Tiziana Crivello

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I Vespri siciliani in un sipario dipinto da Giuseppe Carta per l’Unità d’Italia

DOI: 10.7431/RIV04092011

“Quando verrà scritta la storia del risorgimento italiano, si vedrà che, ad incoraggiare i Siciliani nelle lotte della libertà, valsero anch’essi i ricordi del Vespro” così scriveva Francesco Crispi in occasione del VI centenario della rivolta festeggiato a Palermo nel 18821. Un sentimento ripreso nella stessa occasione da Francesco Paolo Perez, che afferma nel suo discorso “Dire ad alta voce a chiunque che noi, rispettosi dell’altrui indipendenza, vogliamo rispettata la nostra; che non sofriremmo diretta o indiretta ingerenza straniera nelle nostre faccende domestiche, che nell’ora del pericolo, ove sorgesse, saremmo tutti compatti a difendere la indipendenza, la libertà e l’unità della patria, come già fecero quei nostri padri nella lunga e gloriosa guerra del Vespro”2.

I fatti a cui fanno riferimento i due importanti personaggi della scena politica siciliana dell’Ottocento prendono spunto da un evento accaduto il 31 marzo 1282. Nell’ora del Vespro, un gruppo di gentiluomini siciliani che sostavano davanti la chiesa di Santo Spirito a Palermo furono fermati da soldati angioini che, approfittando della loro autorità, con la scusa di voler controllare che quelli non avessero armi, oltraggiarono la sposa di uno di loro. L’uomo assalì il francese  uccidendolo. La folla circostante ormai esasperata dalle molteplici angherie degli oppressori si ribellò facendo strage dei soldati francesi. La rivolta così iniziata terminò solo con la pace di Caltabellotta3. È evidente come sia facile la trasposizione di significati tra il ricordo di un passato in cui il popolo siciliano ha trovato il coraggio e la forza per cancellare le offese della dominazione straniera e quanto accadeva agli uomini di Sicilia nell’Ottocento e non importava se fossero Francesi o Spagnoli, perché l’insofferenza verso l’oppressore era la stessa. L’odio provocato dagli esilii, dalle morti, dalla distruzione delle città portarono agli eventi del 1860: l’unità d’Italia e l’insediamento di una sola monarchia da tanto desiderata. I Siciliani appartenenti alla generazione del primo Ottocento, dice sempre Crispi, erano nati mentre si svolgevano i fatti del 1820, sentendo raccontare come il nuovo re avesse distrutto le istituzioni parlamentari con l’abolizione della costituzione del 1812, e come i suoi successori avessero trasformato lo stato in una tirannide. Alla repressione dopo la rivolta “seguì un silenzio di morte, e quanti ebbero desiderio di bene non si lusingarono più che esso verrebbe dalla reggia, ma lo intravidero nel popolo”4. È il popolo, il vero protagonista, l’elemento su cui si punta per ribaltare la situazione storica, per eliminare il dominio borbonico che impediva ogni forma di libertà. Così tutta una classe di intellettuali di primo Ottocento si muove in tal senso con riferimenti più o meno espliciti a quel passato che deve servire da esempio. Il ruolo della classe politica e culturale diviene importante per diffondere quegli ideali che non possono rimanere all’interno di ristretti ambienti selezionati, ma devono raggiungere il maggior numero possibile di persone. Così il tema si diffonde nella letteratura, nella musica, nella pittura e nelle arti decorative. Determinante è, per tale motivo, la figura di Michele Amari. Questi, intorno al 1836, inizia a scrivere la Storia del Vespro 5, opera fondamentale perché oltre a ricostruire l’evento storico, restituisce il merito del compimento della rivolta al popolo, a differenza di ciò che aveva scritto nella sua opera Giovanni Battista Niccolini6. Secondo quest’ultimo il Vespro non nacque spontaneamente dalla rabbia del popolo siciliano, ma fu organizzato da alcuni congiurati, che volevano sostituire alla dinastia angioina quella aragonese, tra i quali risalta la figura di Giovanni da Procida7. Quando Michele Amari terminò il romanzo, questo venne sottoposto all’esame del Censore Canonico Rossi, il quale intervenne nel titolo sostituendolo con Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII 8. L’opuscolo dell’Amari fu comunque osteggiato dal governo borbonico come si evince da una lettera del Ministro Del Carretto luogotenente Generale di Sua Maestà nei reali domini oltre il Faro, pubblicata da Rosa Scaglione Guccione, dove si legge che riguardo al “noto opuscolo […] Per la maniera come si esprime contro le prime dignità della Chiesa e che vanta a lor favore il giudizio dei secoli, non che per le massime d’insurrezione, che si vogliono sempre più accreditare, il Real governo proibisce l’opera. Se ne ritirino le copie. L’autore Michele Amari, sia per ora sospeso sino a nuovo ordine, e venga in Napoli. Si proibiscano fino a nuova disposizione i Giornali La Ruota, quello di Scienze, Lettere ed Arti redatto da Mortillaro, e la Rivista Napoletana9. L’opera molto apprezzata e diffusa, costò quindi al suo autore l’esilio, ma servì come punto di riferimento a  molti artisti a lui contemporanei10.

Mezzo di propaganda efficace è sicuramente anche quello delle arti figurative, più dirette e capaci di raggiungere anche strati della popolazione poco colti o appartenenti a classi sociali medio-basse. Gli artisti siciliani, nel rappresentare questo tema storico, trovano, inoltre, un collegamento forte con le nuove radici romantiche e nazionaliste. Infatti, come nota Simonetta La Barbera “In Sicilia il Romanticismo fu soprattutto un’adesione di carattere politico, che diede sfogo al bisogno di lotta contro il potere politico”11. Dobbiamo poi ricordare che il quadro di soggetto storico, nei primi anni dell’Ottocento è un traguardo ambizioso, un banco di prova per i pittori di maggior prestigio. Così Giuseppe Carta12, figlio di Natale, il quale nel 1879 lavora presso il teatro Regina Margherita di Racalmuto alla decorazione delle volte, dei parapetti e dei palchi, per il sipario  pensa poi di rappresentare proprio la scena dei Vespri per esaltare la neonata unità d’Italia. Non a caso la resa scenografica nasce dalla necessità di disporre ed inquadrare la superficie pittorica bidimensionale nello spazio tridimensionale della scena teatrale, per cui risulta indispensabile la collaborazione tra scenografi e decoratori13. Bisogna poi distinguere il ruolo dei “sipari dipinti” da quello dei “sipari” a cortine di velluto. I primi erano teloni decorati esposti prima dell’inizio dello spettacolo, mentre gli altri erano usati tra un atto e l’altro o alla fine della rappresentazione14. La scenografia del nascente Romanticismo riprendeva il disegno e il segno pittorico, che attraverso la veduta aerea descriveva la natura proiettandovi l’interiorità dell’io. Nell’Ottocento, quindi, si è abbandonato l’illusionismo per far riferimento al presente alla poesia o al romanzo. Realizzando l’«unione dell’idea e del vero» si otteneva quello che Felice Romani indicava come scopo dell’opera, quello di unire musica, poesia e visione15. Il sipario del Carta  esposto prima dell’inizio dello spettacolo aveva lo scopo di richiamare alla mente dello spettatore una scena nota, facilmente riconoscibile, in cui tutti potessero identificarsi. É per questo che nel sipario “la scena acquista un sapore di pittura popolare”16. Rigido nella gestualità delle figure, presenta un gusto per le notazioni realistiche nella bancarella posta a sinistra, inserita in una visione allargata che comprende le absidi della chiesa di Santo Spirito e l’immancabile Monte Pellegrino (Fig. 1). Del pittore, infatti, Franco Grasso che nei quadri storici e mitologici nota “segue gli indirizzi classicheggianti e romantici, ma partecipa infine con piena consapevolezza alle esperienze realiste, come può constatarsi in un bozzetto per i Vespri”17.

Giuseppe Carta era stato allievo di Giuseppe Patania, pittore apprezzato dalla classe dirigente siciliana per i suoi ritratti, ma anche per i dipinti rappresentanti soggetti mitologici. Secondo quanto riporta Agostino Gallo, grande estimatore del Patania, anche quest’ultimo aveva eseguito un dipinto che raffigurava i Vespri Siciliani, infatti, elencando le opere dell’artista nel 1848 cita quattro quadretti uno dei quali proprio su un episodio dei Vespri18. Del dipinto Lanza di Trabia nel 1882 scrive, invece, che il Patania “contentossi di farne un bozzetto, che non fu mai tradotto in grande tela […] Trovasi presso la famiglia Milazzo, e segnatamente è posseduto dall’avvocato Pietro Gramignani”19. Di questa tela non si conosce l’attuale collocazione, ma esistono due disegni, che secondo Ivana Bruno potrebbero essere dei disegni preparatori, si tratta de Il Vespro Siciliano (Fig. 2) e di Carlo D’Angiò apprende la notizia del Vespro Siciliano (Fig. 3) 20. Particolarmente interessante è l’intento realistico del primo, per cui l’episodio principale, l’uccisione del soldato francese svoltosi nella piazza antistante la chiesa di Santo Spirito, riportata fedelmente, si perde tra piccole scenette di genere come quella della donna che suona il tamburello danzando o della processione sullo sfondo e della bancarella con i venditori. Il gusto per l’accento realistico, mentre dona al dipinto il senso della quotidianità, gli fa perdere quel valore patriottico che è presente più chiaramente in altri pittori. I due disegni del Patania sono comunque solo una piccola parte dei numerosi da lui eseguiti trattanti tematiche storiche e che assumono notevole significato se messi in relazione con il clima fortemente politico che si respirava in Sicilia nell’Ottocento. Un esempio è nel disegno pubblicato nell’opuscolo realizzato per il settimo centenario del Vespro Episodio della Rivoluzione del 1820  a Palermo in cui si vede in basso a destra la firma e la data, 1820, ma di cui si sconosce l’attuale ubicazione 21.

Tali ideali di libertà si ritrovano anche in molti suoi allievi tra i quali Luigi Lojacono, padre del più famoso Francesco, ed Andrea D’Antoni.

Luigi Lojacono è soprattutto noto per la realizzazione di piccole scene di battaglia presenti sia alla Galleria D’Arte Moderna di Palermo, che in collezioni private22. La critica, da Maria Accascina23 ad Ivana Bruno24, ritrova in lui spunti tratti dal suo breve soggiorno a Napoli presso Filippo Palizzi e l’influenza della pittura napoletana del Seicento, Micco Spadaro e Salvator Rosa, il tutto mediato attraverso l’opera di Massimo D’Azeglio, che si trovava a Palermo nel 1848. In questi dipinti Lojacono supera la sua formazione neoclassica per approdare, nella dinamicità della composizione e nell’uso del colore, steso con tocco rapido, ad una tendenza romantica. Le tele, rappresentanti le imprese garibaldine, sono riprese dal vero, infatti, il pittore insieme ai figli Salvatore e Francesco, partecipò alla spedizione dei Mille. Sulla stessa scia si può considerare il dipinto i Vespri Siciliani del 1860 (Fig. 4), di recente ritrovato presso una collezione privata di Palermo da Ivana Bruno25. La scena è concitata e si dispiega per tutto il quadro diradandosi sullo sfondo, dove si riconosce la chiesa di Santo Spirito ed il Monte Pellegrino. Rispetto alle altre opere del pittore in cui il movimento della composizione è dato dall’impennarsi dei cavalli e dallo scintillio delle spade, come esaltazione della lotta eroica delle truppe garibaldine, nei Vespri il movimento è dettato da questo disperdersi della folla, in cui si nascondono i personaggi principali. Mancano i protagonisti: la gente del popolo, sovrastata e ingoiata dal paesaggio che li annulla. L’effetto è ovviamente diluito, perso tra le numerosissime figurine e la suggestiva resa paesaggistica.

Per ciò che concerne Andrea D’Antoni bisogna fare un discorso particolare. Tra i pittori siciliani del suo tempo egli sicuramente è il più coinvolto dalle tematiche risorgimentali. Su di lui Maria Accascina scrive un articolo definendolo nel titolo pittore e patriota26, racchiudendo tutto il mondo di questo pittore spesso sottovalutato. Il D’Antoni visse nel primo Ottocento e appartenne a quel gruppo di artisti e letterati che si riunivano presso la casa del Marchese Corradino D’Albergo, insieme ai fratelli Castiglia, Francesco Paolo Perez, Vincenzo Errante, Isidoro La Lumia, Giuseppe Meli, Paolo Emiliani Giudici e Rosina Muzio Salvo. Oltre ad interessarsi di arte si occupava attivamente di politica. Nelle sue opere tutto parla dei suoi ideali e non si fa sfuggire occasione per esprimere il suo desiderio di indipendenza. È il più risorgimentale dei nostri pittori, perché in lui le scelte ideologiche non sono colme di retorica e ciò traspare anche nei ritratti, ad esempio nell’orgoglio di rappresentare se stesso come Esule albanese 27. Sulle riunioni svoltesi presso il salotto del Marchese Corradino D’Albergo, l’Accascina afferma che “mentre però il problema politico era sentito vivamente, per l’arte la teoria non andava di pari passo con i fatti. Del programma romantico si prendeva in esame solo l’assioma «il vero per soggetto», per il resto, dipingere i Vespri Siciliani invece che l’Olimpo, Anita Garibaldi invece che Diana, non pareva cosa del tutto insolita”28. Ciò può essere vero per alcuni dei pittori che si occuparono di tale tema, ma non per il D’Antoni, il quale nella sua grande tela dei Vespri Siciliani trasmette così apertamente il desiderio di libertà dall’oppressione straniera, che il dipinto dovette essere nascosto dai familiari per non essere distrutto dalla polizia borbonica (Fig. 5)29. Quello che colpisce è proprio la scelta di isolare in primo piano la scena principale facendo in modo che l’occhio dello spettatore sia subito attratto dal gruppo di uomini che circondano la donna svenuta per l’oltraggio subito. Tale gruppo si distingue per l’espressione dei volti, che non sono sorpresi da ciò che è accaduto anzi sembra meditino vendetta. Ancora più significativo è il fatto che tra tali uomini vi sia l’autoritratto dello stesso pittore ed il ritratto di Michele Amari, in modo che la scena sia resa attuale dalla presenza reale di coloro che combattevano per la libertà.

Oltre a Francesco Paolo Perez, anche il poeta siciliano Vincenzo Errante frequenta la casa del Marchese D’Albergo e non è un caso se nel suo carme Sull’antico Campo Santo di Palermo ricorda il Vespro e lo sdegno provato dal popolo quando il Viceré Caracciolo ordinò che presso la badia di Santo Spirito, dove si erano svolti i fatti del 1282, sorgesse il nuovo cimitero della città. Indignava il fatto che là dove erano stati sepolti i soldati francesi ora venissero posti anche i siciliani per cui l’Errante scrive “e s’abborriva che in un sito stesso/Giacesser l’ossa de’ nemici e l’ossa/Nostre; la plebe ne fremea; “divisi/ Noi fummo in vita, ogni uom gridava, ancora/L’eternità, l’abisso ci divida!”/Ora giacciono insieme ed in che modo!”30.

Si ispira agli stessi ideali anche il pittore Giuseppe Mazzone31, il quale realizza più volte dipinti rappresentanti il Vespro “che era il tema più comune per dichiarare, in Sicilia, non solo l’opposizione ai Borbone ma anche un desiderio di libertà e di repubblica”32. Il dipinto, presso collezione privata, presenta una visione scenografica, che tende a sottolineare il carattere popolare della rivolta, come si nota nella scena in primo piano con il cavaliere che sguaina la spada, mentre l’uomo del popolo sta per colpirlo con un bastone. La donna oltraggiata ed il marito stanno invece quasi sullo sfondo, seminascosti da un altro gruppo di combattenti. Inseriti in un limpido paesaggio i personaggi sono portatori di un messaggio che è tutto racchiuso in quel braccio alzato dell’uomo che stringe a sè la donna e forse non a caso gli abiti delle figure a lui vicine ripetono quelli del tricolore.

Ma non sono solo i pittori dell’isola a rappresentare i Vespri Siciliani nei loro dipinti, il veneto Francesco Hayez nel 1841 giunse a Palermo da Napoli per osservare i luoghi dove aveva avuto inizio la famosa rivolta e poterli riportare fedelmente sulla tela33. Dipinse alcune versioni sullo stesso tema, ma l’opera definitiva è considerata quella del 1845-1846 oggi alla Galleria D’Arte Moderna di Roma. Il dipinto gli fu commissionato da Vincenzo Ruffo Principe di Sant’Antimo, il quale gli dette anche alcune indicazioni perché l’opera rispondesse ad una maggiore verità storica, rispetto la versione del 1822. Tali direttive si ritrovano in un foglio manoscritto conservato tra le carte dello stesso pittore34. Gli artisti siciliani accolsero con entusiasmo il “celebre dipintore”, raccomandato tra l’altro dallo stesso Ruffo a Vito Beltrami, Gaetano Daita e Salvatore Lo Forte35. Il quadro però non è ritenuto dai critici uno dei più riusciti del pittore e Giulio Carlo Argan scrive “È il tipico comportamento dell’intellettuale che, non volendo compromettersi né rimanere neutrale, fa cadere dall’alto un riferimento dotto che pochi iniziati raccolgono e che lascia, si capisce, il tempo che trova”36. Effettivamente l’Hayez è teatralmente composto e non lascia spazio ai liberi sentimenti, frenati dal perseguire un modello di perfezione statuaria classicheggiante. Risulta tale anche nella versione precedente del 1826-1827 che gli fu commissionata dal conte Francesco Teodoro Arese condannato nel 1823 al carcere duro dello Spielberg a causa della sua partecipazione ai moti rivoluzionari del 1821. Quando l’Arese venne graziato nel 1825 e fu scarcerato commissionò all’Hayez due dipinti, i Vespri Siciliani ed un suo ritratto in catene37. Il pittore sebbene spinto da una committenza che poteva maggiormente  coinvolgerlo compone la scena in modo freddo, seguendo un copione già scritto, in cui manca il trasporto e quasi non si distingue tra l’offeso e colui che offende, tra chi è stanco di subire e  chi ha approfittato sino alla fine del proprio potere. Sulla stessa scia si colloca anche il dipinto I Vespri Siciliani di Michele Rapisardi. Il pittore catanese è stato da sempre accusato di non aver partecipato attivamente alla vita politica del suo tempo e di aver manifestato scarso interesse per i moti rivoluzionari che sconvolsero la Sicilia nel 1820 e nel 1848. In realtà il Rapisardi si occupò solo marginalmente di tematiche risorgimentali. Nel quadro l’Angelo Italia-ovvero Iddio lo vuole del 1848, il suo sentimento patriottico è affidato ad un’allegoria, mentre il tema è sentito maggiormente nel San Vito ed Artemia forse perché suggerito dalla committenza, la gente di Mascalucia, la quale si identificava facilmente con il Santo imprigionato ed ucciso dai romani per non aver rinnegato la propria fede38. Luisa Paladino nota di lui “Rapisardi non esprime alcuna partecipazione diretta alle vicende nazionali e nessun impegno nei confronti della società a lui contemporanea”39, forse per questo il pittore affrontò il tema dei Vespri solo nel 1864, ormai lontano dalla “metafora indipendentista”. Guardando la tela ciò che colpisce è l’attenzione al disegno dei singoli personaggi, di cui esistono numerosi studi, ma anche la precisione con cui è reso il paesaggio, caratteristica propria del Rapisardi. La studiata teatralità delle figure impedisce, però tra tutta questa perfezione, che traspaiano i sentimenti che dovrebbero animarlo. Il quadro comunque rimane incompiuto forse perché l’artista si rese conto di non poter raggiungere quella sintesi tra gli elementi che avrebbero dovuto portarlo verso un rinnovamento, unendo al realismo morelliano, la sincronia dei vari momenti dell’azione derivategli dall’Ussi e l’attenzione verso gli effetti di luce.

Un altro dipinto accusato di eccessiva teatralità è quello del romano Erulo Eruli, che sebbene vinse la medaglia d’oro all’Esposizione Nazionale di Palermo del 1891-92,  raccoglie pareri discordanti. In un articolo del 1891 si rimarca la distinzione tra i detrattori e gli ammiratori del dipinto e mentre per i primi “questo non è un quadro – dicono – è una buona tela da appiccicare sul sipario di un teatro” i secondi affermano “Il suo pregio principale è nella correttezza del disegno e nell’armonia dell’insieme”40. La scena è collocata sotto il portico della chiesa di Santo Spirito, creata dal contrasto tra l’ombra e la luce che erompe dall’esterno, ma la teatralità dei gesti appare fredda, sottolineata da un’eccessiva attenzione ai particolari soprattutto negli abiti sia siciliani che francesi, i quali “paiono usciti or ora dalle mani del sarto; sono abiti troppo nuovi, dai colori troppo nitidi e vivaci e paiono proprio abiti da parata”41. Per l’esecuzione del dipinto l’Eroli si basa su indicazioni avute dall’amico Giuseppe Lanza con “precise disposizioni narrative, storiche e di costume, entro cui potersi orientare”42.

I dipinti, aventi per soggetto tematiche storiche e fatti successivamente al 1860, assumono un nuovo significato diventando modelli ideali per la recente unità d’Italia. Esemplare è il ricordo della visita fatta da Giuseppe Garibaldi a Palermo in occasione del sesto centenario del Vespro, il 14 aprile 1882. Garibaldi viene accompagnato in carrozza alla chiesa di Santo Spirito, detta appunto del Vespro. Francesco La Colla ripropone un articolo dell’ Amico del popolo in cui, con dovizia di particolari, è descritta tutta la giornata. Garibaldi è accompagnato dalla sua famiglia e dalle maggiori personalità politiche della città, fra cui il sindaco Marchese Ugo e la moglie, il senatore La Loggia ed altri, acclamato da una folla osannante43. Giunti davanti al prospetto restaurato della chiesa, Garibaldi scambia con il signor Perdichizzi, propugnatore del restauro, qualche parola e poi rivoltosi alla folla afferma “In questo luogo i nostri padri palermitani (e dico nostri perchè anch’io mi sento palermitano) mostrarono al mondo come si abbattono i tiranni44. Dell’evento esiste una stampa Garibaldi alla chiesa del Vespro arringa la folla opera di Carmelo Giarrizzo, in cui l’eroe dei due mondi è rappresentato al centro di una folla osannante sulla carrozza davanti la storica chiesa tra le bandiere tricolori45. La committenza ufficiale, la borghesia che ha ormai acquisito il potere, aspira quindi ad una reale unificazione e in ambito artistico si identifica con il desiderio di rinascita dell’impero che aveva come centro Roma. L’esaltazione dell’Italia umbertina è propria di uno dei nostri artisti più famosi, Giuseppe Sciuti. Il pittore, noto per i suoi quadri che riprendono tematiche tratte dalla storia della Sicilia antica, vive a Palermo quando questa è una raffinata capitale di eleganza e mondanità grazie alla sua classe aristocratica e all’imprenditoria borghese. Quest’ultima, dopo aver conquistato il ruolo di classe dirigente, si rende conto del potere dell’arte e dei suoi risvolti politici, per cui vi investe soprattutto se i soggetti rappresentati fanno riferimento a tematiche storiche e ancor di più se sublimate nel mondo greco e romano. L’evento storico assume il valore di un “sottile codice politico” che ha maggior pregio se espresso da un artista siciliano, il quale rievoca un illustre passato per creare un futuro migliore. Tra le opere meno note di Giuseppe Sciuti, portavoce di queste nuove istanze post-unitarie, sono il bozzetto ed il cartone preparatorio per I Vespri Siciliani (La storia attraverso i secoli), eseguiti per gli affreschi, purtroppo perduti, del villino dell’amico Prof. Durante e che oggi si trovano alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma46. Il cartone, come è caratteristica del pittore, è incorniciato in una struttura architettonica. Si deve ricordare infatti che, grazie al tirocinio svolto da Sciuti presso un decoratore a Giarre, il pittore riesce con disinvoltura ad arricchire anche grandi spazi con volute architettoniche entro le quali colloca “le folle agilmente inserite nella monumentalità prospettica degli sfondi”47. La composizione è particolarmente dinamica perché pone in primo piano i due uomini, il francese ed il siciliano, nel momento dell’uccisione quando in genere si preferiva scegliere quello successivo all’azione. Per dare maggiore risalto alle due figure, Sciuti decide inoltre di non giocare sulla sensualità della donna offesa, spesso rappresentata nel momento del mancamento con il seno scoperto, ma la pone tra le braccia dello sposo, di schiena. Tipico poi del pittore è anche il modo di comporre la scena, ponendo in primo piano le due figure che fanno quasi da sipario a ciò che succede sullo sfondo dove si vede la folla pronta all’azione ed in lontananza la chiesa di Santo Spirito. Determinante per la formazione di Giuseppe Sciuti fu il soggiorno napoletano presso Domenico Morelli. In genere si può dire che il sud Italia presenta due filoni artistici: nella Sicilia occidentale c’è una maggiore predilezione per Filippo Palizzi e Giacinto Gigante, che porterà allo sviluppo dei paesaggisti Francesco Lojacono, Antonino Leto e Michele Catti48; nella Sicilia orientale l’influenza è marcatamente morelliana in pittori come Paolo Vetri49 e Giovanni Di Giovanni.

Appartiene all’area orientale dell’isola anche il messinese Giacomo Conti50, il quale studiò prima a Napoli e poi a Roma e che come nota l’Accascina “Fu l’artista più noto tra i letterati e storici del tempo”51. Nei suoi numerosi soggiorni a Firenze conobbe il D’Azeglio, il Duprè, l’Ussi, il Sabatelli, ma, come il Rapisardi, non seppe cogliere gli elementi innovativi della pittura fiorentina dell’epoca. Tra il 1868 e il 1870 eseguì la grande tela de’ I Vespri Siciliani esposta a Firenze ed a Messina, poi acquistata dal Museo Civico della città natale dell’artista nel 1885 e purtroppo distrutto nel terremoto del 190852. Della tela esiste un bozzetto e una riproduzione fotografica conservati alla Galleria D’Arte Moderna di Palazzo Pitti di Firenze. “Forse l’opera più meditata e matura del Conti”53, secondo Gioacchino Barbera, ma che si rifà ad un modello troppo sfruttato, didascalico ed ufficiale.

Tutti i dipinti presi in esame sino ad ora, rappresentano il momento iniziale della rivolta dei Vespri e presentano un’unità di composizione che varia solo in funzione dell’intensità espressiva che spesso nasconde una partecipazione più o meno sentita agli avvenimenti risorgimentali che si svolgevano in Italia nell’Ottocento. Quest’impostazione è però superata nell’opera di uno dei pittori più noti ed influenti del tempo, Domenico Morelli. Il pittore è il punto di riferimento per un’intera generazione di artisti napoletani e, come già accennato, di tutto il sud Italia come esponente di maggior spicco del “verismo storico”. Partecipò attivamente ai moti rivoluzionari del 1848 dove fu ferito e riuscendo ad evitare la fucilazione. Il Morelli nelle sue opere cerca, come dice egli stesso “di rappresentare figure e cose non viste, ma immaginate e vere ad un tempo”54. Questa sua adesione al romanticismo conduce ad un’arte accusata da alcuni critici, come il Somarè, di essere declamatoria o ancor peggio “drammaturgia romantico-religiosa”55. Eppure Morelli riesce a trasmettere molte delle innovazioni del suo tempo ed a diffonderle svecchiando un modo di concepire l’arte chiuso entro gli ambiti accademici. Tra le sue opere più note vi sono appunto I vespri siciliani, realizzata tra il 1859 e il 1860 per il principe del Cassero. Il dipinto, sebbene tratti il tema dell’inizio della rivolta del 1282, presenta un’impostazione particolare. L’evento principale, quello dell’oltraggio fatto alla giovane donna siciliana dal soldato francese, è posto sullo sfondo mentre in primo piano si scorgono tre fanciulle che scappano spaventate. È forte il contrasto tra queste due parti dello stesso discorso, il paesaggio naturalistico con la chiesa attutisce l’effetto della rivolta in secondo piano, mentre stupisce “l’audacia espressiva del movimento incomposto del corpo e del volto delle figure femminili”56. Francesco Crispi afferma che la storia è una catena di avvenimenti, in cui i primi sono causa, mentre gli ultimi sono effetti inevitabili per cui “il Vespro non fu indarno ricordato e divulgato”57. Il periodo che inizia con la rivoluzione del 1848 sino all’impresa garibaldina del 1860 è caratterizzato da trasformazioni socio-economiche, che vedono la partecipazione di vari strati della popolazione ed avvenimenti che coinvolgono tutti i ceti. Gli artisti escono “dalla cerchia del palazzo nobiliare, della chiesa, dell’accademia, s’impegnano nel dibattito politico, respirano più profondamente le istanze romantiche, riscoprono la storia, la natura, il vero come fatti essenziali della vita e della realtà, circolano più liberamente, partecipano più attivamente alle vicende dell’arte italiana”58.

Le fotografie sono di Enzo Brai; per le immagini n. 2, 3 e 5 si ringrazia la Galleria Interdisciplinare Regionale della Sicilia di Palazzo Abatellis.

  1. F. CRISPI, Il Vespro ed il Risorgimento italiano, in Sicilia-Vespro VII centenario (1282-1982). Ristampa anastatica dell’edizione del 1882, a cura di G. Pitrè. Nota introduttiva di R. La Duca. Premessa di F. Giunta, Palermo, 1982, p. 31. []
  2. Sicilia – Vespro.., 1982, p. XIV. []
  3. S. DI MATTEO, Storia della Sicilia. Dalla preistoria ai nostri giorni, Palermo 2006, pp. 203-218. []
  4. F. CRISPI, Il Vespro…, in Sicilia – Vespro…, 1982, p. 31. []
  5. M. AMARI, Racconto popolare del Vespro Siciliano, Roma 1882. []
  6. Ricordi della vita e delle opere di G.B. Niccolini raccolti da A. VANNUCCI, Firenze 1866. []
  7. Il Vespro nei suoi poeti. Galatti-Navarro – Niccolini, Palermo 1882. []
  8. Cfr. Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Accademia Nazionale di Scienze Lettere ed Arti, Palermo 1988. []
  9. R. SCAGLIONE GUCCIONE, Michele Amari presidente della società siciliana di Storia Patria, in Michele Amari Storico e Politico. Atti del seminario di studi 27-39 nov. 1989, pp. 372 -373; su questo argomento cfr. anche R. GIUFFRIDA, Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII, Accademia Nazionale di Scienze Lettere ed Arti, Palermo 1988. []
  10. Anche Antonio Galatti e Vincenzo Navarro pubblicarono nel 1835 due tragedie  che avevano come tema il Vespro Siciliano. Molti artisti ed intellettuali siciliani furono costretti all’esilio per sfuggire alle punizioni della polizia borbonica, tra gli altri artisti  ricordiamo Andrea D’Antoni, che insieme ai fratelli Lorenzo e Salvatore dovette trasferirsi per un periodo di tempo a Malta. Su Andrea D’Antoni Cfr. T. CRIVELLO, Andrea D’Antoni. Pittore siciliano dell’Ottocento, Tesi di Specializzazione in Storia dell’Arte Medievale e Moderna (LUMSA) relatore V. Abbate, A.A. 2001-2002. []
  11. S. LA BARBERA, La pittura siciliana dell’Ottocento nella coeva stampa periodica: note di critica d’arte, in La pittura dell’Ottocento in Sicilia, tra committenza, critica d’arte e collezionismo, a cura di M. C. Di Natale. Introduzione A. Buttitta, con testi di S. La Barbera, I. Bruno, M. Vitella, Palermo 2005, p. 39. []
  12. Su Giuseppe Carta Cfr. F. GRASSO, Ad vocem, in L. SARULLO, Dizionario degli artisti siciliani. Pittura, a cura di M. A. Spadaro, vol. II, Palermo 1993, pp. 981-982. []
  13. Rocco Lentini, a cura di F. Lentini Speciale, U. Mirabelli, introduzione A. Purpura, Palermo 2001, p. 195. []
  14. F. GRASSO, ad vocem, in L. SARULLO, Dizionario…, vol. II, 1993, p. 197. []
  15. M. VITALE FERRERO, Luogo teatrale e spazio scenico, in Storia dell’opera italiana, vol. V, Torino 1998, pp. 88-94. []
  16. F. GRASSO, Ottocento e Novecento in Sicilia, in Storia della Sicilia, vol. X, Napoli 1981, p. 179. []
  17. F. GRASSO, Ad vocem, in L. Sarullo…., vol. II, 1993, pp. 981-982. []
  18. A. GALLO, Notizie, ms. XIX sec., B.C.R., XV H20, f. 299. []
  19. P. LANZA DI TRABIA, Di alcuni quadri sul Vespro Siciliano, in Sicilia-Vespro…, 1982, p. 27. []
  20. I. BRUNO, Giuseppe Patania. Pittore dell’Ottocento, Prefazione M. C. Di Natale, Caltanissetta-Roma, 1993, pp. 222-223. []
  21. Sicilia – Vespro…, 1982, p. 24. []
  22. Per Luigi Lojacono cfr. M. VITELLA, Una traccia per Luigi Lojacono, in Francesco Lojacono 1838 -1915, a cura di G. Barbera, L. Martorelli, F. Mazzocca, A. Purpura, C. Sisi, Milano 2005, pp. 368-375. []
  23. M. ACCASCINA, Ottocento siciliano. Pittura, Roma 1939 – rist. Palermo 1982. []
  24. I. BRUNO, La pittura dell’Ottocento nella Sicilia Occidentale. Artisti e mecenati, in La pittura dell’Ottocento…, 2005, p. 107. []
  25. Ibidem, pp. 63-174. []
  26. M. ACCASCINA, Andrea D’Antoni. Pittore, Patriota e Cospiratore, in «Giornale di Sicilia», anno XVI, 4 dicembre 1937; cfr. anche Maria Accascina e il Giornale di Sicilia 1934 – 1937. Cultura tra critica e cronache, a cura di M. C. Di Natale, vol. I, Caltanissetta 2006, pp. 384-386; T. CRIVELLO, Andrea D’Antoni, “pittore innamorato di libertà e di patria”, in Storia, critica e tutela dell’arte nel Novecento. Un’esperienza siciliana a confronto con il dibattito nazionale. Atti del Convegno internazionale di Studi in onore di Maria Accascina, a cura di M. C. Di Natale, Caltanissetta 2007, pp. 458-461. []
  27. M. C. DI NATALE, Dal collezionismo al museo, in La pittura…, 2005, p. 26. []
  28. M. ACCASCINA, Ottocento…, 1939, rist. Palermo 1982, p. 52. []
  29. La fotografia scattata da Elia Interguglielmi nel 1890 ca. consente di ammirare il dipinto del D’Antoni sullo sfondo nella sua originaria collocazione presso la casa  del Duca della Verdura. La riproduzione fotografica è stata concessa su autorizzazione della Galleria Interdisciplinare della Sicilia di Palazzo Abatellis. Sulla famiglia di fotografi Inregugliemi cfr. Gli Interguglielmi. Una dinastia di fotografi, Introduzione di C. Bertelli, testi di M. Di Dio, E. Scaglia, Palermo 2003. []
  30. Sicilia-Vespro…, 1982, p. 26. []
  31. L. GIACOBBE, Ad vocem, in L. Sarullo, Dizionario…., vol. II, 1993, pp. 349. []
  32. G. MANGIONE, Il pittore sconosciuto, in Giuseppe Mazzone. Pittore dell’Ottocento vittoriese, Vittoria sd. []
  33. La data del soggiorno di Francesco Hayez a Palermo è desunta dall’articolo già citato del P. Lanza di Trabia, anche se altre fonti riportano il 1844. Entrambe concordano però nel sottolineare il desiderio di rendere in modo preciso i luoghi dove si svolsero i fatti del 1282, intento sottolineato dalle direttive del committente dell’opera. []
  34. Civiltà dell’Ottocento. Le arti figurative, Napoli, 1997, p. 483. []
  35. Ibidem. []
  36. G.C. ARGAN, L’Arte moderna 1770-1970, Milano 1979, p. 12. []
  37. L’opera completa di Hayez, presentazione di C. Castellaneta, apparati critici e filologici di S. Coradeschi, Classici dell’Arte, n. 54, Milano 1971, p. 90. []
  38. T. CRIVELLO, Il San Vito ed Artemia di Michele Rapisardi. Il culto di San Vito a Catania dalle testimonianze pittoriche dell’Ottocento, in Congresso internazionale di studi su San Vito ed il suo culto, Atti a cura di F. Maurici, R. Alongi, A. Morabito, Mazara del Vallo 2002, pp. 161-168. []
  39. L. PALADINO, Michele Rapisardi, nelle collezioni catanesi, Catania 1990, p. 23. []
  40. Nelle Belle Arti. Il Vespro Siciliano di Erulo Eroli, in L’Esposizione Nazionale di Palermo 1891-1892, Milano 1891, dispensa n. 8. []
  41. Ibidem. []
  42. F. LEONE, Scheda I.5, in Galleria d’Arte Moderna di Palermo. Catalogo delle opere, a cura di F. Mazzocca, G. Barbera, A. Purpura, Milano 2007, p. 76. []
  43. F. LA COLLA, Ricordo del 6º Centenario del Vespro Siciliano. Celebrato in Palermo a 31 marzo 1882, Palermo 1991. []
  44. Ibidem, p. 317. []
  45. Ibidem, Su Carmelo Giarrizzo cfr A. D’ANTONI, Ad vocem, in L. Sarullo, Dizionario…, vol.II, 1993, pp. 230-231. []
  46. Giuseppe Sciuti, a cura di M. Calvesi, A. Corsi, Nuoro 1989, p. 183. []
  47. Ibidem, p.18. []
  48. Cfr. F. GRASSO, Ottocento e Novecento in Sicilia, in Storia della Sicilia, vol.X,  Napoli 1981, pp.169-257; L. Bica, Ottocento in Sicilia. Città e paesaggio nella pittura, Palermo 1994. []
  49. Per Paolo Vetri Cfr. M.C. DI NATALE, Paolo Vetri, Enna 1990. []
  50. L. GIACOBBE, ad vocem, in L. Sarullo, Dizionario…, vol. II, 1993, pp. 104-105. []
  51. M. ACCASCINA, Ottocento…, 1939, rist. 1982, p. 57. []
  52. L. GIACOBBE, Un quadro distrutto di G. Conti: I Vespri Siciliani, in “Quaderni dell’Istituto di storia dell’arte medievale e moderna. Facoltà di Lettere e Filosofia. Università di Messina”, n. 11, 1989; G. BARBERA, Appunti sulla pittura dell’Ottocento in Sicilia, in Sicilia Arte e Archeologia dalla preistoria all’Unità d’Italia, catalogo della mostra , Cinisello Balsamo 2008, pp.165-180. []
  53. G. BARBERA, La pittura dell’Ottocento in Sicilia, in Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento, n. 21, Milano 1992, p. 38. []
  54. F. BELLONZI, La pittura di storia nell’Ottocento italiano. Mensili d’Arte, Milano, 1967, p. 95. []
  55. Ibidem. []
  56. Civiltà dell’Ottocento….., 1997, p. 531. []
  57. F. CRISPI, Il Vespro…,  1982, p. 34. []
  58. F. GRASSO, Ottocento…., in Storia…., vol. X, 1981, p. 178. []