castello…liberata per o.5,20 a mastro Francesco Manni di codesta (Milazzo)”, cui segue l’ordine del vicerè Sastago di effettuarsi il pagamento “quando sarà consegnata la bandiera magistrabilmente fatta”17. L’ipotesi che si tratti di un artigiano tessile, più che un pittore, può essere avallata dal fatto che, in casi di simili commissioni che prevedono l’intervento di un pittore, questi è ben differenziato dall’artigiano dall’appellativo di Don. Ciò è palese nell’appalto di una bandiera per il castello di Siracusa, “secondo la relazione di D.Antonino Calvo Pittore e Mastro Simone Soria Sartore”, nel febbraio 1748, per ordine del vicerè Laviefuille18.
Come fossero fatte le bandiere del castello di Milazzo sotto il governo austriaco, lo ricaviamo da un documento antecedente (gennaio del 1725), relativo alla richiesta di farsi “una bandiera nuova coll’armi augustissime per servigio del Regio Castello a motivo che quella in atto esiste, per essere stata fatta molto grande, colla furia dei venti occorsi si lacerò in più pezzi, richiedendosi quella fatta di lunghezza palmi ventisei, e larghezza palmi venti di tela marina e manta mezza curata lisciandrina, come l’antica”19.
Un frammento di vessillo ancora esistente alla biblioteca comunale di Milazzo, in tessuto di seta fucsia con un’aquila a ricamo e il motto alludente alla battaglia romana combattutasi nelle acque antistanti, ci dà un’idea di come dovesse essere l’emblema settecentesco dell’università milazzese (Fig. 3).
La corte viceregia interviene pure nella commissione di vessilli di antiche confraternite da essa patrocinate, che recano raffigurate dunque, oltre alle immagini sacre, anche le insegne reali. Nel 1723 “i procuratori della SS.Vergine del Carmine nell’insigne Collegiata di S.Nicolò di Tortorici espongono come per antica e immemorabile osservanza si costumava la vigilia di d.a glor.ma Vergine conducere per tutta la Città il vessillo seu bandiera reale con insegni dell’armi reali di S.M. da una parte e dall’altra con la festina seu Immagine di da. Gloriosissima Vergine associato d.o stendardo da tutti l’officiali cioè Capitano Giudice Civile Regio Proconservatore Sacr.me R.Fiscale e mastro notaro delle loro corti e soldati della Milizia con molto fasto e decoro…s’è quasi abolita da più anni e bramando rinovarsi tale consuetudine…si degnasse ordinare a officiali locali di d.a città che dovessero intervenire alla Cavalcata sud. e condotta di d.o stendardo reale conforme all’antica osservanza”20.
Non è dubbia la suggestione del documento che testimonia di un’antica usanza oltre a darci notizia di questo prezioso stendardo, con l’immagine della Madonna del Carmelo da un lato e dall’altro le armi reali, di cui allo stato attuale non ho rinvenuto alcuna traccia.
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Un altro tipico manufatto per cui la commmittenza regia è strettamente connessa a quella municipale è il tosello di cui sono dotate le università cittadine, sorta di baldacchino in tessuto pregiato o ricamato, che accoglie in genere i ritratti dei regnanti e i seggi per le autorità.
E’ già noto che nel 1715 il senato palermitano bandisce l’appalto del “gallone d’oro e frinze per il tosello da porsi nella camera senatoria”21.Il documento potrebbe riferirsi al baldacchino riprodotto in una nota incisione settecentesca -il Camerone della corte del pretore- ricamato a girali, su cui erano affissi i ritratti ovali del re e della regina, che alloggiava in basso un’orchestra, in occasione della festa che vi si svolgeva (Fig. 4).
Ancora, nel 1718 il senato palermitano bandisce l’appalto dei “frinzoni d’oro per le sedie del senato”, vinto dal mastro frinzaro Giuseppe Criccinda22.
Uno di questi seggi, che potevano essere collocati sotto il tosello, potrebbe identificarsi con la poltrona barocca ancora esistente a Palazzo delle aquile, databile agli inizi del ‘700, in legno scolpito e dorato, tappezzata di velluto cremisi con l’aquila del senato ricamata in oro filato, entro una cornice floreale che si ripete lungo il contorno della spalliera (Figg .5 – 6).
Alcuni documenti del periodo borbonico relativi alle università di Milazzo e di Lipari attestano la presenza del tosello pure in centri demaniali ben lontani dalla capitale del regno, per disposizione della locale autorità militare. Nel Palazzo dei giurati di Milazzo, sito entro la Città murata, ove la cospicua presenza di tappezzerie rendeva necessaria la figura di un guardarobiere, vi erano un panno di velluto sopra il banco giuratorio, cuscini e sedie rivestite di velluto e inoltre un tosello di damasco che doveva contenere il ritratto del re23.
E’ possibile che questo fosse simile al tosello ordinato nel 1747dal Governatore della piazza, per il Palazzo di città della vicina Lipari ,con la quale Milazzo condivideva spesso le maestranze, oltre che le autorità regie e militari: “da cod.Governatore siete stati precisati fare un dosello di damasco per collocarsi nella Casa della Città ed ivi affissarsi li retratti dell’Augustissimi Regnanti,come altresì accomodare la d.Casa quasi sconquassata e addobbata di suppellettili”…per una spesa di o.55,7.Ordine del Laviefuille ai Giurati di Lipari24.
Nel 1762 si registra infine un ordine della Regia corte, riguardante la vicina città di S.Lucia del Mela, relativo alla “costruzione di aquile per la Regia Screzia di S.Lucia” per una spesa di o.4,1325. Il documento non specifica la natura di queste aquile, ma alla cattedrale luciese si conserva ancora in discreto stato conservativo, una panno in velluto cremisi con l’aquila reale borbonica e ai lati entro due scudi le figure dei santi protettori, ricamati a riporto (Figg. 7 – 8 – 9) .Il drappo, un tempo sito nel palazzo municipale, testimonia di nuovo simbolicamente, nell’importante centro demaniale ed ecclesiale dell’entroterra milazzese, la stretta connessione tra i massimi poteri del tempo.
- E. D’Amico, La maestranza palermitana dei ricamatori, Palermo 1984, pp.10-12, pp.32-37 [↩]
- Archivio di Stato di Palermo,T.R.P.,Lettere viceregie e dispacci patrimoniali, 2671,f.210v. [↩]
- E.D’Amico, Antonino Barone, in Dizionario Sarullo Arti decorative, IV, pross.pubbl. [↩]
- A.S.PA., T.R.P.,…2671,f.209v. [↩]
- E.D’Amico, La maestranza…, pp.35-37. [↩]
- V.Palizzolo Gravina, Dizionario storico-araldico della Sicilia, pp.44-45, tav.6. [↩]
- A.S.PA., T.R.P.,…2671.,f.209v. [↩]
- E.D’Amico, La maestranza…,p.11 [↩]
- Ibidem,p.32 [↩]
- E.D’Amico Del Rosso, Palazzo Abatellis. Collezioni.I paramenti sacri, Palermo 1997,p.48 [↩]
- Ibidem, pp.24-27 [↩]
- A.S.PA., T.R.P., …2639,f.139 [↩]
- A.S.PA., T.R.P., 2640,ff.96v.-98 [↩]
- A.S.PA., T.R.P.,…2971,f.21 [↩]
- A.Bilardo, La pittura a Milazzo dal Seicento al Novecento, in Milazzo il porto e l’arte, a cura di F.Chillemi, Messina, 2008, pp.105-148, pp.118-129. [↩]
- G.Lo Presti, Scipione Manni pittore napoletano a Milazzo (sec.XVIII).Alcuni documenti inediti su Scipione Manni e la sua famiglia, in Milazzo …cit.,2008, pp.149-159 [↩]
- E.D’Amico, La bandiera di Francesco Manni, pros.pubbl. in MilazzoNostra [↩]
- A.S.PA., T.R.P., …2929,ff.326v.-7 [↩]
- E.D’Amico, cit., pros.pubbl. [↩]
- A.S.PA., T.R.P , …2614, ff.227v.-8. [↩]
- E.D’Amico, La maestranza…cit.,p.11 [↩]
- Ibidem [↩]
- E. D’Amico,L’arredo del Palazzo dei giurati, Milazzo inedita,in MilazzoNostra, nn.28-29, marzo/luglio 2011,pp.26-27 [↩]
- A.S.PA., T.R.P., …2936,ff.76.-7 [↩]
- A.S.PA., T.R.P, …3163,f.99 [↩]