Giovanni Boraccesi

g.boraccesi@libero.it

A Levante di Palermo. Argenti con l’aquila a volo alto nell’isola greca di Tinos

DOI: 10.7431/RIV04052011

Una ricerca, tuttora in itinere, mi ha portato a indagare sulla suppellettile in argento custodita nelle chiese cattoliche della Grecia, una realtà certo minore e del tutto sconosciuta ma non per questo da trattare con negligenza. Dopo aver esaminato e reso noto agli studi i diversi manufatti della cattedrale di Naxos1, capoluogo dell’omonima isola delle Cicladi, è ora la volta di un piccolo, e per me inaspettato, nucleo di argenti palermitani di rilevante interesse che ho rinvenuto, assieme a molti altri reperti di provenienza eterogenea, nell’isola di Tinos, famosa per essere il luogo di un santuario ortodosso tra i più conosciuti della Grecia, dedicato alla Panaghía Evangelistría (dell’Annunciazione). Esso fu costruito tra il 1823 e il 1830 nel luogo in cui, secondo la tradizione, nel luglio del 1823 era stata rinvenuta una miracolosa icona della Vergine, dipinta dall’apostolo Luca.

Tinos è anche la sede prestigiosa di un antico vescovado latino installato nel villaggio di Xinara; la sua giurisdizione, parallelamente alla sfera d’azione che fu già della Repubblica di Venezia, si estende oggi tra le isole di Naxos, di Paros, di Mikonos, di Andros fino a comprendere – per via dell’amministrazione apostolica – le più lontane isole di Lesbos, di Chios o Scio (già con una propria Diocesi) e di Samos, queste ultime fronteggianti la costa turca. La collocazione geografica fece di Tinos un’isola dal commercio fiorente tra il Ponente, il Levante e il Mar Nero, come del resto l’intero arcipelago delle Cicladi e le altre isole dell’Egeo. Occupata dai Veneziani nel 1207, Tinos fu prescelta quale luogo di residenza di un Rettore della Serenissima che esplicava il proprio ufficio nella cittadella fortificata di Exombourgo (Fig. 1), distrutta dai Turchi nel 1715.

I pezzi di cui ora tratterò, tutti databili entro il XVIII secolo, sono conservati, tranne l’ostensorio, presso il moderno palazzo vescovile della città-capoluogo Tinos, a due passi dalla chiesa conventuale di Sant’Antonio da Padova. Di essi, però, vi è scarsità di documenti e di notizie, né conosciamo le circostanze in cui vennero commissionati. In antico, forse, potevano custodirsi nella cattedrale di Xinara o nell’adiacente palazzo vescovile, il cui piano terra accoglie fin dal 1990 un importante museo ecclesiastico e un archivio diocesano, con un complesso di documenti riguardanti la giurisdizione spirituale e il governo ecclesiastico della Chiesa latina. Né si può escludere che facessero parte della suppellettile già in dotazione a uno dei tre conventi dell’isola, due dei quali in seguito soppressi, come dirò più innanzi.

È certo che gli argenti di Palermo rinvenuti in questo lembo di Grecia – mi consta che finora siano i primi in questo Paese – sono in rapporto alla circolazione di fede e di cultura oltre che al mare e alle attività ad esso connesse. Da un altro punto di vista, e ciò non è una novità, sono un’ulteriore prova della diffusione dell’argenteria siciliana in varie parti d’Italia e d’Europa.

Faccio, tuttavia, notare che nell’isola di Tinos, fra gli ordini religiosi che s’insediarono lungo il corso dei secoli vi furono, e ancora lo sono, i Gesuiti, che nel 1661 costruirono la loro casa nel villaggio di Loutrà. In seno alla struttura di tale Compagnia facevano parte due religiosi nativi di Palermo: Francesco La Lomia (1727-1789) e Giuseppe Martillaro (1731-1810), entrambi giunti a Tinos nel 17692. Essi stessi o i loro confratelli più anziani, magari qualcuno pure originario del capoluogo siciliano, potrebbero aver agito da tramite per questa commessa. Similmente, così come mi suggerisce lo storico locale padre Marco Foscolo che ringrazio, diversi altri religiosi provenienti dalla Sicilia risiedevano nei due edifici dell’Ordine francescano aperti sull’isola, ovvero i Frati Minori Conventuali del cenobio di San Francesco d’Assisi e del cenobio di Sant’Antonio da Padova.

Parallelamente, nell’arco cronologico che qui ora ci interessa, furono vescovi di Tinos sia Luigi Guarchi (1738-1762), sia Vincenzo de Via (1762-1799), entrambi originari dell’isola di Chios3. Va da sé, comunque, che il successore di quest’ultimo fu il vescovo Giuseppe Maria Tobia (1799-1815), dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, nato a Monte San Giuliano (oggi Erice) il 24 ottobre 1740 e morto a Candia (Creta) il 19 luglio 18154. Il periodo barocco e rococò segna nel campo della suppellettile in argento il momento di massimo splendore per la Sicilia, spesso con manufatti di grande bellezza formale arricchiti con microsculture, con pietre preziose, con coralli e con smalti multicolori.

Tutti gli esemplari che mi accingo a presentare sono marchiati con il bollo camerale della città di Palermo, ovvero l’aquila a volo alto sovrastante le lettere RVP (Regia Urbs Panormi).

Risale alla prima metà del Settecento e precisamente al 1747 la realizzazione di un Ostensorio (h. cm 62,5) (Fig. 2) in argento dorato conservato nella chiesa di San Zaccaria a Kalloni, piccolo villaggio situato nella parte centrale dell’isola di Tinos. La raggiera non è quella originale.

La base, gradinata e dal profilo movimentato, è suddivisa in tre campi uguali delimitati da volute fogliacee; la parte più interna del piede presenta una decorazione a sbalzo con volute contrapposte e foglie sinuose che delimitano una cartella liscia. Il fusto è abbellito da una serie di collarini e da un nodo con volute aggettanti a traforo. L’ampia raggiera, con fasci di raggi argentati e dorati, presenta un ricettacolo di forma circolare, a sua volta circondato da nuvole e da testine angeliche nonché da vetri di colore verde. Alla sommità è posta una croce raggiata.

La raggiera, come detto, non è pertinente all’ostensorio che stiamo trattando e fu probabilmente realizzata a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento; sullo sportellino posteriore è impresso il punzone M/925/A, dove 925 sta per il marchio di garanzia di bontà del titolo di 925 millesimi. I punzoni rilevati sulla parte più antica dell’ostensorio, vale a dire la base e il fusto, sono rispettivamente APC47, pertinente il consolato di Antonino Pensallorto5, e G*, probabile emblema di un argentiere palermitano ancora non identificato. Quest’ultimo è stato già riscontrato dalla critica sia sull’Ostensorio del 1748 del Museo Diocesano di Caltanissetta6, sia sull’Ostensorio del 1748 della chiesa di Santa Maria Odigitria di Piana degli Albanesi, sia sul Calice della chiesa madre di Vicari7. Il maestro Antonino Pensallorto, documentato dal 1729 al 1761,8 esplicò più volte l’ambita carica di console degli argentieri di Palermo, esattamente nel 1747, nel 1748, nel 1749, nel 1755 e nel 1756.

In ragione della perdita dell’originale elemento sommitale dell’ostensorio di Kalloni, si può supporre che questa parte del manufatto fosse in principio caratterizzata con una mostra a tabernacolo, anziché a raggiera, sull’esempio cioè del sopramenzionato esemplare della chiesa dell’Odigitria di Piana degli Albanesi o meglio ancora su quello, purtroppo trafugato, della chiesa di San Demetrio sempre a Piana degli Albanesi e con il quale, peraltro, condivide taluni aspetti formali e decorativi.

Nel 1758, durante il consolato di Nunzio Gino, si realizzarono tre Contenitori per olii santi (h. cm 16) (Fig. 3); ne fu autore un argentiere palermitano non identificabile. La forma dei recipienti – rispettivamente per l’olio del battesimo, della cresima e dell’estrema unzione, tutti olii del crisma consacrati dal vescovo il Giovedì Santo – è cilindrica, con collo corto e stretto chiuso in alto da un tappo ad incastro. L’insieme è improntato a una severa e austera semplicità, scevra da qualsiasi elemento decorativo, eccezion fatta per alcune sottilissime filettature. Il punzone rilevato, oltre a quello dell’aquila a volo alto di Palermo, è riferito al console degli argentieri affiancato dal datario, ovvero NGC 58, spettante a Nunzio Gino (1729-1784)9: console dal 26 giugno 1758 al 26 giugno 1759 e poi ancora nel 1762-1764, nel 1771-1772 e nel 178010; lo stesso suo punzone è stato rinvenuto anche per il 1779 su un Calice conservato nella chiesa madre di Sutera11.

Sul piano strettamente formale, i Contenitori per olii santi del palazzo vescovile di Tinos si possono confrontare con i più elaborati esemplari della cattedrale di Cefalù12, realizzati nel 1735 e rispettivamente punzonati con il marchio dell’arte di Palermo, con quello consolare AG735 e con l’altro dell’argentiere PC.

Fra i manufatti liturgici rinvenuti a Tinos più prezioso è, a mio parere, un Calice (h. cm 29) (Figg. 45) in argento dorato. Splendido esempio dei fantasiosi ornati rococò che, sulla scia di quanto già prodotto in Francia, caratterizzarono gli argenti palermitani di questo periodo. La base, dal profilo irregolare, presenta un orlo liscio e gradinato; la superficie del piede è suddivisa da tre capricciose volute fogliacee che delimitano altrettanti campi triangolari. Questi sono interessati da una caotica e disordinata decorazione a rilievo tipicamente rocaille, con incrostazioni di fregi vegetali, di spighe di grano e di grappoli d’uva, questi ultimi chiari simboli eucaristici. Mosso e irregolare è il fusto, che presenta un nodo dalle forme astruse e anch’esso sovraccaricato di motivi vegetali. Di questa fantastica decorazione, che quasi stordisce l’osservatore, non è neppure immune il sottocoppa, ammantato com’è di capricciosi elementi fitomorfi a sbalzo.

La tipologia e i decori di questo notevole pezzo sono, dunque, caratteristiche peculiari dello stile palermitano, evidenziano nel contempo l’estrema abilità tecnica ormai raggiunta dai suoi qualificati artefici.

Dalla lettura dei punzoni impressi sul calice in questione, si deduce che fu realizzato nel 1764 durante il consolato di Francesco Mercurio (FM64), finora documentato dal 1752 al 179613 e appartenente a una dinastia di apprezzabili argentieri di Palermo; sul calice compare, inoltre, la prova di assaggio. L’ufficio del consolato degli argentieri gli venne affidato dal 10 luglio 1764 al 10 luglio 1765 e poi ancora dal 1770 al 177114. Benché non riportato nel repertorio dei punzoni consolari della città di Palermo (Barraja, 1996), allo stesso Francesco Mercurio si è voluto comunque assegnare il consolato del 177615.

Sul piano tipologico e decorativo, un esempio apprezzabile di confronto è con il Calice conservato dalla confraternita di San’Orsola di Palermo, realizzato da Gaspare Cimino nel 176316; inoltre, a voler considerare i particolari motivi decorativi che caratterizzano la base del nostro calice, questi sono anche paragonabili con la Pisside della chiesa di San Ludovico di Mussomeli, opera del 1760 di Francesco Geremia17.

Un altro considerevole manufatto di stile rococò è un Vassoio di forma ovale (25,5×19,5) (Figg. 67) eseguito nel 1782. L’orlo mistilineo presenta una fascia incisa con l’iterazione di sinuose volute vegetali inframmezzate a singole foglie. Sul fondo, tra volute contrapposte e foglie d’acanto accartocciate, è raffigurato uno scudo con nel mezzo le lettere AV intrecciate e sovrapposte, forse le iniziali del possessore. Se così fosse, dovremmo allora riconoscere il vassoio come oggetto di uso profano piuttosto che sacro e qui poi giunto come dono munifico. Al marchio della città di Palermo, si accompagna quello consolare con la sigla SC·82, riconducibile a Don Simone Chiapparo, e quello dell’argentiere con le lettere (D)SM, pertinente a Salvatore Mercurio. Simone Chiapparo (documentato dal 1759 al 1790)18 fu investito di questa carica negli anni 1772-1773, 1781-1782 e 179019.

Il rinvenimento a Tinos di questo vassoio e, soprattutto, il bollo incusso di Salvatore Mercurio è di estremo interesse per la conoscenza del maestro argentiere, visto che permette di estendere il periodo della sua attività di ben quattro anni; fino a ieri, infatti, egli era documentato dal 1749 al 177820. È auspicabile, quindi, che altre sue pregiate realizzazioni possano ancora recuperarsi in Sicilia e altrove.

Ringrazio Sua Eccellenza Nicola Printezis, Arcivescovo di Naxos-Tinos-Mikonos-Andros per l’autorizzazione di studiare gli argenti delle chiese cattoliche dell’isola di Tinos. Un ringraziamento particolare a padre Marco Foscolo per l’accoglienza e per le utili informazioni.

  1. G. BORACCESI, Rapporti tra la Grecia e l’Occidente europeo negli argenti della Cattedrale di Naxos, in «Arte Cristiana», n. 863, marzo-aprile 2011, pp. 131-144. Qui ho esaminato un interessante Piatto in argento di manifattura messinese del XVI-XVII secolo []
  2. M. INGLOT, La Compagnia di Gesù nell’Impero Russo (1772-1820) e la sua parte nella restaurazione generale della Compagnia, Roma 1997, p. 207. Sulla presenza dei Gesuiti in questa parte d’Europa, si veda, inoltre, G. ROMANO, Cenni storici della missione della Compagnia di Gesù in Grecia, Palermo 1912 []
  3. Hierarchia Cattolica, Padova 1952, V 343-344; Padova 1958, VI 361, 408. Si veda anche G. HOFMANN, Vescovadi cattolici della Grecia. II. Tinos, Roma 1936 (Orientalia Christiana Analecta 107 []
  4. Oltre alla nota 3, si veda https://sites.google.com/site/pomadisansaverio/famiglieimparentateconlafamigliapoma []
  5. S. BARRAJA, I marchi degli argentieri e orafi di Palermo dal XVII secolo ad oggi, Palermo 1996, pp. 27, 40, 45, 76-77 []
  6. Il Museo Diocesano di Caltanissetta, a cura di S. RIZZO, A. BRUCCHERI, F. CIANCIMINO, Caltanissetta 2001, p. 242 []
  7. G. DAVÌ, Ostensorio con san Michele, in Il tesoro dell’isola. Capolavori siciliani in argento e corallo dal XV al XVIII secolo, catalogo della mostra (Praga 19 ottobre-21 novembre 2004), a cura di S. RIZZO, Catania 2008, II, pp. 854-855 []
  8. S. BARRAJA, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di M. C. DI NATALE, Milano 2001, p. 675 []
  9. Ivi, p. 672 []
  10. S. BARRAJA, op. cit., 1996, pp. 40, 77-80; IDEM, Spigolature d’archivio per gli argenti sacri e profani tra tardo barocco e rococò, in Argenti e Cultura Rococò, p. 640 []
  11. M. V. MANCINO, Il Tesoro della Chiesa Madre di Sutera, Caltanissetta 2010, p. 88 []
  12. C. GUASTELLA, La suppellettile e l’arredo mobile: argenterie e parati sacri, in La basilica cattedrale di Cefalù materiali per la conoscenza storica e il restauro, Palermo1982, pp. 142-144 []
  13. S. BARRAJA, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, cit., p. 674 []
  14. IDEM, op. cit., 1996, pp. 78-79; IDEM, Spigolature d’archivio per gli argenti sacri e profani tra tardo barocco e rococò, cit., p. 640 []
  15. G. CUSMANO, Argenteria sacra di Ciminna dal Cinquecento all’Ottocento, Palermo 1994, p. 67 []
  16. M. REGINELLA, Completo di Pisside e Calice, in Argenti e Cultura Rococò, p. 352, vedi anche p. 249 []
  17. M. C. GULISANO, Pisside, in Argenti e Cultura Rococò, pp. 344-345, vedi anche p. 233 []
  18. S. BARRAJA, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, cit., p. 670; IDEM, op. cit., 1996, pp. 79-81 []
  19. IDEM, op. cit., 1996, pp. 79-81 []
  20. IDEM, Gli orafi e argentieri di Palermo attraverso i manoscritti della maestranza, cit., p. 674 []