Damiano Anedda

damianoanedda@gmail.com

L’elefante eburneo della Sala Islamica al Museo Nazionale del Bargello1

DOI: 10.7431/RIV05012012

Il Museo Nazionale del Bargello sorse nel contesto europeo ottocentesco in cui nacquero altre illustri fondazioni quali il South Kensington Museum di Londra2 e la Union Centrale des Beaux-Arts Appliqués à l’Industrie di Parigi3. La nascita ufficiale del Museo Nazionale fiorentino risale al 1865, in occasione delle celebrazioni del sesto centenario della nascita di Dante Alighieri4.

Il Bargello custodisce la raccolta donata alla città di Firenze nel 1888 dal collezionista francese Louis Carrand, con la clausola testamentaria della sua permanente esposizione presso il Museo Nazionale fiorentino5. La collezione Carrand fu intrapresa da Jean-Baptiste e ulteriormente sviluppata, in seguito alla sua morte, dal figlio Louis. Essa è costituita da manufatti d’epoca medievale e rinascimentale, includendo una serie di opere ascrivibili all’arte islamica, la maggior parte delle quali è custodita presso la Sala Islamica del museo.

La sezione dedicata all’arte islamica della collezione Carrand include ceramiche, tessuti, metalli, legni e manufatti eburnei6, mentre mancano manoscritti e codici miniati.

Fra i numerosi pezzi della collezione Carrand rivestono un interesse particolare alcuni manufatti realizzati in avorio, materiale che costituisce una delle sostanze organiche più utilizzate nell’arte della scultura e tra le materie prime predilette per la realizzazione di oggetti di lusso. Generalmente per avorio si intende la materia organica ricavata dagli incisivi superiori (o zanne) degli elefanti africani e indiani. Tuttavia esso accomuna tutti i materiali ricavati da zanne, corni e ossi di alcuni mammiferi, tra cui anche il cinghiale, il tricheco, il leone marino, il cervo, il facocero. Esistono anche l’avorio fossile, ricavato dalle zanne di mammut, e l’avorio vegetale, costituito dai semi di alcune palme7. Il più usato nell’esecuzione di oggetti artistici, perché più pregiato, è quello di zanna d’elefante. Quest’ultima è composta da una serie di coni sottili sovrapposti che formano la dentina, unica parte della zanna che si presta ad essere lavorata8.

Durante il Medioevo l’avorio era importato in Europa dall’Africa del Nord e dall’India. Tuttavia, soprattutto nell’alto Medioevo, si faceva spesso ricorso al riutilizzo di pezzi antichi9. L’avorio, in epoca medievale, era considerato particolarmente prezioso e paragonabile solo all’oro o perfino più pregiato di questo, grazie alle sue qualità medicinali e talismaniche intrinseche10. Si esaltavano tali virtù in particolare per quello ricavato dalle zanne di elefante, quadrupede che nella simbologia medievale rappresentava il nemico del drago (Satana)11. L’avorio inoltre aveva fama di scacciare i serpenti e agire da antidoto se ridotto in polvere12.

Michel Pastoureau ha messo in luce le proprietà dell’avorio ricavato dalle zanne d’elefante dal punto di vista simbolico, affermando che esso protegge e purifica dal veleno, allontana la tentazione, resiste agli urti e al tempo, assicura la trasmissione della memoria. Quando lo si usa per «intagliare oggetti in forma d’elefante […] il simbolismo dell’animale e quello del materiale si arricchiscono mutuamente»13.

Oltre al difficile approvvigionamento l’avorio richiede una particolare cura nella lavorazione e una notevole abilità tecnica. Bettina Schindler suppone che gli strumenti utilizzati per la lavorazione dei manufatti eburnei siano sempre stati simili a quelli usati da ebanisti e orafi, ovvero scalpelli per un taglio dritto, sgorbie per un taglio curvo, straccantoni per un taglio angolare, rotini e materiali abrasivi per levigatura e lucidatura, utensili che si utilizzano per asportazione di materiale. Non si applicano vernici per la lucidatura e la protezione del prodotto finito14.

Dalla sezione di una zanna svuotata si possono ricavare cofanetti di forma cilindrica come quelli ispanici intagliati in epoca califfale e post-califfale15, e quelli dipinti denominati arabo-siculi16. La parte piena della zanna è utilizzata per l’intaglio di bassorilievi e sculture a tutto tondo, per le quali si è costretti a procedere seguendo le dimensioni e l’inclinazione naturale della materia prima. Per ottenere il materiale utile alla realizzazione di un bassorilievo si utilizza una porzione più o meno spessa della parte cava, in senso longitudinale, seguendo l’andamento delle venature che formano disegni diversi a seconda del taglio17.

Il gruppo di avori custodito presso la Sala Islamica del Bargello, è costituito da vari manufatti tra cui due cofanetti. Il primo è intagliato, con montatura in filigrana d’argento dorato, vetri colorati e pietre semipreziose18. Il secondo è in avorio dipinto19. Il gruppo è completato da sei placchette con scene agresti, di caccia e d’intrattenimento relative alla vita di corte20, una placchetta con grifi affrontati21, un olifante22, un pezzo da gioco degli scacchi di forma cilindrica con sporto anteriore rovesciato, ritenuto un vizir23, e un elefante (Fig. 1).

Quest’ultima scultura è alta 6,9 cm e fa parte della collezione Carrand che annovera vari pezzi del gioco degli scacchi di provenienza incerta e di varie epoche, nonché una tavola da gioco quattrocentesca in ebano e avorio24.

Il gioco degli scacchi con tutta probabilità ebbe origine in India25. Non è ancora chiaro quando esso fu introdotto in Persia, trasmissione che, secondo Antonio Panaino, avvenne verosimilmente in epoca sasanide26. Successivamente il gioco fu conosciuto dagli Arabi durante le campagne militari da essi intraprese nello stesso territorio sasanide27. È plausibile che la Persia fosse l’area in cui il gioco acquisì una struttura simile a quella attuale28.

Gli scacchi ebbero una larga affermazione nella civiltà islamica. Secondo Andrea Borruso il successo del gioco presso gli Arabi fu «alimentato da motivi religiosi, in quanto il Libro sacro vieta, ad esempio, anche i giochi d’azzardo; ma insigni teologi e giuristi musulmani dedussero logicamente che il divieto non potesse applicarsi a questo gioco, frutto della sola intelligenza e non di fortuna»29.

In uno studio dedicato alla collezione scacchistica dell’Ashmolean Museum, Anna Contadini ha suddiviso i pezzi da gioco provenienti dal mondo islamico in due nuclei: da una parte quelli eseguiti con rappresentazioni figurate, dall’altra quelli realizzati con forme astratte30. Secondo la studiosa è assai complicato stabilire luogo, causa e momento in cui le forme figurate dei pezzi da gioco furono sostituite da quelle astratte. La ragione di questa evoluzione è stata storicamente attribuita al rifiuto della rappresentazione figurata da parte dell’Islam, supposizione che però «è stata in più contributi ridimensionata e risulta smentita da diversi esempi di raffigurazioni realistiche negli scacchi islamici»31. La teoria più accreditata sostiene che i pezzi indiani e sasanidi fossero figurati e divenuti astratti con l’avvento dell’Islam, per tornare ad essere figurati una volta diffusosi il gioco in Europa. Tuttavia, sottolinea Contadini, nell’arte islamica “secolare” la rappresentazione figurata era utilizzata fin dalle origini32 ed è possibile che entrambe le tipologie fossero in uso già prima dell’avvento dell’Islam33.

Il primo documento conservato in Europa occidentale in cui si fa riferimento al gioco degli scacchi è catalano. Esso risale agli inizi dell’XI secolo e riferisce che il Conte di Urgel «lascia in legato i pezzi del gioco da lui posseduti alla chiesa di Saint Gilles»34.

Presso il Museu Diocesà i Comarcal di Lleida sono custoditi diciannove pezzi da gioco degli scacchi in cristallo di rocca35 (Fig. 2). Un pezzo simile a quelli di Lleida è conservato nel Museo Diocesano di Capua36. Mentre gli scacchi in cristallo di rocca sembrano costituire un gruppo omogeneo databile tra la fine del X e la prima metà dell’XI secolo, unanimemente attribuito all’Egitto fatimide37, per quelli in avorio collocazione cronologica e provenienza non sono affatto certe.

Il gioco degli scacchi si diffuse in Europa meridionale a partire dalla metà del X secolo, attraverso al-Andalus, Sicilia e Italia meridionale. In Europa settentrionale esso iniziò a circolare grazie al commercio tra gli scandinavi e l’impero bizantino38. Gli scacchi ebbero grande diffusione nell’occidente europeo durante il XIII secolo, epoca in cui Federico II «non esita, nella sua corte di Palermo, a sfidare i grandi campioni musulmani, e il re di Castiglia Alfonso X il Saggio, […] fa compilare l’anno prima della sua morte un voluminoso trattato dedicato ai tre giochi […]: gli scacchi, i giochi da tavolo e i dadi»39.

Chiese e abbazie medievali non di rado tesaurizzavano pezzi da gioco degli scacchi insieme a reliquiari pregiati, gioielli, olifanti, pietre e metalli preziosi. L’atteggiamento delle autorità religiose sulla pratica del gioco degli scacchi durante il Medioevo fu singolare. La Chiesa «da un lato condanna la pratica del gioco, ma dall’altro sembra tributare a taluni pezzi un culto simile a quello delle reliquie»40. Pastoureau ha messo in risalto la sottile differenza di atteggiamento da parte della Chiesa tra il gioco e i pezzi della scacchiera, molti dei quali non sarebbero stati realizzati per essere utilizzati nelle partite di scacchi ma per far parte di un tesoro da ostentare. Non si tratta dunque di pezzi da gioco bensì di manufatti simbolici, il cui valore non riguarda la bellezza artistica ma le credenze che ruotano attorno ad essi e al tipo di materiale in cui sono realizzati, assicurando al possessore prestigio e potere41.

Vari prelati furono denunciati alle alte cariche ecclesiastiche perché sorpresi a giocare a scacchi. Il primo documento italiano noto che fa riferimento al gioco di origine indiana risale all’anno 1061. Si tratta di una lettera inviata a papa Alessandro II dal cardinale di Ostia Pier Damiani, nella quale questi denunciò il vescovo di Firenze perché sorpreso a giocare a scacchi42. Se le condanne da parte delle autorità ecclesiastiche nei confronti del gioco furono numerose in sinodi e concili dei secoli XI-XII, diminuirono e sparirono del tutto alla fine del Medioevo43. Inoltre tali censure si dimostrarono inefficaci poiché, nonostante i numerosi ammonimenti, il gioco si diffuse sempre più, entrando a far parte a pieno diritto dell’educazione cortese e cavalleresca a partire dal XIII secolo44.

Petrus Alphonsus, sefardita convertito, vissuto tra i secoli XI-XII, nel testo della Disciplina Clericalis indicava «tra le probitates di un uomo d’armi saper equitare, natare, sagittare, cestibus certare, aucupare, scacis ludere, versificari»45. Alcuni secoli prima, nell’Iraq degli Abbasidi, la pratica del gioco degli scacchi faceva parte dell’âdâb, ovvero la morale d’un uomo d’educazione. I prìncipi abbasidi erano educati attraverso varie discipline, tra cui il tiro con l’arco, l’equitazione, l’uso della lancia e dell’ascia, il canto, l’astronomia, la conoscenza delle grandi opere letterarie, le nozioni di gastronomia ed eleganza, la pratica di un certo numero di giochi tra cui gli scacchi46. È probabile che la tradizione abbaside si riallacciasse a quella sasanide, nella quale è noto che «i rampolli delle famiglie dell’alta società venissero introdotti anche al gioco degli scacchi e del trick-track (altro nome per il backgammon)»47.

L’elefante eburneo del Bargello è verosimilmente il pezzo più antico della collezione scacchistica del Museo Nazionale fiorentino. Il pachiderma poggia su un piedistallo ovale decorato con due file di semplici punti trapanati. Le zampe sono addobbate con cavigliere di perle, motivi che ornano anche il collo del quadrupede. La proboscide poggia sulla base, ruotando verso l’alto, e la coda termina con un fiocco. Le orecchie aderiscono alle spalle e gli occhi sono resi attraverso linee curve incise con brevi tratti ad esse perpendicolari. Nella parte posteriore dell’elefante (Fig. 3) si rileva una decorazione a tralci intrecciati che formano cerchi ospitanti foglie al loro interno. Tale motivo potrebbe rappresentare una gualdrappa, «interpretazione confermata dal fatto che le zampe posteriori sono quasi del tutto coperte da questo disegno, mentre non lo sono le zampe anteriori e la testa»48.

Il numero di pubblicazioni scientifiche relative all’elefante in avorio del Bargello è consistente. Il pezzo da gioco è presente nel catalogo della Collezione Carrand del Bargello edito da Sangiorgi49nel 1895, nel quale è considerato opera del IX secolo. Umberto Rossi e Igino Benvenuto Supino50 lo annoverano tra i manufatti bizantini del XII secolo. Ernst Kühnel ritiene l’elefante eburneo prodotto in Iraq nei secoli IX-X51, mentre Goldschmidt lo giudica del XII52. Umberto Scerrato concorda con l’ipotesi di Kühnel, sostenendo che le decorazioni della gualdrappa incisa nella parte posteriore dell’elefante ricordano le «stilizzazioni di Samarra e rendono verosimile un’attribuzione dell’avorio all’arte dell’Iràq del X secolo»53. Sulla decorazione fitomorfa del manufatto del Bargello si è soffermato anche Ernst Grube54, evidenziando la relazione tra questo ornamento e quello delle sculture zoomorfe in bronzo di tradizione islamica, come il quadrupede conservato presso lo stesso Museo Nazionale fiorentino (Fig. 4). I corpi dei bronzi islamici sono infatti decorati da motivi affini55. Ernst Grube56 e Alessandro Sanvito57 concordano nel considerare il pezzo da gioco degli scacchi della collezione Carrand di provenienza irachena e databile al X secolo. Giovanni Curatola e Marco Spallanzani58 giudicano l’elefante contemporaneo agli stucchi abbasidi di Samarra (IX secolo). Anna Contadini59, Almut von Gladiss60 e Bettina Schindler61, d’accordo con Kühnel, lo ritengono di produzione irachena e ascrivibile ai secoli IX-X.

È stata unanimemente accettata dalla critica la funzione del pachiderma come componente del gioco degli scacchi. In India gli elefanti svolgevano un ruolo primario nella scacchiera. Gli Arabi conservarono il pezzo all’interno del gioco durante i primi secoli dopo l’avvento dell’Islam, per modificarlo successivamente in pezzi stilizzati che mantenevano solo le zanne. Per Alessandro Sanvito, all’epoca in cui si suppone risalga il manufatto del Bargello, la composizione degli eserciti prevedeva la presenza di elefanti62. Questi facevano già parte delle milizie indiane e la loro presenza in quelle sasanidi è provata sia dalle fonti letterarie sia da un rilievo di Taq-i Bustan63.

Nei paesi latini l’iconografia dell’elefante subì vari mutamenti e il vocabolo arabo indicante il pezzo, al fil, divenne «il latino alfinus, poi auphinus, trasformando l’elefante in conte, in siniscalco, in albero o in portabandiera (italiano albero e alfiere64.

La raccolta di pezzi da gioco nota come Scacchi di Carlo Magno è «la più completa serie di pezzi figurati che ci sia pervenuta per trasmissione storica»65. Essa è custodita a Parigi presso il Cabinet de Médailles et Antiques della Bibliothèque National de France ma proviene dal tesoro dell’abbazia di Saint-Denis. Contiene quattro elementi in cui è rappresentato l’elefante. I pezzi parigini sono ritenuti dalla critica realizzati in Italia meridionale da eborarii operanti nella costiera amalfitana agli inizi del XII secolo66.

Se ci sono alcuni elementi che accomunano i pezzi della Bibliothèque National de France all’elefante del Bargello, come la gualdrappa e il piedistallo ovale su cui poggiano entrambi, sono tuttavia ben evidenti le differenze fra essi. Il pachiderma fiorentino è caratterizzato da linee arrotondate e aggraziate, mentre gli scacchi parigini sono contraddistinti da un’architettura piuttosto statica e spigolosa.

Dalla rapida indagine sulla storia degli studi tracciata in precedenza, risulta evidente che la critica si sia orientata pressoché unanimemente verso un’attribuzione del manufatto del Bargello alla tradizione abbaside irachena dei secoli IX-X, considerando l’elefante uno dei primi pezzi islamici da gioco degli scacchi conosciuti. Tale attribuzione è dovuta al parallelo tra le decorazioni a palmette intagliate nella parte posteriore del pachiderma fiorentino e le decorazioni fitomorfe degli stucchi di Samarra riferibili allo Stile A (Fig. 5), datati al IX secolo67. Non si può negare la significativa vicinanza tra le decorazioni dell’avorio del Bargello e gli stucchi sopracitati. Tuttavia è complicato stabilire se e con quali modalità una decorazione architettonica in stucco possa aver ispirato gli ornamenti di un manufatto eburneo dalle ridotte dimensioni come quello del Museo Nazionale di Firenze. Non essendoci paralleli convincenti con altri manufatti, come ha sottolineato Grube68, le argomentazioni proposte circa l’origine irachena del manufatto rimangono le più verosimili.

Le ipotesi relative a tale provenienza e alla datazione al IX secolo dell’elefante della collezione Carrand, sono plausibili anche perché i pezzi di scacchi “naturalistici”, come affermato in precedenza, si sarebbero realizzati solamente durante il periodo di formazione dell’arte islamica, diventando sempre più rari nei secoli successivi. I pezzi in cristallo di rocca testimoniano l’evoluzione verso le forme astratte, anche se spesso sono decorati con motivi fitomorfi e zoomorfi (Fig. 6).

Sono auspicabili ulteriori approfondimenti sul manufatto del Bargello, che prendano in considerazione la trasmissione del gioco degli scacchi dalla Persia all’Iraq abbaside. Di tale passaggio, l’elefante fiorentino potrebbe infatti costituire una testimonianza tangibile.

Referenze fotografiche

Fig. 1, da Islam specchio d’Oriente. Rarità e preziosi nelle collezioni statali fiorentine, catalogo della mostra a cura di G. Damiani-M. Scalini, Palazzo Pitti, Firenze (23 aprile-1 settembre 2002), Livorno 200, n. 55, p. 82.

Fig. 2, da Les Andalousies. De Damas à Cordoue, catalogo della mostra a cura di M. Bernus-Taylor, Istitut du monde arabe, Parigi (28 novembre 2000-15 aprile 2001), Parigi 2000, n. 204, p. 174.

Fig. 3, da E. Kühnel, Die islamischen Elfenbeinskulpturen. VII-XIII Jahrhundert, Berlino 1971, fig. 14b.

Fig. 4, da Islam specchio d’Oriente. Rarità e preziosi nelle collezioni statali fiorentine, catalogo della mostra a cura di G. Damiani-M. Scalini, Palazzo Pitti, Firenze (23 aprile-1 settembre 2002), Livorno 200, n. 94, p. 120.

Fig. 5, Foto D. Anedda.

Fig. 6, da Gli Arabi in Italia. Cultura, contatti e tradizioni, a cura di F. Gabrieli-U. Scerrato, Milano 1979, p. 501.

  1. Studio elaborato nell’ambito dell’assegno di ricerca finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna tramite il programma Master & Back. Ringrazio la dottoressa Ornella Corda per il controllo e la revisione finale dei testi. []
  2. J. PHYSICK, The Victoria and Albert Museum. The History of Its Building, Londra 1982. []
  3. E. VERON, Histoire de l’Union Centrale, son origine, son present, son avenir. Union Central des Beaux Arts appliqués à l’Industrie, in La Chronique des Arts et de la Curiosité. Supplément a la Gazette de Beaux-Arts, XXXI, Parigi 1874, pp. 297-299. []
  4. La storia del Bargello. 100 capolavori da scoprire, a cura di B. Paolozzi Strozzi, Firenze 2004, p. 29. []
  5. G. GAETA-BERTELÀ, La donazione Carrand al Museo Nazionale del Bargello, in Omaggio ai Carrand. Arti del Medio Evo e del Rinascimento, a cura di G. Gaeta Bertelà-B. Paolozzi Strozzi, Firenze 1989, pp. 1-38. []
  6. U. SCERRATO, Arte islamica in Italia, in Gli Arabi in Italia. Cultura, contatti e tradizioni, a cura di F. Gabrieli-U. Scerrato, Milano 1979, pp. 271-571: 447-477, figg. 548-550. []
  7. B. SCHINDLER, L’avorio. Tecnica e materiali, Firenze 2007, p. 5. []
  8. B. SCHINDLER, L’avorio…, 2007, p. 5. []
  9. Per la lavorazione e il riutilizzo dell’avorio in epoca tardoantica e altomedievale cfr. A. CUTLER, The craft of ivory. Sources, techniques, and uses in the Mediterranean world. A.D. 200-1400, Washington 1985. I volumi di A. CUTLER, Late antique and byzantine ivory carving, Aldershot 1998 e Image making in Byzantium, Sasanian Persia and the early muslim world: images and cultures, Farnham 2009, raccolgono ventotto articoli scritti su avori romani, bizantini e islamici. []
  10. M. PASTOUREAU, Medioevo simbolico, Bari 2005, p. 254. []
  11. Idem, Medioevo…, 2005, p. 255. []
  12. Ibidem. []
  13. Ibidem. []
  14. B. SCHINDLER, L’avorio…, 2007, pp. 8-9. []
  15. E. KÜHNEL, Die islamischen Elfenbeinskulpturen. VII-XIII Jahrhundert, Berlino 1971, pp. 32-51. []
  16. P.B. Cott, Siculo-Arabic Ivories, Princeton 1939. []
  17. B. SCHINDLER, L’avorio…, 2007, p. 9. []
  18. G. CURATOLA-M. SPALLANZANI, Cofanetto, in Omaggio ai Carrand. Arti del Medio Evo e del Rinascimento, a cura di G. Gaeta Bertelà-B. Paolozzi Strozzi, Firenze 1989, n. 144, pp. 351-353. []
  19. A. GALÁN Y GALINDO, Marfiles medievales del Islam, vol. II, Cordova 2005, n. 13008, p. 266. []
  20. G. CURATOLA-M. SPALLANZANI, Sei placchette, già montate a cofanetto, in Omaggio ai Carrand…, 1989, n. 145, pp. 353-354. []
  21. G. VACCARI, Placchetta con grifi, in Nobiles officinae. Perle, filigrane e trame di seta dal Palazzo Reale di Palermo, catalogo della mostra a cura di M. Andaloro, Palazzo dei Normanni, Palermo (17 dicembre 2003-10 marzo 2004), Hofburg, Schweizerhof, Alte Geistliche Schatzkammer, Vienna, (30 marzo-13 giugno 2004), Catania 2006, n. II. 18, p. 153. []
  22. A. VON GLADISS, Olifante, in Islam specchio d’Oriente. Rarità e preziosi nelle collezioni statali fiorentine, catalogo della mostra a cura di G. Damiani-M. Scalini, Palazzo Pitti, Firenze (23 aprile-1 settembre 2002), Livorno 2002, n. 54, p. 81. []
  23. A. SANVITO, Scacchi e tavole da gioco nella collezione Carrand, Firenze 2000, n. 3, pp. 20-21. []
  24. Idem, Scacchi e tavole…, 2000, n. 1, pp. 10-18. []
  25. A. PANAINO, La novella degli scacchi e della tavola reale. Un’antica fonte orientale sui due giochi da tavoliere più diffusi nel mondo eurasiatico tra Tardoantico e Medioevo e sulla loro simbologia militare e astrale. Testo pahlavi, traduzione e commento al Wizārīšn ī čatrang ud nīhišn ī nēw-ardaxšīr, La spiegazione degli scacchi e la disposizione della tavola reale“, Abbiategrasso 1999, pp. 142-156. []
  26. A. PANAINO, La novella…,1999, pp. 156-157. []
  27. Per la storia del gioco degli scacchi cfr. H.J.R. MURRAY, A history of chess, Oxford 1913. Nonostante l’dizione del testo di Murray non sia recente, esso costituisce un’opera fondamentale sulla storia degli sacchi. Cfr inoltre A. CHICCO-G. PORRECA, Il libro completo degli scacchi, Milano 1959. []
  28. Per una breve storia di credenze e tradizioni medievali sul gioco degli scacchi cfr. M. PASTOUREAU, Medioevo…, 2005, pp. 247-250. []
  29. A. BORRUSO, Da Oriente a Occidente, Palermo 2006, pp. 90-91. []
  30. A. CONTADINI, Islamic ivory chess pieces, Draughtsman and Dice, in Islamic Art in the Ashmolean Museum, vol. I, a cura di J. Allan, Oxford 1995, pp. 111-154:111. []
  31. A. PANAINO, La novella…, 1999, p. 182. []
  32. IDEM, Islamic ivory…, 1995, p. 144, nota 4. []
  33. IDEM, Islamic ivory…, 1995, p. 111. []
  34. M. PASTOUREAU, Medioevo…, 2005, p. 247. []
  35. M. BERNUS-TAYLOR, Pièces d’un jeu d’échecs, in Les Andalousies. De Damas à Cordoue, catalogo della mostra a cura di M. Bernus-Taylor, Istitut du monde arabe, Parigi (28 novembre 2000-15 aprile 2001), Parigi 2000, n. 204, p. 174. []
  36. M. VENEZIA, Reliquiario di S. Eugenio, in Nobiles officinae…, 2006, n. V. 5, p. 322. []
  37. M. BERNUS-TAYLOR, Pièces d’un jeu…, 2000, n. 204, p. 174. []
  38. M. PASTOUREAU, Medioevo…, 2005, p. 247. []
  39. IDEM, Medioevo…, 2005, p. 253. []
  40. IDEM, Medioevo…, 2005, pp. 251-252. []
  41. M. Pastoureau, Medioevo…, 2005, pp. 253-254. []
  42. M. LEONCINI, Antiche testimonianze degli scacchi in Toscana (sec. XI-XIV), Milano 2010, pp. 5-7. Per la notizia sulla lettera inviata al papa dal cardinale Pier Damiani, che sorprese il vescovo di Firenze mentre giocava a scacchi, cfr. inoltre L. SPECIALE, Il gioco dei re. Intorno agli Scacchi di Carlomagno”, in Medioevo: la Chiesa e il Palazzo, atti del convegno internazionale di studi, (Parma, 20-24 settembre 2005), a cura di A.C. Quintavalle, Parma 2007, pp. 238-248; L. SPECIALE, Gli scacchi nell’Occidente latino. Materiali e appunti per un dossier iconografico, in Gli scacchi e il chiostro, atti del convegno nazionale di studi, (Brescia, 10 febbraio 2006), a cura di A. Baronio, Civiltà Bresciana, 16, 2007, pp. 97-128. []
  43. M. PASTOUREAU, Medioevo…, 2005, p. 252. []
  44. Ibidem. []
  45. L. SPECIALE, Ludus scachorum: il gioco dei re. Forma e iconografia degli scacchi tra l’Italia meridio, nale e l’Europa, in L’enigma degli avori medievali. Da Amalfi a Salerno, vol. I, catalogo della mostra a cura di F. Bologna, Museo Diocesano, Salerno (20 dicembre 2007-30 aprile 2008), Napoli 2008, pp. 203-229: 212. []
  46. S. MAKARIOU, Le jeu d’échecs, une pratique de l’aristocratie entre Islam et chrétienté des IXe-XIIIe siècles, in L’aristocratie, les arts et l’architecture à l’époque romane, actes des XXXVIIe Journèes Romanes de Cuxa, (8-15 juillet 2004), Les Cahiers de Saint-Michel de Cuxa, 36, 2005, pp. 127-140: 132. []
  47. A. PANAINO, La novella…, 1999, p. 51. []
  48. E.J. GRUBE, Figura di elefante in avorio, in Eredità dell’Islam. Arte islamica in Italia, catalogo della mostra a cura di G. Curatola, Palazzo Ducale, Venezia (30 ottobre 1993-30 aprile 1994), Cinisello Balsamo 1993, n. 5, pp. 69-71. []
  49. G. SANGIORGI, Collection Carrand au Bargello, Roma 1895, p. 12, fig. 15. []
  50. U. ROSSI-B. SUPINO, Catalogo del R. Museo Nazionale di Firenze, Roma 1898, n. 63, p. 218. []
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  52. A. GOLDSCHMIDT, Die Elfenbeinskulpturen aus der Romanischen Zeit, XI-XIII Jahrbundert, Berlino 1926, n. 255, p. 53. []
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  54. G. CURATOLA, Piccola scultura, in Islam specchio…, 2002, n. 94, p. 120. []
  55. E.J. GRUBE, Figura di elefante…, in Eredità dell’Islam…, 1993, n. 5, pp. 69-71. []
  56. IDEM, Il mondo Islamico al tempo di Marco Polo, in Venezia e l’Oriente. Arte, commercio, civilta al tempo di Marco Polo, a cura di A. Zorzi, Milano 1981, pp. 101-158: 140, fig. 143. []
  57. A. SANVITO, Scacchi e tavole da gioco nella collezione Carrand, Firenze 2000, n. 5, pp. 24-25. []
  58. G. CURATOLA-M. SPALLANZANI, Pezzo del gioco degli scacchi, in forma di elefante, in Omaggio ai Carrand…, 1989, n. 143, p. 351; Cfr. inoltre G. CURATOLA-G. SCARCIA, Le arti nell’Islam, 2 edizione, Urbino 2001, p. 259, fig. 111; G. Curatola, Arte Islamica, La grande storia dell’arte, 26, Milano 2006, p. 104, fig. I. []
  59. A. CONTADINI, Islamic ivory…, 1995, p. 144, fig. 2, nota 3. []
  60. A. VON GLADISS, Pezzo da scacchi in forma di elefante, in Islam specchio…, 2002, n. 55, p. 82. []
  61. B. SCHINDLER, L’avorio…, 2007, p. 16. []
  62. A. SANVITO, Scacchi e tavole da gioco nella collezione Carrand, Firenze 2000, p. 24. []
  63. A. PANAINO, La novella…, 1999, pp. 179-180, nota 197. []
  64. M. PASTOUREAU, Medioevo…, 2005, p. 259. []
  65. L. SPECIALE, Ludus scachorum…, in L’enigma degli avori…, 2008, pp. 203-229: 203. []
  66. Idem, Ludus scachorum…, in L’enigma degli avori…, pp. 203-229. []
  67. R. ETTINGHAUSEN-O. GRABAR, Arte y arquitectura del Islam. 650-1250, Madrid 1997, pp. 112-114. []
  68. E.J. GRUBE, Figura di elefante…, in Eredità dell’Islam…, 1993, n. 5, pp. 69-71: 70. []