Raimondo Mercadante

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Architettura e arti decorative nell’Hôtel Pourtalès di Félix Duban. Parigi 1837

DOI: 10.7431/RIV04082011

L’architettura dell’hôtel Pourtalès1, costruito a partire dal 1837 dall’architetto Félix Duban per il conte James Alexandre de Pourtalès-Gorgier (28 novembre 1776-24 marzo 1855)2 e terminato nel 1839, conta tra le punte più elevate mai raggiunte del progetto e della realizzazione pratica dell’hôtel particulier parigino del XIX secolo.

Definito in occasione dei funerali di Duban come “un gioiello3 da César Daly, direttore della Revue Générale de l’architecture, la voce più significativa della stampa specializzata d’architettura in Francia e probabilmente in tutta Europa4, o ancora come «l’abitazione privata più notevole, la più veramente elegante che abbia prodotto l’arte contemporanea del nostro paese» da Henri Delaborde5, l’hôtel sulla rue Tronchet riunisce in sé i caratteri essenziali dell’habitat per l’alta borghesia e la nobiltà parigina dell’epoca. Vi si accentuano la funzione di galleria d’arte e di museo privato che distinguono il committente, un aristocratico della recente nobiltà sorta in epoca napoleonica, molto amante dell’arte, che decide di stabilirvisi da solo dopo la morte della moglie, mentre i figli rappresentano una presenza frequente ma autonoma.

Studiato soprattutto da Robin Middleton6, questo edificio risulta difficile da conoscere nei minimi dettagli della sua storia e negli aspetti decorativi, a causa di una difficoltà nel pervenire ai documenti che potrebbero illuminarci. Anzitutto, per ciò che riguarda la documentazione del Municipio di Parigi, non è pervenuta che una pianta del catasto (Fig. 1) presso gli Archives Nationales7, essendo andata in fumo la documentazione sugli anni di costruzione e sulle modifiche intervenute al momento della Comune parigina del 1870, che interessò l’Hôtel de Ville. All’Ecole des Beaux Arts, dove si conservano i disegni di Duban, si sono potuti ritrovare soltanto, come inediti rispetto alle precedenti ricerche, tre disegni, che mostrano la facciata ed un dettaglio dell’atrio8 (Figg. 234), ma niente sulla galleria nè sulla collocazione delle opere d’arte al suo interno. Sembra anche che presso gli eredi della famiglia Pourtalès non si conservino altre risorse.

Jacques Pons riconosce, nella sua tesi per l’Ecole des Chartes, uno dei lavori più approfonditi mai eseguiti sull’opera di Félix Duban che:  «Non è stato possibile trovare alcuna fonte documentaria. Alcune fonti iconografiche si trovano nella seconda raccolta di disegni di Duban conservato alla biblioteca dell’Ecole des Beaux-arts. Senza indicazione alcuna; questi schizzi sono difficili da interpretare per il loro aspetto sovente molto dettagliato.9 Un gran numero si riferisce all’arredamento interno, impossibile da interpretare a causa delle radicali modifiche subite dagli appartamenti.»10

D’altra parte,  disponiamo di alcune fonti bibliografiche contemporanee al palazzo e di un certo numero di fotografie. Essenziale per immaginare l’aspetto originario della corte e delle coperture prima dell’intervento di Hippolyte-Alexandre Destailleur è il libro di Victor Calliat11 che riproduce fedelmente molti dei decori sulle facciate interne ed esterne; l’opera illustrata di Edmond Texier Tableau de Paris (1852), fornisce invece un affresco della situazione artistica, della vita culturale, del gusto delle grandi famiglie cittadine: fra le altre residenze alto borghesi e nobiliari, il palazzo “all’italiana” di Duban vi è descritto come uno specimen della più moderna architettura privata e ad un tempo come una curiosità del quartiere intorno alla chiesa della Madeleine. Delle fotografie di un certo interesse sono state eseguite da Fiorillo, nel 187012 e nel 1909 da Eugène Atget13 (Figg. 56). Negli ultimi anni, in più, numerosi studi hanno iniziato ad analizzare sotto differenti aspetti gli interessi culturali propri alla personalità di Pourtalès medesimo, e alle sue opere d’arte. Oltre agli studi menzionati, vanno ricordati quelli di Elisabeth Foucart-Walter, Olivier Boisset, Bruno Centorame, Alexandre Gady14.

Obiettivo di questo contributo è analizzare il rapporto tra le soluzioni decorative adottate da Duban e il gusto del committente, valutando in particolare se esiste una relazione privilegiata con il gusto per i pittori Primitivi, di cui Pourtalès fu celebre collezionista, possedendo fra l’altro uno dei primi Antonello che siano poi entrati nelle raccolte pubbliche parigine, “il Condottiero” (Fig. 7).

I. Il progetto architettonico di Duban

L’hôtel Pourtalès si distacca sensibilmente dagli altri edifici a carattere speculativo del quartiere Madeleine : una eleganza più aristocratica ed una certa austerità della facciata su strada lo distinguono. Il quartiere della Madeleine, già noto come ville l’Evêque, era già da diversi decenni ambito per l’edificazione di palazzi aristocratici. Louis Hautecoeur ha registrato un aumento dei prezzi delle costruzioni e dei materiali durante l’età della monarchia di Luglio, nel contesto di un ritorno al lusso e di una vera competizione per l’hôtel più prestigioso15.

Victor Calliat stesso nota «che un progresso reale si era fatto sentire da una ventina d’anni nella costruzione delle case private che si sono viste innalzare da ogni parte a Parigi […] Il risultato è dovuto a due cause: al sapere sempre crescente dei nostri architetti ed a un miglioramento sensibile nel gusto pubblico. Perché bisogna riconoscerlo, il grande movimento delle intelligenze, dovuto ai calmi e fecondi anni della Restaurazione e che si manifestò verso il 1830, ha reagito nella maniera più felice sulle nostre arti e l’architettura non vi è rimasta estranea.»16. È significativo come Texier definisca i progressi nelle abitazioni private: «Non è da molto tempo che ci si sa alloggiare in Francia; il confort e l’eleganza non sono di antica origine: i vasti hôtels del medioevo erano inabitabili», la civilizzazione ha migliorato le cose ma al tempo stesso si pone un problema di gusto e di cultura a cui la modernità del XIX secolo risponde con difficoltà: «Una società nuova, dischiusa all’improvviso da una rivoluzione, può avere dell’oro e del lusso, ma sono il tempo e la tradizione che danno il gusto […] Ci si è accontentati di imitare il passato, di riparare i disastri, di mettere a posto le rovine; si è stati troppo soddisfatti di ritrovare alcuni resti di questo lusso della grande epoca francese, e di riprodurli nel migliore dei modi. Ne è risultato che la maggior parte delle nostre grandi abitazioni si assomigliano come esse si assomigliavano  cent’anni fa ma, ecco! il difetto di questo gusto individuale che si è tanto celebrato […]. La varietà dei dettagli non basta a togliere la tristezza e la monotonia. Così l’abitante di Parigi, visitando Londra, troverà bene, è vero, delle differenze, delle sfumature facili da cogliere; ma tuttavia, conoscendo l’una, non proverà alcuna sorpresa vedendo l’altra; al contrario chi conosce Venezia sarà altrettanto colpito dall’aspetto di Costantinopoli, di Agra, del Cairo o di Mosca, quelle sono tipi distinti, variegati e riconoscibili. Ebbene, noi vorremmo che fosse lo stesso nelle abitazioni moderne, che vi fossero dei punti di vista all’interno e delle sorprese per l’occhio.»17

È evidente, nelle parole di Texier, il riferimento all’architettura veneziana ed orientale nell’intenzione di creare, a partire da un sapiente mélange degli stili storici, una sintesi che sarà il gusto dell’abitazione moderna; la descrizione di un altro palazzo del Faubourg Saint-Honoré rinomato per i lussuosi interni, l’Hôtel de Rambouillet, evoca da vicino la Galleria dell’Hôtel Pourtalès:  «Il primo luogo in cui si entra è un atrio o vestibolo allungato che, attraverso una deviazione inattesa, vi porta nella  galleria del pianterreno. Lunga quaranta-cinque piedi, larga ventidue e alta  trentasei ; questa sala è terminata da un lato da una immensa finestra ad ogiva […]  La decorazione di questa sala consiste principalmente nei quadri e nelle meravigliose cornici che li contengono. È solamente su queste cornici scolpite che si trovano delle dorature»18.

Una evoluzione è intervenuta nel consumo dell’architettura per le classi elevate e la ricerca di un miglior comfort per le abitazioni, che è al fondo la tendenza principale dell’architettura francese, soprattutto nel periodo successivo, vale a dire dal 1848 in poi, quando il positivismo tradurrà in architettura le esigenze della vita moderna; ma questo sviluppo di una relativa oggettività del programma architettonico è in realtà subordinato alla elaborazione in chiave poetica e storica degli ambienti interni, che risente fortemente del Romanticismo di quegli anni. L’hôtel Pourtalès infatti si presenta del tutto sacrificato, nei suoi spazi ricettivi, rispetto agli spazi previsti per la collocazione delle opere d’arte. Entrando dall’atrio carrozzabile, al piano terreno si trovavano i locali di servizio e le scuderie, al fondo della corte. Al piano nobile, l’anticamera, la sala da pranzo, salone, biblioteca, tutti di dimensioni modeste e poi la lunghissima galleria dei dipinti, seguita da sala etrusca, gabinetto dei vetri, cappella (Fig. 8).

In un libro essenziale su questo periodo, David van Zanten ha detto: «Intorno all’anno 1830 emerse a Parigi un gruppo di architetti che studiò la storia dell’architettura con un nuovo, preciso metodo di analisi spaziale e strutturale. Ciò permise loro di intuire l’oggetto nei termini dei suoi principi organici e perciò di essere a proprio agio con la storia e di  non essere controllati dalle sue forme (…) I protagonisti di questo gruppo erano quattro amici: Félix Duban (1796-1871), Henri Labrouste (1801-75), Louis Duc (1802-79), e Léon Vaudoyer (1803-72). Essi furono sempre visti come un gruppo.»19    

L’opera di Duban nasce da una tensione contro il classicismo ortodosso divulgato da Quatremère de Quincy, pur mantenendo le distanze al tempo stesso dal radicalismo neogotico di Viollet-le-Duc, «nel momento in cui – come  afferma ancora César Daly per i funerali dell’architetto20 sotto il nome generale di Romanticismo, una reazione si faceva  sentire da ogni parte contro gli eccessi di dottrina della scuola classica, eccessi che generavano  falsi nell’arte e la noia nelle anime».

Contro la normatività dell’autore dell’Encyclopédie Méthodique de l’architecture, contro un tipo di  sapere artistico organizzato didatticamente nei dizionari e nelle regole di bellezza definitivamente fissate, Duban oppone il culto della sensibilità, che s’incrocia ammirevolmente con la personalità del suo mecenate, James Alexandre de Pourtalès, con il quale condivide un profondo interesse per l’arte del primo Rinascimento e per l’Antichità: «Duban era mirabilmente favorito dalla natura – testimonia Vaudoyer – : tutto nella sua persona permetteva di conoscere l’uomo superiore […] Duban coltivava la sua arte con passione; tutte le sue produzioni si facevano notare per una rara distinzione, un gusto squisito ed un’ eleganza che gli era tutta personale»21.

Il gusto e l’eleganza si traducevano in uno stile che, guardando ai maestri della tradizione francese come Philibert de l’Orme, fonde il gotico e la cultura dell’antichità: «Greco per l’istinto – osserva Beulé, segretario dell’Académie des Beaux Arts nel suo Eloge aveva compreso, di buon ora, la colorazione e le delicatezze  dell’arte di Pompei. Ma Firenze, questa Atene dei Medici, divideva le sue adorazioni; egli si era imbevuto del sentimento di tutte le grazie italiane; ne’ Vignola, ne’ Palladio lo attiravano; egli inclinava per Bramante  e non era senza parentela intellettuale con questo artista, così elegante ed abile nel decorare.»22 

L’esterno dell’edificio si allinea con purezza di forme al taglio della rue Tronchet, dove l’abilità di Duban si fa ammirare per l’impiego del decoro architettonico (Fig. 9): nel portale dal disegno geometrico (Fig. 10),  posto in asimmetria sull’asse della facciata, citato anche da Charles Blanc come caso esemplare di una lecita deviazione dalla norma della specularità nella decorazione23.

Spiccano  sulla facciata il delicato disegno delle girali all’antica, fedelmente riprodotto nelle tavole di Calliat, e delle cornici delle finestre, che avrebbero costituito l’archetipo dei modelli ornamentali diffusi poi massicciamente per l’edilizia haussmanniana nei decenni successivi (Figg. 1112131415)24.

“Le pareti laterali del portico d’ingresso, che conduce alla corte, sono già decorate a destra ed a sinistra di statue e di frammenti antichi in marmo –  ci ragguaglia ancora Texier – in numero di trentadue, provenienti dalle collezioni Choiseul, Fauvel, Mazois , Dodwell, Mimaut, della Malmaison.25

Attraversando la porta carraia (Fig. 16), ancora oggi si mostrano incorniciati nella parete a sinistra dei rilievi di maestri cantori in atto di leggere una partitura su un rotolo di pergamena e musici a suonare strumenti musicali: si tratta, come si è potuto appurare, di calchi dei rilievi di Luca della Robbia nella cantoria del duomo di Firenze (Figg. 1718). Poiché la cantoria rimase smontata dal 1688 fino al 1891, quando venne ricostituita su un progetto di Luigi del Moro e i musei europei si interessarono relativamente tardi a questo importante insieme di sculture (il South Kensington Museum acquisì i calchi solo nel 1877, la collezione Jacquemart-André, che comprende i putti reggi candela della cantoria, fu iniziata verso il 1860), gli esemplari inseriti decorativamente nell’androne dell’hôtel Pourtalès si possono forse considerare tra le prime testimonianze di attenzione per queste opere del Quattrocento fiorentino26.

Di certo, l’ingresso al palazzo di James Alexandre conservava l’apparenza di un percorso iniziatico all’arte, accompagnato dalla musica e dai simboli del potere, di cui la statua di Augusto (Fig. 19), già proprietà del Cardinale Richelieu,  era l’elemento fondamentale27.

Simile incertezza persiste sui bronzi, copie di ritratti romani che dominano le paraste della corte; in un ambiente di gusto italiano, per l’uso della pietra arenaria nell’inquadratura degli ordini architettonici, alternata ai pieni in stucco bianco, si leva ancora una fontana, sormontata ancora da un busto “romano”.  La presenza di una fontana (Fig. 20) è anch’essa una citazione italiana, tipica del gusto di Duban, che avrebbe voluto impiantarne una, in occasione dei lavori al Louvre, preferibilmente quella degli Innocenti di Jean Goujon, sulla prima Corte28. Proprio ai lavori di decorazione dovette probabilmente collaborare Joseph Michel Le Soufaché29, architetto e scultore che partecipò con Duban anche nel cantiere del castello di Dampierre, per il duca di Luynes.

Altri dettagli interessanti sono le iniziali “PG” (Fig. 21) incise sulle colonne della corte, che ricordano il decoro che sarà utilizzato a Blois con le lettere “HC” per indicare Enrico III e Caterina dei Medici, i cartigli con i nomi dei grandi geni dell’Antichità da Fidia a Raffaello  ed un rilievo di Venere con un Eros sull’ingresso dello scalone, di cui non si conosce l’autore. Una cappella neogotica (Figg. 2223) riccamente decorata ospitava, al piano d’abitazione del conte, le opere d’arte del Rinascimento e del Medioevo: essa è stata distrutta dall’intervento di Destailleur voluto da Edmond de Pourtalès e Mélanie de Bussière, figlio e nuora del conte, che abitarono in seguito il palazzo; se ne conserva soltanto una porta con arco ogivale. La cappella era denunciata all’esterno dalle falde del tetto. Destailleur cancellò anche questo elemento, sopraelevando l’immobile, che venne dotato di vistosi tetti d’ardesia e finestre ad abbaino, simili a quelle che l’architetto avrebbe adottato nel castello di Franconville e al Waddesdon Manor (Fig. 24)30.

Simili ambienti, cabinet per le opere d’arte in stile troubadour facevano parte del gusto decorativo dei saloni della Restaurazione e le fonti ne documentano diversi, come quello della marchesa d’Osmond presso l’hôtel già de Vézelay31: in genere il richiamo al Medioevo si tingeva di un richiamo all’ideologia conservatrice dei realisti e a Chateaubriand. Il cabinet dell’hôtel Pourtalès, non a caso, conteneva due delle opere più importanti della scultura decorativa neogotica francese legata alle simpatie conservatrici,  la curiosa, complessa, Lampada di San Michele32 e il Monumento a Dante (Fig. 25), opere di Félicie de Fauveau (1799-1886). Entrambi i lavori, importanti nel ridotto catalogo della scultrice, non sono attualmente visibili al pubblico, si trovano in collezioni private come molte delle sue opere. L’interesse di Pourtalès per l’opera di M.me de Fauveau e l’inserimento di essa nell’architettura di questo perduto interno ottocentesco dovrebbero essere tenuti in gran considerazione per comprendere gli sviluppi dell’architettura romantica ed eclettica di Duban nel campo delle arti applicate. In effetti lo stile dell’edicola neogotica in cui è inserito l’episodio dantesco di Paolo e Francesca nella seconda opera della Fauveau33 non può non essere visto come il modello diretto del prodotto più celebre del Duban decoratore, la toilette per la duchessa di Parma da lui realizzata insieme all’orafo Froment-Meurice e altri artigiani nel 1845.

Nel suo attento lavoro su Duban, Jacques Pons osserva sugli interni : «È difficile attardarsi altrettanto sulla disposizione degli appartamenti. A differenza delle sale del museo, ove la decorazione doveva essere necessariamente ridotta per via dell’indisponibilità di superfici murarie e della volontà di non rivaleggiare con la ricchezza delle stanze esposte,  gli appartamenti ricevettero un abbondante decoro: salone ornato di un soffitto  a compartimenti a stella, guarniti di racemi e di putti, sala da pranzo nello stile del grand siècle con una tavola monumentale, una cornice a larghi modiglioni e cartocci al soffitto, ricca policromia nel  gusto del Rinascimento sulle porte e i muri. La sola traccia che si conservi è il disegno di un camino nel gusto del Rinascimento, ornato di figure femminili nello stile di Germain Pilon. Questa successione di stanze caratterizzate, ognuna da uno stile differente corrisponde bene a un interno alla moda della Monarchia di luglio. Il gioco  dei volumi,  il gioco delle luci si adatta alla natura degli oggetti esposti ricreando attorno ad essi un ambiente convenevole alla loro natura o al loro apprezzamento. Se un’illuminazione zenitale è diffusa a profusione sulle tele della galleria, il visitatore è in seguito immerso in una luce più discreta, propizia alla contemplazione degli oggetti etruschi esumati dalla penombra delle tombe che Duban aveva riprodotto con sensibilità durante il suo pensionato. Nella sala seguente una luminosità intermedia corrispondeva ai vetri e all’oreficeria, mentre, nell’oratorio, dei vetri trasmettevano i raggi solari. Questo studio degli effetti dell’illuminazione allo scopo di ricreare un’atmosfera museografica era stato inaugurato da Lenoir nel suo Musée des monuments Français. Duban, nell’insieme della sua opera, è sensibile al trattamento di questi effetti di luce ed al migliore utilizzo di essa. A questo scopo, sostituisce gli angoli della galleria, nefasti ad una buona illuminazione delle tele, con delle arrotondature.»34

Alcune fotografie del Courtauld Institute, risalenti agli anni ’60 del Novecento (Figg. 262728), mostrano alcuni importanti ambienti del palazzo, oggi non visitabili perché appartenenti a privati, lo scalone interno a colonne metalliche e policrome, simili a quelle della corte interna vetrata dell’Ecole des Beaux Arts35, una sala con soffitti lignei dipinti, lambris e un camino in marmo ispirato al Manierismo francese; un sopraporta ogivale rimanda forse al sito dell’originaria cappella.

Ma l’episodio centrale dell’hôtel Pourtalès era costituito senza dubbio dalla Galleria dei dipinti (Fig. 29): la sola grande sala del palazzo, essa era destinata non soltanto, come si è visto, ad accogliere la quadreria ma anche all’occasione ad ospitare le feste ed i balli di società voluti da James Alexandre.

Spazio illuminato dall’alto, la galleria è il centro reale e spirituale delle attenzioni del conte; piccolo museo privato, esso era accessibile ai visitatori che domandassero al proprietario di visitare la collezione; architettura per gli oggetti, senza finestre, essa dava la visione migliore possibile  dei quadri, senza riflessi solari. Episodio da comparare con le altre gallerie di Duban, la sala dal soffitto di vetro si ripete più volte nella carriera dell’architetto: anzitutto nei saloni del nuovo Louvre. Lucernai, architettura della nuova epoca dei Salons, si trovano nel Salon Carré e nella Sala dei Sette Camini del grande museo (Fig. 30), concepiti come allegoria del trionfo dell’arte. Il Salon Carré porta sulla volta, agli angoli, i nomi di Murillo, Poussin, Raffaello, Rubens, mentre ai muri quattro medaglioni rappresentano la Scultura, la Pittura, l’Incisione e l’Architettura, associati ancora ai ritratti di Jean Goujon, Poussin, Jean Pesne e Pierre Lescot36. La Sala dei Sette Camini era consacrata agli artisti moderni: Guérin e Gérard, Gros, David, Girodet, Granet, Géricault, Chaudet, Proudhon, Percier.

La concezione del museo caratterizza le ambizioni di tutta l’architettura di Duban, che si situa in seno alla cultura dello storicismo.

«Gli artisti riuniti a Roma intorno a Duban o quelli che da lontano adottavano il suo partito comprendevano  le cose in maniera affatto differente. Ciò di cui cercavano di appropriarsi con lo studio dei grandi monumenti del passato, era assai meno delle formule precostituite che delle esplicazioni e dei principi; ciò che essi volevano, di  contro tanto alle pretese della nuova scuola di pittura che all’inerte despotismo esercitato dalla fine dell’ultimo secolo dagli apostoli di una falsa erudizione, era riconoscere scientificamente le condizioni dell’arte, osservarne il progresso, consultarne da vicino la storia, ed autorizzarsi questa esperienza stessa per agire con più sicurezza nel  senso dei nostri costumi o dei nostri bisogni.»37

La conoscenza dell’arte del passato, la didattica dell’architettura, serve come punto di partenza per l’educazione, concepita secondo gli ideali romantici, delle generazioni future.

III. La cultura di Pourtalés e la sua passione per i Primitivi

Secondo Emile Galichon, autore dell’articolo sulla Gazette des Beaux Arts relativo alla vendita all’asta della collezione nel 1865, al momento della vendita all’asta dei patrimoni artistici del conte, la galleria delle pitture di Pourtalès contava «308 pitture tra le quali molte figurerebbero degnamente nelle più ricche gallerie nazionali»38. L’interesse specifico per le scuole italiane sarebbe nato tardivamente, dopo la costruzione del suo hôtel: «Prima che il Conte Pourtalès non abitasse il bel palazzo, nel gusto del Rinascimento, che si era  fatto costruire da Duban, pressoché tutte le tele che ornavano i suoi appartamenti della place Vendôme erano pittori olandesi e fiamminghi. Ma la contemplazione abituale dei capolavori dell’antichità, che egli acquistava in concorrenza con delle pitture, gli fecero poco a poco perdere tutto il gusto per le opere di questi maestri che colsero ed interpretarono con tanto fascino l’intimità domestica e la gioia familiare […]  diede in vendita, in un solo  giorno, ventisette capolavori olandesi e fiamminghi per rimpiazzarli con dei quadri dovuti ai veri eredi dell’arte greca»39.

Per la verità, a partire dalle informazioni sulla cultura personale del conte sulla storia dell’arte, e sulla sua biografia, si può dubitare di questa affermazione sulla tardività della passione di James per l’arte italiana che ci sembra, al contrario, il carattere essenziale della sua figura di collezionista.

Una valutazione più attenta di Pourtalès nel suo tempo deve tener conto di un processo di conoscenza sempre più approfondita degli artisti della penisola, e, ciò che ci interessa maggiormente, sui pittori  “primitivi”, iniziato all’epoca dei Lumi. In un testo apparso in Francia nel 1956, in occasione di una esposizione sui pittori del periodo da Giotto a Bellini, André Chastel ha lasciato una definizione ancora molto efficace delle questioni che  attraversano la critica d’arte del Diciannovesimo secolo: «Prima del 1800 i quadri dei “primitivi” non hanno storia. Opere per le chiese, essi sussistevano ordinariamente in situ accumulandosi nelle sacrestie, nelle cappelle secondarie […]  Questo interesse è nuovo. Certo, gli autori di guide commentate così abbondanti a Venezia, a Firenze, a Roma, a Bologna, a Napoli, e su un piano più erudito, gli “antiquari” come l’abate senese Della Valle, che sapeva così finemente caratterizzare Duccio (Lettere Sanesi, 1776), il Vecchio Malvasia (1678), a Bologna ed il più vecchio Vasari (1550) a Firenze, non avevano mai cessato di esaltare i pittori del Quattrocento ma la loro gloria locale non era che raramente stata presa in considerazione all’estero. Restava precisamente ad essi fare dare un posto all’interno di una storia dell’arte in pieno rinnovamento. Sono i Francesi, stimolati dalle circostanze e diffusi per vent’anni nella penisola a causa degli affari politici, che si sono dedicati a esporre l’arte di “questi tempi andati” (il termine di “primitivi” non esiste  ancora; esso non interviene che verso la fine del XIX secolo).»40

Si tratta di un movimento storico che vedrà , come ha osservato più recentemente Laurent Langer in un volume a cura di Monica Preti-Hamard,  in «conseguenza delle guerre napoleoniche, numerose opere d’arte italiane si ritrovano  sul  mercato e, grazie ai prezzi meno elevati, divengono accessibili a delle nuove classi sociali.»41

Di certo, i Francesi giocano un ruolo notevole nella riscoperta dei pittori anteriori a Raffaello, soprattutto grazie all’attività infaticabile di alcuni personaggi della cerchia napoleonica più elevata, Dominique Vivant Denon (1747-1825), principale attore delle acquisizioni per il Musée Napoléon, Luciano Bonaparte, fratello dell’Imperatore, ministro e principe di Canino, il cardinale Joseph Fesch (1763-1839), zio materno di Napoleone, che riunì una collezione di 16.000 quadri, tra i quali si contavano, secondo Dominique Thiébaut, 250 pitture di primitivi42.

Bisogna menzionare ancora Léon Dufourny, che, conservatore delle pitture dal 1799, in missione con Ennio Quirino Visconti per il Louvre, nel 1800 al castello di Richelieu, aveva acquisito dei Mantegna ed altri “preraffaelliti”43.

Jean-Baptiste Seroux d’Agincourt (1730-1814), che visse dal 1790 fino alla morte in Italia e di cui la Histoire de l’art par les monuments, in 6 volumi, uscita in parte postuma, dal 1811 al 1820, servì da stimolo a una generazione di collezionisti, pittori ed amatori d’arte, da Jean Baptiste Wicar (1762-1834), ad Artaud de Montor (1772-1849), un diplomatico che lavorava presso l’ambasciata francese a Roma, scrittore anch’egli di storia dell’arte44, a François Cacault (1742-1805), ministro di Napoleone alla Santa Sede, che raggruppò un’altra immensa  collezione, ed altri.

Ma, anzitutto, la migliore conoscenza dei pittori anteriori al XVI secolo è dovuta all’elaborazione storica introdotta, già nel corso del XVIII secolo da scrittori d’arte italiani, come Marco Lastri (1731-1811), autore dell’opera L’Etruria pittrice 45, Luigi Lanzi (1732-1810), che diede un disegno complessivo delle scuole di Firenze, Siena, Roma e Napoli46, Guglielmo Della Valle (1742-1800), un frate minore a cui si devono Le Lettere Senesi sopra le Belle Arti in tre volumi47.

Al momento dell’elaborazione del catalogo di J.J. Dubois (1841), la galleria delle pitture di James Alexandre de Pourtalès si componeva di 239 quadri, di cui 24 “primitivi”: italiani come Beato Angelico, Benozzo Gozzoli, Masaccio, Botticelli, Verrocchio, Leonardo, Albertinelli, Bellini, Antonello, Sabattini, o settentrionali come Henri Van der Bles, Hemmelinck, Van der Goes, Cornelis Engelbrechsen, Dürer, Cranach, Holbein, Mabuse. Una percentuale non eclatante ma significativa ; per ciò che concerne gli Italiani in generale, al di là del XVI secolo, il gusto di James Alexandre apprezza ugualmente gli autori classici, che formano un totale di 94 quadri, da Perin del Vaga a Giulio Romano, Sebastiano del Piombo, da Giorgione a Veronese, dai Carracci a Guido Reni, Domenichino, Carlo Dolci, Cristofano e Andrea Allori, Lanfranco, da Caravaggio a Mattia Preti ed altri.

Certo, le cifre della collezione non arrivano ad eguagliare  la quantità enorme di quadri raccolti dal Marchese Campana ed acquisiti in seguito dai Musées Impériaux, sotto la direzione del conte di Nieuwerkerke, negli stessi anni in cui venne aggiudicata per il Louvre anche l’opera più celebre della galleria Pourtalès48.

Tuttavia, la collezione Pourtalès, nella seconda metà del Diciannovesimo secolo è riconosciuta come il miglior gruppo di pittori italiani a Parigi, dato che a in quel periodo i grandi maestri hanno già  preso per lo più la via dei musei nazionali: è sufficiente riportare i commenti di W. Bürger  sulla Gazette des Beaux Arts al momento della vendita della collezione Pereire, un’altra famiglia di banchieri della più alta società che abitava un lussuoso hôtel sulla rue du Faubourg Saint-Honoré: «Gli Italiani non sono numerosi nel palazzo dei signori Pereire. Dove trovare i quadri Italiani la cui originalità sia incontestabile? Da due o tre secoli pressoché tutti i buoni italiani sono stati catalogati nelle collezioni dei principi, divenute successivamente dei musei nazionali. Salvo che in alcune gallerie dell’aristocrazia inglese e a Parigi, nella collezione Pourtalès, la scuola italiana è pressoché introvabile presso i privati in esemplari veramente originali e di qualità superiore.»49

Una collezione come quella di James Alexandre Pourtalès può essere a buon diritto considerata come l’antesignana della più ricca e celebre galleria dei primitivi italiani della fine del XIX secolo a Parigi, quella iniziata verso il 1860 da Edouard André e Nélie Jacquemart nel loro hôtel sul Boulevard Haussmann ed arricchita dei migliori Fiorentini del XV secolo e dell’enigmatica Eleonora d’Aragona di Francesco Laurana, opera che risponde simmetrica come emblema del primo Rinascimento al Condottiero di Antonello da Messina. Questo museo privato, ceduto nel 1913 all’Institut de France e trasformato nell’attuale Museo Jacquemart-André, comprendeva 200 pitture, ciò che dà anche la dimensione dell’importanza di quella del conte di Pourtalès50.

In più, James Alexandre aveva fatto omaggio al suo amico pittore Paul Delaroche, autore del suo ritratto, di un prestigioso Giovanni Bellini passato in seguito al museo di Dublino, in Irlanda51.

A smentire le parole di Galichon, secondo il quale gli interessi per l’arte italiana si sarebbero sviluppati essenzialmente dopo la costruzione dell’Hôtel alla Madeleine, resta da consultare il catalogo della biblioteca del conte (306 opere), venduta nel 1860 all’hôtel Drouot52, che fornisce un’immagine assai esaustiva della sua cultura, di un livello molto alto, quantunque non al di là dell’erudizione comune a tutti gli amatori d’arte coevi: vi si trovavano i testi fondamentali della cultura storico-artistica del periodo.

Per l’arte Italiana, è interessante osservare l’Histoire de l’art par les monuments di d’Agincourt, che poteva dargli delle conoscenze non solamente sulle pitture toscane e l’arte del Medioevo in generale, ma anche sull’arte dell’Italia del Sud, che ricercava con tanto zelo durante i suoi viaggi: tra le tavole di questa opera si avevano due esempi di Colantonio da Napoli, il maestro di Antonello, e la riproduzione della Pietà del museo Correr, incisa per il libro appositamente dal grande scultore Antonio Canova. Le nozioni di Seroux d’Agincourt su Antonello rilevano ancora di uno stato assai poco avanzato della storia della pittura del Quattrocento e la personalità del maestro siciliano è legata soprattutto, nella sua Histoire de l’Art,  all’aneddoto vasariano della scoperta della tecnica ad olio, appresa dallo stesso Van Eyck, ciò che dà ad Antonello un prestigio mitico di  “inventore”53.

Per ciò che riguarda l’arte dei pittori primitivi si sa inoltre, da altre fonti, che egli era familiare con Lanzi, che possedeva in traduzione francese (1823); o ancora con Leopoldo Cicognara, di cui custodiva i Ragionamenti del Bello (1808) e Le fabbriche più cospicue di Venezia (1815).

Altre fonti sulla storia dell’arte sono, nella sua biblioteca, Les arts au moyen-âge, di Alexandre du Sommerard, che fu uno dei primi ad interessarsi della conservazione dei monumenti gotici a Parigi (e che possedeva l’Hôtel de Cluny); Le Moyen-âge et la Renaissance di Lacroix e Seré (Paris, 1849), l’Abecedario Pittorico di Pellegrino Orlandi (Napoli, 1763), la Galerie du Palais-Royal, con incisioni di J. Couché (Paris, 1786-1808), il Musée Royal di Visconti, Guizot e Clarac (Paris, 1822), il catalogo di Palazzo Pitti di Wicar54, una Galerie des peintres flamands, italiens et hollandais di Le Brun (Paris, 1792), la Description de la galerie des tableaux de S.M. le Roi des Pays-Bas di Nieuwenhuys (1843), un libro di incisioni della collezione di Luciano Bonaparte (1812).

Ventuno sono iViaggi pittoreschi, un genere a cui il collezionista era molto legato. Per ciò che riguarda la sola Sicilia, terra alla quale, insieme a Napoli, era associato sovente il nome di Antonello da Messina (a quel tempo, più ancora che a Venezia), Pourtalès possedeva presso di sé i Viaggi in Sicilia dell’abate di Saint-Non (1781-1786), di Houel (1789), i Souvenirs de la Sicile del conte de Forbin (1823) la Sicilian scenery apparsa a Londra nel 1823 con i disegni di P. de Wint. Egli stesso aveva partecipato all’opera di d’Ostervald che, nell’annuncio per la sottoscrizione dei due grandi volumi diceva:  «M. il Conte di Pourtalès-Gorgier ha ben voluto affidarmi i suoi schizzi e quelli di un architetto che l’ha accompagnato in Sicilia.»55

I disegni di Pourtalès, che si sono potuti consultare in questa occasione direttamente presso la Bibliothèque Nationale a Parigi, rendono l’immagine di un paesaggista di talento, abile nel rendere le asprezze rocciose della natura siciliana arsa dal sole. La cultura di James Alexandre è influenzata dal mito, comune agli artisti e scrittori dell’inizio del XIX secolo, di ritrovare le origini della cultura occidentale nel Mediterraneo dei Greci. 

«La Grecia, l’Italia, la Svizzera, l’Industan stesso, – afferma ancora d’Ostervald – hanno stimolato lo zelo e le ricerche dei colti e degli amici delle arti; il solco ed il bulino degli artisti più abili hanno restituito, nelle opere di una esecuzione sontuosa, i siti pittoreschi e le antichità più notevoli di queste celebri contrade. Non meno ricca di memorie, coperta di monumenti e di rovine che attestano le più belle epoche dell’antichità, decorata da un cielo puro, da una fertilità senza uguali, dai siti più variegati, la Sicilia non esiste affatto per questi uomini che, avidi di istruirsi, domandano alle arti di fare rivivere, di perpetuare, di ritrarre il ricordo e l’immagine dei luoghi consacrati dalla storia, dai monumenti, dalle loro bellezze naturali.»56 Ma, continua l’editore, manca una raccolta di vedute più precise, poiché i viaggiatori del passato non hanno realizzato che dei disegni esagerati «l’Abate di Saint-Non pubblicò una serie di incisioni sulla Sicilia, ove non si distingue che l’esecuzione capricciosa di una matita e di una punta scorretta, che delle forme e degli effetti dovuti piuttosto agli azzardi del pennello che allo studio o alla verità.»57 Solo viene apprezzato lo studio, incompiuto, di Léon Dufourny sui monumenti antichi.

Ancora, il conte di Pourtalès ha potuto interessarsi alla storia dell’arte siciliana dall’opera di Forbin: nei suoi «Souvenirs», l’autore, che aveva partecipato anche come disegnatore alla raccolta di d’Ostervald, aveva lasciato un quadro completo, ancorché un po’ aneddotico, della cultura siciliana, nella storia dei fatti politici, nella mitologia, nella letteratura, con la presenza delle Anacreontiche di Giovanni Meli, celebre poeta palermitano del movimento dell’Arcadia, nella musica popolare, con delle Ariette Nazionali Siciliane e soprattutto nella storia dell’arte, con delle Notizie sugli artisti che rendevano conto di Antonio degli Antoni, di Antonello, di Pino da Messina, della famiglia dei “Gaggini” (sic), fino a Polidoro da Caravaggio, Agostino Scilla, Mario Minniti, Filippo Tancredi ed altri.

Sebbene il tema di questo scritto sia l’apporto delle arti decorative all’architettura dell’Hôtel Pourtalès, non si può fare a meno di menzionare, nella formazione di James Alexandre, delle letture e degli interessi per l’archeologia, che hanno senza dubbio contribuito a creare un amatore d’arte appassionato dell’arte greca, e dal gusto arcaizzante.

Senza allargare la visione alle antichità della collezione, tra le quali brillavano la testa dell’Apollo Giustiniani, l’imperatore Augusto già della collezione Richelieu, le armature da gladiatore, originarie del tesoro dell’Imperatrice Giuseppina Bonaparte, vasi greci (in particolare uno di essi descritto da Ennio Quirino Visconti in un catalogo curato da Theodor Panofka58, e dei piccoli bronzi di epoca romana ritrovati a Besançon.

Ma interessa, piuttosto, notare i libri della biblioteca che hanno marcato la predilezione di  J. Alexandre per l’Italia. E naturalmente, il primo da citare è Winckelmann, che appariva, testo obbligatorio per la cultura artistica del 1800, in una traduzione de l’Histoire de l’art chez les anciens, apparsa a Lipsia, 1781; poi, Quatremère de Quincy, del quale Pourtalès ha letto le Vite di Raffaello e di Michelangelo e il celebre saggio sullo Jupiter Olympien59, con la restituzione della statua criselefantina di Fidia, che è uno dei testi fondamentali della cultura neoclassica. Per l’architettura, Pourtalès ha presso di sè i Palais, maisons et autres édifices de Rome di Percier e Fontaine (1798), i Palais, maisons et vues d’Italie di Clochard (1809), l’Architecture toscane di Grandjean de Montigny (1815).

Accanto ai testi di Champollion sull’Egitto60, delle Antiquities of Athens di Stuart et Revett61, del libro sulle Médailles du duc de Luynes62, delle ricerche di Panofka63, bisogna soprattutto notare la Restauration des thermes d’Antonin d’Abel Blouet e gli scritti di Désiré Raoul-Rochette, gli autori più importanti per il dibattito sulla policromia architettonica del XIX secolo: soprattutto è notevole, per ammirare il grado di informazione del conte di Pourtalès sulle riflessioni artistiche, la presenza del libro sulle Peintures antiques inédites, précédées de recherches sur l’emploi de la peinture dans la décoration des édifices sacrés et publics chez les Grecs et chez les Romains (Paris, 1836), che ispirò le riflessioni di Gottfried Semper sulla Textilkunst ed il principio del rivestimento in architettura.

Questo genere di letture spiega anche la scelta di Duban, un campione della grande architettura negli anni 1830-1840 per il neo-Rinascimento, che si interessò anche, come Jacques Ignace Hittorff a Parigi o più tardi Semper in Germania, della questione della policromia nell’Antichità.

IV. Antonello

«Infine il Correggio, Antonello da Messina e Murillo, che è il Correggio di Spagna, formano l’estremità della parete un ultimo gruppo che si separa dai primi maestri del colore, e i  due pittori di Parma e di Venezia sembrano rappresentare la fantasia, la libertà ed il piacere come, all’estremità Nicolas Poussin personificava la saggezza, la dignità e la regola.»64

Nella discussione sull’incisione tratta da Henriquel-Dupont dalla decorazione dell’Emiciclo dell’Ecole des Beaux Arts di Duban dipinta da Paul Delaroche (Fig. 31), Charles Blanc si riferiva con queste parole ad Antonello da Messina. Il progetto storico e decorativo dell’architettura di Duban è debitore della sua formazione sui pittori italiani anteriori a Raffaello che attiravano sempre più l’attenzione dei nuovi artisti romantici della generazione degli anni 1830-1840.

André Chastel affermava: «Il gusto dei «giotteschi» resta in Ingres una tentazione per eccesso, una fascinazione della sottigliezza e dell’astrazione: egli vi si lega un po’ come all’esotismo orientale che significa per lui purezza del colore e voluttuosa austerità. In Italia, dal 1816 al 1824, Ingres si abbandona a queste curiosità; il grazioso pannello di San Paolo di Butinone, lo schizzo predella di San Giuliano di Masolino, saranno i migliori testimoni, nei lasciti che farà più tardi al museo di Montauban. Egli si attarda più di David, al Campo Santo di Pisa ed al convento di San Marco. Non è  più un taglio delle forme, un disegno comparabile a quello dei vasi etruschi, che lo attira; è il grande stile della miniatura, i toni uniti, l’oro e il blu di lapislazzulo, lo stiramento «gotico» delle figure. La sua adesione è manifesta al momento dell’esecuzione di Francesca e Paolo (1819). Nel corso degli anni seguenti, Granet, Scheffer, Delaroche, si legano al meglio dell’Italia francescana e dantesca, e la trattano  su un modo aneddotico e sentimentale che lascia intuire un rapido colpo d’occhio sui “primitivi”».65

Ma non solamente l’Italia di Giotto e Simone Martini attirava la fantasia degli artisti come Ingres e Delaroche: il fascino del Sud Italia e l’esotismo di Venezia, a cui Antonello era già correntemente associato accanto a Giovanni Bellini, costituivano, nella cultura personale di James Pourtalès così come in quella del suo amico Delaroche e di Duban, a sua volta legato al pittore, del quale  realizzerà, nel 1844, il monumento funerario della moglie, Louise Delaroche-Vernet.

Secondo  Pierre Pinon66, Félix Duban non avrebbe visitato direttamente la Sicilia, come i suoi numerosi predecessori Dufourny, Hittorff, Schinkel ed altri ma fra i suoi disegni si trovano tuttavia delle belle tavole sui mosaici di Monreale.

Senza dubbio, Duban possedeva le medesime conoscenze sulle scuole italiane di pittura di Delaroche, che avrebbe composto la sua nuova Scuola di Atene nella sala delle Beaux Arts sulla linea della ripartizione di Luigi Lanzi67, che era la fonte a sua volta di Pourtalès stesso su Antonello.

Un progetto unitario legava dunque il proprietario, un amatore d’arte che aveva visitato più volte l’Italia e che aveva anche preso degli schizzi sulla Sicilia di mano propria, che aveva acquistato uno dei migliori capolavori di Antonello e che aveva fatto dono di un Bellini a Delaroche, autore fra qualche anno, nel 1846, del suo ritratto, e Duban, l’architetto del Romanticismo degli anni della monarchia di Luigi Filippo ed amico personale del pittore e interprete delle ambizioni collezionistiche del conte di Pourtalès.

  1. Questo articolo costituisce una rielaborazione di una ricerca eseguita nel 2008 nell’ambito del progetto CoRi dell’Università degli Studi di Palermo, che  ha  consentito un periodo di tre mesi all’Ecole du Louvre, durante i quali si è studiata in particolare la storia del dipinto “Il Condottiero” di Antonello da Messina nella collezione Pourtalès. Ringrazio pertanto la prof. Maria Concetta Di Natale dell’Università di Palermo e M.mes Géneviève Bresc-Bautier e Claire Barbillon, rispettivamente conservatrice capo del dipartimento delle sculture del Louvre e direttrice didattica dell’Ecole du Louvre. []
  2. La famiglia Pourtalès è originaria del borgo de La Salle, nelle Cévennes, presso la città di Nîmes, in Francia. In cerca di rifugio dalla persecuzione religiosa, Louis e Jérémie de Pourtalès guadagnano la Svizzera nel 1718, il primo per la città di Ginevra, il secondo per Neuchâtel. Il figlio di Jérémie, Jacques-Louis de Pourtalès (1722-1814), è il padre di James Alexandre. Banchiere e commerciante, soprannominato «il re dei negozianti», Jacques-Louis, sovente impegnato in soggiorni commerciali a Londra, è l’autore principale della fortuna economica che passerà in eredità a James: la sua attività principale è una casa di commercio, che comprende un banco commerciale ed una fabbrica di tele dipinte,  anche se le sue attività prenderanno in seguito un corso più bancario, arrivando a divenire il più grande azionista della Banque de France, con 600 azioni. Interessi economici nell’acquisizione di terreni agricoli, nelle costruzioni, negli investimenti bancari, si associano alla ricerca di un ruolo progressivamente più integrato nella politica, (sarà il caso anche di Louis de Pourtalès, nato nel 1773, morto nel 1848, che fu presidente del Consiglio di Stato della Confederazione svizzera, e che ricoprì anche delle funzioni militari). Cfr. L. Malzac, Les Pourtalès. Histoire d’une famille huguenote des Cévennes 1500-1860, Paris 1914;  R. Cramer, Les Pourtalès(1300-2000), Saint-Pierre de Vassols 2001. []
  3. Funérailles de Félix Duban, architecte du gouvernement, Rédigé sur l’invitation de la Commission Générale des Funérailles et du monument de Félix Duban par César Daly, Secrétaire de la Commission et ancien élève de Félix Duban, Paris 1871, p. 37. Cfr. anche Revue Générale de l’architecture et des travaux publics, 5, 1870, pp. 199-223. Tutte le traduzioni dal francese sono a cura dell’autore. []
  4. Cfr. M. Saboya, Presse et architecture au XIX siècle, César Daly et la Revue Générale de l’architecture et des travaux publics, Paris 1991. []
  5. H. Delaborde, Félix Duban, L’exposition de ses dessins à l’Ecole des Beaux Arts, in “Revue des Deux Mondes”, 1 Fevrier 1872, p. 618. []
  6. R. Middleton, Hôtel Pourtalès-Gorgier, 7 rue Tronchet, Paris, in “AA files 33, Annals of the Architectural Association School of Architecture, London 1997 e Idem, L’Hôtel Pourtalès-Gorgier, in Félix Duban 1798-1870. Les couleurs de l’architecte, a cura di S. Bellenger e F. Hamon, catalogo dell’esposizione (Château de Blois, 15 juin-29 septembre 1996), Paris 1996, pp. 137-146. []
  7. Segnatura: AN F31 44 332. Si tratta della pianta del n. 5 di rue Tronchet, immobile edificato dal conte di Pourtalès come palazzina d’affitto, l’unico documento documento d’architettura indicato dagli studi precedenti e da noi riscontrato a Parigi. []
  8. PC 21243, pl. 23, 24, 25. []
  9. Almeno  tredici disegni, n° 71-81, forse 66-70, 82, 83. []
  10. J. Pons, L’Hôtel de Pourtalès. 1836-1839. L’expérience d’un musée. Thèse pour le diplome d’archiviste paléographe, Ecole Nationale des Chartes, Paris 1985. []
  11. V. Calliat, Parallèle des maisons de Paris, Paris 1850, pp.  43-51. []
  12. Una fotografia è conservata in un album sul quartiere Madeleine, conservata alla Bibliothèque Historique de la Ville de Paris. []
  13. Eugène Atget (1857-1927), Hôtel Pourtalès, 7 Rue Tronchet (VIIIe), 1909 fotografie all’albumina, una del solo portale, 21.8 x 17.6 cm. e l’altra con una scena di vita 21.9 x 17.7 cm. (ritagliata). []
  14. E. Foucart – Walter,  Le portrait du comte James-Alexandre de Pourtalès-Gorgier, par Paul Delaroche. Une dation récente pour le département des Peintures, in Revue du Louvre, 1-200, pp. 39-54; O. Boisset, Les Antiques du comte James-Alexandre Pourtalès-Gorgier (1776-1855): Une introduction, in Collections et marché de l’art en France 1789-1848, a cura di M. Preti-Hamard, P. Senechal, Rennes 2005, pp. 187-206; B. Centorame, L’hôtel de Pourtalès, in Autour de la Madeleine. Art, littérature, société, a cura di B. Centorame, Paris 2005, pp. 85-86; A. GadyA,   Les hôtels particuliers de Paris du Moyen-âge à la Belle époque, Paris  2008, pp. 220-221. []
  15. «“All’indomani delle guerre napoleoniche e dell’abdicazione dell’Imperatore, allorché la pace era ancora incerta, la proprietà mobiliare fu per qualche tempo deprezzata: quando l’Inglese Crawfort, nel 1814, voleva acquisire l’hôtel di Paolina Bonaparte (già hôtel de Charost) per il conte d’Inghilterra,  discuteva le pretese del venditore affermando: Il prezzo delle case è oggi molto basso.Nel 1815, si poteva avere un hôtel composto di 8 stanze con pianterreno con giardino, scuderie da 6 cavalli, rimesse per 3 vetture, comuni con 6 camere da domestici, per un affitto di 5.000 fr. Il visconte di Ch… , otteneva per 4.000 fr. un padiglione situato al fondo di una bella corte e comprendente vestibolo, salone, sala da pranzo, boudoir, biblioteca, 2 camere per adulti, 1 camera per bambini, 1 camera per la governante, 1 stanza da bagno, dei privés all’inglese, 1 cucina  e 6 camere da domestici. La firma della pace, la rimessa in ordine delle finanze, l’adozione di una politica più liberale, incoraggiarono la costruzione. Il ritorno degli emigrati, la presenza dei viaggiatori stranieri, l’afflusso della manodopera provinciale determinarono un aumento degli affitti. Le leggi del ministro Villèle spinsero alla speculazione: nel 1824, il Governo per finanziare il miliardo degli emigrati [indennità accordata nel 1825 ai nobili emigrati depauperati dalla Rivoluzione francese del 1789, N.d.A.], domandò la conversione delle rendite, che fu inizialmente respinta, poi votata nel 1825. Da quando il progetto fu conosciuto, gli speculatori temettero la diminuzione dei loro introiti, acquisirono dei terreni, il cui prezzo montò rapidamente, investirono i loro capitali in immobili che fecero costruire o li affidarono a degli imprenditori, che promettevano dei miracolosi redditi e di cui alcuni fecero fallimento […] Un prezioso documento, le statistiche pubblicate per ordine del prefetto della Senna, M. de Chabrol, ci informa su questa intensa attività della costruzione tra il 1821 e il 1824. Le tasse doganali non sono meno significative: nel 1823 entrano a Parigi 70.000 ettolitri di calce, 2.500.000 di gesso, 150.000 m3 di ghiaia, nel 1821 le cifre sono rispettivamente di 102.000, 3. 116.000 e 248.000. Quest’ascesa del prezzo degli affitti determinò ben presto la rarefazione della domanda e nel 1828-1829 le costruzioni subirono una crisi. Rambuteau afferma che nel 1830 la metà dei combattenti erano degli operai dell’edilizia senza lavoro. Il colera del 1832, i movimenti popolari non permisero  la ripresa immediata dell’attività […] La Francia conobbe dunque due grandi periodi di attività, dal 1820 al 1824 e dal 1834 al 1845, durante i quali  furono costruiti in gran numero, hôtels particuliers e palazzine d’affitto.» L. Hautecoueur, Les Constructions privées Les condition économiques, in Histoire de l’Architecture Classique en France, VI, La Restauration et le gouvernement de Juillet 1815-1848, Paris 1955, pp. 121-123. []
  16. V. Calliat, Parallèle des  maisons construites depuis 1830 jusqu’à nos jours, Paris 1859. []
  17. E. Texier, Tableau de Paris, Ouvrage illustré de quinze cents gravures, Paris 1852, Chap. LVI, Les Habitations modernes, p. 197 e segg. []
  18. E. Texier, Tableau de Paris…, 1852. []
  19. D. Van Zanten, Designing Paris. The architecture of Duban, Labrouste, Duc and Vaudoyer, Cambridge 1987, p. XIII. Sull’architettura di questo periodo occorre almeno ricordare: A. Drexler, The architecture of the École des Beaux-Arts, London 1977; The Beaux Arts and Nineteenth Century Architecture, a cura di D. Drew Egbert,  Princeton N.J. 1980; The Beaux-Arts and nineteenth-century French architecture, a cura di R. Middleton, London 1982; B. Bergdoll, European architecture 1750 – 1890, London 2001; Duban et l’Italie, catalogo della mostra (Paris, Chapelle des Petits-Augustins, 9 mars – 4 avril 2004), a cura di  A. Jacques, Paris 2004. []
  20. C. Daly, Funérailles de Félix Duban…, 1871, p. 34. []
  21. L. Vaudoyer, Eloge de M. Duban, in Recueil des Cinq Académies, Institut de France, Paris 1872, p. 4 []
  22. L. Vaudoyer, Eloge…, in Recueil des Cinq…, 1872. []
  23. C. Blanc, Grammaire des Arts décoratifs, in “Gazette des Beaux Arts”, genn. 1870, Tom. III,  p. 308: «Mi riferisco qui agli edifici pubblici: perché le costruzioni private possono talvolta trascurare la simmetria, quando il sacrificio è richiesto da un interesse pressante. Ne abbiamo un esempio, a Parigi, nell’hôtel Pourtalès, costruito presso la Madeleine, su progetto di Duban. L’illustre architetto, non avendo a sua disposizione che un terreno stretto, si è francamente e abilmente dispensato dal porre il portale sull’asse dell’edificio, per paura che la porta la simmetria non lo obbligasse ad aprire sulla facciata delle aperture meschine e troppo poco intervallate e che la distribuzione interna non fosse violentata dalla rigorosa regolarità dell’esterno. Tuttavia, la simmetria è in generale così vivamente desiderata da tutti, che vediamo quotidianamente delle case su cui si sono disegnate false finestre, unicamente per non mancare di riguardo verso il pubblico.» []
  24. Cfr. F. Loyer, Paris: Nineteenth century architecture and urbanism, New York 1988, p. 152 e segg. Interessante anche l’articolo di F. Boudon, Le regard du XIX siècle sur le XVI siècle français: ce qu’ont vu les revues d’architecture, in “Revue de l’art”, 1990, n. 89, pp. 29-56, che sottolinea l’impiego pressoché esclusivamente decorativo che le riviste come la Revue Générale de l’architecture di Daly, il Moniteur des architectes ed altre facevano dei particolari di castelli, chiese e palazzi cinquecenteschi che si venivano riscoprendo e riproducendo in tavole a incisione metallica. []
  25. E. Texier, Tableau de Paris..., 1852, p. 200. []
  26. I calchi costituiscono un problema storiografico: trascurati nello studio di Middleton, essi non fanno parte delle collezioni sopra menzionate, che comprendevano essenzialmente copie di sculture greche e romane. Non si può escludere a priori che si tratti di un’aggiunta di Destailleur (e ciò sarebbe più allineato cronologicamente con le notizie sul ritorno in voga dei Della Robbia) ma sembra improbabile, perché i restauri di Destailleur, peraltro poco documentati nella stampa periodica, ebbero carattere prevalentemente utilitario. Cfr. scheda sul database del Victoria and Albert Museum: https://www.vam.ac.uk/collections/sculpture e G. Lafenestre, P. Durrieu, A. Michel, L. Deshairs, Le Musée Jacquemart-André, Paris 1914. []
  27. F. Lenormant, La Galerie Pourtalès, II. Antiquités grecques et romaines, in “Gazette des Beaux-Arts”, 17, Paris 1864, p. 476. []
  28. Questa idea fu ben presto abbandonata dallo stesso Duban per ragioni di costi e per la difficoltà di trasportare il monumento. I progetti di Duban per la Cour Carrée furono mal visti dal conte di Nieuwerkerke ed infine l’architetto non eseguì le proprie idee per questa corte del Louvre, che avrebbe voluto trasformare in giardino all’italiana. Cfr.  E. Jacquin, Le chantier du Louvre, in Félix Duban 1798-1870. Les couleurs de l’architecte, catalogo della mostra (Château de Blois, 15 juin-29 septembre 1996), a cura di S. Bellenger et F. Hamon, [Paris] 1996, pp. 103 e segg. []
  29. E. Rumlere, Congrès des architectes, séance du 10 juin, necrologio di Le Soufaché, in “La Construction Moderne”, 18 juin 1887, p. 424. []
  30. Costruiti rispettivamente per il duca di Massa nel 1876 e per i Rothschild negli anni 1874-1884. Sull’opera di Hippolyte Destailleur (1822-1893), celebre soprattutto come collezionista di famose raccolte di disegni antichi, oggi custoditi alla Kunstbibliothek di Berlino e alla Bibliothèque Nationale de France, esistono solo delle trattazioni parziali e manca una vera e propria monografia; particolarmente carenti sono le informazioni sui progetti per l’hôtel Pourtalès, i cui disegni si trovano alla Kunstakademie di Berlino (Middleton). Cfr. C. Lucas, Nécrologie de M. Hippolyte Destailleur, in “La Construction Moderne”, 25 nov. 1893, pp. 94, 95; C. Rabeyrolles-Destailleur, Hippolyte Destailleur (1822-1893): architecte-collectionneur, in L’artiste collectionneur de dessin. De Giorgio Vasari à aujourd’hui, 1, Rencontres internationales du Salon du Dessin, a cura di C. Monbeig Goguel, Milano 2006, pp. 147-162; M. Le Goff, Une dynastie d’architectes. Les Destailleurs, Gourin 1988 (interessante ma esile). Diversi i contributi su altri aspetti della sua produzione, su Waddesdon o sulle opere a Berlino e Vienna. []
  31. B. Centorame, L’hôtel Bouret de Vézelay, in Autour de la Madeleine…, 2005, p. 41. []
  32. Su Félicie de Fauveau e su altre figure di artiste romantiche di questo periodo, come Marie d’Orléans, sta tornando un lieve interesse anche a causa della maggiore attenzione agli studi di genere: cfr. E. De Waresquiel, Une femme en exil. Félicie de Fauveau, artiste, amoureuse et rebelle, Paris 2010; l’articolo di E. Mension-Rigau, L’aventure au féminin: le destin de Félicie de Duras, comtesse Auguste de La Rochejaquelein (1798-1883), in “Histoire, économie et société”, 1999, 18e année, n. 3, pp. 547-567 esamina invece i rapporti di Fauveau con il gruppo di aristocratici legittimisti che in più occasioni cercò di rovesciare la monarchia borghese degli Orléans. La classica opera di L. Benoist, La sculpture romantique, Paris 1928 (ried. Paris 1994), p. 88 riportava la descrizione completa dell’oggetto, tratta dal catalogo Description des objets d’art du moyen âge, de la Renaissance et des temps modernes, faisant partie des collections de M. le comte de Pourtalès, a cura di J.J. Dubois, Paris 1841: «Lampada di San Michele — La composizione di questa lampada è lo sviluppo dei salmi “orate et vigilate” basato sul culto dei Santi Angeli Custodi. L’arcangelo san Michele, in piedi sotto una cattedra e vestito dell’armatura dei cavalieri del suo Ordine, veglia sul fuoco sacro, appoggiato su una lunga spada dalla lama fiammeggiante. Ai suoi piedi, sui bordi di una vasca di  forma esagonale, sono i quattro scudieri d’ufficio di un cavaliere araldo, che svolgono le funzioni di porta-lancia, di portatori d’armi, di porta-elmo e di semplice scudiero. La base della cattedra è ornata di pilastri, ai quali sono appesi gli scudi carichi di onorevoli membri della milizia celeste. La vasca, destinata a contenere la luce, è ornata di una cornice angolare, sulla quale sono incise le parole dei salmi già citati, e il vecchio grido d’allarme tanto noto: fiero, vigile; vigile, fiero. Ogni angolo della cornice ospita un cane da guardia, che sostiene un nastro che circonda la circonferenza intera del monumento. La coppa che forma il fondo di questo fanale è terminata da tre differenti geni, che esprimono un comune simbolismo del vigilare, tenendo insieme un medesimo sassolino, (questo, di forma ovale, è un lapislazzulo, alcune parti del monumento sono dipinte e dorate), la cui caduta potrebbe provocare la loro scomparsa, e alfine che il sonno non li abbandoni ai loro nemici. Sulla parte inferiore del pannello in quercia scolpita su cui è applicata quest’opera, si legge: Non dormit qui custodit []
  33. La scultura misurava m. 2,40 di altezza; si trovava, al tempo di Benoist, presso la collezione Gruot. Cfr. L. Benoist, La sculpture…, 1928, p. 91: «Monumento in marmo di Carrara. — Assisa su uno sgabello e sotto un padiglione (o piuttosto lindiera – sorta di balcone coperto e a sporto, spesso applicato sui palazzi e le case private d’Italia) sostenuto da quattro colonne tortili, Francesca da Rimini sola con Paolo, giovane fratello di suo marito, si arresta turbata dalla lettura di una storia che risveglia in lei il ricordo pericoloso di una prima passione. Lo sguardo chino sul libro e il dito sulla pagina fatale, la sventurata ascolta le parole del suo amante, che, inginocchiato a metà, e prendendo una delle sue mani nelle sue, la scongiura di cedere a un amore le cui conseguenze comporteranno la fine di entrambi. Il fondo del padiglione presenta un ingresso in parte chiuso da una portiera, e una finestra alla quale è affacciato un gufo che si gira e sembra spiare la scena di cui è testimone. Il padiglione, che ricorda da vicino, nell’insieme e nei dettagli, le opere di questo genere costruite in Italia nel medioevo, è sormontato da un frontone a sesto acuto, trilobato, e decorato all’angolo superiore dai blasoni delle famiglie Guido e Malatesta. Gli acroteri laterali sono formati  da una specie di campanili slanciati, che supportano le figure cesellate di due angeli guardiani, le cui ali sono spiegate, e che sembrano deplorare la caduta delle anime sfuggite alla loro protezione; infine, alla sommità di un membro architettonico (cuspide) posta indietro e dominante su tutti le altre parti dell’édificio, si vede ugualmente curva, la figura di Minosse, giudice inflessibile e supremo del secondo cerchio dell’Inferno. Tra le mensole sotto la base del monumento sono raccolte le anime inseparabili di Francesca e Paolo, divenute  triste giocattolo di un genio infernale, che ride dei loro dolori e li trasporta a suo piacimento su tutti i punti del luogo muto di ogni lume, ove sono condannati per sempre. Al di sopra di queste figure, su un nastro spiegato, è scritto questo verso, che indica la natura del loro supplizio: Di qua, di là, di qui, di su gli mena.» []
  34. J. Pons, «L’Hôtel de Pourtalès», 1985. []
  35. Secondo Middleton, il vano scale sarebbe rimasto pressoché invariato nel corso dei lavori di Destailleur; tuttavia proprio l’affinità delle colonne con lo stile della corte dell’Ecole des Beaux Arts, successiva di vent’anni all’hôtel Pourtalès e testimonianza di una fase molto più avanzata dello stile di Duban, che per la prima volta introdusse strutture metalliche in un edificio a carattere ufficiale, induce a dubitare dell’attribuzione. Sarebbe necessaria la consultazione dei disegni di Destailleur a Berlino. []
  36. A. Pingeot, Duban décorateur de la IIe République au Louvre, in Félix Duban 1798-1870…, 1996, p. 120 e segg. []
  37. H. Delaborde, Félix Duban, L’exposition…, in “Revue Des Deux Mondes”, 1 Fevrier 1872, p. 611. []
  38. E. Galichon, La Galerie Pourtalès, III. Les Tableaux Italiens, Paris 1864, p. 6. []
  39. Ibidem. []
  40. A. Chastel, Le Goût des “Préraphaélites en France”, in De Giotto à Bellini. Les Primitifs Italiens dans les musées de France, catalogo della mostra a cura di M. Michel Laclotte, Paris 1956, p.VII. []
  41. L. Langer, Le tableaux Italiens de James-Alexandre Comte de Pourtalès-Gorgier, in Le goût pour la peinture italienne autour de 1800, prédecesseurs, modèles et concurrents du cardinal Fesch, Atti del Convegno (Ajaccio, 1-4 mars 2005), a cura di P. Costamagna, O. Bonfait, M. Preti-Hamard, Ajaccio 2006, p. 261. []
  42. D. Thiebaut, Ajaccio, Musée Fesch. Les Primitifs Italiens, Paris 1987, p. 22. []
  43. Tra i dipinti bisogna ricordare: Il Parnaso e La Saggezza scaccia i Vizi di Andrea Mantegna; L’amore felice e l’Isola di Venere di Lorenzo Costa. Le vicissitudini di questo viaggio sono state scritte da Dufourny stesso in un diario di  viaggio dallo stile brillante, trascritto all’inizio del XX secolo: Archives de l’Art Français. Recueil de Documents inédits publiés par la Société de l’Art Français. Nouvelle Période, Tome IV, Paris 1910, pp. 351-413; M. Tourneux, Mission de Dufourny et de Visconti au Château de Richelieu en 1800. Una ricerca recente su questo tema è quella di  P. Pinon, Le voyage de Paris à Richelieu de Léon Dufourny, in L’architecture et La ville. Mélanges offerts à Bernard Huet, Paris 2000, pp. 175-183. Nel corso di un periodo di ricerche, ho potuto studiare i fascicoli dei Musées Nationaux sul viaggio a Richelieu e l’acquisto delle pitture: R. Mercadante, Léon Dufourny (1754-1818). Vers le positivisme de la science architecturale, dattiloscritto presso il Centre André Chastel (Paris IV, Sorbonne), 2007. []
  44. J.A.F. Artaud De Montor, gli si deve soprattutto l’opera Considérations sur l’état de la peinture dans les trois siècles qui ont précédé Raphael, Paris 1808. []
  45. M. Lastri, L’Etruria pittrice ovvero storia della pittura toscana dedotta dai suoi monumenti che si esibiscono in stampa dal secolo X fino al presente, Firenze 1791 e 1795. []
  46. L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal Risorgimento delle Belle Arti fino alla fine del XVIII secolo, 1a ed. parziale, Firenze 1792,  2a ed., Bassano 1795-1796, ed. definitiva Bassano 1809. []
  47. G. Della Valle, Lettere senesi sopra le belle arti di un socio dell’Accademia di Fossano, Venezia 1782 – 1786, rist. Sala Bolognese 1976. []
  48. P. Perdrizet, R. Jean, La Galerie Campana et Les Musées Français, Bordeaux 1907, p. 5 «La Collezione Campana, acquisita nel 1861 da Napoleone III per la somma di 4.360.440 franchi, comprendeva nella fattispecie 646 dipinti –soprattutto dei quadri di pietà italiani, dei secoli XIV° e XV° . La moda della vecchia pittura italiana cominciava appena; Campana dovette acquistare i suoi quadri arcaici soprattutto negli ultimi anni della sua carriera di collezionista. Alcuni, di epoca più recente provenivano dalla galleria del cardinale Fesch. La maggior parte degli altri sembrano essere stati ceduti a Campana, che era direttore del Monte-di Pietà di Roma, da conventi dell’Italia centrale, Stati Romani, Umbria, Toscana.» []
  49. W. Bürger, Les Cabinets d’amateurs à Paris, I. Galerie de MM. Pereire, in “Gazette des Beaux Arts”, XVI, jan-juil. 1864, p. 204. []
  50. G. Lafenestre, La Peinture, in G. Lafenestre, P. Durrieu, A. Michel, L. Deshairs, Le Musée Jacquemart…, 1914. []
  51. Si tratta di un doppio ritratto che faceva parte della collezione Fesch, acquisito in seguito per la collezione Aguado, Parigi, e che fu di Delaroche fino alla morte, nel 1857. Dopo un passaggio alla galleria di M. Anguiot, fu acquisito nel 1867 dalla National Gallery of Ireland. Cfr. F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, Venezia 1959, p. 103. []
  52. Catalogue d’un choix d’estampes et de livres relatifs aux arts et aux antiquités et dont la vente aura lieu à l’Hôtel des ventes (Rue Drouot), 4-5 juin 1860 par M. Escribe, Commissaire-priseur. []
  53. J.B.L.G. Seroux D’Agincourt, Histoire de l’art par les monuments, depuis sa décadence au IV siècle jusqu’a son renouvellement au XVI, vol. 5, Paris 1822, p. 158: «Il più antico degli storici della Pittura, Italiano e pittore lui stesso, Vasari, vicino dei tempi di Van Eych, e certamente il più istruito dei nostri scrittori su questi soggetti, attribuisce l’onore dell’invenzione a questo maestro […]. Noi apprendiamo anche da questo autore come il segreto della pittura a olio passò dalla Fiandra in Italia. Egli racconta, nella Vita di Antonello da Messina, che questo pittore, dopo aver studiato a Roma e operato  in patria, in seguito alla visione a Napoli di un quadro dipinto a olio da Jean de Bruges, animato da un vivo desiderio di istruirsi, si recò in Fiandra presso questo maestro, e per mezzo di diversi disegni italiani di cui gli fece dono,ottenne la comunicazione del suo procedimento; che, rientrato in Italia, ed essendosi stabilito a Venezia, lo mise in pratica, e lo insegnò a Domenico Veneziano». []
  54. Galerie de Florence et du Palais Pitti, par Wicar, Lacombe et Masquelier, Paris 1789-1821. []
  55. J.F. D’Ostervald, Prospectus, in Voyage Pittoresque en Sicile, dédié A S.A.R. Madame La Duchesse De Berry, Paris 1822-1826. []
  56. Ibidem. []
  57. Ibidem. []
  58. T. Panofka, Antiques du Cabinet du Comte de Pourtalès-Gorgier décrites par Théodore Panofka par Mlle de Beuveau, Paris 1832. []
  59. C.A.C., Quatremère de Quincy, Le Jupiter olympien  ou L’art de la sculpture antique considéré sous un nouveau point de vue; ouvrage qui comprend un essai sur le goût de la sculpture polychrome, l’analyse explicative de la toreutique, et l’histoire de la statuaire en or et ivoire chez les Grecs et les Romains, avec la restitution des principaux monuments de cet art et la démonstration pratique ou le renouvellement de ses procédés mécaniques, Paris 1815. []
  60. Monuments de l’Egypte et de la Nubie, Paris 1835. []
  61. J. Stuart, N. Revett, Antiquities of Athens, 4 voll., London, 1761-1816. []
  62. M. le duc de Luynes, Choix de médailles grecques. Description de quelques vases peints, étrusques, italiotes, siciliens et grecs. Paris 1840. []
  63. T. Panofka, Recherches sur les véritables noms des vases grecs, Paris 1829. []
  64. C. Blanc, L’Hémicycle de Paul Delaroche gravé par Henriquel-Dupont, in “Gazette des Beaux Arts”, 15 déc. 1860, pp. 357-358. []
  65. A. Chastel, Le Goût des “Préraphaélites en France”, in De Giotto à Bellini. Les Primitifs Italiens dans les musées de France, catalogo della mostra, Paris 1956, p. XV. []
  66. P. Pinon, Le séjour en Italie: les dessins et les envois, in Félix Duban 1798-1870…, 1996, p. 35. []
  67. La Storia pittorica, tradotta in francese nella medesima edizione di quella posseduta da Pourtalès, faceva parte dell’inventario post mortem del 12 – 13 giugno 1857, come si apprende da C. Allemand-Cosneau, L’Hémicycle de l’Ecole de Beaux Arts de Paris ou l’histoire figurée de l’art, in C. Allemand-Cosneau, I. Julia, Paul Delaroche. Un peintre dans l’histoire, catalogo della mostra, Nantes-Montpellier 2000, pp. 105-129. []